8
INTRODUZIONE
Con la conquista e colonizzazione spagnola, iniziate nella prima metà del XVI
secolo, inizia un processo di profondi cambiamenti nella vita del territorio di tutto il
continente americano. I popoli indigeni iniziano ad assistere ad una
trasformazione radicale e si vedono costretti ad accettare la religione cristiana,
altre forme di cultura e di organizzazione sociale, nonché un’altra lingua, dalle
quali nasce l’unità americana. Di tali proporzioni enormi è la rottura dell’America
con il proprio passato che le culture pre ispaniche oggi costituiscono un tema più
appropriata per l’archeologia che per la storia.
Il destino di tutti i popoli dispersi sul territorio da quel momento si lega
inevitabilmente a quello della Spagna, al cattolicesimo e a quello della politica ed
economia dell’Europa occidentale, durante tre lunghi secoli. Si origina durante
questo arco di tempo un’intensa miscela razziale che produce l’incrocio delle
razze e la quasi totale scomparsa dell’aborigeno puro.
Con i conquistatori, fa ingresso l’arte occidentale. Nella Spagna che loro
abbandonano provvisoriamente o definitivamente per lanciarsi all’avventura del
Nuovo Mondo predominano le tradizioni rinascimentali provenienti dall’Italia.
L’arte occidentale inizia ad arrivare nei territori americani portata da frati
missionari e conquistadores. Si presenta come un arte compromessa al servizio
della cristianizzazione dei popoli indigeni e come uno dei mezzi più efficaci per
l’introduzione della cultura spagnola.
Lo sviluppo dell’identità culturale latinoamericana inizialmente dipende
prevalentemente dalle immagini che vengono portate dall’Europa. Le immagini
che in maggior parte sono molto note ad artisti e conoscitori europei diventano
canoniche anche per la realizzazione dei libri e repertori accettati dalla Chiesa
dopo il Concilio di Trento. Questi provengono in maggior parte da Siviglia, che
costituisce il porto commerciale più importante della Spagna rinascimentale. Sono
inizialmente stampe che raffigurano la Crocefissione di Cristo e la Vergine col
9
Bambino e servono agli aborigeni per imparare un nuovo modo di vedere e
rappresentare la forma umana, concepita per essere messa in confronto con
quella della tradizione locale. Le immagini o meglio le stampe, sono nel Nuovo
Mondo la nuova Bibbia Pauperum, unico strumento per evangelizzare un popolo
ignorante della tradizione occidentale così come lo erano stati i cristiani europei
durante i primi secoli del Cristianesimo.
E’ di vitale importanza per questa ricerca individuare i principali mezzi di
divulgazione di queste immagini e quali scene e personaggi sono i più richiesti
durante l’evangelizzazzione del Nuovo Mondo. Verranno presi in esame il ruolo
essenziale della stampa e i nuovi decreti dettati dal Concilio di Trento nella
produzione di testi liturgici in tutto il mondo cattolico. Il filo conduttore in questa
tesi è il delineamento del percorso geografico e temporale che impiegano le
immagini della tradizione artistica europea partendo dall’Italia, passando
attraverso i Paesi Bassi e la Spagna per giungere infine in America, senza
tralasciare gli aspetti più importanti in ambito politico, commerciale, artistico ed
editoriale che segnano l’Europa a cavallo tra Cinque e Seicento, influenzandone
profondamente la sorte della cultura nel continente americano.
Il primo capitolo servirà quindi a tracciare in linee generali il panorama artistico ed
editoriale italiano tra la Riforma luterana e la Controriforma, l’influenza di Gabriele
Paleotti e il suo Discorso intorno alle Immagini e i rapporti culturali tra Italia,
Spagna e Paesi Bassi, questi ultimi principali centri di produzione e commercio di
stampe e dipinti con il Nuovo Mondo.
A Roma, l’attività di alcuni editori tra cui Antonio Salamanca, di origine spagnola e
in stretto contatto con la comunità spagnola residente a Roma, segna un punto
cruciale nella diffusione delle stampe italiane nel mercato spagnolo, come accade
per quelle di Cornelis Cort. Inoltre i rapporti che legano questo noto tipografo con
il più importante editore fiammingo e collega Hieronymus Cock nella prima metà
del XVI secolo segnano l’inizio di un proficuo scambio culturale e soprattutto
editoriale tra l’Italia e i Paesi Bassi. In questo modo le famose stampe di
Marcantonio Raimondi tratte da opere di Raffaello e altre di sua invenzione e di
10
altri noti incisori italiani, giungono nei Paesi Bassi e in Spagna dove divengono
modello da imitare.
La critica situazione economica e politica nei Paesi Bassi, segnata da una grande
carestia e da episodi iconoclasti durante il dominio spagnolo, influisce
negativamente nel rapporto tra i Paesi Bassi e la Spagna. Nel secondo capitolo si
tratta quindi l’argomento della crisi demografica e culturale ad Anversa e la
successiva ripresa e boom nella produzione artistica ed editoriale attraverso
l’attività di Hieronymus Cock, nonchè del successivo aumento delle spedizioni e
carichi di opere d’arte da Anversa verso la Spagna. Il commercio artistico ed
editoriale viene analizzato attraverso l’attività commerciale delle due più
importanti ditte mercantile di Anversa specializzate nel commercio di opere d’arte
tra Cinque e Seicento.
Il terzo capitolo verte principalmente sulla vita e l’attività di Christopher Plantin,
principale fornitore di libri liturgici corredati da stampe a loro volta realizzate dai
più celebri maestri fiamminghi per il re Filippo II. Il lungo e proficuo rapporto tra
Plantin e Filippo II verrà preso in esame attraverso le figure di alcuni importanti
personaggi nella curia romana e nella corte spagnola di Filippo II tra cui la figura
dell’erudito e bibliotecario reale all’Escorial, Benito Arias Montano, incaricato di
controllare l’attività editoriale di Plantin e quindi unico responsabile di molte delle
scelte tipografiche e iconografiche che compongono i libri liturgici che giungono
nelle colonie d’oltremare. Inoltre saranno specificate aspetti della vita del noto
fondatore dell’Officina Plantiniana che lo mettono in rapporto con colleghi in Italia,
fattore importante nelle scambio editoriale e artistico nella seconda metà del XVI
secolo tra Roma e Anversa.
Il quarto capitolo è dedicato alla scena artistica ed editoriale ad Anversa durante
gli anni del dominio spagnolo. Viene presa in esame l’attività di alcuni artisti tra cui
Marten de Vos, Pieter van der Borcht e di alcune celebri dinastie di incisori e
tipografi tra cui quella dei Collaert, i Saleder e i Wierix, che sono i principali
incaricati di realizzare le stampe che illustrano i libri riformati editi nell’Officina
Plantiniana per Filippo II. Le loro stampe sono in America una fonte iconografica
importante quanto lo sono gli stessi artisti europei che si trasferiscono nel Nuovo
11
Mondo per formare scuole. Come vedremo, molte delle loro stampe che arrivano
nei manuali portati dai missionari trovano completamente riscontro in diversi cicli
pittorici in vasti territori delle colonie spagnole in America, fino al punto che
possono essere considerate come vere e proprie copie.
Una volta chiariti i rapporti artistici e commerciali tra i Paesi Bassi e la Spagna tra
Cinque e Seicento, proseguendo nell’itinerario che porta le stampe e i dipinti
dall’Europa verso il Nuovo Mondo, nel quinto capitolo dobbiamo soffermarci a
Siviglia, principale centro culturale spagnolo e principale porto mercantile tra
l’Europa e il Nuovo Mondo. La presenza di numerosi artisti, incisori, trattatatisti,
eruditi e di biblioteche fa sì che Siviglia si converta nel principale ricettore
culturale delle tendenze proveniente dall’Italia, Francia e Paesi Bassi. Siviglia non
funge solo da ponte, ma anche da filtro tra l’Europa e il Nuovo Mondo; è il luogo
dove si codificano tutte le tradizioni europee che devono essere insegnate ai
nativi del Nuovo Mondo. L’influenza della cultura sivigliana si rafforza grazie ai
molteplici scambi commerciali bilaterali tra Sivliglia e il Nuovo Mondo. A Siviglia
arrivano i carichi d’oro e pietre preziose che provengono dall’America e da Siviglia
a loro volta partono i rifornimenti di diverse merci per il Nuovo Mondo tra cui libri
liturgici, stampe e dipinti, accompagnati dalle nuove teorie e trattati d’arte spagnoli
che costituiscono le basi per l’occidentalizzazione tecnica dell’arte degli indios.
I missionari di diversi Ordini religiosi sono i veri e propri conduttori delle tradizioni
religiose europee, arrivando in America Latina e portando con sè tutto
quell’insieme di credenze e dottrine religiose che si sviluppano in Europa
nell’arco di quindici secoli. I gesuiti sono i primi ad arrivare nel vicereame
spagnolo e a portare con sè repertori iconografici ormai noti in Europa e codificati
dai nuovi decreti del Concilio di Trento.
Gli Ordini religiosi, la Compagnia di Gesù, la loro missione, la loro committenza
artistica in America e il rapporto con i più importanti artisti italiani e locali che
lavorano nel Nuovo Mondo sono l’argomento del VI capitolo. Questi artisti, partiti
tutti da Siviglia, trovano nel Nuovo Mondo la possibilità di affermarsi come
maestri e di ottenere molte commissioni, grazie all’enorme bagaglio culturale che
portano dall’Italia e soprattutto da Roma. Alcuni di essi fondano scuole nei nuovi
12
territori e si spostano spesso lungo il continente americano entrando in contatto
anche con le popolazioni più marginali, aiutati dalle stampe, diffondono la
tradizione artistica italiana, spagnola e indirettamente anche quella fiamminga,
cambiando definitivamente la concezione della figura del pittore pre coloniale e
creando una rottura con la tradizione figurativa locale.
Questo cambiamento e quindi la nascita del mito dell’artista inteso sulla scia della
tradizione europea, avviene attraverso la figura del pittore colombiano Gregorio
Vasquez de Arce y Ceballos, primo artista che può essere considerto un maestro
in termini occidentali. Prima di lui, il pittore coloniale è fondamentalmente un
artigiano anonimo che realizza immagini religiose al servizio della divulgazione
della fede seguendo modelli iconografici relativamente rigidi. L’arte viene intesa
allora come abilità di fare; dipingere è un lavoro manuale dello stesso livello di
quello del falegname o di un sarto. Chi lo pratica deve soddisfare i gusti e le
richieste dei propri committenti; non gli interessano nè gli sono permesse le
invenzioni libere, la propria espressione individuale o l’interpretazione della realtà
circostante.
Decorazioni simboliche ed emblematiche, grottesche, scene dell’Antico e del
Nuovo Testamento, angeli, il Bambino Gesù, apostoli, santi, martiri e diversi tipi di
iconografia mariana sono i temi rappresentati con più regolarità. In particolare, il
culto della Vergine Maria attrae molti discepoli, perche viene vista come un
essere accessibile, resa pietosa dalla condizione umana e capace di intercedere
davanti a suo figlio in favore dei mortali e soprattutto la si intende anche come in
una sorta di analogia della madre terra, ideale e soprattutto funzionale per far
coincidere le diverse le tradizioni occidentali con quelle locali. Il culto mariano
raggiunge il suo apice di popolarità cosi elevato dopo il Concilio di Trento e
perfino alcune confraternite si incaricano principalmente di diffondere la sua
immagine stampata tra la popolazione inzialmente in Spagna e successivamente
anche nelle colonie americane.
Non possiamo tralasciare la presenza di alcuni capolavori europei giunti nel
Nuovo Mondo nel bagaglio di alcuni conquistatori e vicerè. I più importanti dipinti
europei che arrivano nelle colonie spagnole durante il periodo di conquista sono
13
l’argomento del capitolo VII. Le vicende che li portano oltreoceano nella maggior
parte dei casi sono state accertate e sono indiscusse. In altri casi si tratta ancora
di ipotesi spesso in fase embrionale. L’unica cosa certa, che si sappia o no la
verità sulla provenienza di queste opere, è che esse costituiscono senza dubbio
uno dei più importanti motivi per i quali la tradizione artistica degli indios non tardò
troppi secoli a raggiungere una somigliaza figurativa e tecnica con la pittura
europea. Questi dipinti se non è troppo azzardato segnalarlo, possono essere
considerati per la cultura artistica ispanoamericana l’equivalente dei cartoni
disegnati da Leonardo e Michelangelo per il Salone dei Cinquecento a Firenze
noti come la Scuola del Mondo.
Nel VIII e ultimo capitolo, troviamo esempi di stampe europee, tra cui opere
realizzate dagli stessi incisori che abbiamo citato precedentemente, utilizzate
dagli artisti coloniali in America. Durante lo svolgimento di questo capitolo, lo
strumento senza dubbio più importante si è dimostrato il Project on the Engraved
Sources of Spanish Colonial Art (Pessca), che nasce come desiderio di
documentare il ruolo delle stampe nella produzione artistica dell’arte coloniale in
Ispanomerica. Questo progetto, avviato nel 2005 dall’Università di California con
la collaborazione dell’Università Cattolica di Lima e dell’archivio dell’Università di
Princeton (Almagest) sotto la direzione di Robert Burnett, Gabriel Unda, Earl
Schellhouse e Kirk Alexander, si incarica di scoprire le concordanze iconografiche
tra opere d’ arte in America e le stampe europee soprattutto in ambito fiammingo.
Inizialmente, il Pessca consiste in sette corrispondenze tra stampe e dipinti. Con il
passare dei mesi si arriva ad un numero di cento corrispondenze. Attualmente, il
progetto possiede un sito web proprio e conta più di un migliaio di corrispondenze
tra stampe europee e dipinti coloniali americani. Il sito conta diverse gallerie divise
per soggetto, a loro volta suddivise per iconografia, e permette di consultare le
diverse versioni di una stampa europea con la rispettiva traduzione figurativa in
America da parte di diversi artisti.
La maggior parte di queste equivalenze figurative è stata scoperta dal team
Pessca e grazie a questo lavoro di catalogazione è stato possibile per alcuni
studiosi anticipare e pubblicare studi sull’influenza figurativa europea nell’arte
14
coloniale. Il Pessca non è soltanto uno strumento che permette di scoprire quali
sono le immagini più copiate e utilizzati dagli artisti in America, ma un utile aiuto
per chiunque si voglia inoltrare nell’ancora quasi inesplorato ramo della storia
dell’arte coloniale in America e le sue radici occidentali.
15
I
STAMPE E DIPINTI A ROMA TRA IL SACCO E LA CONTRORIFORMA
1. Il mercato delle stampe italiane in Spagna e Paesi Bassi tra Riforma e
Controriforma
Il dominio spagnolo in Italia da parte di Carlo V e successivamente di Filippo II,
che non solo ereditano i domini aragonesi di Ferdinando ma anche le colonie
americane da Isabella di Castiglia, favorisce la diffusione di stampe e dipinti
italiani nei territori spagnoli in Europa e America
1
.
Dai rapporti commerciali tra la Spagna, lo Stato Pontificio e la Repubblica di
Venezia, rimasti indipendenti dal dominio iberico, si formano reti di scambi
commerciali di ogni sorta, che giocano un ruolo di primo piano nella
commercializzazione di stampe che attraverso la Spagna giungono in America
portate dai missionari e conquistadores.
La produzione artistica durante questi anni risulta naturalmente legata alla
popolazione degli artisti e alla produttività di ciascuno di essi. Logicamente nelle
città più grandi e quindi con un maggior numero di artisti si producono molte più
1
Renata Ago–Vittorio Vidotto, Storia moderna, Roma-Bari, Laterza editori, 2006, pp. 21-
22.
16
opere come dipinti e incisioni di quante erano necessarie per soddisfare la
domanda interna. Molti di questi dipinti sono di piccolo formato e di basso prezzo,
motivo per il quale se ne fa molta richiesta per il mercato americano insieme alle
economiche stampe. In questi centri si sente quindi il bisogno di creare
meccanismi e strutture che favoriscano le esportazioni, come reti di
commissionari, agenti e collaboratori all’estero, sistemi creditizi e la possibilità di
spedire e assicurare la merce
2
.
E ben nota l’attività commerciale della Repubblica di Venezia, città marinara e
portuaria che intrattiene rapporti commerciali in vasti territori d’Europa e Asia sin
dal medioevo. Durante il Cinquecento, tra i carichi d’oggetti d’arte che da Venezia
giungono in Spagna ci sono anche piccoli dipinti di poco valore e stampe, i quali
la maggior parte delle volte sono diretti a Cadice, città che intorno alla metà del
Cinquecento sostituisce Siviglia come principale porto di spedizione e transito
verso i vicereami della Nuova Spagna. Questo ci induce a pensare che la
destinazione degli oggetti artistici che provengono da Venezia sia l’America,
anche perché i dipinti di formato maggiore destinati ai mercati interni spagnoli
vengono normalmente inviati dall’Italia a Cartagena.
Un esempio di questo traffico commerciale tra Venezia e la Spagna è offerto da
una spedizione da Venezia diretta proprio a Cadice, effettuata nel 1647 dal
mercante di collane Raffio Marinoni.
3
In questo caso Marinoni aggiunge alle
collane anche pettini e ventagli, oltre ad alcune ceste contenenti piccoli quadri e
alcune stampe. Questi quadri, per i quali è stato concordato il soggetto
2
Neil De Marchi-Louisa C. Matthew, I dipinti, in Il Rinascimento italiano e l’Europa, IV:
Commercio e cultura mercantile, a cura di Franco Franceschi-Richard A. Goldthwaite-
Reinhold C. Mueller, Treviso-Costabissara, Fondazione Cassamarca, 2007, p. 251-254.
3
Isabella Cecchini, Troublesome business: dealing in Venice, 1600-1750, in Mapping
Markets for Paintings in Europe, 1450-1750, a cura di Neil De Marchi e Hans J. van
Miegroet, Turnhout, Brepols, 2006, pp. 116-122.