6
INTRODUZIONE
Il mondo arabo è, sempre più spesso, al centro dei discorsi politici, culturali e ideologici del
mondo intero, per la complessità che esso racchiude, per le diverse contraddizioni celate al
suo interno, e per i suoi numerosi aspetti, soprattutto culturali, male interpretati.
Spesso si è portati a pensare a esso come ad un insieme unico, indivisibile e omogeneo,
dimenticandosi invece che esso è composto da 22 Stati, posti in aree geografiche lontane e
con una storia diversa, che ha portato allo sviluppo di visioni della famiglia, della società,
del ruolo della donna e del ruolo della religione all’interno dello Stato, profondamente
diverse tra loro.
L’evento più importante riconducibile al mondo arabo è sicuramente il conflitto israelo-
palestinese, al centro dell’attenzione mondiale da più di sessant’anni, del quale si è
ampiamente dibattuto dal punto di vista della politica internazionale e delle strategie
militari, ma soprattutto dal punto di vista delle motivazioni etnico-religiose.
Spesso, però, ci si ferma ad una lettura semplicistica, unidimensionale e dettata da
preconcetti e idee grossolane, e non si considera invece la pluralità di dimensioni che il
conflitto coinvolge, non ultima la popolazione di entrambi gli Stati.
Gli avvenimenti e la vita quotidiana delle persone che sono nate e vivono all’interno del
conflitto, infatti, giocano un ruolo essenziale nello sviluppo delle due società coinvolte,
quella israeliana e quella palestinese.
Le variabili demografiche e sociali sono spesso sottovalutate, ma non per questo meno
determinanti per la continuazione o per una possibile fine di questa questione: la demografia
e la società giocano infatti un ruolo primario nel creare il contesto strategico sul territorio, e
quindi le premesse per molti importanti processi decisionali direttamente collegabili alla
politica del conflitto.
7
La forza dei numeri è indubbiamente una componente fondamentale nell’intera questione
israelo-palestinese; è attraverso i numeri, infatti, che i governi e le rispettive popolazioni
combattono, in maniera celata ma continua, questa guerra ideologica.
In questo elaborato intendo investigare entrambe le dimensioni di cui ho parlato finora,
ovvero il mondo arabo e il conflitto israelo-palestinese nello specifico, soffermandomi sui
suoi molteplici aspetti.
Nel primo capitolo di questa tesi mi propongo di analizzare il mondo arabo, in relazione alle
sue dimensioni culturali e ai conseguenti meccanismi demografici che ne sono scaturiti.
Partirò dal concetto teorico di transizione demografica per investigare la realtà demografica
araba, i diversi stadi della transizione in cui gli Stati arabi si trovano, per poi collegare i
diversi comportamenti demografici e riproduttivi agli elementi culturali più influenti a
riguardo: la nuzialità, la famiglia, le variabili del comportamento fecondo e, in particolar
modo, la religione.
Da quest’analisi cercherò di far emergere le differenze e le numerose sfumature presenti
all’interno della regione araba, e provvederò a creare le basi teoriche, storiche e politiche
per poter comprendere la questione israelo-palestinese e i suoi elementi peculiari.
Nel secondo capitolo analizzerò appunto il conflitto, concentrandomi sugli elementi da me
ritenuti essenziali per comprendere a pieno i meccanismi alla sua base e, soprattutto,
l’importanza della forza dei numeri.
Metterò in luce, inizialmente, il ruolo di entrambi i nazionalismi non solo nel prolungare il
conflitto, ma soprattutto nel porre al centro di esso la “guerra demografica” o “guerra dei
numeri”, e ciò che questo ha comportato sui tassi di fecondità arabi ed ebraici.
Indagherò in seguito il pronatalismo celato in molti aspetti della cultura palestinese, in
particolar modo la poesia e la pittura; mi concentrerò poi sui più importanti indicatori
8
demografici dei Territori Occupati palestinesi, per mettere in luce gli aspetti tradizionali
demografici che permangono, ed eventuali segni di transizione e convergenza demografica.
Mi occuperò infine del caso di Gerusalemme, città da sempre al centro del conflitto,
condivisa da arabi ed ebrei, svelando dinamiche demografiche diverse sia da quelle
riscontrabili in Israele che nei Territori Occupati Palestinesi; farò anche dei cenni alla
demografia delle donne arabo-israeliane, per ritrovare eventuali punti in comune con le
dinamiche demografiche palestinesi.
Terminerò con uno sguardo d’insieme alla dimensione giuridico-demografica dei rifugiati
palestinesi in Giordania, Siria e Libano, con lo scopo di capire quanto essi si siano adattati
ai trend demografici dei rispettivi Paesi d’azione, e quanto invece si mantengano vicini alla
realtà demografica palestinese.
9
CAPITOLO I: IL MONDO ARABO E LE
SUE PECULIARITA’ SOCIALI,
RELIGIOSE E DEMOGRAFICHE
1.1 IL MONDO ARABO: INTRODUZIONE
Prima di iniziare la mia analisi relativa alla transizione demografica nel mondo arabo e ai
suoi elementi peculiari vorrei fare una precisazione di carattere geografico e culturale.
Il mondo arabo include un’enorme varietà di popolazioni e culture legate tra loro da una
cultura e da una lingua veicolare comune e, nella maggior parte dei casi, da una religione
comune, l’Islam, che ha una certa influenza non soltanto per quanto concerne la sfera
religiosa, ma ingloba spesso anche quella politica e del diritto (poiché molte delle norme
dominanti della società provengono da esso), e che condiziona tutt’ora le scelte in ambito
famigliare (nuzialità, sessualità, riproduzione ecc).
Occorre però precisare che i paesi del mondo arabo, nonostante abbiano alcuni forti
elementi in comune, si differenziano notevolmente anche per quanto concerne la sfera
d’azione che è lasciata all’Islam nel plasmare le norme ed i comportamenti di una società, e
il suo impatto per quanto riguarda l’evoluzione dei comportamenti dipende essenzialmente
dalla propensione alla separazione del potere religioso da quello temporale-politico.
1
E’ necessario puntualizzare, inoltre, che l’Islam rappresenta la religione dominante
nell’intera area, ma che vi sono numerosi altri gruppi religiosi che ricoprono una maggiore o
minore importanza a seconda degli Stati. I più importanti da segnalare sono Cristiani,
1
Angeli Ac., Salvini S., Popolazione e sviluppo nelle regioni del mondo, Il Mulino, Bologna, 2008
10
Alawiti (concentrati principalmente in Siria e Turchia), Ebrei (di cui la maggioranza si trova
in Israele) e i Drusi (presenti in Siria, Libano, Israele e Giordania).
2
È importante, inoltre, fare un’altra precisazione, questa volta di carattere prettamente
geografico, che ci aiuterà ad identificare con maggiore precisione l’area della quale andremo
qui di seguito a parlare.
L’espressione Maghreb deriva dall’arabo gharb (occidente) mentre l’espressione Mashreq
(Medio Oriente) deriva da sharq (oriente); originariamente, queste due espressioni erano
utilizzate per indicare le terre orientali e quelle occidentali dei grandi imperi arabo-islamici.
A livello geografico, con Maghreb si intende la regione africana che comprende Algeria,
Egitto, Libia, Marocco, Tunisia e Sahara Occidentale (occupato/rivendicato dal Marocco),
mentre con l’espressione Medio Oriente si è soliti indicare l’area che comprende Iran, Siria,
Giordania, Libano, Israele, Palestina, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Oman,
Yemen, Qatar, Bahrain
3
(talvolta questi ultimi vengono identificati come appartenenti alla
Penisola Arabica).
Dopo aver fatto queste premesse di carattere geografico e storico, andrò ora ad analizzare
l’andamento demografico del mondo arabo focalizzandomi soprattutto sugli ultimi
settant’anni, quando i maggiori cambiamenti hanno avuto luogo.
1.2 LA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA
Il Medio Oriente e il Nord Africa hanno conosciuto, a partire dalla fine della Seconda
Guerra mondiale, una transizione demografica del tutto peculiare rispetto agli altri paesi in
via di sviluppo. Per poter analizzare più nel dettaglio le peculiarità del processo
2
Winckler O., Rapid population growth and the Fertility policies of the Arab countries of the Middle east and
North Africa, University of Haifa, http://environment.research.yale.edu/documents/downloads/0-
9/103winckler.pdf
3
Campanini M., Storia del Medio Oriente 1798-2006, il Mulino, Bologna, 2006
11
demografico che ha coinvolto queste due regioni del mondo, descriverò brevemente il
concetto di transizione demografica e le diverse fasi che la compongono, mettendo anche in
luce i diversi elementi che caratterizzano l’esperienza europea, per soffermarmi infine su
quella araba.
Il termine “transizione demografica” si riferisce al processo attraverso il quale le
popolazioni passano da una situazione di equilibrio caratterizzato da alti livelli di mortalità e
fecondità a un equilibrio di lungo periodo con bassa mortalità e fecondità.
4
Nella fase pre-transizionale la fecondità e la mortalità sono molto elevate e,
conseguentemente, questi due flussi fanno sì che il tasso di accrescimento della popolazione
si mantenga su livelli molto bassi.
Si parla in questa fase pre-transizionale di popolazioni stazionarie, che vengono cosi
definite: “Una popolazione stazionaria è una popolazione caratterizzata da nascite e
decessi costanti nel tempo e uguali fra loro, e da una struttura per età costante nel tempo.
Di conseguenza la popolazione stazionaria ha una dimensione costante con il tasso
d’incremento pari a zero, e la sua dimensione è equivalente al prodotto fra le nascite e la
speranza di vita alla nascita. Il tasso di mortalità e quello di natalità sono fra loro uguali e
pari al reciproco della speranza di vita.”.
5
La transizione demografica si sviluppa attraverso tre fasi distinte:
Una prima fase caratterizzata dal declino della mortalità, dovuto principalmente alla lenta
scomparsa di malattie ed epidemie, che si accompagna al miglioramento delle condizioni
igienico-sanitarie e allo sviluppo di sistemi sanitari più evoluti; la fertilità, invece, rimane
elevata.
La riduzione dei tassi generici di mortalità di una popolazione, in assenza di una
trasformazione della struttura della fecondità, porta a un aumento del ritmo d’incremento.
4
Angeli A., Salvini S., Popolazione e sviluppo nelle regioni del mondo, Il Mulino, Bologna, 2008
5
Angeli A., Salvini S., Popolazione e sviluppo nelle regioni del mondo, Il Mulino
12
Ciò significa che se il tasso di mortalità si riduce nel tempo, fermo restando il tasso di
natalità, la popolazione vedrà progressivamente aumentare il proprio saldo naturale e
dunque, in assenza di significativi flussi migratori, la propria popolazione complessiva.
E in effetti, la seconda fase della transizione demografica è caratterizzata da un progressivo
aumento in termini assoluti della popolazione, in conseguenza al progressivo scarto che
viene a formarsi fra i valori della natalità e i valori della mortalità.
Questo fenomeno di accrescimento è naturalmente tanto più intenso quanto più lo
scostamento dei valori della mortalità da quelli della natalità è forte, e quanto più tale
scostamento tende a mantenersi nel tempo.
La terza fase è caratterizzata da una diminuzione della fecondità, oltre che una continua
diminuzione della mortalità. In questo periodo, di conseguenza, il valore dei tassi di natalità
e mortalità si attesta su valori molto bassi, portando a un tasso di crescita della popolazione
che può essere nullo, oppure rimanere intorno allo zero.
Nell’esperienza demografica europea, il declino della mortalità è un fenomeno di lungo
corso, iniziato dalla fine del Settecento e conclusosi negli anni Trenta del XX secolo, ad
eccezione della Francia, che sperimentò un precoce declino della fecondità già dai primi
decenni dell’Ottocento.
Nella maggior parte delle società occidentali, inoltre, si è assistito a un ulteriore e più
drastico declino della fertilità. Prima di delineare brevemente questa seconda transizione
demografica, vorrei però precisare due concetti molto importanti alla base dello studio della
demografia, che ci saranno utili sia per comprendere a pieno quest’ulteriore passaggio nella
storia demografica, sia per capire gli sviluppi relativi alla demografia araba, della quale
parlerò a breve.
Con tasso di riproduttività (o di riproduzione) s’intende “ il TFT per le sole nascite
femminili che, in buona approssimazione, si ottiene R=0,485 TFT, con 0,485 pari al
13
rapporto fra nascite femminili e nascite totali (una costante biologica in tutte le
popolazioni). Risponde alla domanda: qual è il numero totale di figlie che una generazione
(reale o fittizia) di donne metterebbe al mondo se manifestasse la fecondità delle
contemporanee osservate quel dato anno di calendario e non fosse sottoposta ad alcun
rischio di morte prima di raggiungere la fine della vita feconda”.
6
Per sostituzione generazionale, invece “si indica con un valore del TFT di poco superiore a
2 il livello di fecondità che permette a una popolazione di riprodursi mantenendo costante
la propria struttura demografica: una coppia ha due figli e questo, a parità di altre
circostanze, assicura il ricambio fra le generazioni. Ciò è chiaramente un’approssimazione,
poiché presuppone che tutti i parametri rimangano costanti, soprattutto quelli della
mortalità. Comunque valori di TFT minori di 2 indicano un generale invecchiamento e/o
calo della popolazione, mentre valori di TFT maggiori di 2 indicano un progressivo
ringiovanimento e/o aumento della popolazione.”
7
Nel contesto della seconda transizione demografica (avvenuta, per la maggior parte degli
studiosi, intorno alla metà degli anni Sessanta del XX secolo) il tasso di riproduttività è
sceso sotto il livello di rimpiazzo generazionale e, di conseguenza, la popolazione, senza gli
apporti delle migrazioni, tenderebbe alla diminuzione.
La teoria della seconda transizione demografica associa il declino della fecondità a
cambiamenti della famiglia che hanno avuto luogo dal secondo dopoguerra. Tali
cambiamenti vedono una prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine,
spesso oltre i 30 anni, con conseguente netto ritardo dell'età al matrimonio o addirittura la
rinuncia al matrimonio per unioni consensuali di tipo alternativo. Aumenta il numero di
persone che vivono da sole o coabitano con amici o partner, senza vincoli di natura
matrimoniale.
6
Angeli A., Salvini S., Popolazione e sviluppo nelle regioni del mondo, Il Mulino, Bologna, 2008
7
Angeli A., Salvini S., Popolazione e sviluppo nelle regioni del mondo, Il Mulino
14
Per quanto riguarda in particolare la fecondità, pur in un quadro di generale riduzione nel
numero dei figli, diminuisce il numero di quelli legittimi a favore dei figli naturali, nati al di
fuori del matrimonio.
Lestaeghe evidenzia come si sia passati da un iter standardizzato di formazione della
famiglia a uno non standardizzato, in cui le varie tappe (terminare gli studi, entrare nel
mondo del lavoro, lasciare la casa dei genitori a seguito del matrimonio, avere dei figli) non
seguono più una sequenza ben precisa e non hanno più una durata pressoché analoga per
tutti gli individui e in cui, al contrario, nuove situazioni vanno a sovvertire quello che era
l'ordine tradizionale (vivere da soli, coabitazione con coetanei o prima del matrimonio, figli
prima o al di fuori del matrimonio)
8
.
L’autore conclude che queste nuove tendenze, che portano a una minore e ritardata fertilità,
sono da attribuire principalmente a una nuzialità tardiva, all’aumento dell’uso dei
contraccettivi ed a cambiamenti più generali di ordine culturale.
Si può affermare che tutte le regioni del mondo hanno sperimentato almeno la prima fase
della transizione ma in tempi diversi, e la situazione mondiale appare oggi estremamente
diversificata.
La maggioranza dei paesi in via di sviluppo, infatti, ha sperimentato il miglioramento delle
condizioni sanitarie e ha avuto accesso ad importanti farmaci, che hanno contribuito allo
sradicamento o alla minor incidenza di epidemie (es. antibiotici). Si può quindi notare come
i tassi di mortalità siano diminuiti con percentuali molto simili in diverse regioni in via di
sviluppo.
9
8
Lestaeghe Ron J., Recent trends in fertility and household formation in the industrialized
World, in Review of Population and Social Policy, n° 9, pp. 121-170, 2000,
http://www.ipss.go.jp/publication/e/R_s_p/No.9_P121.pdf
9
Dyer P., Tarik Y., The Tyranny of Demography: Exploring the fertility transition in the Middle East and North
Africa, Dubai School of Government, Working Paper Series N. 08-11, November 2008,
http://www.dsg.ae/en/home/index.aspx?aspxerrorpath=/PUBLICATIONS/PublicationDetail.aspx
15
Allo stesso tempo, però, i tassi di fecondità e il ritmo al quale sono declinati varia
profondamente non solo nelle diverse regioni del mondo, ma anche all’interno di una stessa
area geografica; uno degli esempi più importanti ed evidenti delle profonde differenze
all’interno di una stessa regione geografica e culturale è rappresentato dal mondo arabo.
1.3 LA DEMOGRAFIA DEL MONDO ARABO
Per iniziare l’analisi demografica del mondo arabo nel suo insieme è importante precisare
che la popolazione dei Paesi arabi è quasi triplicata dal 1970, passando da 128 a 359 milioni
di persone, ed è destinata a crescere notevolmente nei prossimi anni.
Infatti, secondo l’Arab Human Development Report del 2010
10
(condotto dallo United
Nations Development Programme), la regione araba nel suo insieme avrà circa 598 milioni
di abitanti entro il 2050 (Tabella 1.1).
10
http://www.arab-hdr.org/publications/other/ahdrps/paper01-en.pdf
16
TABELLA 1.1: TOTAL POPULATION AND AVERAGE ANNUAL RATE OF CHANGE, 1970-2010
E’ rilevante, ai fini della mia tesi, sottolineare che la popolazione di diversi Stati della
regione, ovvero Iraq, Territori Palestinesi, Yemen e Egitto dovrebbe raddoppiare tra il 2010
e 2050, visti gli alti tassi di fecondità di questi Stati, com’è riscontrabile dalla Tabella 1.1.
Occorre precisare che questa cifra varia leggermente a seconda dell’ipotesi demografica che
è seguita.
17
Negli ultimi anni, infatti, gli studiosi hanno infatti elaborato diverse ipotesi riguardo ai futuri
livelli di fertilità sulla base dei trend attuali di fecondità.
11
Le ipotesi sulla fertilità sono solitamente suddivise nei gruppi-paese seguenti:
1. High-fertility countries: Paesi che al 2010 non hanno avuto riduzioni di fertilità
significative o che hanno avuto solo un impercettibile declino.
2. Medium-fertility countries: Paesi nei quali la fertilità è declinata significativamente
negli ultimi anni, ma che era comunque al di sopra dei 2.1 figli per donna nel
periodo 2005-2010.
3. Low-fertility countries: Paesi nei quali la fertilità era pari o minore a 2.1 figli per
donna nel periodo 2005-2010.
Sulla base di questi raggruppamenti sono state elaborate diverse ipotesi sull’andamento
della fertilità nei Paesi del mondo arabo, che sono cosi sintetizzabili: (riporterò le ipotesi in
questione in inglese per mantenermi fedele al testo di riferimento, ed evitare imprecisioni
dovute alla traduzione)
12
:
a) High fertility assumption: Under the high variant, fertility is projected to remain 05.
children above the fertility in the medium variant over most of the projection period.
By 2045-2050, fertility in the high variant is therefore half a child higher than that
of the medium variant. That is, countries reaching a total fertility of 1.85 children
per woman in the medium variant have a total fertility of 2.35 children per woman in
the high variant at the end of the projection period.
b) Medium fertility assumption: Total fertility in all countries is assumed to converge
eventually toward a level of 1.85 children per woman. However, not all countries
reach this level during the projection period, that is, by 2045-2050. Projections
11
Mirkin B, Arab Human Development Report: Population Levels, Trends and Policies in the Arab Region:
Challenges and Opportunities, United Nations Development Programme, Regional Bureau for Arab States,
http://www.arab-hdr.org/publications/other/ahdrps/paper01-en.pdf
12
Mirkin B, Arab Human Development Report: Population Levels, Trends and Policies in the Arab Region:
Challenges and Opportunities, United Nations Development Programme, Regional Bureau for Arab States
18
procedures differ slightly depending on wheter a country had a total fertility above
or below 1.85 children per woman in 2005-2010.
c) Low fertility assumption: Under the low variant, fertility is projected to remain 0.5
children below the fertility in the medium variant over most of the projections
period. By 2045-2050, fertility in the low variant is therefore half a child lower than
that of the medium variant. That is, countries reaching a total fertility of 1.85
children per woman in the medium variant have a total fertility of 1.35 children per
woman in the low variant at the end of the projection period.
Dopo aver delineato le diverse linee teoriche relative al futuro demografico della regione,
descriverò ora le dinamiche demografiche della regione partendo dagli anni Cinquanta del
Novecento, che vengono da molti studiosi considerati come gli anni di inizio di una nuova
fase demografica.
13
Prima del Ventesimo secolo, la popolazione del Maghreb e Medio Oriente era caratterizzata
da alti tassi di fecondità, sia nel contesto rurale sia in quello urbano. Allo stesso tempo però,
gli alti tassi di mortalità dovuti allo scarso igiene, malattie e conflitti facevano sì che il tasso
di accrescimento della popolazione rimanesse molto basso. Studi recenti dimostrano che il
tasso di accrescimento della popolazione in quest’area fosse attorno all’1% negli anni
Trenta del Novecento
14
, dovuto anche a lunghi periodi di carestia ed epidemie avvenuti
nella prima parte del Ventesimo secolo.
Diversi periodi di carestia sono difatti documentati in Algeria, Egitto, Iraq, Marocco e
Tunisia durante tutto il Diciannovesimo secolo e gli inizi del Ventesimo. Inoltre le
epidemie, in particolare il colera e la peste, ebbero effetti devastanti. La peste in Marocco
13
Tabutin D., Schoumaker B., The Demography of the Arab World and the Middle East from the 1950s to the
2000s, A Survey of Changes and a Statistical Assessment, Population (English edition), 2005/5 Vol.60, p.505-
615, http://www.ined.fr/fichier/t_publication/1149/publi_pdf2_tabutin5_6_2005e.pdf
14
Issawi I., An Economic History of the Middle East and North Africa, New York, Columbia University Press
1982
19
uccise nel 1818 circa il 25% della popolazione del paese, mentre in Egitto uccise 500 mila
persone nel 1835, delle quali più di 80.000 nella sola città del Cairo.
15
I devastanti effetti delle epidemie e delle carestie diminuirono gradualmente in
concomitanza con una maggiore stabilità politica e una maggiore abilità dei governi,
dapprima coloniali e successivamente dei governi divenuti indipendenti, di prevenire le
malattie, grazie anche ad un miglioramento delle condizioni sanitarie, e nella gestione delle
crisi.
La mortalità iniziò a declinare gradualmente durante tutto il Diciannovesimo secolo, e di
conseguenza la popolazione iniziò ad aumentare velocemente; è stato stimato che la
popolazione del Maghreb e del Medio Oriente raddoppiò tra il 1830 e il 1914, con un tasso
di crescita annuo dell’1% circa, mentre nel periodo compreso tra il 1930 e il 1940 il tasso di
crescita della popolazione raggiunse il 2%
16
.
A questo punto, molti degli studiosi dell’epoca iniziarono a parlare di una rapidissima
crescita della popolazione di questa parte di mondo. Nel 1936, Wendell Cleland scrisse
“Wheter we regard the matter from the viewpoint of the poor quality of labor, or low wages,
or high land rentals, we are inescapably forced to the conclusion that Egypt is greatly
overpopulated”
17
.
Questa frase preannuncia ciò che Cleland e gli altri studiosi del suo tempo non avevano
ancora appreso a pieno, e cioè l’enorme crescita della popolazione che a breve avrebbe
investito non solo l’Egitto, ma tutti gli Stati della regione araba nel corso del secolo
successivo.
15
Dyer P., Tarik Y., The Tyranny of Demography: Exploring the fertility transition in the Middle East and North
Africa, Dubai School of Government, Working Paper Series N. 08-11, November 2008
16
Dyer P., Tarik Y., The Tyranny of Demography: Exploring the fertility transition in the Middle East and North
Africa, Dubai School of Government, Working Paper Series N. 08-11, November 2008
17
Cleland W., The Population Problem in Egypt, Lancaster PA: Science Press, 1936