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INTRODUZIONE
Questa tesi nasce inizialmente da una profonda ammirazione
per Michael Mann, tra i pochi cineasti contemporanei a meritare per
davvero di diventare oggetto di culto tra i cinefili. Nel rivedere i
suoi film, ci si accorge che ad accomunare opere diverse tra loro,
come sono quelle dirette da Mann, è la ricchezza stilistica del
regista, sempre in evoluzione, quasi inafferrabile nella sua
complessità e varietà.
Si scopre, così, che anche un piccolo campione di film diretti
da Mann, come quello qui analizzato, può stimolare, a posteriori,
come è successo nel nostro caso, una riflessione sullo stile
cinematografico, sulla sua natura complessa ed effimera, sulle
differenti concezioni che di esso si sono succedute o contrapposte e
su come sia cambiato nel cinema hollywoodiano degli ultimi
trent’anni.
Perciò, questa tesi inizia con un capitolo che passa in
rassegna definizioni diverse dello “stile cinematografico”, dai
formalisti russi a Metz, Salt, Bordwell e Thompson, ai recenti
contributi di Bertetto, Carluccio e Buccheri, per adottare, infine,
quella di Leonardo Quaresima, sulla base della quale, nel secondo
capitolo, si cerca di individuare, per sommi capi, alcune delle “unità
di stile”, cioè quegli elementi tecnico-espressivi, enunciativi,
tematici e narrativi, autonomi e ricorrenti, che incrociano
trasversalmente film, autori, generi del cinema americano dagli
anni Ottanta ai giorni nostri, che lo si voglia definire “post-New
Hollywood”, “postmoderno”, o, come preferiamo, semplicemente
“contemporaneo”.
Queste unità di stile vanno dalle nuove risposte alla vecchia
questione dello sguardo nel cinema, anche attraverso l’utilizzo di
rivoluzionarie cineprese come la steadycam, fino a una
valorizzazione senza precedenti del sonoro e della musica, grazie
anche al Dolby. Il digitale rimette in discussione il concetto di
realismo nel cinema, dimensioni spazio-temporali di influenza
videoludica rendono la narrazione meno lineare. Il morphing e lo
slow motion esprimono efficacemente questo allontanamento da
una concezione classica del tempo cinematografico. Nuove figure
di donne e uomini, inoltre, rappresentano, nei suoi vari aspetti, la
6
crisi del soggetto e del corpo, in continua trasformazione, in una
società ipertecnologica.
Nel terzo e ultimo capitolo, infine, si evidenzia, attraverso
l’analisi di tre film fondamentali nella filmografia di Michael
Mann, realizzati a circa dieci anni di distanza l’uno dall’altro,
Manhunter – Frammenti di un omicidio, Heat – La sfida e Miami
Vice, come alcune delle succitate “unità di stile” tipiche del cinema
USA contemporaneo si manifestino compiutamente nei lavori di
Mann e quali configurazioni esse assumano in questi film.
Consideriamo, infatti, Manhunter fondamentale per l’utilizzo
espressivo e innovativo della musica, soprattutto nella sequenza
della sparatoria finale, per la riflessione sul tema dello sguardo e
per la riuscita commistione di realismo narrativo quasi
documentaristico (in questo controcorrente con la scarsa attenzione
alla verosimiglianza del racconto di molti film contemporanei) e
iperrealismo visivo e fotografico, tipico degli anni Ottanta.
Heat è un perfetto esempio del neoclassicismo presente in
molto cinema contemporaneo, in questo caso per l’attenzione nella
costruzione dei personaggi e per l’utilizzo del tradizionale
campo/controcampo, nel dialogo Pacino-De Niro, in particolare.
Miami Vice, invece, ci è sembrato rilevante per l’utilizzo
proficuo e strabiliante delle potenzialità del digitale, per la struttura
narrativa frammentaria, per l’importanza dei personaggi femminili,
sicuramente rappresentativi delle nuove e combattive eroine del
cinema contemporaneo.
Sarebbe facile e comprensibile scrivere un saggio
monografico su Michael Mann come “autore”, ripercorrerne la
brillante carriera, studiarne i film con lo stesso paradigma utilizzato
dai critici dei Cahiers du cinéma per discernere i registi meritevoli
di venerazione, anche nelle loro opere minori, dai semplici
mestieranti, dagli yes-men della cinepresa. Non è questo, però,
evidentemente, l’approccio di questa tesi. Infatti, pur considerando
chiara la riconoscibilità degli stilemi manniani, si ritiene opportuno
qui prendere le distanze dagli abusi, ancora oggi frequenti, della
politique des auteurs, momento importantissimo nel progredire
della critica cinematografica, in particolare per la riscoperta di
registi sottovalutati (Hitchcock in primis), tuttavia spesso
responsabile di abbagli, approssimazioni e palesi
sovrainterpretazioni.
7
Per questo, pur riconoscendo a Mann una certa coerenza
artistica, che emerge inevitabilmente anche nel nostro discorso, i tre
film di Mann scelti ed esaminati sono da considerare soprattutto
come casuali e fortunati momenti di sintesi e raccolta di
configurazioni stilistiche indipendenti da poetiche d’autore dotate
di evidente intenzionalità.
Testi di riferimento fondamentali per l’impostazione di
questa tesi sono stati quelli di David Bordwell, da On the History of
Film Style a Film Art: An Introduction, nel nostro tentativo di
ritrovare nel panorama eterogeneo del cinema americano
contemporaneo un insieme di stilemi diffusi e caratterizzanti, come
lo stesso Bordwell pionieristicamente ha fatto, in maniera
certamente più sistematica e dettagliata, per il cinema classico
hollywoodiano, insieme a Staiger e Thompson, nel fortunato The
Classical Hollywood Cinema. Cinema classico che, secondo
Bordwell, costituisce ormai un repertorio tradizionale e codificato
di convenzioni cinematografiche.
Per l’individuazione delle “unità di stile” del cinema
americano contemporaneo, consideriamo imprescindibili anche i
saggi contenuti in Poetiche del cinema americano contemporaneo,
e in Il cinema contemporaneo, i due volumi di Hollywood 2000,
l’illuminante Geoff King de La nuova Hollywood, inoltre Il cinema
dopo il cinema, dedicato alla Hollywood post-11 settembre, e il
perspicace Buccheri di Sguardi sul postmoderno. Rimangono,
ovviamente, modelli validissimi e ricchi di spunti, a distanza di
anni, due testi ormai classici come Il cinema postmoderno di
Jullier, e L’alieno e il pipistrello di Canova, tra i primi a occuparsi
approfonditamente di cinema contemporaneo
1
.
1
V. Bibliografia.
CAP. 1
LO STILE CINEMATOGRAFICO
In questo capitolo, si è scelto di rinunciare a riassumere
l’evoluzione del concetto di “stile”, in letteratura e nella storia
dell’arte, ritenendo che il cinema, per le sue caratteristiche
intrinseche e per la sua ben più recente origine, abbia una sua
specificità. Pertanto, non sembra molto sensato tirare in ballo, in
questo excursus sullo stile cinematografico, idee, concezioni,
definizioni appartenenti ad altri ambiti, quando poco pertinenti al
nostro campo d’indagine, che ha per oggetto di studio il film,
un’entità che trascende le singole componenti da cui è costituito e
che, casomai, dalle altre arti possono provenire.
Si ricorrerà, pertanto, alle definizioni di “stile” appartenenti
all’ambito artistico e a quello letterario solamente quando
necessario.
Che cosa si intende, quindi, propriamente per “stile
cinematografico”?
Nel corso degli anni, la riflessione teorica sul cinema si è
occupata della questione secondo modalità e prospettive diverse.
Tra i primi a parlare di “stile cinematografico”, a ragionare su di
esso in modo approfondito, i formalisti russi, come ricorda anche
François Albera:
‹‹les Formalistes russes, dans leur entreprise critique qui – pour ce
qui concerne le cinéma – aboutit à Poètika kino
2
, en 1927, sont
certainement les premiers à s’efforcer e poser les questions du style
et de la stylistique du film (“ciné-stylistique”) sur des bases
systématiques››
3
.
La loro influenza è stata tale e tale la loro lungimiranza che,
per esempio, molti anni più tardi, l’approccio di Bordwell e
Thompson alla questione dello stile cinematografico, sia pur con le
dovute differenze, si è autodefinito “neoformalista”. E, anche se è
sicuramente semplificatoria e provocatoria, fa riflettere l’opinione
di Barry Salt sulla differenza tra Bordwell-Thompson e i formalisti
russi:
2
J. Tynjanov (et al.), Poetika kino, Mosca, Kinopecat, 1927; nuova ed. 2001.
3
F.Albera, Des Formalistes aux Bȃtisseurs, in E.Biasin, G.Bursi, L.Quaresima (a cura
di), Lo stile cinematografico / Film Style, Udine, Forum, 2007, p. 49.
9
‹‹the one change that makes Bordwell and Thompson’s version of
the ideas of the Russian Formalists “neo-”, is that they have
replaced the speculative psychology of the nineteen-twenties,
which the Russians used to attempt to analyse the relation of the
work of art to the spectator, with more recent speculations about
perceptual psychology››
4
.
Tornando ai formalisti russi, dunque, si consideri il saggio di
Boris Ejchenbaum pubblicato, appunto, nel 1927, intitolato
Problemy kino-stilistiki e tradotto in italiano con il titolo I problemi
dello stile cinematografico
5
. Nel saggio, Ejchenbaum afferma che il
fondamento dello stile cinematografico è costituito dal
‹‹”linguaggio” della mimica, dei gesti, degli oggetti, delle
angolazioni, dei piani››
6
. Stile come linguaggio, quindi. Inoltre,
Ejchenbaum specifica:
‹‹si sono cominciati a definire vari stili cinematografici, a seconda
del metodo di rielaborazione del materiale, a seconda di una
determinata “tendenza”. Gli stili cinematografici veri e propri si
stanno profilando, e il problema non è stato ancora quasi trattato sul
piano teorico››
7
.
Ejchenbaum accenna, poi, alla tendenza “naturalistica”,
contrastata e superata dal principio delluchiano della “fotogenia”
8
, a
cui andrebbe il merito di aver trasformato il cinema in un’arte.
Infine, Ejchenbaum aggiunge: ‹‹nella questione dello stile filmico
riveste un’importanza decisiva il carattere della ripresa (piani,
angolazioni, luci, diaframma, ecc.) nonché il tipo di montaggio››,
definito come ‹‹una specie di sintassi del film››
9
. Le questioni della
stilistica cinematografica coincidono espressamente, per
Ejchenbaum, perciò, con quelle della sintassi cinematografica.
4
B.Salt, Film Style & Technology: History and Analysis, London, Starword, 1992
2
[1983
1
], p.28
.
5
B.Ejchenbaum, I problemi dello stile cinematografico, in G.Kraiski (a cura di), I
formalisti russi nel cinema, Milano, Garzanti, 1971; nuova ed. 1987.
6
Ivi, p. 17.
7
Ivi, pp. 30-31.
8
In L.Delluc, Ecrits cinématographiques I – Le Cinéma et le cinéastes, Cinémathèque
Française, Parigi, 1985, p. 36, la “Photogénie” è definita come ‹‹l’accord du cinéma et
de la photographie››.
9
B.Ejchenbaum, I problemi dello stile cinematografico, cit., pp. 32-33.
10
Nello stesso anno, un altro formalista russo, Jurij Tynjanov,
in Ob osnovach kino, tradotto in italiano come Le basi del cinema,
scrive: ‹‹il mondo visibile viene reso dal cinema non come tale, ma
nelle sue correlazioni semantiche›› e ‹‹la correlazione semantica del
mondo visibile deriva dalla sua trasformazione stilistica›› grazie a:
‹‹l’angolazione, la prospettiva, le luci››
10
. E ancora: ‹‹qualsiasi
fattore stilistico è insieme un fattore semantico. Sempre a
condizione che lo stile sia organizzato, che l’angolazione e
l’illuminazione non siano casuali, che formino un sistema››
11
.
Chiarito lo stretto rapporto tra lo stile e la dimensione semantica del
film, Tynjanov accenna anche all’esistenza di ‹‹stili diversi che
assolvono funzioni diverse in rapporto allo sviluppo del
soggetto››
12
.
Ejchenbaum e Tynjanov, dunque, fanno distinzione tra lo
“stile cinematografico”, inteso come linguaggio e sistema
organizzato, formale e sintattico, da una parte, e i diversi “stili” o
tendenze, dall’altra. Sembra, dunque, che per loro un insieme di
regole e convenzioni, lo stile appunto, un’entità astratta, teorica,
paradigmatica, venga declinata in forme diverse e magari
contrapposte, gli stili, a seconda del materiale, del soggetto del
film.
Qui si manifesta già la natura contraddittoria del concetto di
stile, la sua capacità di indicare allo stesso tempo tanto un gruppo di
elementi comuni, caratterizzanti, in un corpus di film, una norma,
un canone, quanto un insieme di caratteristiche che distinguono un
film dagli altri, uno scarto, una marca (d’autore?), una differenza.
Giulia Carluccio ha fatto notare che ragionando intorno alla
nozione di stile cinematografico è possibile individuare concetti
contrapposti, che sarebbe opportuno far dialogare, se si vuole
giungere a una definizione utile e condivisa.
Secondo Carluccio,
‹‹nella trattazione metziana ritornano, con apparente nonchalance o
perlomeno con una sintesi straordinariamente sciolta, un po’ tutte le
idee che interessano più in generale la questione dello stile, o che
hanno interessato in stagioni diverse posizioni teoriche via via
differenti. In particolare, la contraddizione, o la polarità tra
10
J.Tynjanov, Le basi del cinema, in G.Kraiski, cit., pp. 61-62.
11
Ivi, p. 64.
12
Ivi, p. 83.
11
individuale e collettivo (autori, generi, scuole), tra forma e
contenuto, tra norma e scarto››
13
.
Carluccio cita Metz, il semiologo del cinema che ha definito
lo stile cinematografico in maniera esplicita solo in uno dei suoi
ultimi libri, L’enunciazione impersonale o il luogo del film
14
. Metz
si esprime, appunto, così: ‹‹ciò che definiamo stile, nel cinema
come altrove, è una qualità onnipresente e più o meno
illocalizzabile››
15
, quasi a sottolineare la difficoltà di stabilire una
volta per tutte cosa sia lo stile cinematografico. E ancora: ‹‹lo stile
può essere legato a delle caratteristiche concrete dell’opera o al suo
contenuto››
16
. Anche Metz fa distinzione tra “stile” e “stili” al
plurale: ‹‹per un pubblico accorto, è chiaro che gli stili fungono da
marchi di fabbrica, e rimandano immediatamente a un’attività
produttrice, dotata di un nome proprio o di un nome di genere››
17
.
Infine, Metz, scrive che lo stile ‹‹rimanda all’ “autore”››
18
: come ha
rilevato Vincenzo Buccheri, in questa accezione ‹‹lo stile non è più
la “forma” che caratterizza un’epoca del cinema, ma la cifra, il
tocco del singolo regista››
19
.
A proposito dei diversi e contrastanti significati della parola
“stile” e del contrasto tra stile individuale e stile collettivo, è
Bertetto a specificare che
‹‹l’idea di stile come stile di un insieme, come stile collettivo è una
nozione collegata alla generalizzazione degli elementi e dunque
fondata sulla medietà del molteplice. Mentre invece l’idea di stile
legata a un individuo, a un soggetto implica un’idea di
individualizzazione e quindi l’affermazione della specificità del
singolare››
20
.
13
G.Carluccio, Questioni di stile, in P.Bertetto (a cura di), Metodologie di analisi del
film, Bari, Laterza, 2006, p.107.
14
C.Metz, L’enunciazione impersonale o il luogo del film, Napoli, ESI, 1995.
15
Ivi, p. 183.
16
Ivi, p. 186.
17
Ivi, p. 182.
18
Ibid.
19
V.Buccheri, Lo stile cinematografico, Roma, Carocci, 2010, p. 26.
20
P.Bertetto, Stile e forma, in E.Biasin, G.Bursi, L.Quaresima (a cura di), Lo stile
cinematografico / Film Style, cit., p.31; corsivo dell’autore.
12
François Jost ritiene che questa contraddizione sia solo
apparente e che i due poli, apparentemente inconciliabili, siano in
realtà in stretta relazione:
‹‹pour comprendre ce qui permet d’attribuer tel ou tel film à un
auteur, il faut avoir préalablement une idée des canons en vigueur à
une époque donnée. Bien plus, il faut savoir en fonction de quelle
pertinence nous allons costruire la norme››
21
.
Jost sembra legato a una concezione dello stile in cui
l’intenzionalità delle scelte autoriali, si direbbe, è sempre
fondamentale, infatti scrive:
‹‹pour ne pas vider complètement le style de sa substance, il faut y
injecter un minimum d’intentionnalité. Sinon, je ne vois guère
d’avantages à parler de style plutȏt que de codification. S’il n’ya
style qu’à partir du moment où, pour esprime la mȇme notion – par
exemple, la continuité -, le cinéaste choisit dans un paradigme
limité de procédés, comme le décrit Bordwell, encore faut-il que le
cinéaste choisisse, peut-ȇtre mȇme: ait conscience du choix, sinon
c’est un coup de dés sans pertinence››
22
.
L’ambiguità, o ricchezza semantica, del termine, ha perfino
indotto Bertetto a proporre di sostituire con il termine “forma” la
parola “stile”, quando ci si riferisce ai film: ‹‹la nozione di forma
mi pare più legittima e più produttiva della nozione di stile››
23
.
Sempre Bertetto aggiunge:
‹‹mentre lo stile è un insieme di rigidità e di paradigmi (Bordwell-
Thompson, Salt), oppure è il touch (il Lubitsch touch), che è la
vaghezza per eccellenza dell’impressionismo critico, la forma, nella
riflessione di studiosi importanti come Croce e Pareyson, Klee e
Focillon, Tynjanov ed Ejzenštejn, è qualcosa di vivente, è un
organismo vivente››
24
.
21
F.Jost, Que faire avec la notion de style?, in E.Biasin, G.Bursi, L.Quaresima (a cura
di), Lo stile cinematografico / Film Style, cit., p. 85.
22
Ivi, p. 87.
23
P.Bertetto, Stile, in G.Carluccio, F.Villa (a cura di), L’intertestualità. Lezioni,
lemmi, frammenti d’analisi, Torino, Kaplan, 2006, p. 86.
24
P.Bertetto, Stile e forma, cit., p.37.
13
In seguito ci soffermeremo sulle idee espresse dal più volte
citato Bordwell a proposito dello stile cinematografico. Per il
momento è necessario semplicemente tener presente, per
comprendere le parole di Bertetto, che tanto la concezione di
Bordwell e Thompson dello stile quanto quella di Salt vengono
spesso accusate, soprattutto da studiosi di orientamento opposto,
legati magari ai Cultural Studies, di soffermarsi esclusivamente
sugli aspetti tecnici dello stile, non dando il giusto peso al contesto,
invece. Di sicuro, Salt non fa nulla per respingere queste critiche,
poiché si dedica, con precisione statistica, a un censimento dei
procedimenti tecnici e delle scelte di regia e montaggio nei film,
attraverso la storia del cinema, e poiché definisce lo stile in questo
modo:
‹‹the distributions of these quantities (shot lenght, etc.) for a
particolar group of films, say by a particolar director, when
compared with those for other directors working at the same place
and time, give a sure indication of the existence of a personal style;
in fact this is what formal style is››
25
.
Parla di “quantità, ‹‹con un approccio››, fa notare Carluccio,
‹‹che vorrebbe contrapporre un metodo concretamente scientifico
alle ipotesi più astratte e aporetiche di un’idea di stile intesa per
esempio in senso valutativo, come è, secondo Salt, per la politique
des auteurs››
26
.
Queste le premesse teoriche di base del metodo di analisi di
Salt:
‹‹the view that there is a real world, and that this real world is
described by the established natural sciences. Scientific Realism is
a development of commonsense realism (or “naive realisme” as
some would have it), and the relation between Scientific Realism,
commonsense realism, and the real word is a kind of parallel to the
relation that exists between science, technology, and the real
world››
27
.
25
B.Salt, Film Style & Technology, cit., pp. 24-25.
26
G.Carluccio, Questioni di stile, cit., p.123.
27
B.Salt, Film Style & Technology, cit., p.1.