Introduzione
Questo lavoro si propone di analizzare, attraverso le esperienze di Tiziano Terzani e
Oriana Fallaci, il delicato e complesso rapporto tra mass-media e conflitti dalla
Guerra Fredda sino all’11 settembre 2001 e alla successiva operazione “Enduring
Freedom” (libertà duratura), promossa da una coalizione internazionale guidata
dagli Stati Uniti del Presidente George W. Bush contro l’Afghanistan e il regime dei
talebani.
Il rapporto fra informazione e conoscenza degli eventi bellici emerge come una delle
questioni centrali dell’età contemporanea sin dall’Ottocento in concomitanza con la
diffusione dei giornali e le prime corrispondenze dei pionieri dell’informazione di
guerra. È il Novecento, comunque, il secolo che vede l’esplosione della
comunicazione e del racconto dei conflitti armati. Soprattutto a partire dall’ingresso
nel campo dei mass-media di nuovi mezzi come la televisione e l’informatica la
fruizione delle notizie da parte dei lettori e dei telespettatori è diventata più veloce e
multimediale, incrementando il flusso informativo sino a portare, per usare le parole
degli esperti del campo della comunicazione, la guerra “in casa”. La prospettiva di
un’informazione sempre più moderna non si è accompagnata però ad una
conseguente oggettività della cronaca; la trasmissione di notizie relative ai conflitti
si è prestata, infatti, con la singolare eccezione del caso della guerra in Vietnam, ad
essere sempre più controllata e “confezionata”. In questo quadro di giornalismo non
sempre all’altezza dei suoi doveri deontologici e troppo spesso poco indipendente
rispetto alle censure dei governi e delle gerarchie militari, non sono mancate tuttavia
personalità di spicco che, grazie alle loro preziose testimonianze, hanno consentito di
presentare interessanti punti di vista che hanno sollevato importanti dibattiti. Oriana
Fallaci e Tiziano Terzani, pur nella diversità di approccio e visione che avrebbero
dimostrato specie dopo i tragici attentati contro il World Trade Center, rappresentano
da questo punta di vista due esempi assai stimolanti che vengono analizzati, nel
presente lavoro, in relazione alla loro produzione letteraria e giornalistica con
particolare riferimento alla comune e preziosa testimonianza sulla guerra del
I
Vietnam e alla loro partecipazione al dibattito sulla “Guerra al Terrore” iniziata nel
2001.
Il primo capitolo della tesi si propone di rivisitare la storia del rapporto fra guerra e
giornalismo concentrandosi in particolare sul periodo 1945-2002. La Guerra Fredda
ha rappresentato un periodo centrale nella storia contemporanea ma ha aperto
soprattutto nuove prospettive nella relazione con il mondo dell’informazione, grazie
all’ingresso di nuovi media come la televisione che hanno raccontato in presa diretta
eventi che prima non potevano essere visti se non in fotografia dopo diversi giorni.
Fotografi e giornalisti presenti sui fronti delle tante guerre periferiche che hanno
costellato la contrapposizione fra Usa e Urss hanno lasciato preziose testimonianze
che hanno consentito agli storici di poter utilizzare una pluralità di fonti prima
sconosciute capaci di illuminare aspetti altrimenti poco visibili. Nel caso della guerra
in Vietnam il ruolo dei reporter di guerra è stato inoltre decisivo nel sensibilizzare
l’opinione pubblica contro il conflitto e nel condizionare la scelta
dell’amministrazione americana verso il raggiungimento della pace.
È stata però la televisione a spostare l’informazione ad un livello di
spettacolarizzazione tale da modificare profondamente il linguaggio giornalistico,
facendo diventare una notizia prima “visibile” che “credibile”. Dopo il crollo del
Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda il potere dei grandi network televisivi è
cresciuto ad un livello tale da condizionare pesantemente la stessa percezione degli
eventi bellici, con quello che viene riconosciuto oramai da tutti gli studiosi più
importanti del mondo della comunicazione come un impoverimento graduale della
qualità informativa sempre più legata al new management, ovvero a quella strategia
di condizionamento diretto da parte di addetti stampa militari e consiglieri politici
che forniscono direttamente le notizie o organizzano le missioni dei cosiddetti
giornalisti “embedded”, ovvero “intruppati” nelle file degli eserciti in guerra.
Nascono in questo contesto nuove parole, nuovi modi di dire per nascondere gli
aspetti più drammatici degli eventi bellici. Il giornalismo del nuovo millennio non
parla di civili morti ma di “danni collaterali ”, sotto cui vengono derubricati anche
tutti i morti presenti e futuri vittime delle sostanze cancerogene derivanti dal
cosidetto “uranio impoverito”.
Il secondo capitolo della tesi si propone di offrire le biografie parallele di Tiziano
Terzani e Oriana Fallaci, ricostruendone la vita ma soprattutto la mission
giornalistica di grandi inviati sul fronte di guerra. Un’esperienza, quest’ultima, dalla
II
quale avrebbero maturato un personale visione delle relazioni internazionali e delle
motivazioni geopolitiche dei governi che si sarebbe rivelata apertamente dopo l’11
settembre 2001, seppur in maniera radicalmente opposta
Il terzo e ultimo capitolo della tesi approfondisce proprio il rapporto dei due grandi
giornalisti rispetto a due conflitti periodizzanti come quello vietnamita e afgano.
Attraverso l’analisi di alcuni dei loro articoli e libri più significativi, alcuni dei quali
riportati in appendice, si è tentato di ricostruire il percorso di entrambi come
emblematico del rapporto fra giornalismo e guerra. Se infatti in relazione al conflitto
nel sud-est asiatico il loro atteggiamento fu sostanzialmente simile nella critica
rispetto all’azione americana, essendo accomunato anche dalla denuncia delle
atrocità commesse nella campagna militare vietnamita, un approccio assai diverso
verrà espresso in occasione degli attentati alle Twin Towers di New York.
Mentre la Fallaci esprimerà tutto il suo rancore nei confronti dell’Islam, denunciando
il pericolo del collasso della civiltà occidentale di fronte alla pericolosità del
terrorismo islamico, Terzani proporrà una visione estremamente pacifista e tollerante
avente come obiettivo quello di favorire un recupero del dialogo e una messa in
discussione degli assetti internazionali basati sulla logica della contrapposizione e
della guerra.
La scomparsa di entrambi a causa di un male incurabile, malattia vissuta da entrambi
in maniera estremamente dignitosa, avrebbe privato il dibattito culturale italiano di
due voci sicuramente importanti quanto diverse tra loro ma che hanno avuto il merito
di far proseguire il dibattito su alcune delle questioni fondamentali del mondo del
XXI secolo come quelle relative agli assetti della globalizzazione e all’influenza
esercitata da nuove nazioni, o ancora il confronto fra le religioni.
Il richiamo continuo alle riflessioni di Tiziano Terzani e l’interesse per i suoi libri
1
,
continuamente ristampati, ne hanno fatto un punto di riferimento per il movimento
pacifista mondiale. Il suo nome, ad esempio, è stato riproposto nei commenti
successivi all’importante discorso pronunciato a il Cairo nel giugno 2009 dal
presidente statunitense Barack Obama, durante il quale è stata posta con forza la
1
Proprio recentemente sono iniziate le riprese di un film a lui dedicato tratto dal libro “La fine è il mio
inizio”. Nella pellicola, diretta dal regista tedesco Jo Baier, Tiziano è interpretato dall’attore Bruno
Ganz mentre il figlio Folco è Elio Germano. Le recenti alluvioni del mese di dicembre 2009 hanno tra
l’altro messo in pericolo l’ultimo rifugio dello scrittore ad Orsigna, in provincia di Pistoia; in
proposito si veda l’articolo di M. Gasperetti, Una frana minaccia l'Orsigna, ultimo rifugio di Terzani,
in «Il Corriere della Sera», 12 gennaio 2010.
III
necessità dell’apertura di una nuova stagione di dialogo fra gli Stati Uniti e i
musulmani nel mondo dopo gli otto anni di George W. Bush
2
.
La stessa Fallaci continua ancora a comparire sulle prime pagine dei giornali
nazionali come sul quotidiano “Il Giornale” del 31 dicembre 2009
3
. In quella data il
direttore Vittorio Feltri, suo mai nascosto sostenitore e ammiratore, ha pubblicato
infatti una prima pagina con un titolo a nove colonne, “Si va alla guerra”,
accompagnato da una foto in primissimo piano proprio di Oriana Fallaci, in
occasione della ventilata possibilità di un attacco militare americano contro lo Yemen
dopo un fallito attentato di un membro di Al Qaeda su un volo di linea diretto negli
Stati Uniti. Un segnale che dimostra come all’autrice di “La rabbia e l’orgoglio” sia
ancora riconosciuto da diverse parti il merito di aver saputo giudicare in anticipo sui
tempi la pericolosità del terrorismo islamico all’interno dello schema dello scontro di
civiltà.
2
Obama all'Islam: "Cerchiamo un nuovo inizio Sospetti e discordie devono finire", in «La
Repubblica», 4 giugno 2009.
3
V . Feltri, Si va alla guerra, «Il Giornale», 31 dicembre 2009.
IV
Capitolo 1
Il giornalismo di guerra in età contemporanea fra
tradizione e innovazione
1.1 Il mestiere del reporter dalla guerra di Crimea alla Seconda Guerra
Mondiale
Individuare con precisione il momento esatto della nascita del giornalismo di guerra
in epoca contemporanea è un compito non facile e che entra in relazione diretta con
l’evoluzione dei contesti bellici tra Ottocento e Novecento.
I profondi cambiamenti sul piano geopolitico e socioeconomico hanno
inevitabilmente riguardato anche il progresso dei sistemi dei mass media, peraltro
soggetti ad evoluzioni spesso radicali ed accelerate che non hanno mancato di
influenzare a loro volta, come negli ultimi due decenni con l’avvento di Internet, lo
stesso contesto storico generale. Come ha scritto Noam Chomsky:
I mass media come sistema assolvono la funzione di comunicare messaggi e simboli alla
popolazione. Il loro compito è di divertire, intrattenere e informare, ma nel contempo di
inculcare negli individui valori, credenze e codici di comportamento atti a integrarli nelle
strutture istituzionali della società di cui fanno parte
1
.
È comunque possibile individuare nel conflitto di Crimea del 1854 il primo evento
bellico che sarebbe stato accompagnato da una narrazione giornalistica di alto livello.
La figura dell’inviato che raccoglieva informazioni imparziali era infatti
praticamente sconosciuta sino a quell’anno. Prima di tale data la stampa era solita,
infatti, riprendere le notizie dalle testate locali o pagare alcuni ufficiali dell’esercito
per scrivere ed inviare agli editori lettere dal fronte. Questo si verificò con una certa
rilevanza già durante le campagne napoleoniche in Italia, ma naturalmente non si può
parlare, in questo caso, di un vero e proprio giornalismo di guerra. I giornali di
questo periodo erano, infatti, più organi di comunicazione politica intesi a favorire
una fazione o l’altra, piuttosto che strumenti di informazione vera e propria; scrivere
1
N. Chomsky, S. Herman Edward, La fabbrica del consenso. Ovvero la politica dei mass media, Il
Saggiatore Tascabili, Milano 2008.
1
di una guerra sui giornali era un compito relegato spesso a ufficiali e generali che
avevano preso parte direttamente alle battaglie. Esisteva già allora, comunque, un
rapporto stretto tra stampa e creazione del consenso: lo stesso Napoleone Bonaparte
fu molto attento a questo aspetto, tanto da dimostrare particolare premura nel
promuovere la sua fama attraverso i giornali, anche con suoi interventi diretti che
rivelavano un certo gusto da cronista
2
. La creazione di diversi “giornali” personali da
parte di Napoleone durante le sue campagne dimostra la sua volontà di mantenere
alto il morale delle truppe ma anche di informare l’opinione pubblica generale
sull’esito trionfale delle proprie imprese in un’ottica che tutto era fuorché oggettiva.
Giova ricordare, tuttavia, come l’elemento essenziale del giornalismo dell’Ottocento,
almeno sino agli anni Settanta e Ottanta di quel secolo, fu sicuramente quello di
campo di confronto fra opinioni avente come destinatari soprattutto i ceti colti.
Un’accezione soprattutto politica, anche se in un contesto che stava manifestando
grandi innovazioni sul piano economico-industriale e tecnologico
3
.
Tornando alla Guerra di Crimea, si può individuare in William Russell, un giornalista
nato a Dublino nel 1820 e scelto nel 1854 dal direttore del “Times” di Londra per
seguire il corpo di spedizione inglese in partenza per la penisola russa, il primo vero
corrispondente di guerra di tutti i tempi. Il rilievo straordinario dei servizi di Russell
era dato anche dal fatto che era l’unico giornalista della scena in un’epoca dove le
comunicazioni erano ancora molto difficili e non esisteva collegamento telegrafico. I
suoi articoli erano ricchi di termini scientifici ma anche di ampie descrizioni
d’ambiente dove emergeva anche la ricerca di una certa eleganza letteraria. I suoi
articoli, apprezzabili per la coraggiosa obiettività che gli procurarono le antipatie
dell’esercito inglese, misero in evidenza le carenze logistiche degli equipaggiamenti
e delle forniture, oltre agli errori nella direzione delle operazioni belliche da parte dei
generali. L’aspirazione ad un’informazione obiettiva fece di Russell un giornalista
originale ma soprattutto in quel momento “scomodo” per il potere costituito. Russell
aveva inventato un mestiere che, come evidenzia Mimmo Candito, sarebbe rimasto
immutato, almeno nelle sue linee generali, per 150 anni
4
. L’interesse dell’inviato
inglese era rivolto anche alle condizioni quotidiane dei soldati, con particolare
attenzione al settore della sanità e dell’igiene, che all’inizio gli inglesi trascurarono
gravemente, tanto da far esplodere una micidiale epidemia di colera. Il direttore Jonh
2
Cfr. O. Bergamini, La democrazia della stampa. Storia del giornalismo, Laterza, Roma-Bari, 2006,
pp. 69-73.
3
Ivi, pag. 74-75.
4
M. Candito, I Reporter di Guerra, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2002, pag. 14.
2
Delane non pubblicò gli articoli di Russell nella sua interezza poiché mantenne
riservate alcune parti facendole girare solo in ambienti ristretti; il governo inglese
tentò di bilanciarne i resoconti affiancandogli un pittore fallito di nome Roger Fenton
in qualità di fotografo. Quest’ultimo doveva avere il compito di ritrarre i soldati
inglesi in situazioni di svago e convivialità per dare ovviamente un’immagine
positiva della realtà. Le immagini non rendono giustizia all’intensità dei
combattimenti a causa del lungo tempo di esposizione necessario per impressionare
le pellicole in nitrato d’argento; così si fotografavano solo oggetti immobili come
fortificazioni, guarnigioni, guardie o cadaveri, omettendo il movimento dalla
rappresentazione
5
. La forza dei pezzi di Russell fu tuttavia tale da provocare la
caduta del governo di Lord Aberdeen nel 1855, sostituito da uno guidato da Lord
Palmerston.
Gli ultimi decenni dell’Ottocento sono da considerarsi un periodo di grandi
trasformazioni e cambiamenti da cui hanno avuto origine le caratteristiche della
società moderne. Naturalmente gli effetti si videro copiosi anche nella produzione
giornalistica, a partire proprio dall’informazione di guerra che in cinquant’anni era
cambiata in maniera sostanziale e questo perché anche gli stessi conflitti avevano
subito un mutamento radicale in relazione alle modificazioni avvenute negli scenari
politici mondiali. La società di massa, l’industrializzazione e l’avvento di nuove
tecnologie di comunicazione avevano aperto scenari molto più ampi e lo stesso
giornalismo si era adeguato velocemente.
L’industrializzazione e l’avvento di nuove tecnologie di comunicazione avevano
aperto scenari molto più ampi e lo stesso giornalismo si era adeguato velocemente.
L’invenzione della linotype e della macchina rotativa permisero di stampare
velocemente e questo grazie anche alla disponibilità della carta a basso costo
6
. La
creazione di un pubblico sufficientemente ampio per la stampa fu agevolato anche da
un crescente, seppur contraddittorio, processo di alfabetizzazione, mentre la libertà di
espressione avrebbe avuto un processo più lento.
Le trasformazioni tecnologiche e industriali di fine Ottocento avevano inaugurato un
nuovo tipo di conflitto bellico che non riguardava più soltanto i soldati di professione
ma i cittadini mobilitati dalle loro nazioni su una dimensione di massa. Il Novecento,
l’età dei due grandi conflitti mondiali, avrebbe invece alimentato una dimensione
planetaria dei conflitti che sarebbe andata di pari passo con la rivoluzione dei sistemi
5
M. Torrealta (a cura di), Guerra e Informazione, Sperling Paperback, Milano 2005, pag. 2.
6
Ivi, pag. 3.
3
di comunicazione e di informazione, in un lungo viaggio ancora in corso nel XXI
secolo. Come ha scritto Enrico De Angelis
si viene a creare un legame inestricabile: se si esclude la stampa, gli altri mass media
nascono tutti da necessità e tecnologie legate direttamente alla guerra. La radio viene
sviluppata e applicata per le comunicazioni militari, prima di diventare un mezzo di
comunicazione di massa. La televisione ha origine dalla tecnologia del radar. Internet
deriva da un progetto del dipartimento della Difesa statunitense per la sopravvivenza delle
comunicazioni in caso di attacco nucleare
7
.
Gli editori dei giornali si resero conto che la guerra era un argomento utile per
l’incremento delle vendite e la figura del “grande inviato” s’imponeva negli scenari
bellici come l’intrepido e instancabile uomo che rischiava la vita per essere testimone
di rischiosi combattimenti. La Prima guerra mondiale, da questo punto di vista,
rappresentò un momento cruciale di svolta
8
. Benché il ruolo del giornalista avesse
acquisito sempre maggior autocoscienza di sè, la copertura informativa del primo
conflitto mondiale si rivelò però una delle pagine più nere del giornalismo di guerra.
Il potere politico impedì una libertà d’espressione dei mass media attraverso un
rigido sistema di censura che ha fatto definire il periodo della Grande Guerra come
quello più “vergognoso” per quanto riguarda il rapporto fra informazione e evento
bellico
9
. Fu infatti la censura la vera protagonista di questo momento storico,
talmente presente in tutte le nazioni che si arrivò addirittura a non far intervenire più
gli uffici militari poiché erano gli stessi reporter ad esercitare un’autocensura
preventiva.
Solo più tardi l’avvento e la diffusione su scala globale di un mezzo potente come
quello radiofonico modificarono profondamente il rapporto tra politica e
giornalismo, determinando un interesse diretto dello Stato nella gestione dei canali di
informazione, ad eccezione degli Stati Uniti dove si sarebbero organizzati tre grandi
network privati : NBC, CBS e ABC.
Ma all’interno dei regimi democratici paesi come Francia, Inghilterra e Stati Uniti ci
furono delle grosse differenze che sono importanti da evidenziare per comprenderne
le caratteristiche. La Francia per esempio adottò una censura sui media in contrasto
7
E. De Angelis, Guerra e Mass Media, Carocci, Roma 2007, pag. 13.
8
O. Bergamini, La democrazia della stampa, cit., pp. 213-217.
9
O. Bergamini, Specchi di guerra. Giornalismo e conflitti armati da Napoleone a oggi, Laterza,
Roma-Bari 2009.
4
allo spirito democratico poiché la guerra era vista come uno stato d’eccezione che
permetteva al governo di mettere tra parentesi alcune libertà democratiche. L’unica
lettura autorizzata era quella che presentava la guerra in una dimensione guarda caso
vittoriosa. Fu in questo periodo che nacque in Francia Le Canard enchainè, giornale
di controinformazione contro l’informazione ufficiale.
Gli Stati Uniti quando entrarono in guerra nel 1917, ebbero un modo di raccontare il
conflitto abbastanza libero, anche se anche qui l’informazione principale dal fronte
fu rigidamente regolata e filtrata (venne introdotto, ad esempio, un provvedimento, il
Sediction Act, che prevedendo l’istituzione di reati come il vilipendio alla nazione era
sicuramente destinato a creare problemi alla libera circolazione delle notizie)
10
. Sul
fronte furono inviati corrispondenti del calibro di Ernest Hemingway per conto del
giornale Toronto Star mentre il grande romanziere John Dos Passos, futuro
giornalista anche durante la Seconda Guerra Mondiale, descrisse ai lettori americani
l’uso del gas, la vita in trincea, i pidocchi, le malattie, gli orrori delle battaglie. Vi
erano quindi due modi di raccontare la stessa guerra, quella francese e inglese
vittima della censura mentre la concezione americana offre una visione molto più
libera, poiché il giornalista statunitense era protetto dal primo emendamento della
Costituzione che, in un certo senso, lo obbligava a tenere informati i lettori.
11
In tutti i
paesi, comunque, venne portata avanti l’idea di uno scontro difensivo che vedeva
immolarsi le giovani generazioni e di cui non si potevano raccontare le pagine più
oscure e drammatiche: la stampa, che oramai aveva legami ben stretti con i gruppi
industriali ed economici, non poteva rimanere immune da questi condizionamenti.
Resta il fatto che “la prima vittima della guerra” fu sicuramente l’informazione
perché, a differenza di quanto era accaduto durante la Guerra Civile Americana,
vennero utilizzate come mai era successo prima censura e propaganda. Quest’ultima,
comunque, non venne sfruttata in tutte le sue potenzialità durante la Grande Guerra.
La radio, subito dopo il conflitto del ’14-’18, divenne un potentissimo concorrente
della stampa periodica acquisendo poi un ruolo strategico nei regimi totalitari nel
determinare il consenso e l’educazione del popolo: il mezzo radiofonico, con la sua
efficace capacità di parlare simultaneamente a milioni di individui, fu da subito al
centro del circuito informativo. Ad esempio nella Germania hitleriana venne fondato
già nel 1933 il ministero per la “Chiarezza pubblica e la Propaganda” guidato con
cura maniacale da Goebbels, agevolato anche dal fatto che da subito Hitler aveva
10
O. Bergamini, La democrazia della stampa, cit., pp. 216-217.
11
M. Torrealta (a cura di), Guerra e Informazione, cit., pp. 5-7.
5