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Introduzione
«Ti piacerebbe vivere nella Casa dello Specchio, Kitty
1
?
Chissà se te lo darebbero il latte?
Magari il latte della Casa dello Specchio non è buono da bere — oh, la mia Kitty!
Adesso passiamo al corridoio.
Puoi vedere uno scorcio del corridoio della Casa dello specchio,
se spalanchi bene la porta del nostro salotto:
ed è proprio tutto uguale al nostro corridoio fin dove lo si riesce a vedere,
solo che dove non si vede, al di là, potrebbe essere del tutto diverso.
Oh, Kitty, come sarebbe bello se potessimo passare attraverso lo specchio
ed entrare nella Casa dello Specchio!
Sono sicura che ci sono delle cose bellissime là dentro!
Facciamo finta che ci sia un modo per passarci attraverso, Kitty.
Facciamo finta che lo specchio sia diventato tutto come un leggero velo di nebbia,
e che lo possiamo attraversare.
Ma guarda, si trasforma, adesso è come se fosse una specie di brina, te lo giuro!
Sarà facile passarci». […]
[Lewis Carroll, 1871. Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò.]
Multiforme è lo specchio della realtà in cui ci si potrebbe addentrare
muovendosi ai confini del marketing esperienziale. “Al di là potrebbe essere
tutto diverso”, recita Carroll. Ed è proprio nello stravolgimento dell’esperienza
sensoriale che nasce l’irripetibilità, l’unicità che svincola il prodotto dai suoi
attributi tangibili, imprigionandolo nell’atmosfera magica dell’immaterialità.
La metafora dello specchio che tutto riflette e nello stesso tempo stravolge, ben
si addice al marketing esperienziale (Ferraresi, Schmitt 2006). Lo specchio
infatti, se da un lato proietta esattamente le immagini degli oggetti, dall’altro è
capace anche di riflettere specularmente il tutto. Ed è proprio questo che il
marketing esperienziale cerca di fare, ovvero creare un’esperienza unica,
irripetibile e memorabile agli occhi dei consumatori; proprio come accade nella
favola di “Alice e quel che nello specchio vi trovò”. Riprendendo la metafora
del gioco che utilizza Carroll (1871), si può dire che i brand e i loro prodotti,
cerchino di avanzare nel territorio del Re consumatore escogitando continui
1
Kitty è la gattina bianca di Alice (n.d.r.).
5
modi per dargli scacco matto; tuttavia, ciò, risulta davvero impensabile se si
considerano gli strumenti che il marketing ha adottato sino ad ora. D’altra
parte, il consumatore è paragonabile al ‘Re Matto’ di cui parla Marco Mengoni
nella sua canzone ‘Credimi ancora’(2010), il quale cambia spesso le sue regole
per vincere nel gioco del consumo e per tale motivo il marketing è costretto a
reinventare non solo se stesso, ma anche il proprio modo d’agire. Per potersi
avvicinare al consumatore è necessario, quindi, parlare sottovoce e dolcemente,
facendo appello ai sensi, alle relazioni, agli ambienti e alle esperienze. Bisogna
parlare al cuore del consumatore, facendo breccia nei suoi sentimenti, nelle sue
sensazioni e nei suoi vissuti.
La motivazione sottesa alla scelta dell’argomento risiede nella riflessione fatta
sul cambiamento delle abitudini del consumatore, sul continuo e giornaliero
bombardamento di stimoli consumistici e sul cosiddetto reincanto del consumo
(Cova, Giordano, Pallera, 2007).
L’obiettivo che l’elaborato si propone è quello di documentare, attraverso una
rassegna della letteratura esistente in proposito, come il potenziamento
dell’esperienza e dell’uso dei canali sensoriali, possa rendere indimenticabile
un’esperienza anche all’interno di un contesto di vendita (un punto vendita, un
centro commerciale, un fashion district…).
Non è possibile parlare di marketing esperienziale senza riferirsi concretamente
alle proprie esperienze di acquisto; visione, questa, mutuata dall’assunto di
base proposto da tale approccio, ovvero di reale vicinanza al cliente e al suo
vissuto sperimentato nell’ambito di consumo.
Per poter far luce su questa prospettiva è necessario partire da alcune
considerazioni in merito al cambiamento del consumatore nell’era postmoderna
(Fabris, 2005), al cambiamento dell’economia divenuta sempre più
esperienziale (Pine e Gilmore, 2000), al cambiamento delle strategie di
marketing diventate non convenzionali (Cova, Giordano, Pallera, 2007; Ferrari,
2010), e al cambiamento dell’atmosfera e della gestione dei punti vendita
(Zaghi, 2008).
Nel primo capitolo verrà illustrato il concetto di esperienza e la sua relazione
con il consumo e con il marketing. Sarà, inoltre, approfondita la dissertazione
6
circa l’apparato teorico del marketing esperienziale (Schmitt, 1999). Verranno
poi proposti alcuni riferimenti alle strutture neurofisiologiche coinvolte nel
processo di creazione dell’esperienza nella mente del consumatore ed infine,
sarà mostrato il nesso esistente tra esperienza e memorabilità, allo scopo di
evidenziarne la capacità di dirigere gli acquisti.
Nel secondo capitolo sarà esaminata l’influenza delle emozioni nel dirigere le
scelte di consumo a partire dal ruolo giocato nel dirigere i processi attentivi e
mnemonici. Inoltre si evidenzierà, ancora una volta, lo stretto legame tra il
marketing emozionale e il marketing esperienziale, facendo riferimento anche
alle emozioni dominanti ogni fase del processo decisionale che porta il
consumatore ad acquistare un prodotto.
Nel terzo capitolo saranno messe in evidenza le strategie attuate per rendere
memorabili le esperienze all’interno dei punti vendita. Sarà anche delineata una
breve panoramica dei nuovi luoghi di consumo, in ottica esperienziale. In
quest’ottica, infine, si mostrerà come la creazione di un evento esperienziale
sia indissolubilmente legata alla sollecitazione sensoriale. Verrà pertanto
proposta l’analisi di 5 casi aziendali, ognuno dei quali incentrato sul senso che
maggiormente sollecita.
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CAPITOLO 1
IL MARKETING ESPERIENZIALE
Non il frutto dell'esperienza, ma l'esperienza stessa, è il fine.
[Walter Pater, Saggi sulla storia del Rinascimento, 1873]
1.1 Esperienza ed esperienza di consumo
Al giorno d’oggi è frequente imbattersi nell’espressione “fare nuove
esperienze”. Nell’uso comune, tale modo di dire si associa all’intervento di
stimoli conoscitivi, esplorativi, ludici e molto raramente lo si richiama in
risposta a stimoli di consumo e di marketing. Questo accade perché,
probabilmente, si ha ancora una certa diffidenza, perlomeno nel contesto
italiano, ad associare il termine esperienza al contesto d’acquisto di un bene.
Anche se negli ultimi anni si sono fatti passi avanti in questo senso, questi
rappresentano ancora una goccia in mezzo al mare, se paragonati al panorama
culturale statunitense che per primo ha visto apparire sulla scena il connubio
esperienza-marketing.
Nonostante sia così frequente imbattersi in tale espressione, nella letteratura
psicologica di riferimento non ci sono stati tentativi sistematici di definire il
costrutto di esperienza in relazione al suo legame con il marketing (Poulsson,
Kale, 2004).
Alcuni sporadici sforzi di definizione, presenti peraltro non in ambito
psicologico ma in quello economico-gestionale (Resciniti, 2005), sono stati
fatti da Holbrook e Hirschman (1982) che definiscono l’esperienza: “un flusso
di fantasia sentimenti ed emozioni (in Addis, 2007, p. 69)”.
Smitth (1999, in Ferraresi, 2003) definisce le esperienze: “eventi privati che si
verificano in risposta a qualche stimolazione […] (p. 55)”. Pine e Gilmore
8
(2000) le definiscono come: “eventi che coinvolgono gli individui sul piano
personale. […] Esse
2
hanno luogo all’interno dell’individuo che viene
coinvolto a livello emotivo, fisico, intellettuale o anche spirituale (Pine e
Gilmore, 2000, p. 14)”.
Come si evince dalle poche definizioni riportate, l’aspetto saliente evidenziato
dagli autori si riferisce al legame tra esperienza, evento vissuto e sentimenti da
esso suscitati. A conferma di quanto appena detto, è possibile citare la visione
che Csikszentmihalyi (1997, in Resciniti 2005) ha dell’esperienza, espressa in
relazione alla spiegazione del concetto di flow experience
3
. Secondo l’autore
l’esperienza è espressione di componenti diverse (cognitive, emozionali e
sensoriali), riconducibili all’apparato psico-sensoriale dell’individuo, che sono
in grado di influenzare il vissuto individuale.
A questo punto emerge spontaneamente una riflessione: poiché l’apparato
esperienziale di ogni individuo è immerso nel suo vissuto quotidiano, perché
non incorporarvi anche le esperienze di acquisto? In fondo le pratiche di
consumo occupano la quasi totalità dell’esistenza di ogni uomo e ogni volta
regalano esperienze sempre nuove, dalla visione di un punto vendita
affascinante, passando per l’interazione con un commesso, fino ad arrivare alla
gioia di essersi imbattuti in un’offerta strepitosa di un bene sempre sognato.
Come si può notare, da questa breve premessa, l’esperienza di consumo non si
limita al mero acquisto del bene desiderato, ma implica anche qualcosa di più,
che va oltre la semplice valutazione dei costi benefici ricavati dall’oggetto, un
qualcosa che coinvolge in toto il consumatore, il quale in questa esperienza
mette in gioco se stesso, come si vedrà più avanti nella trattazione.
Una simile concezione di esperienza d’acquisto quindi implica che l’attività di
acquisizione di beni non sia funzionale solo alla sopravvivenza, ma che sia
pensata anche come un’attività in grado di restituire all’acquirente un ritorno
che investe il suo intero apparato psicologico.
In questa direzione si muove il marketing orientato all’esperienza. Esso
“rappresenta un modello di interpretazione della gestione dei rapporti con il
2
Corsivo nostro.
3
Esperienza ottimale.
9
mercato, […] in linea con la complessità dell’epoca postmoderna, che
riconosce maggiore rilevanza al vissuto del consumatore ed alla sua capacità di
autodeterminazione dell’offerta” (Resciniti, 2005, p. 1). Si focalizza
sull’esperienza che il consumatore vive prima, durante e dopo l’atto di acquisto
(Cova, Giordano, Pallera, 2007).
Al fine di comprendere meglio questo costrutto è necessario individuarne le
sue fondamenta teoriche. I principali contributi allo sviluppo del marketing
orientato all’esperienza sono stati dati da tre grandi filoni di ricerca (Resciniti,
2005), rispettivamente riconducibili agli studi sul consumer behaviour,
sull’experiential shopping e sul costumer experience management.
Nel filone del consumer behaviour può essere inserito il contributo di
Hirshman e Holbrook (1982), i quali per primi postulano che il consumo
individuale avvenga per beneficiare di un’esperienza positiva con un prodotto.
Inoltre essi definiscono le caratteristiche di tale esperienza attraverso tre
dimensioni: fantasie, sensazioni e divertimento
4
. Rispetto al tradizionale
Information Processing View, gli autori propongono quindi l’Experiential
View; un approccio che si focalizza sulla natura simbolica, edonistica ed
estetica del consumo (Holbrook e Hirschman, 1982) e che si fonda sulla
concezione della consumption experience come attività volta alla ricerca di
fantasie, sensazioni e divertimenti (Resciniti, 2005). Gli autori, come si evince
da quanto appena detto, hanno introdotto la prospettiva esperienziale
nell’esame del comportamento del consumatore, privilegiando il collegamento
tra i concetti di “esperienza” e di “emozione” e li hanno inseriti nell’ambito dei
comportamenti di consumo (Resciniti, 2005). Hanno formulato il loro pensiero
schierandosi in netta opposizione alle teorie dominanti di stampo cognitivo-
comportamentale (Ferraresi, Schmitt, 2006). Da ciò deriva la nuova concezione
del consumatore, non più ascrivibile a semplice “homo oeconomicus” secondo
la prospettiva economica classica (teso, quindi, a soddisfare i suoi bisogni
utilitaristici attraverso l’acquisto dei beni): parliamo qui di “homo
emotionalis” volto anche a soddisfare i bisogni provenienti anche e soprattutto
dalla sua sfera affettiva.
4
In inglese: fantasies, filings and fun.
10
Il filone dello shopping experience, invece, comincia a prendere le mosse dal
riconoscimento delle varie dimensioni in cui si articola l’esperienza di
consumo, avvenuto con il filone di studi precedentemente esposto. A differenza
della prima, questa seconda corrente di studi concentra la sua attenzione sui
processi d’acquisto propriamente detti e sulla relazione che questi hanno con la
natura razionale ed emotiva del consumatore. La shopping experience infatti
coinvolge entrambi gli aspetti della natura umana “razionale e irrazionale”
(Falk e Campbell, 1997 p. 146). Da essa si dirama il filone di studi incentrato
sul retailing, nel quale si considera l’impatto che gli stimoli sensoriali hanno
sulle percezioni degli acquirenti, le emozioni che si provano in relazione alle
caratteristiche del punto vendita e i benefici edonistici dello shopping
(Resciniti, 2005).
Il terzo filone è quello del Costumer Experience Management. Sviluppatosi in
America negli anni Novanta, si differenzia dai primi due non solo per la sua
forte connotazione consulenziale (Resciniti, 2005) e pragmatica, ma anche per
il suo impianto teorico, fortemente normativo, di gestione delle esperienze del
cliente nell’ambito aziendale.
Alcuni autori collocati in questa prospettiva, evidenziano la necessità di
valorizzare e gestire l’esperienza del cliente per creare valore competitivo
(Carbone e Haeckel, 1994).
Tra essi spiccano autori come Pine e Gilmore che nel 1999 esplicitano i
principi fondamentali del marketing esperienziale contestualizzato nell’odierno
panorama consumistico, da loro definito come “Experience Economy”.
Insieme alla loro, nello stesso anno, si fa spazio la teorizzazione,
concettualmente propria dell’ambito del marketing, di Bernd Schmitt, il quale
teorizza l’approccio del Costumer Experience Management, come una valida
risorsa a cui attingere per valorizzare realmente l’esperienza del cliente, in
risposta al Costumer Relationship Management del marketing tradizionale.
A differenza del paradigma tradizionale, incentrato solo verbalmente sul
consumatore, questo nuovo approccio cementifica il legame tra esperienza
vissuta e comportamento d’acquisto.
Da questo breve excursus concettuale emerge una nozione di esperienza di
11
consumo come qualcosa di molto complesso che determina una serie di
implicazioni, articolate a vari livelli ed aperte a letture differenti.
Pittèri e Pellegrino (2010, p. 78) esplicitano queste implicazioni affermando
che:
1. “L’esperienza di consumo non si esaurisce nell’atto di consumo vero e
proprio, ma si sviluppa nel corso del tempo, provocando di volta in
volta una serie di ricadute/conseguenze:
- al momento del primo contatto, quando il consumatore conosce il
prodotto e vi proietta le sue attese;
- al momento dell’acquisto, il quale in virtù della sua natura
processuale determina una serie diversificata di sensazioni;
- al momento della presa di possesso del prodotto ma prima ancora
del suo utilizzo, quando il consumatore carica il prodotto di
aspettative e pregustazioni;
- al momento dell’esperienza vera e propria, quando il prodotto viene
consumato, determinando perciò soddisfazione o insoddisfazione;
- al momento del ricordo, quando si manifesta il desiderio di
rinnovare l’esperienza.
2. L’esperienza, essendo una “novità perenne”, non è mai vissuta allo
stesso modo da tutti gli individui, anche se viene determinata dallo
stesso stimolo e per mantenere la sua promessa di novità non può
ripetersi allo stesso modo nel tempo.
3. Infine, l’esperienza di consumo intervenendo sulle dimensioni
psicologiche personali (cognitiva, emotiva e sensoriale) modifica e
rende più complessa la relazione fra individui e brand”.
Come si evince da quanto fino a qui esposto, l’esperienza di consumo è
divenuta una variabile importante da esplorare proprio per le sue implicazioni
con la sfera cognitiva, effettiva e sensoriale e per la sua pervasiva presenza
nella quotidianità dell’individuo.
12
1.2 Dai beni alle esperienze
La nostra economia sta entrando in una nuova era, quella della produzione di
esperienze (Pine e Gilmore, 2000). Esse sono diventate il più recente
contenitore di valore per l’impresa e per il consumatore, ossia una nuova forma
di offerta (Carbone e Haeckel, 1994).
Risulta necessario a questo punto comprendere le motivazioni che hanno spinto
il mercato a ricercare nell’esperienza il valore aggiunto da offrire ai clienti.
Pine e Gilmore (2000) ritengono che il motivo di una tale scelta risiede nel
fatto che le esperienze sono considerate alla stregua della personalizzazione e
pertanto possono superare l’approccio di massa. LaSalle e Britton (2003, in
Resciniti, 2005) ritengono che per creare esperienze inestimabili (priceless) è
necessario combinare opportunamente le tre componenti chiave del value mix:
1) Prodotto: qualunque bene o servizio, o famiglia di beni, presente sul
mercato. È caratterizzato da “elementi fisici, estetici e valori associativi,
[…] attraverso i quali cerca di creare per il cliente un’esperienza di
valore” (Boaretto, Noci, Pini, 2007, p. 113);
2) Servizio: si riferisce a tutte le interazioni tra impresa e cliente, come
l’assistenza clienti o il servizio riparazioni. Esso può rispondere in
modo puntuale alle necessità evidenziate dai clienti e creare valore
attraverso l’offerta di un’esperienza di servizio che superi le aspettative
(Boaretto, Noci, Pini, 2007);
3) Ambiente: l’insieme degli elementi esterni che circondano il prodotto,
come la confezione o l’ambito espositivo. Essi infatti possono influire
significativamente sull’esperienza di acquisto (Boaretto, Noci, Pini,
2007).
Secondo Ferraresi e Schmitt (2006) le esperienze uniscono l’azienda e la marca
allo stile di vita del cliente. Inoltre esse “forniscono valori sensoriali, emotivi,
cognitivi, comportamentali e relazionali che sostituiscono quelli funzionali”
(Ferraresi e Schmitt, 2006, p. 43). Sulla scia di Ferraresi e Schmitt (2006) si
muove Fabris (2009) quando stima che la costruzione di valore aggiunto si
ottenga attraverso l’unione di intrattenimento, divertimento, coinvolgimento
13
emotivo e sensoriale, teso a comunicare il mondo e il sistema valoriale della
marca.
Resciniti (2005) ritiene che attraverso l’offerta di esperienze le imprese
possano accrescere il valore dei prodotti e dei servizi inserendoli in un contesto
in cui convivono insieme ad altri benefici complementari sul piano funzionale
o simbolico. Da qui si arriva quindi a definire cosa si intenda per sistema
esperienziale d’offerta, ovvero come “l’insieme di prodotti, servizi ed altri
elementi del contesto, atto ad interessare più dimensioni della personalità
umana attraverso benefici funzionali e simbolici che il consumatore può
scegliere in modo da realizzare la propria effettiva configurazione di valore”
(Resciniti, 2005, p. 10). Tale sistema d’offerta comprende quattro requisiti:
1) la capacità di coinvolgere il consumatore su più dimensioni della
personalità, facendogli vivere più pienamente le attività di acquisto e
consumo;
2) la rilevanza del valore simbolico rispetto a quello funzionale;
3) la soddisfazione contemporanea di più bisogni e desideri;
4) l’autodeterminazione dell’offerta da parte del consumatore.
La nuova economia delle esperienze nasce quindi dalla nuova visione di valore
aggiunto che le esperienze possono fornire ai semplici beni e servizi, nei
termini delle quattro dimensioni appena esaminate.
“Le esperienze sono la quarta forma di offerta economica, distinta dai servizi,
come i servizi lo sono dai prodotti e i prodotti lo sono dalle commodity, ma
finora largamente non riconosciute come tali. Quando una persona acquista un
servizio, acquista una serie di attività intangibili fatte per contorno. Ma quando
acquista un’esperienza, essa paga per spendere il suo tempo nel fruire di una
serie di eventi memorabili che l’azienda organizza […] per impegnarlo in
modo diretto” (Pine e Gilmore, 1999, p. X).
Stante quanto finora detto, si comprende che la domanda di mercato si è
evoluta attraverso alcuni stadi, sintetizzati attraverso il modello riportato nella
figura sottostante (Rubbia, 2000, in Pine e Gilmore, 2000).
14
Figura 1: Le distinzioni economiche, “Modello per stadi evolutivi della domanda di
mercato”
Secondo questo modello, la domanda di prodotti e servizi di un certo tipo tende
ad essere saturata da un’offerta inevitabilmente sempre più ampia e dai costi
decrescenti.
Ciascuna offerta economica è diversa dalle altre in modi fondamentali,
compreso ciò di cui effettivamente si tratta (Pine e Gilmore, 2000).
Vediamo di seguito l’interpretazione delle varie distinzioni:
le commodity non sono altro che le materie prime, ovvero materiali
fungibili estratti dal mondo naturale;
i beni sono manufatti tangibili standardizzati e immagazzinabili;
i servizi sono attività intangibili personalizzate in base alle richieste
individuali di clienti conosciuti;
le esperienze sono eventi memorabili che coinvolgono gli individui sul
piano personale. “L’offerta economica delle esperienze si verifica ogni
qualvolta un’impresa utilizzi intenzionalmente i servizi come
palcoscenico e i beni come supporto per coinvolgere un individuo.
Coloro che acquistano un’esperienza attribuiscono valore al fatto di
essere coinvolti in qualcosa che l’impresa svela loro nel tempo” (Pine e
Gilmore, 2000, p. 14).
Sintetizzando in un’unica espressione la caratteristica saliente di ogni offerta
possiamo dire che “le merci sono fungibili, i beni tangibili, i servizi intangibili
15
e le esperienze memorabili” (Pine e Gilmore, 2000, p. 14). L’esperienza
diventa una “nuova categoria di offerta che si affianca ai confort, ai prodotti e
ai servizi” (Cova, Giordano, Pallera, 2007, p. 138). L’impresa non offre più
solo beni o servizi, ma l’esperienza che deriva dal loro uso, e “l’individuo
viene coinvolto a livello emotivo, fisico, intellettuale e spirituale” (Pine e
Gilmore, 2000, p. 14). Il coinvolgimento deriva anche dalla natura strettamente
personale dell’esperienza di consumo: due persone, infatti, non possono avere
la stessa esperienza perché ciascuna esperienza deriva dall’interazione tra
l’evento inscenato e la precedente condizione mentale ed esistenziale
dell’individuo (Pine e Gilmore, 2000). Il valore dell’esperienza, inoltre, si
protrae nella memoria di qualsiasi individuo coinvolto nell’evento:
“L’esperienza in sé manca di tangibilità, ma le persone danno un enorme
valore alla proposta perché il suo valore si trova dentro di loro, e lì permane per
molto tempo” (Pine e Gilmore, 2000, p. 15). Secondo Pine e Gilmore (2000)
per entrare a pieno titolo nell’economia delle esperienze è necessario
concentrarsi sull’esperienza che i clienti vivono usando i prodotti. Per ottenere
ciò è fondamentale per i produttori “esperienziare le cose” (“ing the thing”)
attraverso le strategie delineate di seguito:
1. creare un’immagine di marca che ponga l’accento sull’esperienza.
La marca deve allo stesso tempo evocare non solo sentimenti positivi,
ma trasmettere emozioni che sono allo stesso livello di importanza del
consumatore (come ha fatto ad esempio Hyundai proponendo una
driving experience presso l’autodromo di Monza, il 17 e 18 settembre
2011
5
);
2. aggiungere elementi che intensifichino l’interazione sensoriale del
cliente con gli oggetti, in questo modo si accentuano le esperienze
legate all’uso;
3. formare un club dei prodotti, sottolineando in tal modo l’esperienza di
esclusività;
5
http://www.hyundaiexperience.it/