5
Capitolo I – Il settore dell’olio d’oliva
1.1 Analisi del comparto agroalimentare italiano
1
Il comparto agroalimentare italiano presenta attualmente (2010) determinate condizioni poco
favorevoli al suo pieno sviluppo, nonostante sia uno dei mercati tradizionali per l’Italia. In primo
luogo si tratta delle difficoltà che hanno l’agricoltura e l’industria agroalimentare nel stare al passo
con il mercato, visto la continua trasformazione della distribuzione e dei consumatori. Questo
contesto, per di più, viene influenzato in maniera negativa dalla crisi economica mondiale esplosa
nel 2008 e ancora lungi dall’essere superata. Per questi motivi, per uno sviluppo concreto del settore
diventa indispensabile mettere a punto due disposizioni di base
2
: il coordinamento strutturale dei
diversi componenti del sistema agroalimentare, agricoltura, trasformazione, commercializzazione e
consumo, in maniera tale da realizzare una sinergia frutto di un preciso percorso economico
comune; l’incremento del livello qualitativo del mercato agroalimentare con una maggiore
presenza, nel campo della produzione e della distribuzione, di personale specializzato che orienti
gli operatori verso una migliore conoscenza dei mercati e delle componenti organizzative delle
aziende.
Per una comprensione più approfondita del comparto agroalimentare italiano, tuttavia, è
necessario prendere consapevolezza della struttura del settore e di alcuni elementi significativi a
livello economico: il valore aggiunto reale e a prezzi correnti, i costi, l’indice di fiducia
dell’industria, la produttività del lavoro, il livello di occupazione, il costo medio del lavoro per
addetto, i consumi e gli scambi commerciali. Tutto ciò viene presentato di seguito prendendo in
considerazione i dati ricavati da due indagini effettuate da Ismea, relative agli anni 2008 e 2009, che
analizzano l’agricoltura e l’industria alimentare del mercato italiano.
La struttura dell’agricoltura italiana ha un profilo fortemente frammentato che affronta,
attualmente, un graduale processo di concentrazione degli operatori. Mediamente le aziende italiane
possiedono una Superficie Agricola Utilizzata (SAU) di 7,6 ettari, quando la media europea è di
13,3 ettari. Il 73% delle imprese ha una SAU minore di 5 ettari che, tuttavia, costituiscono
nell'insieme solo il 16% della SAU totale. Le aziende che possiedono le superfici agricole più vaste,
cioè maggiori di 50 ettari, sono inferiori alla media europea sia come numerosità che come classi di
superficie disponibile (125 ettari in Italia contro i 156 ettari dell’UE a 27). Infine, i capi di azienda
over 64 sono in numero maggiore rispetto a quelli under 35, con un rapporto tra le due categorie tra
1
Questa sezione è basata su dati tratti da Ismea, La competitività del comparto agroalimentare italiano. Check Up 2009, Dragoni, Imago Media
s.r.l., 2009 e su Ismea, La competitività del comparto agroalimentare italiano. Check Up 2010, Dragoni, Imago Media s.r.l., 2010.
2
Foglio Antonio, Il marketing agroalimentare Mercato e strategie di commercializzazione, Milano, Franco Angeli s.r.l., 2007.
6
i più bassi dell’UE a 27. Il periodo 2003-2007 ha fatto registrare una contrazione del 14,5% nel
numero delle imprese agricole, un dato che ha interessato in particolare quelle piccolissime e quelle
con capi di azienda under 35. Per quanto riguarda le imprese dell’industria alimentare sono
caratterizzate da un comparto piuttosto modesto se messo in relazione con la media dell’UE a 27,
tuttavia in crescita come numero di operatori. Infatti per il periodo 2003-2006 l’industria alimentare
ha mantenuto la sua dimensione, se pur piccola, mentre nel resto d’Europa si sono registrate
riduzioni del numero delle imprese.
In un quadro economico non molto incoraggiante, tra il 2008 e il 2009 il Pil nazionale e
l’industria in senso stretto subiscono un decremento rispettivamente del 5% e del 15,1%, mentre
l’agroalimentare ha un maggiore sostegno. Il valore aggiunto reale dell’agricoltura, per il 2009, è di
28 miliardi di euro, che corrisponde ad un decremento solo del 3,1% rispetto all’anno precedente e
l’industria alimentare, dal canto suo, subisce un calo solo dell’1,5%, assestandosi ad un valore di 21
miliardi di euro.
Nonostante la discesa generale che caratterizza il 2009, il 2008 è stato più che positivo per la fase
agricola grazie agli ottimi volumi delle coltivazioni, considerando il rapidissimo aumento dei prezzi
internazionali delle materie prime agricole e dei prodotti chimici ed energetici tra la seconda metà
del 2007 e del 2008. Tutto ciò ha fatto sì che gli operatori del settore investissero in produzioni con
alte redditività e diminuissero i consumi intermedi. Al contrario la flessione dell’industria
alimentare, sia nel 2008 che nel 2009, come per tutta l’industria nazionale in senso stretto, è stata
influenzata dalla crisi economica e dal crollo della fiducia degli operatori. Il calo è stato abbastanza
moderato soltanto perché il consumo che riguarda i beni di prima necessità è poco comprimibile
rispetto a quello delle altre categorie di prodotti.
L’analisi del valore aggiunto a prezzi correnti registra che la fase agricola ha subito un tasso
di decrescita decisamente più alto rispetto a quello del valore aggiunto reale, -11,5%. Questo è
dovuto al fatto che il rapporto tra la variazione dei prezzi alla produzione dei prodotti agricoli e la
variazione dei prezzi degli input (materie prime, prodotti chimici) è stato negativo. Il settore
industriale invece, nonostante il calo del valore aggiunto reale, ha avuto un aumento del 2,8% del
corrispondente valore monetario grazie all’aumento dei prezzi alla produzione, per quanto vi sia
stata una certa diminuzione dei volumi prodotti. Da ciò diventa evidente la differenza principale,
lungo tutta la filiera agroalimentare, tra agricoltura e industria alimentare, cioè che la prima è
ancora troppo debole sul piano contrattuale rispetto alla seconda e a tutto il comparto.
La struttura dei costi delle società agricole e delle società dell’industria alimentare sono
caratterizzate da una forte incidenza, rispettivamente del 75% e del 64%, sul fatturato del costo per
7
gli acquisti di materie prime. Questa particolarità fa si che le imprese siano molto sensibili alle
dinamiche di mercato.
Vi è stato un sensibile calo dell’Indice del clima di fiducia dell’industria alimentare
3
in Italia,
come accaduto anche per l’Ue a 27, a causa della rilevante caduta della domanda, dall’inaspettato
accumulo delle scorte e dal peggioramento delle attese di produzione.
La produttività del lavoro dell’industria alimentare è aumentata del 3,3%, con circa 46.300,00
euro complessivi, un deciso salto in avanti rispetto ai dati del 2008 che registrano solo un +0,4%. E’
una prestazione superiore a quella dell’industria manifatturiera e all’industria in senso stretto, sia
per quanto riguarda il 2008 e il 2009 che in un orizzonte di medio periodo, 2004-2009.
Il settore agricolo, invece, ha avuto una produttività abbastanza sostenuta nel periodo 2003-2008,
ma con un leggero rallentamento del trend nel 2009 dell’1,3%, raggiungendo la cifra di circa
22.000,00 euro. Questo risultato è l’effetto di una persistente riduzione dell’impiego di lavoro e
della crescita del valore aggiunto reale per tutto il periodo.
Nonostante i miglioramenti, la produttività del lavoro media italiana è ancora lontana dalla media
dell’UE a 27 e la differenza rispetto ai Paesi leader dell’alimentare continua ad estendersi, anche se
non con la stessa velocità che ha caratterizzato il periodo 2002-2007. I Paesi Bassi sembrano ancora
molto lontani, con la produttività di circa 50.000,00 euro.
I fattori alla base di questo dislivello di efficienza sono le caratteristiche strutturali del settore
agricolo e industriale, ancora troppo poco sviluppate, e le prestazioni economiche delle aziende
agroalimentari più rilevanti in termini di dimensione, ancora troppo lontane dalle maggiori imprese
europee del comparto. Tuttavia c’è anche da considerare che l’Italia, diversamente dalla maggior
parte dei Paesi europei, si è occupata soprattutto di tutelare l’occupazione e di realizzare tassi di
variazione positivi del valore aggiunto reale, seguendo percorsi differenti rispetto all’industria
europea. L’agricoltura, invece, in ambito nazionale ed europeo, è stata interessata da una serie di
profondi cambiamenti lungo il corso degli ultimi dieci anni, caratterizzati da una profonda
conversione in un settore più libero in termini di iniziativa imprenditoriale. Questo porta però anche
a un maggiore rischio nei confronti delle oscillazioni dei mercati internazionali.
Per quanto riguarda il livello di occupazione, per l’intero comparto agroalimentare si calcola
che siano impiegati circa 1 milione e mezzo di persone, distribuite per la maggior parte nella fase
strettamente agricola. Quest’ultima, dal 2008 al 2009 ha avuto una contrazione del 2,3% dopo un
periodo di sostanziale tenuta rispetto alla media europea (si registra un decremento medio in Italia
dello 0,8% nei cinque anni precedenti il 2008, mentre nell’UE a 27 è stato del 2,2%).
3
Si tratta del nuovo Indice Ismea, calcolato considerando la metodologia europea armonizzante per tutti i Paesi dell’UE.
8
L’occupazione nell’industria alimentare, invece, ha attestato una riduzione maggiore, con -4,1%,
interrompendo in questo modo la crescita che ha interessato i due anni precedenti. Si tratta di un
dato non troppo distante da quello relativo al resto dell’industria, in flessione dell’4,6%.
Il costo medio del lavoro per addetto ha evidenziato nel 2008 un aumento per l’agricoltura e
per l’industria, rispettivamente dello 0,9% e del 3%. Questo perché vi è stata una contrazione
dell’occupazione del 2% che ha spinto verso un ampliamento della remunerazione media. Tuttavia
nella fase agricola vi è stato un peggioramento dell’1,1% del reddito complessivo del lavoro
dipendente, tendenza contraria nell’industria con un +0,9% per lo stesso indice.
Gli acquisti delle famiglie nel complesso, tra il 2003 e il 2009, hanno registrato una crescita
del valore medio a prezzi correnti dei prodotti alimentari del 2,4%, anche se questo andamento
positivo è fortemente influenzato da un aumento dei prezzi del 2,3%. Tuttavia il periodo in esame
non ha avuto un incremento regolare. Nel 2002, infatti, il livello dei consumi era sceso in quanto
l’entrata dell’euro aveva portato ad un aumento dei prezzi. Superato questo anno, tra il 2003 e il
2006, i consumi aveva ricominciato gradualmente a salire fino al 2007, quando la spinta inflattiva di
prodotti come il pane e la pasta aveva causato un lieve rallentamento. Infine nel 2008-2009 l’indice
degli acquisti delle famiglie sembra essersi assestato. Il consumatore infatti, prendendo coscienza
degli aumenti dei prezzi, ha mutato i propri consumi, orientandosi verso prodotti meno cari. A
favore di questa posizione si riscontra un sensibile aumento delle vendite del canale discount
rispetto agli altri canali della distribuzione. Tuttavia, nonostante questa tendenza al risparmio unita
alla crisi economica del 2008 e all’aumento dei prezzi, per i prodotti di qualità si registra una buona
crescita in termini di valore negli ultimi due anni. I prodotti biologici, i DOP/IGP e i vini a
denominazione (DOC e IGT) hanno rappresentato il 6,7% del valore totale degli acquisti
agroalimentari italiani, rispettivamente con lo 0,6%, il 4,1% e il 2%.
Per quanto riguarda gli scambi commerciali, il 2009 ha realizzato un saldo import/export positivo
per i prodotti dell’industria alimentare, nonostante il deciso calo di livello sia dell’uno che dell’altro
indice: rispettivamente del 4,9% e dell’8,2%. Per i prodotti agricoli il saldo è invece negativo in
quanto l’export si è abbassato vertiginosamente del 15,5% e l’import del 12,3%.
Il valore generale dell’export dell’agroalimentare italiano è cresciuto da 4,5% a 4,9%, un risultato
migliore di quello di importanti concorrenti come Spagna, Danimarca e Argentina. La principale
destinazione di prodotti italiani è costituita dagli Stati Uniti, nonostante nel 2007 la relativa quota
sia scesa da 9,6% a 8,7%. Segue il Regno Unito che, insieme ad altri Paesi ha mantenuto abbastanza
stabile la propria quota di export italiano. Infine appare significativo l’incremento dei livelli di
esportazione dell’Italia pari a quello del mercato cinese, anche quest’ultimo sembra avere ingranato
uno sviluppo più accelerato dal 2006.
9
1.2 La struttura del settore dell’olio di oliva
Il comparto dell’olio di oliva rappresenta un’attività significativa sia per il mercato
agroalimentare che per tutto il panorama economico nazionale e interessa quasi tutte le regioni
d’Italia. Esaminando le stime relative al valore e al volume della produzione, all’import/export e al
consumo nazionali è possibile determinare schematicamente, anche se in termini generali, la portata
economica di tutto il settore. Tutto l’olio prodotto a livello nazionale possiede un valore di circa 1
miliardo e 770 milioni di euro che, unito al valore delle olive nel complesso di circa 230 milioni di
euro, raggiunge la cifra di circa 2 miliardi di euro
4
. Per quanto riguarda i volumi di produzione, in
Italia si stima una media di circa 570.000 tonnellate di olio di oliva prodotto all’anno che la rendono
il secondo Paese produttore al mondo, dopo la Spagna. Il comparto nazionale importa in media
circa 515.000 tonnellate, una quantità inferiore solo agli Stati Uniti, Paese non produttore, ed
esportata una media di circa 340.000 tonnellate. Infine il consumo di olio di oliva nazionale è in
media di circa 600.000 tonnellate, cioè il primo Paese consumatore
5
.
Per avere un’analisi più approfondita e dettagliata del settore è estremamente utile suddividere
la filiera dell’olio di oliva in quattro grandi fasi principali, connesse tra loro: la produzione agricola,
l’industria di prima trasformazione, l’industria di seconda trasformazione e la distribuzione. Nei
paragrafi che seguono sono analizzate le varie fasi elencate sopra e, successivamente, anche gli
argomenti relativi alla produzione, al consumo e all’import/export.
Figura 0 – La filiera dell’olio di oliva
Fonte: Unaprol
4
Tali analisi statistiche sono di Auda Mario (2010), http://www.teatronaturale.it/articolo/9281.html.
5
Sono stime calcolate sulla media nazionale delle ultime tre campagne olivicole, dal 2007/2008 al 2009/2010, tratte da:
Unaprol, Scenario Economico di Settore, Unaprol, Castelnuovo del Garda, 2009, pp. 7-26.
Ismea, Tendenze. Trimestrale ISMEA di analisi e previsioni per i settori agroalimentari. Olio di oliva, II trimestre 2010.
Ismea, Tendenze. Trimestrale ISMEA di analisi e previsioni per i settori agroalimentari. Olio di oliva, IV trimestre 2009.
Produzione agricola delle olive da olio –
Aziende olivicole
Industria di prima trasformazione – Frantoi
Industria di seconda trasformazione –
Aziende imbottigliatrici
Selezione materia prima,
creazione gusti,
imbottigliamento, marketing e
comunicazione
Distribuzione
Olio sfuso e olio confezionato
Molitura e
raffinazione
Grossisti, ristorazione, GDO,
dettaglio tradizionale