Presentazione
Quando incontrai una bambina affetta da Disturbo da Deficit
dell’attenzione con iperattività (ADHD) nacquero, nella mia mente,
una serie di domande; ignoravo le ragioni per cui quella bambina non
controllasse il proprio corpo, utilizzasse un vocabolario inappropriato
e non rispettasse le regole nei giochi o nelle attività. Mi stupiva il
senso di irrequietezza, ansia e rabbia che manifestava verso il mondo
esterno.
Grazie al percorso di studi ho potuto comprendere la patologia
poc’anzi citata e, attraverso un approccio multimodale (basato sulla
terapia neuro psicomotoria e sulla terapia a mediazione corporea)
realizzare un progetto terapeutico che offra l’opportunità, ai bambini
affetti da questa patologia, di adeguarsi autonomamente alla realtà
quotidiana che li circonda.
Sono evidenziate le caratteristiche peculiari del Disturbo da deficit
dell’attenzione con iperattività, viene condotta un’indagine sotto il
profilo anatomo fisiologico (lobi frontali e funzioni esecutive) e
vengono valutate le tecniche consigliate per un approccio
multimodale.
In seguito, viene illustrato il legame esistente tra la mente e il corpo e
l’evoluzione dello schema corporeo nel bambino (è dimostrato, infatti,
che l’integrazione del corpo e della mente in un'unica categoria può
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condurre il bambino ad una crescita armonica e alla conoscenza di se
stesso).
Il fine dell’iter poc’anzi descritto è l’applicazione di tali teorie sul
caso clinico di Alessandro, un bambino di sette anni a cui è stata
formulata la diagnosi di Disturbo da deficit dell’attenzione con
iperattività.
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Primo Capitolo
DISTURBO DA DEFICIT DELL’ATTENZIONE CON
IPERATTIVITA’ (ADHD)
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1.1 Storia del disturbo
I primi studi sulla Sindrome di iperattività risalgono al 1902, quando il
pediatra e professore inglese George Frederic Still illustra, sulla
rivista medica Lancet, alcune osservazioni su un gruppo di bambini
con problemi comportamentali definendoli bambini aggressivi,
inattenti e con un’eccessiva vivacità, attribuendo al disturbo
un’origine organica con nessuna influenza ambientale.
Nel 1917-1918 un’epidemia di encefalite, in America, diede la
possibilità a numerosi clinici di studiare alcuni bambini che, affetti da
tale patologia, mostravano sequele comportamentali e cognitive simili
a quelle rinvenute nei bambini con iperattività descritti da Still.
Dagli anni venti alcuni studi in materia (Shirley nel 1939; Byers &
Lord nel 1943; Meyers & Byers nel 1952), permisero di riconoscere
l’interazione tra fattori organici e fattori ambientali come possibile
eziologia dell’iperattività, comprovando che i bambini manifestanti
comportamenti impulsivi e iperattivi, erano affetti da una disfunzione
cerebrale minima causata da intossicazione da piombo, traumi
perinatali o infezioni cerebrali.
Nel 1952 comparve la prima edizione del Manuale Diagnostico e
Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-I) pubblicato dall’Associazione
degli Psichiatri Americani (APA) e nel 1968, nella seconda edizione
del manuale, si fece menzione del disturbo con l’etichetta diagnostica
Reazione Ipercinetica del Bambino; la scelta di questo termine
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enfatizzava l’importanza dell’aspetto motorio a scapito di quello
cognitivo.
Nel 1980, con la terza edizione del DSM, si incluse un sistema
diagnostico orientato in senso evolutivo strutturato, cioè,
specificatamente per i disturbi dell’infanzia e in quel contesto il
termine diagnostico utilizzato fu Disturbo da Deficit dell’Attenzione.
Tale cambiamento nosografico, da Sindrome di iperattività a Disturbo
da Deficit dell’Attenzione, presuppose un mutamento nella lettura
della sindrome, reso possibile per merito degli studi di Virginia
Douglas (1972, 1979) i quali sottolinearono la centralità dei deficit
cognitivi rispetto a quelli motori.
Nel 1987 fu pubblicato il DSM-III-REVISED in cui fu introdotta
l’attuale nomenclatura Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività e
nel 1994 con il DSM IV vennero descritti i sintomi essenziali per una
diagnosi di ADHD.
1.2 Definizione:
Il Disturbo da Deficit dell’attenzione con Iperattività (ADHD,
acronimo per l’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è un
disordine dello sviluppo neurobiologico della corteccia prefrontale e
dei nuclei della base caratterizzato, secondo i criteri del DSM-IV, da
inattenzione e impulsività/iperattività.
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L’attenzione è un processo cognitivo che permette di selezionare
stimoli ambientali.
L’inattenzione si manifesta, soprattutto, come non curanza per il
dettaglio ed impossibilità a portare a termine le azioni intraprese: i
bambini appaiono costantemente distratti, evitano di svolgere attività
che richiedano attenzione per i particolari o abilità organizzative,
perdono frequentemente oggetti o dimenticano attività importanti.
L’impulsività si manifesta come difficoltà ad organizzare azioni
complesse, con tendenza al cambiamento rapido da un’attività ad
un’altra e difficoltà ad aspettare il proprio turno in situazioni di gioco
e/o in attività strutturate.
I bambini affetti da ADHD vengono spesso definiti come mossi da un
motorino, perifrasi impiegata per indicare la difficoltà, per questi
ultimi, nel gestire il controllo motorio soprattutto a scuola.
Secondo il DSM-IV possono essere distinti tre tipi di ADHD:
1 Prevalentemente disattento (almeno sei sintomi di inattenzione,
ma meno di sei sintomi di iperattività/impulsività);
2 Prevalentemente iperattivo/impulsivo (almeno sei sintomi di
iperattività/impulsività, ma meno di sei sintomi di inattenzione);
3 Combinato (almeno sei sintomi di iperattività/impulsività e di
inattenzione).
In base alle teorie di Lahey e Carlson (1992) e di Satterfield (1997)
venne dimostrato che i bambini del sottotipo disattento presentavano
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maggiori problematiche emotive (ansia o disturbi dell’umore,
timidezza e isolamento), mentre quelli del sottotipo combinato e del
sottotipo iperattivo - impulsivo si opponevano più frequentemente alle
richieste degli adulti, erano più aggressivi e, nel 30% dei casi, erano
associati al Disturbo della Condotta e al Disturbo Oppositivo
provocatorio.
1.3 Eziopatogenesi
La comparsa del Disturbo da Deficit dell’attenzione con iperattività è
modulata dall’interazione tra fattori ambientali e condizioni genetiche.
Fattori ambientali
Fattori prenatali come il fumo, il consumo di alcool, lo stress e la
salute mentale della madre durante la gravidanza sono fattori che
incidono sulla possibile genesi del disturbo.
Dopo la nascita del bambino, altri fattori ambientali quali le
alterazioni dietetiche o le intossicazioni da metalli, possono
determinare la comparsa del disturbo.
Fattori genetici
Dal 1996 diversi gruppi di ricerca hanno dimostrato che nei soggetti
affetti da ADHD sono maggiormente frequenti varianti di 18 geni che
codificano per il trasportatore e per il recettore D4-D5 della dopamina
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e della serotonina le quali determinerebbero uno sviluppo anomalo
delle funzioni esecutive e, quindi, del lobo frontale.
A sostegno di questo modello, tecniche di neuroimmagine come la
Risonanza magnetica funzionale (RMf) e la Tomografia a emissione di
positroni (PET) hanno dimostrato che i geni che controllano le
proteine della dopamina sono associati a cambiamenti volumetrici e
ad anomalie della corteccia prefrontale, del cervelletto, del corpo
calloso, del nucleo caudato destro, del globo pallido e del putamen;
tali differenze si evidenziano maggiormente nell’emisfero destro e
sono correlate ad alterazioni delle capacità di inibire la risposta
motoria a stimoli ambientali.
Dallo studio di Teicher del 2000 si è potuto osservare, mediante test di
inibizione della risposta, quali lo Stop/change task e il Test di Stroop,
che queste regioni del cervello mostrano tempi di attivazione più lenti
e consumano meno ossigeno nei bambini affetti da ADHD rispetto al
gruppo di controllo.
Un’ulteriore conferma della tesi genetica relativa alla comparsa del
Disturbo da Deficit dell’attenzione con iperattività è stata avvalorata
osservando gemelli monozigoti che nel 50-90% dei casi presentano
entrambi i sintomi cardine del disturbo.
I fattori genetici, però, non determinano il disturbo di per sé ma
piuttosto la predisposizione ad esso, modulata da fattori ambientali.
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Fattori genetici e fattori ambientali, dunque, sono elementi
complementari per la manifestazione del Disturbo da Deficit
dell’attenzione con iperattività.
1.4. Diagnosi
La diagnosi di ADHD si basa sull’osservazione clinica di alcuni
comportamenti e sulla raccolta di informazioni fornite da fonti
multiple e diversificate quali i genitori, gli insegnanti e gli educatori.
Il consenso e la collaborazione dei genitori sono fondamentali per la
valutazione del bambino e per definire gli interventi psico-educativi e
terapeutici adatti, tenendo conto delle caratteristiche peculiari del
singolo bambino.
Secondo il DSM-IV la diagnosi di ADHD è possibile quando sono
evidenti almeno otto dei seguenti sintomi:
1. Irrequietezza motoria delle mani, delle gambe e di tutto il
corpo;
2. Difficoltà a rimanere seduto quando è necessario;
3. Difficoltà a rispettare il proprio turno in un gioco o durante una
conversazione;
4. Frequente emissione di risposte ancor prima che le domande
siano state completate;
5. Difficoltà nell’eseguire istruzioni che vengono fornite;
6. Difficoltà nel mantenere l’attenzione;