1 INTRODUZIONE
Questa ricerca vuole indagare alcuni fattori sottostanti al processo di attribuzione
di causa e colpevolezza. Quotidianamente, infatti, le persone attuano scelte ed
esprimono giudizi, sulla base di una conclamata logica di razionalità. In molti casi,
tuttavia, essi non sono consapevoli di tutti i fattori che agiscono a livello cognitivo e
che, in maniera congiunta, danno esito alle loro decisioni.
In questo studio si è focalizzata l’attenzione sugli aspetti spaziali e, nello
specifico, sulle relative posizioni di due contendenti durante un contrasto. Ci si è chiesti,
infatti, se, e come, questi fattori possano incidere sulle percezioni e sui giudizi di
colpevolezza relativi ai due soggetti rivali.
In questo campo d’indagine, la letteratura ha messo in evidenza il fenomeno
dello spatial agency bias (Chatterjee, Maher & Heilman, 1995b; Chatterjee, Southwood
& Basilico, 1999; Maass, Pagani & Berta, 2007), per cui le persone mostrano una
preferenza per le azioni che si svolgono da sinistra a destra e pongono, quindi, l’agente
sulla sinistra. Questo fenomeno è prevalentemente legato alle abitudini di scrittura, che,
per gli indoeuropei, procede da sinistra a destra, (Maass & Russo, 2003) ed è
responsabile di scostamenti sistematici nella percezione e nel giudizio di scene in
movimento (Maass, Pagani & Berta, 2007).
Il presente progetto ha due obiettivi principale. Per prima cosa, si vuole capire se
questo fenomeno possa influenzare anche l’ambito delle attribuzioni di colpa; per fare
ciò, è stato costruito un questionario composto da tre compiti. Il primo compito
consisteva nel rispondere a degli items sull’attribuzione di causalità, dopo aver visionato
delle scene di lotta; il secondo consisteva nel decidere la direzionalità dell’azione
aggressiva, scegliendo fra due immagini speculari, ed il terzo, infine, consisteva nel
disegnare una scena di lotta tra due individui.
Il secondo obiettivo è indagare l’attribuzione di colpa a target maschili e
femminili, in relazione al posizionamento di tali target, poichØ la letteratura ha mostrato
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delle differenze del bias per questi due gruppi (Grusser, Selke & Zynda, 1988; Suitner
& Maass, 2007; Maass, Suitner, Favaretto & Cignacchi, 2009).
Questa trattazione si apre, innanzitutto, con il capitolo dedicato alla letteratura,
dove sarà presa in esame la cornice teorica dell’embodiment, per poi passare in rassegna
gli studi sul bias spaziale; si parlerà, quindi, delle origini del costrutto e delle piø
importanti evidenze empiriche. In seguito, sarà presentato il costrutto dello spatial
agency bias, introdotto da Chatterjee (2002), e saranno presi in esame i risultati dei
recenti studi che indagano il legame tra la scrittura e gli stereotipi dei gruppi sociali.
Nel secondo capitolo verrà presentata la ricerca sperimentale, descrivendo gli
obiettivi generali, le ipotesi e la metodologia dello studio. Verranno, infine, presentati i
risultati e la loro discussione, terminando la trattazione con le conclusioni generali.
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LE FONDAMENTA TEORICHE
3.1 PENSIERO ASTRATTO O AZIONE CONCRETA?
La distinzione mente e corpo, pensiero intellettuale e lavoro manuale, è sempre
stata, almeno in Occidente, dalla venuta di Cartesio, la lente discrezionale in base a cui
scindere in piø livelli di analisi l’essere umano e le sue facoltà. In questo modo ogni
disciplina ha potuto, in seguito, studiare il suo ristretto e separato campo d’analisi: alla
medicina i problemi del fisico, alla psicologia i problemi dell’anima.
Oggi, da piø parti, si assiste a un ricongiungimento di saperi, dovuto alle sempre
piø evidenti relazioni interdisciplinari nello studio dei fenomeni umani, e la tragica
separazione cartesiana della res cogitans (il pensiero) dalla res extensa (la corporeità) si
va attenuando.
Anche la psicologia, scienza del pensiero per eccellenza, si sta aprendo al mondo
della concretezza, al contesto fisico. Gli studiosi sono partiti da un concetto semplice,
sempre presente ma rimasto in sottofondo nelle ricerche psicologiche: tutte le azioni che
gli esseri umani compiono vengono agite in uno spazio fisico. La specie umana si è
evoluta biologicamente, in una determinata forma, proprio per adattarsi al contesto
materiale e naturale in cui viveva. ¨ possibile, quindi, pensare che anche il nostro
apparato cerebrale e cognitivo sia stato modellato dagli specifici stimoli della realtà
fisica in cui è calato? Se ciò fosse vero, le operazioni che permettono alle nostre
strutture cognitive di decifrare gli stimoli dell’ambiente fisico potrebbero guidarci, allo
stesso modo, nella percezione e comprensione del nostro ambiente sociale.
La prospettiva dell’embodiment postula, propriamente, che “le rappresentazioni
concettuali e i processi cognitivi di alto livello sono fondati su processi corporei e,
soprattutto, sensomotori” (Maass & Schubert, in press, p. 10).
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In passato, l’importanza della dimensione fisica nei processi relazionali è già
stata documentata in psicologia sociale; ad esempio, le ricerche di prossemica di
Edward T. Hall (1966) hanno messo in luce la correlazione esistente tra la distanza
spaziale e la distanza di relazione tra due individui. Le persone, infatti, quando le
condizioni ambientali lo permettono, interpongono un determinato spazio tra sØ e gli
altri e questo spazio diminuisce in funzione dell’intimità della relazione che li “lega”
assieme; in questo modo le persone piø care possono infrangere le barriere spaziali
imposte agli altri. Hall (1966) ha, inoltre, distinto diversi popoli per il grado di
vicinanza/lontananza considerato lecito tra gli individui, ponendo così l’accento sulle
differenze trans-culturali.
L’embodiment, tuttavia, si spinge ancora oltre e si pone l’obiettivo di analizzare,
in maniera sistematica, le influenze dell’ambiente fisico sul pensiero astratto (Barsalou,
2005). Questa corrente teorica asserisce propriamente che il sistema cognitivo viene
influenzato dalla nostra fisicità e dal modo in cui il corpo umano si rapporta con il
mondo circostante; in questo contesto assume particolare rilevanza il funzionamento dei
sistemi percettivi e motori, i quali ci permettono di esplorare l’ambiente e ricevere da
esso gli stimoli che attivano l’elaborazione cognitiva.
Un altro fattore studiato dall’embodiment, di particolare interesse per la presente
ricerca, riguarda le dimensioni spaziali; il corpo umano, infatti, è calato in un mondo
fisico costituito da tre dimensioni, verticale, orizzontale e di profondità. legittimo,
pertanto, pensare che questi elementi, vincolando l’azione e il movimento, esercitino
un’influenza sul pensiero e sull’elaborazione mentale e un nutrito numero di ricerche ha
portato sostegno a questa tesi.
Partendo dalla percezione di oggetti concreti, alcuni studi (Borghi, Glenberg &
Kaschak, 2004; Zwaan & Yaxley, 2003) hanno dimostrato come il riconoscimento di
immagini o concetti – ad esempio, ramo e radice – appartenenti ad una stessa categoria
(albero), fosse piø veloce nel caso in cui essi fossero posti in una posizione compatibile
con la loro locazione naturale (nell’esempio, la parola “ramo” in alto e la parola
“radice” in basso).
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Se per gli oggetti concreti è intuitivo ipotizzare un collegamento col mondo
della fisicità, lo stesso non si può dire per concetti astratti come il tempo, il potere o,
addirittura, la divinità. In questo caso entriamo nel campo della filosofia e della
spiritualità, ambiti privilegiati della speculazione teorica, separati dal mondo del
divenire e dell’apparenza platonica, e storicamente alla ricerca di verità assolute e
immutabili. Anche in quest’ultimo campo d’indagine, tuttavia, le prove a favore di un
pensiero legato alle pratiche quotidiane sono numerose; il tempo sembrerebbe fluire in
direzione orizzontale, da sinistra a destra, come documentato da uno studio in cui i
partecipanti riconoscevano piø velocemente eventi del passato posti a sinistra ed eventi
del futuro posti a destra (Santiago, Lupianez, Perez, & Funes, 2007).
La direzione verticale risulta, invece, discriminante per il concetto di Dio, che
viene solitamente visto in alto (Meier, Hauser, Robinson, Kelland Friesen & Schjeldahl,
2007), e per la valenza, con i concetti positivi posti in alto – e distinti da colori chiari – e
i concetti negativi posti in basso – con colori scuri (Meier & Robinson, 2004). Anche il
potere si distribuisce verticalmente, come dimostrato dallo studio di Schubert (2005),
intitolato proprio “Your highness”, che ha messo a confronto ruoli come capo e giudice
con segretaria e accusato, ma anche animali forti (leone e lupo) contrapposti ad animali
deboli (pecora e cavallo). I risultati hanno confermato che, nella maggior parte dei casi,
i soggetti piø forti vengono rappresentati al di sopra dei soggetti meno potenti.
Le spiegazioni di questi risultati sono ancora oggetto di dibattito; è possibile che
avvenga l’attivazione di particolari reti semantiche, o, come postula la teoria della
simulazione, che i processi cognitivi richiamino le modalità percettive specifiche con
cui gli stimoli sono stati appresi. ancora possibile che le metafore linguistiche, come
“sua altezza” per riferirsi ad un regnante o “sentirsi su” per comunicare il buon umore,
influiscano sulla rappresentazione spaziale dei concetti nella mente delle persone. ,
tuttavia, evidente come queste rappresentazioni spaziali astratte siano costruite sulla
base delle strutture e relazioni fisiche esperite nella realtà concreta; ad esempio, la
struttura verticale del potere è tipica dell’organizzazione sociale gerarchica, le
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