Sydney Vicidomini - Oggetti, aneddoti, sineddochi. Figure dell’emigrazione nella
Valigia di Sergej Dovlatov. 5
Introduzione
L’opera di Sergej Dovlatov (Ufa, 1941- New York, 1990), autore di
origini per metà armene e per metà ebree, emigrato a New York nel 1979 e
diventato un autore di successo soltanto dopo aver lasciato il paese d’origine, ha
affascinato i lettori della Russia post-sovietica negli ultimi vent’anni. A proposito
di questo particolare periodo storico, Aleksandr Genis scrive che, mentre una
volta lo scopo delle memorie era quello di valutare il passato, adesso si tratta
invece di convincersi di ciò che è stato e di affermare l’esistenza di una storia
propria, individuale
1
. All’indomani della caduta dell’Unione Sovietica, infatti, è
proliferata una letteratura memorialistica che si è occupata principalmente di
raccontare come era la stata la vita in Russia nei settantaquattro anni che avevano
seguito la rivoluzione, e in particolare come era stata durante la Guerra Fredda,
negli anni in cui l’Occidente viveva, attraverso il filtro della cultura americana, la
rivoluzione studentesca, quella sessuale, e la diffusione del capitalismo come
sistema economico con un conseguente aumento dell’importanza dei beni di
consumo. All’interno di questa letteratura memorialistica diversi testi, tra cui
Dovlatov i okrestnosti, appena citato, sono stati dedicati alla vita di Sergej
Dovlatov e al suo rapporto con la scrittura.
Il successo dell’opera di Dovlatov all’indomani della caduta dell’Unione
Sovietica è attribuibile, oltre che allo stile memorialistico che si confaceva con i
gusti del momento, alla forte polifonicità, in senso Bachtiniano, dei suoi scritti.
Per quanto riprendano modelli narrativi che sono propri anche di altre culture
(l’aneddoto, la raccolta di novelle, la procrastinazione dell’azione)
2
, i testi di
Dovlatov risultano comunque profondamente “russi”, ovvero il suono della loro
polifonicità è più forte, quanto più si ascolta questi testi con la consapevolezza
della cultura russa e dei suoi segni. A cavallo degli gli anni ’90 e 2000, Laura
Salmon ha tradotto Dovlatov per la casa editrice Sellerio, contribuendo alla
1
Aleksandr Genis, Dovlatov i okrestnosti, Mosca, Vagrius, 2004, p. 8.
2
Vedi Viktor Šlovskij, “La struttura della novella e del romanzo”, in Tzvetan Todorov ed., I
formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico, Torino, Einaudi, 1968, pp. 205-230,
passim.
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diffusione dell’opera di questo scrittore in Italia: nonostante ciò, Dovlatov resta
pressoché sconosciuto al pubblico italiano e, a conferma di una carenza di
interesse della critica per quest’autore e per la letteratura sovietica e post-
sovietica in generale, lo studio di Laura Salmon Mechanizmy Jumora (2008), in
cui si indagano i processi linguistici che inducono il riso e i problemi traduttivi
ad essi collegati attraverso l’esperienza delle traduzioni di Dovlatov, è stato
pubblicato soltanto in russo.
Questo lavoro combina un interesse pregresso per la letteratura di
emigrazione con i suoi topoi e i suoi meccanismi, con uno più recente al quale ha
contribuito in parte il contatto con i testi di Sergej Dovlatov, per la cultura
popolare della Russia sovietica e della Russia contemporanea. All’interno della
Valigia (1986), l’opera di Dovlatov analizzata in questo lavoro, convergono sia i
modi e i temi della letteratura di emigrazione, che fotografie della vita quotidiana
nel periodo di chiusura della Russia verso l’Occidente. Non essendo disponibili
molte informazioni su come si vivesse realmente in Russia nel periodo sovietico,
in quanto gli scambi culturali e i viaggi erano molto limitati, e in quanto buona
parte delle testimonianze sono fortemente influenzate da un’ideologia politica
comunista o anti-comunista, la letteratura può rivelarsi una risorsa utilissima per
reimmaginare “quel mondo scomparso chissà dove”
3
.
Ci si è scontrati, nell’analizzare questo testo di Dovlatov sia in chiave di
testo dell’emigrazione che di testimonianza della vita sovietica, con il problema
di una bibliografia non tanto inesistente, quanto carente e indisponibile: la
maggior parte dei testi su Dovlatov sono in lingua russa, e quindi difficilmente
reperibili in Italia, e si tratta per la maggior parte di testi memorialistici, che
mitizzano la figura dello scrittore ma non sempre informano adeguatamente
sull’esperienza letteraria. Per questo motivo, si è cercato di seguire una linea
precisa, che è quella indicata dal testo stesso, e di attingere a risorse diverse
(della critica formalista, della thing theoy, della filosofia), per spiegare i diversi
fenomeni che emergono dal testo e proporne nuove chiavi di lettura.
3
Così Laura Salmon definisce l’Unione Sovietica nella prospettiva di Dovlatov, nella
postfazione alla traduzione della Valigia per Sellerio.
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Il titolo della tesi, Oggetti, aneddoti, sineddochi, intende rispecchiare un
aspetto particolare che è emerso dalla lettura della Valigia, e cioè il rapporto che
si instaura tra gli oggetti che lo scrittore fa uscire dalla sua valigia e la struttura
aneddotica che egli sceglie per la narrazione. Da questo rapporto sembra nascere
una particolare interpretazione del concetto di “patria”: gli aneddoti che vengono
suggeriti dai singoli oggetti fanno degli oggetti stessi delle sineddochi, e la
sineddoche si rivela una delle figure retoriche preferite dall’autore, e non solo,
per rappresentare linguisticamente la nostalgia.
In tre capitoli, questa tesi si propone di offrire un percorso attraverso
l’argomentazione sulla sineddoche, partendo dal concetto di “nostalgia” per
arrivare, attraverso un’analisi del testo e del suo contesto, al modo in cui gli
oggetti in Dovlatov diventano il centro di una riflessione più ampia sul rapporto
dell’uomo con i beni materiali, sul significato dei beni materiali in Unione
Sovietica e sul ricordo del paese natìo.
Nel primo capitolo vengono introdotte la letteratura di emigrazione in
generale e quella russa in particolare: partendo da una riflessione di Milan
Kundera sulla nostalgia come ignoranza, si affronta anche il tema della differenza
tra la patria e il paese dell’emigrazione, attraverso l’interpretazione di questa
differenza che emerge dal più antico testo sulla nostalgia: l’Odissea. Alla
discussione sul tema della nostalgia segue un excursus attraverso le tre ondate
dell’emigrazione russa: le prime due, a seguito della rivoluzione del 1917,
provocano una spaccatura nel mondo culturale russo che si riflette nella divisione
tra una “Russia” rimasta in Russia e una “Russia” all’estero: è dalla Russia non
ufficiale che proviene la letteratura più apprezzata dalla critica, quella che più
comunica con la tradizione, pur innestandosi sulle novità acquisite nei paesi di
arrivo; la terza, che ha avuto luogo nell’ultimo periodo prima dello scioglimento
definitivo dell’Unione Sovietica, costituisce il momento della risoluzione della
questione se si dovesse parlare di due letterature russe, o di una soltanto: la terza
ondata costituisce un’anticipazione della trasformazione politica che avrebbe
presto avuto luogo e che avrebbe portato alla fine delle tensioni tra due ideali
diversi della stessa patria. All’interno del contesto della terza ondata si inserisce
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l’opera di Sergej Dovlatov, che diventa un autore di successo soltanto dopo
l’emigrazione quasi forzata negli Stati Uniti.
Nel secondo capitolo si presenta La Valigia e si affronta l’opera dello
scrittore in quanto comunicazione tra l’innovazione e la tradizione: se ne
esaminano i precedenti letterari e ci si sofferma sul ruolo della scrittura di
Dovlatov nella trasformazione del genere del romanzo, che si evolve grazie
all’apparizione in letteratura della forma aneddotica e del linguaggio parlato e
grazie al loro consolidamento. Spiegato il ruolo dell’aneddoto nella scrittura di
Dovlatov, si passa ad un’argomentazione che riguarda, oltre alla Valigia, il testo
nel quale Laura Salmon individua un precedente (Noialtri, 1983) e quello che lo
scrittore aveva progettato di scrivere sul modello della Valigia e del quale ci sono
pervenuti soltanto due racconti (Il Frigorifero, 1990). La Valigia costituirebbe il
momento centrale del percorso di ricerca dell’autore che lo conduce dalla forma
aneddotica alla scrittura per sineddochi: avendo già in parte esplorato in Noialtri
i segreti della forma breve e, a livello contenutistico, il potere evocativo degli
oggetti, Dovlatov avrebbe sfruttato consapevolmente questo potere nella Valigia,
in cui ogni aneddoto è collegato innanzitutto ad una sineddoche; l’idea di ripetere
l’esperimento nella raccolta Il Frigorifero confermerebbe l’intenzione dell’autore
di sfruttare questa forma particolare per veicolare non più soltanto l’idea
dell’emigrazione, che unisce a livello tematico tutti e tre gli scritti, ma una
poetica che coinvolge in primo luogo gli oggetti e il loro significato.
Nel terzo capitolo si esamina più attentamente La Valigia come
sineddoche della patria. Partendo da una suggestione di Giorgio Agamben, che
vede nella sineddoche un procedimento feticista del linguaggio, ci si concentra
sulla funzione degli oggetti come simbolo e veicolo dello straniamento sia nella
letteratura russa che in quella di emigrazione; si descrive il ruolo degli oggetti
nella cultura russa sovietica e si analizza il testo in lingua originale
estrapolandone tutti gli indizi che suggeriscono che gli oggetti vengano usati
come unità di misura: in particolare, si nota come dal modo in cui essi vengono
descritti si può determinare il valore che essi assumono all’interno del contesto
sovietico. Infine, si evidenzia come il procedimento di feticizzazione per
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sineddochi prosegua nel Frigorifero, in cui lo scrittore fornisce esplicitamente
indizi sul ruolo degli oggetti nella sua poetica. Appoggiandosi ad una riflessione
di Jekaterina Young in Sergej Dovlatov and his Narrative Masks (2009), si
suggerisce che gli oggetti siano lo strumento attraverso il quale si attua una
riflessione sul superfluo e sul modo in cui funziona la nostra memoria; allo stesso
tempo il modo in cui ci relazioniamo con essi costituisce il segno più evidente
dell’assurdità dell’esistenza umana, che si riflette nell’esperienza del soggetto
migrante.