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Introduzione
Quando oggi si parla di ordine pubblico, sono ben note a tutti quali sono le strutture
dell’amministrazione dello Stato deputate alla sua tutela: i Carabinieri e la Polizia (con
compiti esecutivi) i Prefetti, il Ministro dell’Interno e, in definitiva, il Governo. Ma non
sempre è stato così.
L’elaborato si prefiggerà appunto l’obiettivo di esaminare il tema dell’ordine pubblico,
nell’evoluzione che ha avuto in Italia, partendo dalle varie realtà che nel periodo settecentesco
componevano il mosaico degli Stati preunitari, quando il concetto di polizia non aveva ancora
assunto l’odierno significato e le funzioni di tutela dell’ordine interno non venivano, di fatto,
considerate tra i compiti dell’amministrazione statale. In quel periodo, infatti, si registrava una
sostanziale assenza sia a livello direzionale che a livello esecutivo di strutture deputate
prioritariamente a tale funzione.
In via preliminare, si inizierà con l’analizzare proprio la nozione giuridica di ordine
pubblico, scoprendo che essa, seppur presente nella legislazione nazionale da quasi 150 anni,
non ha una vera e propria definizione, pur essendo il concetto suscettibile di essere analizzato
sotto una molteplicità di angolazioni (politico, economico etc.).
Il lavoro proseguirà poi nel secondo capitolo, focalizzando l’attenzione sugli stati nazionali
dell’ ancien régime, proprio sottolineando l’assenza di organismi assimilabili sia agli odierni
dicasteri e prefetture, che alle moderne forze di polizia. In effetti si vedrà come, a fattor
comune, sussisteva in tali ordinamenti un equivoco di fondo: la commistione dei compiti di
polizia con quelli connessi all’esercizio della giurisdizione. Vi erano così corpi armati che
svolgevano – tra le altre – anche funzioni assimilabili a quella di polizia, ma posti alle
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dipendenze di apparati giudiziari penali, civili e finanche ecclesiastici. Le funzioni di tutela
dell’ordine pubblico, assenti tra quelle del potere esecutivo, erano così esercitate in maniera
del tutto residuale (e con compiti più di polizia repressiva che preventiva) a fronte di quella
che era l’attribuzione principale di tali corpi, ossia di essere esecutori di sentenze.
Questi esecutori erano per lo più appellati “sbirri” e ovunque erano caratterizzati da una
pessima fama dovuta sia alla loro estrazione sociale, che anche e soprattutto al loro
comportamento, generalmente caratterizzato da brutalità, abusi, sopraffazioni e
comportamenti illegali in genere.
Ci si prefigge inoltre di chiarire come, solamente alla fine del Settecento, gli Stati
assolutistici, di fronte ai mutamenti economici, sociali e demografici caratterizzanti il
periodo, iniziarono ad avvertire l’esigenza di “amministrativizzare” le funzioni di polizia
separandole da quelle di esecuzione giudiziaria e creando di conseguenza strutture che
(inizialmente sotto il controllo diretto della corona), si occupassero direttamente delle
funzioni di “polizia”.
In tale solco si evidenzierà la vera e propria “rottura” nel campo giuridico e
dell’amministrazione dello Stato costituita dalla rivoluzione francese ed ancor più dai tre
lustri di dominazione napoleonica che lasceranno un segno indelebile sul modo di
amministrare la cosa pubblica.
Se da un lato la “Restaurazione” ristabilirà lo status quo ante cancellando l’esperienza
napoleonica, dall’altro non potrà non far tesoro delle profonde innovazioni
nell’amministrazione dello Stato che ne erano state corollario.
È così che dopo il 1815 gli Stati italiani si avvieranno, quasi all’unisono, ad una
progressiva modernizzazione dei loro apparati amministrativi senza affatto trascurare l’aspetto
di tutela dell’ordine pubblico che anzi, d’ora in poi, costituirà una branca fondamentale della
pubblica amministrazione.
III
Si vedrà quindi come tale percorso passerà da un lato dalla progressiva “smilitarizzazione”
degli incarichi direttivi di “buon governo” (o la loro assegnazione a funzionari civili a
discapito di quelli militari) e dall’altro alla creazione – sull’esempio della gendarmeria
francese – di corpi armati con compiti pressoché esclusivi di controllo del territorio e di
polizia preventiva. Il tutto accompagnato dalla nascita di una legislazione penale e, in rapida
successione, soprattutto di una specifica normativa di polizia che regolamentasse proprio
l’aspetto preventivo di tale funzione.
Nel terzo capitolo si approfondirà quindi tale passaggio nodale, concentrando l’attenzione
sull’evoluzione della normativa e dell’organizzazione di “pubblica sicurezza” del Regno di
Sardegna. Ciò per un duplice ordine di motivi: da un lato perché l’ordinamento
amministrativo e giuridico sabaudo costituiranno la spina dorsale del futuro Stato unitario,
dall’altro perché quello piemontese è stato il primo fra gli Stati italiani a costituire un corpo
militare che avesse il compito prioritario di svolgere funzioni di polizia secondo l’accezione
moderna che il termine stava pian piano assumendo, ossia il Corpo dei Reali Carabinieri.
Si vedrà poi come, sulla scia del “nuovo” che avanzava contestualmente ai moti del 1848,
il Re sardo avesse concesso dapprima lo Statuto e quindi la milizia comunale che, organizzata
su base volontaria e addirittura con elezione dei quadri al proprio interno, costituirà una
esperienza breve ma significativa nell’evoluzione della figura del tutore dell’ordine.
L’attenzione si soffermerà quindi sull’emanazione delle prime leggi di polizia, sulla nascita
del Corpo delle guardie di p.s., antesignane dell’odierna Polizia di Stato e sulla creazione
dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, ancora oggi strutturata in gran parte secondo
l’organizzazione immaginata dal legislatore sabaudo.
L’ultima parte del lavoro si prefigge invece l’analisi dell’evoluzione della normativa e
dell’organizzazione della pubblica sicurezza del neonato stato italiano partendo proprio dalle
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basi giuridiche dell’esperienza piemontese, passando attraverso le varie legislazioni
d’emergenza, come quella del 1863 sul brigantaggio, sino al ventennio fascista.
In tale disamina si cercherà anche di porre l’accento su alcune problematiche quali quelle
del coordinamento tra le varie forze di polizia e del rapporto tra polizia civile e carabinieri,
ancora di stretta attualità ai nostri giorni come lo erano già 150 anni fa.
Obiettivo di fondo del presente lavoro è infine quello di osservare, soprattutto in
riferimento alla normativa italiana, i mutamenti dello stesso concetto giuridico di “ordine
pubblico” che ha oscillato da una concezione materiale (più ristretta) ad una ideale (assai più
ampia). Dalle prime timide apparizioni nella legislazione post-unitaria all’assoluto dilagare
nella normativa dell’epoca fascista, durante la quale l’ordine pubblico assurse quasi a ideale
autonomo coincidente con i principi propugnati dal regime.
In tale ambito una particolare attenzione verrà posta ai vari cambiamenti della struttura di
polizia, con la creazione di una polizia “di partito” (la Milizia Volontaria per la Sicurezza
Nazionale) e la temporanea soppressione delle polizia civile (la Regia Guardia), poi rinata con
la denominazione di Corpo degli agenti di p.s..
Ci si soffermerà, infine, sulla normativa di polizia emanata durante il ventennio che,
soprattutto attraverso l’istituto preventivo del “confino di polizia”, permetterà al regime di
perseguire la tutela di un ordine pubblico ideale, i cui confini si allargheranno a tal punto da
legittimare la “punizione” anche del semplice dissenso ideologico.
In conclusione una precisazione: nel testo verrà trattata con un “occhio di riguardo”
l’Arma dei carabinieri, della quale verranno esaminati più nel dettaglio, compiti, funzioni e
peculiarità; mi auguro in questo di essere giustificato dall’essere il sottoscritto appartenente
all’Istituzione da più di 23 anni e della quale ha fatto parte, nel secondo decennio del secolo
scorso, anche mio nonno il quale, tra l’altro, ha vissuto in modo completo l’esperienza di
“tutore dell’ordine” (pubblico) avendo prestato servizio, dopo il periodo nell’Arma conclusosi
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alla fine del primo conflitto mondiale, anche nelle Guardie regie e nel Corpo degli agenti di
pubblica sicurezza.
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Il concetto di ordine pubblico
Nell’introdurre la tematica al centro del presente lavoro, è anzitutto d’obbligo una
premessa: nell’ordinamento giuridico italiano la nozione di ordine pubblico non è
normativamente definita. Tale formula giuridica, che non è dato riscontrare neppure nelle
opere dei giuristi antecedenti al periodo della Rivoluzione francese, appare per la prima volta
nel Code Napoléon
1
, quale limite alla libertà contrattuale (cfr. ad es art.6 – «Le leggi che
interessano l’ordine pubblico o il buon costume non possono essere derogate da particolari
convenzioni»; art 1133 – «La causa è illecita quando è proibita dalla legge, quando è
contraria ai buoni costumi ed all’ordine pubblico»). Si tratta quindi di un concetto nuovo che,
in quello specifico contesto nel quale era conferita al cittadino la più ampia libertà di
iniziativa, rappresentava l’esigenza che non venissero sovvertiti i valori fondanti del nuovo
ordine sociale scaturito dall’esperienza rivoluzionaria; ma neanche il testo che la contiene per
la prima volta ne dà una definizione.
In linea generale, la difficoltà di fornire una enunciazione del concetto deriva senza dubbio
anche dalla sua natura “trasversale”
2
alle varie branche del diritto, essendo l’ordine pubblico
una nozione presente nel diritto civile
3
, in quello penale
4
, nel diritto costituzionale ed in
1
Sull’esempio francese anche l’ordinamento italiano, nei decenni successivi, accoglie l’espressione “ordine
pubblico” che compare infatti nel codice civile del 1865 (art.12 disp. prel. e art 1122), nella legge di pubblica
sicurezza (legge 20 marzo 1865 n.2248) e nel codice penale del 1889 (nel quale le precedente dizione di
“tranquillità pubblica” è sostituita da “ordine pubblico”); la nozione poteva quindi rintracciarsi in tre testi
fondamentali dell’architettura normativa del neonato Regno d’Italia (cfr. Cap. IV)
2
F.Angelini, Ordine pubblico e integrazione costituzionale europea, Cedam, Padova, 2007, pag.1
3
L’ordine pubblico è richiamato nel Codice Civile agli artt. 5 (divieto degli atti di disposizione del proprio corpo
che siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume), 23 ult. co. (sospensione delle deliberazioni
delle assemblee delle associazioni o delle fondazioni che siano contrarie all'ordine pubblico o al buon costume),
25 1 co., (annullamento delle deliberazioni delle fondazioni che siano contrarie (…) all’ordine pubblico o al
buon costume) 634 (nelle disposizioni testamentarie si considerano non apposte le condizioni contrarie all’ordine
pubblico), 1229 2 co. «É nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i
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quello internazionale. In virtù di ciò, appare chiaro come il suo contenuto sia continuamente
differenziabile secondo quale aspetto della materia giuridica si vada di volta in volta ad
esaminare.
Si ha così un ordine pubblico economico, che concerne la difesa delle regole fondamentali
di un sistema economico (ad es. la libertà di concorrenza, di lavoro, di professione, il divieto
di esportazione dei capitali, la tutela del consumatore o del lavoratore subordinato); un ordine
pubblico internazionale (ad es. l’art.31 delle disp. preliminari –ora abrogato dall’art73 L.31
maggio 1995 n.218- che sancisce l’inapplicabilità di leggi o atti di uno stato estero che siano
contrari all’ordine pubblico o al buon costume) contrapposto ad un ordine pubblico interno;
un ordine pubblico tecnologico (concetto di elaborazione francese che, nell’ambito dell’ordine
pubblico economico, si rifà alla garanzia di affidabilità e di funzionalità delle tecnologie su
cui si basa una società); un ordine pubblico politico, attinente alla difesa dello Stato e delle
pubbliche istituzioni. Anche volendo considerare solo questo ultimo ambito, il concetto di
ordine pubblico mantiene caratteristiche multiformi, tanto da essere definito «bene sfuggente,
privo di sostanza concreta (…) pura creazione del legislatore»
5
. Dottrina e giurisprudenza
hanno coniato due accezioni: la prima è quella dell’ordine pubblico in senso materiale (cui
corrispondevano, sino a prima del codice penale del 1889 i reati contro «la pubblica
tranquillità»), dotato di uno spessore materiale ed empirico in quanto relativo ad una
«condizione di pacifica convivenza immune da disordine e violenza»
6
; ordine pubblico che
equivale quindi alla nozione di pubblica tranquillità, di sicurezza collettiva e di buon ordine
casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine
pubblico»), 1343 («Causa illecita. La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico
o al buon costume»), 1354 1 co.( «Condizioni illecite o impossibili. É nullo il contratto al quale è apposta una
condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume»), 2031
2 co.( «Questa disposizione non si applica agli atti di gestione eseguiti contro il divieto dell’interessato eccetto
che tale divieto sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume»), 2332 («Nullità della società.
Avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei
seguenti casi: (…) 4) illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto sociale»)
4
Titolo V del libro secondo del codice penale
5
G.Fiandaca, E.Musco, Diritto penale – parte speciale, Zanichelli, Bologna, 2008, pag. 461
6
G.Fiandaca, E.Musco, cit., pag.462
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esteriore. La seconda accezione è quella di ordine pubblico ideale o normativo, che evoca una
entità ideale costituita dal complesso di principi ed istituzioni dalla cui tutela dipende la
sopravvivenza dell’ordinamento; secondo questa visione l’ordine pubblico è sinonimo di
ordine costituito. In tal senso si registra un fondamentale pronunciamento della Corte
Costituzionale (sentenza n.19 del 16 marzo 1962) secondo cui l’ordine pubblico si identifica
con il «regime democratico e legalitario, consacrato nella Costituzione vigente, e basato
sull'appartenenza della sovranità al popolo (art. 1), sull'eguaglianza dei cittadini (art. 3) e
sull'impero della legge (artt. 54, 76-79, 97-98, 101, ecc.) e con (…) l’ordine istituzionale del
regime vigente» (da qui la definizione di ordine pubblico costituzionale
7
) tanto che in caso di
suo turbamento sono legittime «disposizioni legislative che effettivamente, e in modo
proporzionato, siano volte a prevenire e reprimere siffatti turbamenti».
Sebbene abbia ricevuto l’avallo della giurisprudenza costituzionale, secondo alcuni autori
8
la nozione di ordine pubblico ideale non sarebbe del tutto condivisibile, vuoi perché
trattandosi di un concetto astratto rischierebbe di essere “manipolato” a garanzia di interessi
mutevoli e quindi non sempre meritevoli di tutela, vuoi addirittura perché potendo essere
astrattamente offeso anche da idee in contrasto con i valori posti alla base dell’ordine
costituito, sorgerebbe il concreto pericolo di criminalizzazione anche del semplice dissenso
politico-ideologico (cfr. infra). Sarebbe quindi, in definitiva, preferibile l’accezione
dell’ordine pubblico in senso materiale, secondo il quale la legge (penale) è volta a prevenire
il disordine materiale che mette in pericolo la pace e la sicurezza delle persone.
Tornando al concetto di ordine pubblico ideale ed alle interpretazioni che ne hanno
legittimato una lettura antidemocratica, si evidenzia infatti come durante il ventennio fascista
la nozione abbia acquisito una valenza ideologica, assumendo i connotati di ideale autonomo
coincidente con i valori affermati dal regime. Il codice penale del 1930 introduce così un folto
7
Cfr. sentenza n.168 dell’ 8 luglio 1971 della Corte Costituzionale
8
Crf. ad es.G.Fiandaca, E.Musco, cit., pag.462
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numeri di reati contro l’ordine pubblico che, infatti, sono collocati all’interno del titolo
dedicato ai reati contro la personalità dello Stato; tra di essi vengono previsti, in un’ottica di
controllo sociale e repressione ideologica, reati di apologia e istigazione a delinquere
(artt.414-415): tali fattispecie, discutibili dal punto di vista teorico, sono perfettamente
compatibili con una visione dell’ordine pubblico orientata in senso ideale o normativo,
assumendo alla bisogna la funzione di strumenti di controllo sociale e di repressione
ideologica (cfr. infra par. 4.4.2). Tale concezione dell’ordine pubblico trova riferimento anche
nell’art.12 disp. prel. con il richiamo ai “principi generali dell’ordinamento giuridico dello
Stato”. È di quegli anni, infatti, il tentativo di definire normativamente i principi generali
dell’ordinamento fascista come segno dell’«esigenza che l’autorità dello Stato si esprimesse
in un nuovo e più ampio concetto di ordine pubblico»
9
. Ed è appunto in quegli anni che,
sull’esigenza prioritaria di tutela dell’ordine politico, giuridico, sociale ed economico,
proliferano interventi normativi in cui, in nome dell’ordine pubblico, vengono legittimate
molteplici limitazioni delle libertà.
Il ricordo ancora vivo dell’esperienza storica appena conclusa, in cui le esigenze di rispetto
dell’ordine pubblico si erano spesso tramutate in arbitrio dell’autorità pubblica, si tradusse in
vivaci dibattiti tra i padri costituenti circa l’opportunità o meno di inserire tale espressione
nella Carta fondamentale della neonata Repubblica (in quello che diventerà l’art.16 sulla
libertà di circolazione dove il limite di ordine pubblico inizialmente proposto, verrà sostituito
dalla parola “sicurezza “). Nello stesso senso, durante il dibattito sull’articolo relativo alla
libertà di associazione, a sostegno delle tesi avverse all’introduzione di un limite di ordine
pubblico alle libertà dei cittadini, venne data lettura di un parere reso dal Consiglio di Stato
10
.
L’organo sottolineò l’esigenza che la formula proposta per l’articolo della nuova Costituzione
escludesse previsioni contenenti le espressioni “contrario alle leggi in genere o all’ordine
9
F.Angelini, cit., pagg.30-31
10
In sede di preparazione della nuova legge di pubblica sicurezza, poi mai approvata