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1.1 Cenni storici
Secondo fonti storiche questa patologia fu descritta per la prima volta nel 1672 dal
medico e anatomista inglese Thomas Willis, il quale riportò nell’opera “De Anima
Brutorum” il caso di una donna che durante una prolungata conversazione diveniva
“muta come un pesce”, cioè perdeva temporaneamente la capacità di parlare,
recuperandola solo dopo qualche ora di riposo.
Le prime conoscenze sulle caratteristiche fisiopatologiche della miastenia risalgono
però soltanto alla fine del 1800 grazie agli studi di Willhelm Erb (1879) e Samuel
Goldflam (1893), che evidenziarono la presenza nei loro pazienti di una paralisi
bulbare. Per questo motivo per molti anni questa patologia fu chiamata Sindrome di
Erb e Goldflam.
Il termine attualmente utilizzato fu coniato per la prima volta da Friederich Jolly
(1895) il quale la definì Myasthenia pseudoparalytica, descrivendo con l’espressione
“miastenia” le caratteristiche cliniche tipiche della malattia (dal greco myastheneia,
debolezza muscolare), con il termine “gravis” la difficile curabilità tipica del passato
(le attuali terapie sono in grado di attuare un buon controllo della malattia e della sua
sintomatologia, perciò oggi si propone di eliminare questo termine dalla
denominazione della malattia), e con l’espressione “pseudoparalitica” l’assenza
all’esame autoptico di lesioni anatomopatologiche nel sistema nervoso centrale.
La causa della malattia rimase un mistero fino al 1960, quando Simpson e Nastuck
indipendentemente, proposero che la miastenia gravis avesse una eziologia
autoimmune e che, in particolare, fosse causata da anticorpi contro il recettore
dell'acetilcolina (Evoli A. et al., 1995).
1.2 Epidemiologia
La miastenia gravis è da considerarsi una malattia rara, sebbene la sua prevalenza,
stimata intorno ai 100-200 casi per milione di abitanti, sia aumentata nel tempo, molto
probabilmente grazie alle migliori capacità diagnostiche e terapeutiche e all’aumento
della longevità della popolazione generale (Vincent A, 2008).
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Questa patologia può colpire tutte le razze ed entrambi i sessi e l’età di insorgenza
varia a seconda del sesso: le donne colpite, sono più frequentemente quelle tra i 20 e i
30 anni mentre negli uomini i sintomi si manifestano principalmente oltre i 50 anni.
Tuttavia questa patologia può colpire persone di qualsiasi età.
Sino a qualche anno fa la prevalenza sembrava essere maggiore nel sesso femminile,
tuttavia recenti studi epidemiologici confutano questi dati dimostrando che, con
l’aumentare della vita media della popolazione, gli uomini risultano essere
maggiormente colpiti rispetto alle donne (Zhou L et al., 2004; Nemoto Y et al., 2005).
La prevalenza in Italia è di circa 10-11 casi su 100.000 abitanti (Aiello I et al., 1997).
Studi epidemiologici eseguiti sulla popolazione del nord-est sardegna hanno
dimostrato una prevalenza di 11.1 casi per 100.000 abitanti, con una differenza non
significativa con le altre aree dell’Italia e dell’Europa (Aiello I et al., 1997).
L’esordio della miastenia gravis nell’infanzia è raro in europa e nel nord america,
rappresentando il 10-15% dei casi, ma, è molto più comune nei paesi asiatici dove nel
50% dei casi l’esordio si ha sotto i 15 anni (Pal J et al., 2011). Esistono anche forme
di miastenia neonatale. In questa forma di miastenia (che si verifica nel 10-20% dei
neonati con madre affetta da miastenia) il feto riceve gli anticorpi attraverso la
placenta e si ha quindi un trasferimento "passivo" della sintomatologia (il neonato
appare ipotonico e mostra una certa riluttanza a succhiare nella fase dell'allattamento);
fortunatamente, nella stragrande maggioranza dei casi, il problema si risolve in modo
spontaneo nel giro di alcune settimane con la degradazione degli anticorpi trasmessi
dalla madre (Evoli A, 2010).
1.3 Patogenesi
La patogenesi della miastenia gravis è da ricondursi ad un attacco autoimmune
anticorpo-mediato. Nella maggior parte dei casi gli autoanticorpi sono diretti contro il
recettore dell’acetilcolina. Questo è una proteina transmembrana composta da quattro
subunità (2α, β, δ e γ nell’adulto) la cui attivazione da parte dei quanti di acetilcolina
rilasciati dalla terminazione nervosa sinaptica determina l’attivazione di una cascata di
eventi che porta alla contrazione muscolare. In genere l’anticorpo riconosce un epitopo
sito sulla Main Immunogenic Region (MIR) dell’AChR e ciò determina il blocco,
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l’internalizzazione e la distruzione dello stesso recettore. Gli anticorpi diretti contro il
recettore dell’acetilcolina sono presenti in circa l’85% dei pazienti affetti dalla forma
generalizzata e nel 50-60% dei pazienti con la forma esclusivamente oculare (Corda D.
et al., 2011).
L’origine autoimmune della miastenia, in passato, è stata sospettata sulla base di
diversi dati: in primo luogo la maggiore incidenza di altre malattie autoimmuni nel
paziente stesso e nei suoi familiari; in secondo luogo la frequente associazione tra MG
e patologie timiche (Leite MI et al., 2007; Lauriola L et al., 2005; Berrih S et al.,
1984). Nel 50-60% dei pazienti è infatti presente una condizione di iperplasia
ghiandolare (soprattutto in pazienti con esordio precoce della malattia), nel 10% si
riscontra un timoma, mentre nei rimanenti casi il timo è istologicamente normale in
rapporto all’età. L’associazione tra miastenia e patologie timiche è dovuta al fatto che
il timo è un organo linfatico primitivo, responsabile della maturazione dei linfociti T e
dell’attivazione dei processi di immunità centrale. Non si conoscono a tutt’oggi le
cause eziologiche responsabili dell’anomalo funzionamento della ghiandola timica ma,
probabilmente la predisposizione genetica ha una notevole influenza.
La MG soddisfa i severi criteri per la diagnosi di una malattia autoimmune anticorpo-
mediata:
(a) gli anticorpi (Ab) sono presenti nel sito della patologia, nella giunzione
neuromuscolare (NMJ);
(b) le immunoglobuline (Ig) derivate da pazienti miastenici possono indurre i sintomi
della MG se iniettati in roditori;
(c) l’immunizzazione di animali con AChR induce la malattia;
(d) terapie atte a rimuovere gli anticorpi possono diminuire la gravità dei sintomi della
MG.
1.4 Trasmissione neuromuscolare
Le fibre muscolari sono innervate da fibre nervose mieliniche (fibre α) che originano
dai grandi motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale. Alla sua estremità,
ogni fibra nervosa si ramifica più volte per andare a stimolare diverse fibre muscolari.
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La terminazione nervosa prende contatto con la fibra muscolare, circa a metà della sua
lunghezza, formando una connessione o sinapsi chimica nota come giunzione
neuromuscolare.
A livello della giunzione neuromuscolare, l’assone del motoneurone innerva una
regione specializzata della membrana muscolare che è detta placca motrice. In
prossimità della placca, la fibra motrice perde il suo rivestimento mielinico e si
suddivide in numerose, sottili branche terminali. Ciascuna di queste forma, alla sua
estremità, un grappolo di varicosità o bottoni sinaptici, ricoperti da un sottile strato di
cellule di Schwann.
Il bottone sinaptico e la membrana della fibra muscolare sono separati dalla fessura
sinaptica, che contiene l’acetilcolinesterasi (AChE), proteine e proteoglicani coinvolti
nella stabilizzazione della struttura della NMJ; questo spazio sinaptico è occupato da
un sottile strato reticolare spugnoso, la lamina basale, che si stende su numerosi
ripiegamenti della membrana muscolare detti pieghe giunzionali.
Nel bottone terminale sono presenti: mitocondri, che forniscono energia destinata
prevalentemente alla sintesi del mediatore eccitatorio, l’acetilcolina (ACh); vescicole
sinaptiche, in cui l’acetilcolina viene rapidamente accumulata; zone attive,
ispessimenti della membrana presinaptica dove avviene il rilascio del
neurotrasmettitore.
La membrana presinaptica è attraversata da canali del Ca
2+
voltaggio-dipendenti che,
ad ogni potenziale d’azione, permettono l’ingresso di ioni calcio nella terminazione,
promuovendo la fusione delle vescicole sinaptiche con la membrana presinaptica e la
conseguente liberazione di ACh nello spazio sinaptico. A riposo, le vescicole
contenenti il neurotrasmettitore sono ancorate al citoscheletro del bottone presinaptico
per mezzo di proteine note come sinapsine. All’arrivo del potenziale d’azione, in
conseguenza dell’ingresso di ioni calcio, si ha la fosforilazione delle sinapsine ed il
distacco delle vescicole, le quali si dirigono verso la membrana presinaptica.
La fusione delle vescicole con la membrana del bottone, è guidata da un complesso
macchinario biochimico.
L’entrata di calcio per apertura di canali localizzati nei pressi delle zone attive,
consente il rilascio del neurotrasmettitore attraverso pori di fusione che si aprono
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reversibilmente; all’esocitosi fa seguito la ricostituzione endocitotica delle vescicole,
le quali vengono riciclate e riutilizzate ripetutamente.
A livello postsinaptico, l’Ach si lega a recettori nicotinici situati all’apice delle pieghe
giunzionali.
Figura 1. Recettore nicotinico situato nella membrana postsinaptica, composto da cinque
subunità (α
2
βδγ). L’ACh si lega alle subunità α determinando l’ingresso di ioni Na
+
(Karlin
A, 2002).
Il recettore nicotinico è una proteina integrale di membrana, composta da cinque
subunità (α
2
βδγ); ogni subunità contiene quattro regioni idrofobiche (M1-M4) che
vanno a costituire strutture ad α-elica che attraversano interamente la membrana a
formare un canale tubulare (recettore-canale). Affinché il canale si possa aprire, è
necessario che due molecole di ACh si leghino alle due subunità α, determinando una
variazione conformazionale del recettore a cui segue un ingresso netto di ioni Na
+
e la
comparsa di un potenziale sinaptico depolarizzante (potenziale di placca). Il numero di
canali attivati che si aprono è limitato dai quanti di ACh che raggiungono la membrana
post-sinaptica. Questi, tuttavia, depolarizzando la cellula post-sinaptica, attivano i
canali per il Na
+
voltaggio-dipendenti, ubicati nelle immediate vicinanze della placca
motrice. L’apertura di tali canali porta all’innesco, nella fibra muscolare, di un
potenziale d’azione che diffonde lungo il sarcolemma. I complessi recettore-canale,
aperti dal legame con l’ACh, si chiudono poi, per un meccanismo intrinseco, in un
tempo variabile tra 1 e 10 ms. La chiusura determina il distacco della molecola di