2 
Introduzione 
 
 
<<Il tempo delle vecchie, classiche multinazionali è finito; nei prossimi anni si creeranno reti 
di alleanze, senza effetti di dominio tra i partner, con strutture di capitale incrociato e reti 
commerciali interconnesse. E’ la sola risposta al mercato globale>>. Così l’allora presidente 
della Olivetti, Carlo De Benedetti, concluse il suo intervento alla <<Convention 
informatique>> di Parigi il 15 settembre 1986, a sottolineare il valore delle nuove intese nella 
struttura dell’offerta per gli anni ’90. Oggi per la sopravvivenza di un’azienda risultano fattori 
critici, come la capacità di adattarsi rapidamente alle esigenze della domanda, di saper 
accedere in maniera rapida a nuove risorse, la necessità di muoversi su uno scenario 
mondiale, la convergenza e l’integrazione delle tecnologie
1
. 
Diversamente dagli anni ‘50/60, durante i quali la crescita era realizzata attraverso modalità 
interne, e dagli anni ’70, contraddistinti dal ricorso ad acquisizioni e fusioni, gli anni ’90 
vedono la notevole diffusione dei rapporti di collaborazione tra più aziende, quali le joint 
ventures
2
 (in seguito JVs) . In particolare, è in questi anni che tale fenomeno, di per sé non 
nuovo
3
, si è trasformato da scelta occasionale o contingente in modalità di attuazione delle 
strategie d’impresa per rispondere alle sfide provenienti dall’ambiente sempre più complesso 
e dinamico. 
L’incremento del grado di complessità e di incertezza dei sistemi economici è causato 
prevalentemente dai cambiamenti legati alla crescente globalizzazione e alle interdipendenze 
dei mercati, sia di sbocco che di approvvigionamento
4
 e dalla maggiore criticità strategica 
assunta nel confronto internazionale dalle acquisizioni di conoscenze scientifiche e 
tecnologiche. Altri due fattori di cambiamento sono il mutamento dei rapporti tra domanda e 
offerta, nella direzione di una maggiore autonomia della prima nei confronti della seconda, e 
la maggiore incidenza sul comportamento strategico delle imprese delle specificità e dei 
                                                 
1
 F. Vergnano, Le dieci barriere delle alleanze strategiche, in L’impresa, 1987, n.6. 
2
 Cfr. A.R. Janger, Organization of international joint ventures, The Conference Board, Inc., New York, 1980. 
3
 Si ricorda che le forme tipiche della cooperazione interaziendale, specie quelle degli accordi di sub-fornitura o 
contoterzismo, del licensing, dei consorzi e delle stesse JV costituiscono strumenti tradizionali da parecchi 
decenni utilizzati nell’ambito del “sistema delle imprese”. Cfr. C. Colombo, Accordi di cooperazione, 
complessità relazionale ed organizzazione degli oligopoli internazionali, in Economia e Politica Industriale, 
1989, n.64, pp. 241 e segg. 
4
 Per gli aspetti qui trattati si fa riferimento agli studi di S. Vaccà e A. Zanfei, L’impresa globale come “sistema 
aperto” a rapporti di cooperazione, in Economia e Politica Industriale, 1989, n.64, pp. 50 e segg. Noti sono 
anche i contributi di K. Ohmae, La triade del potere. Le strategie vincenti per imporsi sul mercato globale, 
Sperling and Kupfer, Milano, 1986 e di M.E. Porter, Il vantaggio competitivo, Ed. di Comunità, Milano, 1987.
3 
dinamismi dei sistemi politico-istituzionali e socio-culturali che caratterizzano i diversi 
ambienti nazionali
5
.   
Tutti questi cambiamenti hanno avuto l’effetto immediato di accentuare il carattere relazionale 
delle imprese che si sono scoperte sempre meno in grado di essere autosufficienti, cioè “di 
provvedere al loro interno ad apprestare le risorse e ad affrontare i rischi crescenti connessi 
con le esigenze della competizione globale”
6
.  
I legami tra le imprese possono assumere configurazioni diverse, alcune delle quali rientrano 
tra le relazioni tipiche necessarie all’impresa per lo svolgimento della propria attività 
produttiva, mentre altre presuppongono l’esistenza di una deliberata intesa, di una volontà 
comune diretta a raggiungere più agevolmente, mediante un’integrazione degli sforzi, 
determinati obiettivi
7
.  
La costituzione di una <<joint venture>> rientra nella seconda categoria di legami, quelli 
scientemente rivolti a perseguire un vantaggio dall’azione in comune, ad unire, cioè, le 
proprie esperienze e competenze con altre unità economiche al fine di realizzare effetti 
sinergici. La JV si configura come soluzione organizzativa intermedia che, se da un lato 
consente di sfruttare i differenziali <<vantaggi>> che le altre unità operative hanno acquisito 
sul mercato, dall’altro non priva le aziende-partner della loro individualità
8
. 
Effetto indiretto dell’accresciuta complessità ambientale è stato quello di far aumentare 
l’importanza del controllo di gestione nell’ambito dell’attività di impresa e, in particolare 
nelle JVs. In effetti, appare evidente che oggi, l'esigenza più sentita dalle imprese, è quella di 
orientare il processo di controllo non solo al passato, ma anche al futuro, cercando di 
anticipare e governare i cambiamenti dell'ambiente competitivo e, soprattutto, facendo fronte 
ai continui attacchi provenienti dalle imprese operanti nei medesimi settori, sempre pronte a 
sfidare i punti di forza e trarre vantaggio dai punti di debolezza delle proprie concorrenti.  
L’obiettivo del presente lavoro è, dunque, quello di indagare il controllo di gestione nella 
particolare formula joint venture. Occorre sottolineare che, su tale argomento, non vi sono 
                                                 
5
 Si è sottolineato, a tal proposito, il “sempre più visibile viraggio della letteratura sulla internazionalizzazione in 
direzione di una valorizzazione progressiva delle differenze ed originalità degli ambienti nazionali” da R. 
Grandinetti e E. Rullani, Internazionalizzazione e piccole imprese: elogio della varietà, in Piccola Impresa/Small 
Business, 1992, n.3, pag. 27. Sotto questo profilo, l’economia internazionale diventa l’economia delle varietà 
nazionali e da queste si alimenta. Così, M. E. Porter (Il vantaggio competitivo delle nazioni, Mondadori, Milano, 
1991) cerca di costruire una teoria dell’internazionalizzazione basata sui vantaggi competitivi derivanti dalla 
radicata presenza in specifici ambienti nazionali. 
6
 S. Vaccà e A. Zanfei, L’economia globale e i processi di internazionalizzazione: un approccio teorico, in 
Economia e Politica Industriale,1987, n.54. Cfr. G. Lorenzoni, Accordi, reti e vantaggio competitivo, Etas Libri, 
Milano, 1992.  
7
 Cfr. P. Pisoni, Gruppi aziendali e bilancio di gruppo, Giuffrè, Milano, 1983, pp. 11 e segg. 
8
 C.E. Schillaci, Profili economico-aziendali della formula joint venture, Giuffrè, Milano, 1988, pag. 4.
4 
studi da parte della letteratura economico-aziendale italiana, dunque questo lavoro è stato 
realizzato grazie ai contributi della letteratura straniera. 
 
Nel primo capitolo, si definisce il concetto di joint venture, esaminandone gli aspetti peculiari 
e le motivazioni più frequenti che inducono le imprese ad adottare tale formula. Per quanto 
riguarda le diverse tipologie di JVs, si considera la prospettiva dei contributi dei partner 
genitori di Kamminga e Van der Meer-Kooistra
9
, che riprende la classificazione di Killing 
basata sul ruolo del partner genitore nel processo decisionale dell’impresa congiunta e che 
distingue quattro tipi di JVs.  
Il secondo capitolo si occupa, inizialmente, di spiegare cosa si intende in letteratura per 
controllo di gestione; successivamente, vengono esaminati i livelli, le variabili e le dimensioni 
del controllo manageriale nelle JVs.  
Si considera anche un’altra prospettiva di Kamminga e Van der Meer-Kooistra, quella delle 
caratteristiche relazionali e della transazione, che permette di distinguere tre tipi di JV, al 
fine di comprendere la relazione che lega le dimensioni del controllo, le caratteristiche della 
JV e il contesto ambientale in cui essa opera.  
Infine, vengono esaminate le specificità del controllo manageriale secondo quest’ultima 
prospettiva e secondo la prospettiva dei contributi dei partner genitori. 
Nel terzo ed ultimo capitolo, vengono descritti alcuni casi studio condotti dagli stessi autori, 
che hanno consentito di verificare se i modelli di controllo manageriale delle JVs da loro 
teorizzati sono applicabili alle realtà aziendali.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
9
 Pieter Kamminga è professore di Management Accounting nella facoltà di Management and Organization 
dell’Università di Groningen. Jeltje Van der Meer-Kooistra è professoressa di Financial Management presso la 
stessa università.
5 
CAPITOLO I – LA FORMULA JOINT VENTURE 
 
1. La formula joint venture: definizione e caratteristiche 
 
Originariamente, il termine <<joint-adventure>>, coniato dalla pratica statunitense, si riferiva 
ad iniziative di tipo speculativo, con alto grado di <<rischiosità>>, che due o più partner 
decidevano di intraprendere insieme, al fine di ripartirne gli eventuali rischi di insuccesso.  
Con il passare del tempo, il fenomeno si è liberato dalla coloritura di tipo speculativo per 
identificarsi sempre di più in una forma di legame tra imprese, con lo scopo di organizzare 
un’attività in comune. 
Al di là del contributo giuridico, che solo in minima parte aiuta a circoscrivere il fenomeno e 
ad individuarne alcuni connotati tipici
10
, la formula joint-venture risulta difficilmente 
definibile in modo univoco e si presta a molteplici interpretazioni, dato che può assumere 
innumerevoli sfumature. 
In termini generali, Friedmann e Kalmanoff intendono per JV le <<forme di associazioni tra 
aziende, che implicano una collaborazione per un periodo di tempo illimitato>>
11
. Pertanto, la 
JV sarebbe caratterizzata dalla volontà associativa dei vari partner  non limitata nel tempo
12
. 
Accanto all’aspetto associativo, si può sottolineare la rilevanza della comunione di interessi 
tra i partner, che implica l’opportunità di conseguirli in modo congiunto e non la loro 
uguaglianza
13
. 
Altro aspetto da mettere in evidenza è l’integrazione delle risorse tra i partecipanti, che si 
giustificherebbe solo quando <<… tutti i partner traggono beneficio dall’associazione delle 
rispettive risorse tecniche, finanziarie e di altro tipo>>
14
, combinando così capacità e 
conoscenze che rafforzano l’organismo comune. 
                                                 
10
 La figura giuridica della JV è stata creata dal diritto statunitense per distinguerla dalla <<partnership>>, da cui 
si differenziava in relazione alla peculiarità dell’oggetto da perseguire con la <<venture>> in comune e alla 
natura dei partecipanti all’accordo, non persone fisiche, ma corporations. Nata in origine come relazione 
contrattuale diretta a perseguire uno scopo comune, la JV ha assunto nel tempo importanza sempre maggiore, 
fino a dare vita ad un nuovo istituto, la <<joint venture corporation>>, la quale rispetto alla formula contrattuale 
(contractual joint venture), consentiva di limitare la responsabilità per lo sfruttamento dei mercati interni ed 
internazionali. Cfr. su questi temi D. Bonvicini, Le joint venture, tecnica giuridica e prassi societaria, Giuffrè, 
Milano, 1977 e A. Astolfi, Il contratto di joint venture, Giuffrè, Milano, 1981. 
11
 W. Friedman  and G. Kalmanoff, Joint international Business Ventures, New York, Columbia University 
Press, 1961, pag. 5. 
12
 A mio parere l’aspetto temporale non è di eccessiva importanza nella qualificazione di joint-venture, perché 
queste possono anche essere create per lo svolgimento di ben definite operazioni, aventi una durata che non va 
oltre il breve periodo. Anzi, è proprio il carattere di temporaneità che distingue le iniziative di joint-venture da 
altre forme di collaborazione interaziendale. 
13
 Cfr. G. Pellicelli, Le strategie di controllo del capitale nelle imprese multinazionali, in Scritti in onore di 
Giorgio Pivato, 1990, vol. II.  
14
 Cfr. S. Sciarelli, L’impresa multinazionale, Giannini, Napoli, 1973, pag. 94.
6 
Il mantenimento dell’autonomia operativa e giuridica da parte dei co-ventures rappresenta 
un’altra particolarità dello strumento
15
. Le imprese partecipanti all’accordo hanno infatti la 
possibilità di seguire l’iniziativa in comune, pur mantenendo la propria libertà di azione 
nell’ambito dell’attività originaria. 
A tal proposito, occorre sottolineare il carattere complementare dell’attività rispetto a quella 
prevalente, o originaria, dei partecipanti, definendo così la JV come << singola intrapresa, od 
una serie di intraprese, che non richiede l’intera attenzione dei partecipanti >>
16
. 
Al contempo, l’aspetto compartecipativo al capitale di rischio la distingue notevolmente dalle 
altre formule associative. La JV può essere, pertanto, qualificata come società, il cui capitale è 
rappresentato da una suddivisione in quote di controllo detenute dalle diverse imprese-
partner
17
. 
Queste partecipano all’accordo attraverso la proprietà di quote azionarie, rappresentative del 
tipo di apporto, non solo finanziario, ma anche tecnico, manageriale, commerciale, 
conoscitivo e politico che conferiscono alla venture in comune. 
In base al ruolo rivestito dai partner, la JV è definibile come società i cui partecipanti di 
norma intervengono tutti nella definizione delle linee strategiche della venture in comune, 
anche se non in quelle operative
18
. In tal senso, non rientrerebbero nel novero delle JV gli 
investimenti aventi soltanto finalità speculative, cioè nel caso in cui gli investitori si 
limitassero al semplice investimento di capitali
19
. 
Questo non significa, tuttavia, che non possano essere create JV nelle quali un partner sia 
dominante rispetto agli altri.  In questo caso le imprese non-dominanti rimangono comunque 
interessate in modo attivo all’iniziativa, sia attraverso la partecipazione alle delibere più 
significative per l’azienda, che mediante varie forme di controllo. 
Mettendo in evidenza ancora una volta lo spirito partecipativo della formula si può definire la 
JV come un accordo tra due o più parti per dividere le spese, i profitti e le perdite derivanti 
dall’esercizio di un’attività economica in comune. Quindi, le imprese che partecipano al 
progetto collaborativo sono d’accordo nel ripartire equamente i costi e i risultati 
dell’iniziativa, in base alla natura e alla qualità dei rispettivi apporti. 
                                                 
15
 In questo senso, Astolfi afferma che: << La joint-venture è creata per soddisfare l’esigenza di più imprese al 
perseguimento di un risultato economico, integrando le risorse a disposizione, ma mantenendo la propria 
autonomia operativa e giuridica >>, Cfr. A. Astolfi, Il contratto di joint venture, opera già citata, pag. 38. 
16
 Cfr. Crane, Handbook of the Law of Partnership and other unicorporated Associtions, 1938, pag. 120. 
17
 S.V. Berg, P. Friedman and J. Duncan, Joint Venture strategies and corporated Innovation, Oelgeshlager, 
Gum & Hain Publishers, 1982, pag. 3. 
18
 G.R. Young and S. Bradford Jr., Joint Ventures: planning & action, Financial Executives Research 
Foundation, New York, 1977, pag. 12.  
19
 K.R. Harrigan, Managing for joint venture success, Lexington Books, Lexington Mass., 1986, pag. 3.
7 
Secondo un’ottica che privilegia l’aspetto geografico, la JV viene vista come strumento per 
consentire un’azione di sviluppo dell’impresa-madre al di fuori del territorio nazionale. 
Questa interpretazione sembra limitata perché circoscrive il fenomeno solo agli accordi tra 
imprese aventi nazionalità differente, ma recupera uno dei principali motivi che spingono alla 
costituzione di JV. 
Un contributo molto interessante per la definizione dei connotati tipici della joint-venture è 
stato fornito da Janger
20
. Lo studioso individua tre elementi fondamentali che valgono a 
caratterizzarla, e cioè: 
a) l’esplicita intenzione dei partner di essere coinvolti nel management dell’impresa in 
comune; 
b) il fatto che essi siano entità giuridiche e non persone fisiche; 
c) ogni impresa-partner detiene la posizione di azionista. 
 
a) Il primo elemento permette di distinguere la JV dalle altre formule di collegamento 
interaziendale, dato che tutti i partner possono partecipare alle decisioni sullo sviluppo e 
sull’attività dell’impresa in comune.  
b)  La seconda caratteristica riguarda la natura dei partner, che non sono persone fisiche, ma 
entità giuridiche. Tra le JV non rientrerebbero gli accordi di collaborazione stipulati tra 
individui, ma soltanto i rapporti associativi tra enti distinti dalle persone fisiche (associazioni, 
società, corporazioni, Governi, ecc.). A tal proposito, negli Stati Uniti, Canada, Europa 
occidentale e Giappone, i partecipanti sono usualmente, anche se non sempre, enti giuridici 
privati. Nei Paesi ad economia collettivista, il partner è molto spesso un ufficio o un 
distaccamento del Governo centrale. Infine, nei Paesi in via di sviluppo, i partner locali 
potrebbero essere imprese pubbliche, o, come in Brasile, agenzie di governo per lo sviluppo 
economico. 
c)  L’ultimo attributo prevede una <<equity position>>, ossia che ogni partner sia proprietario 
di una quota del capitale di rischio proporzionale al valore dei contributi apportati. 
Solitamente, la <<equity position>> definisce la forza contrattuale e manageriale dei 
partecipanti all’accordo, ma è possibile riscontrare posizioni di minoranza a cui 
corrispondono poteri di conduzione e gestione dell’impresa in comune. 
Il management della JV, quindi, non sempre è l’espressione della ripartizione delle quote di 
capitale di rischio dell’impresa. L’entità della partecipazione azionaria, inoltre, è subordinata 
                                                 
20
 Cfr. A. R. Janger, Organization of International Joint-ventures, opera già citata, pag. 4.
8 
alle condizioni contrattuali e agli accordi (agreements) stipulati tra i partner, i quali hanno un 
ruolo fondamentale nella definizione delle linee di funzionamento dell’impresa in comune. 
In sintesi, facendo una ricostruzione dei diversi caratteri menzionati, si possono individuare i 
seguenti elementi, tipici della JV: 
- volontà associativa dei partner; 
- comunanza di interessi; 
- integrazione delle risorse;  
- autonomia operativa e giuridica dei co-ventures; 
- complementarietà dell’iniziativa rispetto all’attività originaria dei partner; 
- ripartizione del capitale sociale in quote detenute dalle imprese partecipanti;  
- partecipazione attiva dei partner; 
- suddivisione delle spese, dei profitti e delle perdite derivanti dall’azione comune.  
 
Inoltre, per completare la definizione di JV si possono citare alcune caratteristiche proprie 
delle JV, quali: l’eterogeneità, la flessibilità (adattabilità ed elasticità), la velocità di reazione, 
l’instabilità. 
- Il primo attributo riguarda le diverse fattispecie, modalità e forme attraverso cui si 
manifestano le JV. Le imprese, infatti, le utilizzano in differenti situazioni e per raggiungere 
gli obiettivi più disparati.  
- La flessibilità è una conseguenza, ma anche un presupposto, del carattere precedente. Si 
tratta della capacità della formula di adeguarsi rapidamente alle mutevoli condizioni che ne 
caratterizzano la stipulazione, cioè l’estrema duttilità della JV. Negli ultimi anni, caratterizzati 
da frequenti e radicali cambiamenti ambientali, anche grazie a questa caratteristica è 
aumentato l’utilizzo delle JV da parte delle imprese. 
In particolare, la JV sarà interessante per le aziende che operano in settori molto dinamici, 
dove per sopravvivere occorre capacità di adattamento ed elasticità, ovvero saper rispondere e 
reagire a richieste di cambiamento. 
- Un altro attributo è la velocità di reazione. La JV, infatti, viene preferita ad altre formule per 
le sue caratteristiche operative che permettono di ridurre notevolmente i tempi necessari al 
perseguimento di particolari obiettivi.