Introduzione
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INTRODUZIONE
Numerosi studi, condotti nell’arco dell’ultimo decennio, hanno dimostrato che la
Risposta Sismica Locale (RSL) dipende sia dalla posizione che dalla geometria della
sorgente, ma è legata soprattutto a condizioni geologiche locali. Anche la recente
sequenza sismica che ha devastato il centro storico della città de L’Aquila e decine
di paesi lungo la valle dell’Aterno ha confermato queste constatazioni. Infatti, la
distribuzione degli effetti è stata guidata dalla geometria e dalla orientazione delle
strutture attivatesi nonché dal verso di propagazione della rottura lungo la faglia
sismogenetica, ma soprattutto dalle condizioni litostratigrafiche e morfologiche
locali, come accaduto per i centri di Castelnuovo e Onna, che sono risultati i paesi
maggiormente danneggiati (GEER PRELIMINARY REPORT, 2009). Sulla base di
queste considerazioni preliminari, nel presente Lavoro di Tesi, si è deciso, pertanto,
di condurre uno studio di Microzonazione Sismica dell’area urbana di Rieti. Lo
scopo principale del presente Lavoro di Tesi è stato quello di ottenere una Carta
delle Microzone Omogenee in Prospettiva Sismica dell’area urbana di Rieti, in
accordo con quanto prescritto da Indirizzi e Criteri per la Microzonazione Sismica
Introduzione
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(GRUPPO DI LAVORO MS, 2008) da parte della Protezione Civile Nazionale.
L’obiettivo finale del lavoro è stato quello di valutare quantitativamente la Risposta
Sismica Locale per le zone maggiormente suscettibili di amplificazione locale. Il
lavoro è stato condotto nell’ambito del progetto della Regione Lazio finalizzato alla
“Valutazione della Risposta Sismica Locale e individuazione di sottozone sismiche in aree
comunali di interesse nel territorio della Regione Lazio ” ed è stato svolto in
collaborazione con l’ENEA.
Fig. 1.1 Stralcio topografico alla scala 1:40000 con localizzazione dell’area urbana di Rieti (in blu).
Introduzione
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Questo progetto si inquadra nella valutazione della pericolosità sismica locale per
valli e bacini intermontani, connessa con effetti di amplificazione locale del moto
sismico riconosciuti a partire da differenti case history sia nazionali che
internazionali. L’area urbana di Rieti, oggetto del presente lavoro, si estende per
circa 10 km
2
(fig. 1.1.) ed e localizzata sul margine orientale della Conca reatina che
si estende per circa 90 km
2
. La città di Rieti, capoluogo dell’omonima provincia, è
localizzata nel tratto appenninico della Regione Lazio e si trova a 405 m s.l.m..
L’area urbana di Rieti è stata scelta per le seguenti motivazioni:
ricade in una porzione dell’Appennino Centrale caratterizzato da una
comprovata attività sismica;
il margine orientale del bacino reatino è delimito da una master fault
sismogenetica a cui è possibile associare il terremoto del 1898 che ha provocato
danni considerevoli al patrimonio edilizio della città.
L’area è sede di un importante centro amministrativo della Regione Lazio, sia
per aspetti demografici che storico-monumentali (fig. 1.2.).
Introduzione
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Fig. 1.2. Ortofoto a colori (scala 1:40000) del tessuto urbano della città di Rieti.
Lo studio di Microzonazione sismica è stato articolato nelle seguenti quattro fasi:
fase conoscitiva (Cap. 1; Cap. 2 e Cap. 3)
fase acquisitiva (Cap. 4 e Cap. 5)
fase elaborativa e interpretativa (Cap. 4 e Cap. 5)
fase numerica (Cap. 6)
Nella prima fase sono stati raccolti i dati pregressi, sia sismometrici che geologico-
tecnici che hanno permesso, insieme alla ricerca bibliografica e al rilevamento
geologico-tecnico, di individuare preliminarmente aree a potenziale amplificazione
Introduzione
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sismica. A partire da questi dati si è proceduto alla seconda fase, in cui sono state
programmate indagini sismometriche per l’individuazione della frequenza
fondamentale sia tramite registrazione di rumore sismico ambientale che attraverso
l’analisi di eventi weak motion registrati attraverso una rete velocimetrica
temporanea. Una terza fase, condotta presso il centro ricerche ENEA Casaccia, ha
consentito di elaborare le registrazioni e solo in seguito di interpretare ed
analizzare i risultati ottenuti. Infine è stata condotta una modellazione numerica
con l’uso del codice EERA finalizzata alla valutazione della funzione di
amplificazione per la zona ritenuta più critica in termini di amplificazioni locali.
Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
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CAPITOLO 1 – INQUADRAMENTO GEOLOGICO REGIONALE DEL BACINO
DI RIETI
1.1. Il bacino di Rieti nel contesto geodinamico dell’Italia Centrale
Il bacino di Rieti è un’ampia depressione intramontana Quaternaria di origine
tettonica situata sul fianco occidentale della catena Appenninica. Esso è localizzato
nel Lazio settentrionale, più precisamente nella porzione Sabina dell’Appennino
Centrale. L’origine e l’evoluzione di questo bacino, così come altri bacini
continentali intrappenninici (Fucino, L’Aquila Sulmona), sono collegati alla
tettonica estensionale post-collisionale che ha interessato l’area fino al Pliocene
inferiore-medio. L’assetto geologico dell’area Sabina, così come quello della
penisola italiana, deriva dai processi di convergenza tra la placca africana e quella
europea che hanno portato alla costruzione della catena appenninica e al suo
smembramento e conseguente apertura del bacino tirrenico (OGNIBEN et alii, 1975;
BIGI et alii, 1989; VAI & MARTINI, 2001). In questo contesto geodinamico un ruolo
fondamentale, nel determinare l’evoluzione tettonica dell’Appennino Centrale, è
stato svolto dalla subduzione della placca africana al di sotto di quella europea, che
Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
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è stata particolarmente attiva durante il Miocene e il Pliocene e le cui evidenze
sismologiche sono ancora riconoscibili al di sotto del Tirreno meridionale
(ANDERSON & JACKSON, 1987; GIARDINI & VELONÀ, 1991; SPAKMAN et alii,
1993; SELVAGGI & CHIARABBA, 1995; PIROMALLO & MORELLI, 2003).
Fig. 1.1.1. – Localizzazione del bacino intramontano di Rieti (in azzurro) nell’Appennino Centrale.
La convergenza Africa-Eurasia e la subduzione della litosfera Adriatico-Ionica
hanno dato luogo alla formazione della catena Appenninica, con un processo
particolarmente intenso durante il Miocene ed il Pliocene, quando le unità
paleogeografiche che costituivano il margine adriatico furono progressivamente
deformate ed incorporate all’interno della catena (PAROTTO & PRATURLON,
1975; PATACCA & SCANDONE, 1989; CIPOLLARI & COSENTINO, 1995).
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Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
8
Queste unità formate prevalentemente da carbonati Mesozoici e Terziari sia in
facies di piattaforma che di scarpata e di bacino, costituiscono oggi gran parte della
struttura dell’Appennino Centrale e affiorano estesamente sui rilievi dei Monti
Sabini, Tiburtini, Prenestini e Lepini (PAROTTO & PRATURLON, 1975;
PAROTTO, 1980; ACCORDI & CARBONE, 1986). Verso occidente, queste unità
passano molto rapidamente ad unità di transizione e di bacino affioranti sulle
strutture dei Monti Tiburtini e dei Sabini. La genesi dei bacini intramontani
dell’Appennino Centrale, compreso quello reatino, è legata ad un regime tettonico
estensionale impostatosi su una catena già strutturata dalla tettonica compressiva e
successivamente disarticolata da tali processi distensivi. Il regime estensionale
avrebbe interessato le zone interne dell’orogene a partire dal Tortoniano superiore-
Messiniano, raggiungendo aree progressivamente più orientali seguendo verso est
la migrazione dei fronti compressivi (MERLA, 1951; TREVISAN, 1952; SESTINI,
1970; BOCCALETTI & GUAZZONE, 1974; ELTER et alii, 1975). Secondo tale
modello geodinamico il regime estensionale avrebbe raggiunto l’area occupata
attualmente dal bacino intermontano determinandone la formazione nel corso del
Plio–Pleistocene. Durante le fasi tettoniche a carattere distensivo, che hanno
investito tutto il margine tirrenico a partire dal Pliocene inferiore (PAROTTO &
PRATURLON, 1975; AMBROSETTI et alii, 1982; PATACCA et alii, 1992;
CAVINATO, 1993), nell’area di catena si sarebbero instaurate le condizioni di
Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
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formazione di nuove direttrici tettoniche (NW–SE e E-W) sia impostate su
discontinuità preesistenti (es. rampe di accavallamento) che di nuova generazione
(CAVINATO, 1993). I dati emersi dalle analisi geologico-strutturali (CAVINATO et
alii, 1989) indicano che il bacino di Rieti si sia formato in una grossa depressione
disposta con asse NNW–SSE (fig. 1.1.2.), delimitata lungo il lato orientale da uno di
questi elementi a carattere distensivo, avente direzione N140°-160° e attivatosi
probabilmente lungo la zona di intersezione tra il dominio di transizione
Umbro-Sabino e quello di piattaforma Laziale-Abruzzese (CAVINATO et alii, 1989;
1993).
Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
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Fig.1.1.2. - Schema geologico-strutturale dell’Italia Centrale con localizzazione dell’area di studio.
Legenda 1- depositi marini continentali del Plio-Pleistocene e coperture alluvionali recenti; 2-
vulcaniti (Pleistocene); 3- depositi terrigeni sintettonici (Formazione del Cellino, Pliocene
inferiore); 4- depositi terrigeni sintettonici (Formazione di Argilloso-arenacea, Tortoniano
superiore p.p.-Messiniano superiore); 5- depositi terrigeni sintettonici (Formazione di Frosinone,
Tortoniano superiore p.p); 6- depositi terrigeni sintettonici (Formazione Marnoso-arenacea,
Burdigaliano p.p-Langhiano); 7- successione stratigrafica in facies di transizione (Triassico
superiore-Miocene inferiore); 8- successione stratigrafica in facies di piattaforma carbonatica
(Triassico superiore-Miocene medio); 9- faglia diretta; 10- faglia transtensiva; 11- faglia con
cinematica complessa; 12- faglia trascorrente; 13- sovrascorrimento; 14- retroscorrimento.
(CIPOLLARI et alii, 1993).
Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
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La peculiarità dell’assetto strutturale dei rilievi dell’Appennino Centrale è data
dalla coesistenza di strutture tettoniche con orientamento e stile deformativo
diversi, il cui limite è dato da una importante fascia di deformazione nota come la
Olevano-Antrodoco (PAROTTO, 1980). Questo importante elemento strutturale
marca il limite tra le strutture meridiane, con prevalente sedimentazione
carbonatica in facies di scarpata e di bacino, che costituiscono i rilievi dei Monti
Sabini e Reatini, e quelle ad andamento NW–SE, con sedimentazione in facies di
piattaforma carbonatica e di margine, che costituiscono i rilievi dei Monti Lepini e
Simbruini (CIVITELLI et alii, 1986; CORDA & MARIOTTI, 1986). L’attività tettonica
della Linea Olevano-Antrodoco è avvenuta nel Miocene superiore-Pliocene
inferiore, successivamente alla prima strutturazione dei principali rilievi
appenninici che avevano dato luogo alla struttura a pieghe e sovrascorrimenti, ben
riconoscibile nella parte centrale e superiore del bacino di Rieti (fig. 1.3.1) grazie
alle prospezioni gravimetriche effettuate nella Piana reatina (CICCOLELLA et alii,
1995). L’attivazione della Linea Olevano-Antrodoco e delle altre strutture
meridiane con componente di movimento destro, quali ad esempio la Faglia Sabina
(ALFONSI et alii, 1991) ha determinato l’instaurarsi di importanti e complesse
rotazioni delle strutture tettoniche, testimoniate dai dati paleomagnetici (MATTEI
et alii, 1995). Questi eventi hanno portato alla definizione dei diversi domini
strutturali ed all’ ulteriore disarticolazione delle strutture deformative enucleatesi
Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
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durante i primi stadi di evoluzione della catena, definendo l’attuale assetto delle
strutture dell’Appennino Centrale. Con il Pliocene inferiore i processi tettonici
responsabili dell’orogenesi migrano verso i settori adriatici come testimoniato
dall’ingente spessore dei depositi silicoclastici plio-pleistocenici affioranti in
Appennino Centrale (fig. 1.1.3.). Allo stesso tempo, nell’intero margine tirrenico le
strutture appenniniche iniziarono ad essere progressivamente dislocate e
smembrate ad opera dei processi estensionali responsabili dell’apertura del bacino
tirrenico.
Fig. 1.1.3. Schema strutturale del margine tirrenico centro-settentrionale della penisola italiana
con l’ubicazione del bacino di Rieti colmato dai depositi plio-pleistocenici (MATTEI et alii, 2008).
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Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
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1.2. Affinità con altri bacini dell’Appennino Centrale
Mentre sul margine continentale tirrenico la tettonica estensionale ha avuto il suo
periodo di maggiore attività durante il Miocene superiore e il Pliocene, nella parte
assiale della catena l’attività tettonica estensionale ha inizio nel Pleistocene ed ha
dato luogo alla formazione di numerosi bacini continentali intramontani, tra cui
quello reatino (fig. 1.2.1.). Esso è disposto con asse NNW-SSE ed è collocato tra due
importanti lineamenti compressivi: il thrust del Monte Tancia a W e i fronti tettonici
della Olevano-Antrodoco a E. Una caratteristica peculiare del bacino è la presenza
al suo interno di un settore, la Conca di Rieti, caratterizzata da una forma
geometrica regolare, morfologicamente e tettonicamente ribassata. La sua
formazione, avvenuta durante il Pleistocene medio-superiore, è legata alla ripresa
degli eventi estensionali a carattere regionale che hanno causato la riattivazione del
sistema di faglie bordiere e la messa in posto della piccola colata di lava melilitica
di Cupaello (CAVINATO et alii, 1989; CAVINATO, 1993). Il bacino reatino in
analogia con altri bacini intrappenninici postorogeni dell’Italia Centrale, quali
Terni, Leonessa, Fucino, Sulmona, prodotti dalle intense fasi tettoniche distensive,
che dal Messiniano in poi si sono propagate e si propagano tuttora dal margine
tirrenico verso quello adriatico (PAROTTO & PRATURLON, 1975; GASPARINI &
Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
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PRATURLON, 1981; LAVECCHIA, 1988), è caratterizzato da una potente
successione plio-quaternaria, da una debole e concentrata attività sismica e da una
spiccata evoluzione neotettonica. Infatti è colmato da un potente pacco di sedimenti
continentali di natura ghiaioso-sabbiosa-limosa (ACCORDI & CARBONE, 1986), il
cui spessore massimo è di circa 500 metri.
Fig.1.2.1. Schema geologico del bacino di Rieti (da MICHETTI et alii, 1995). Legenda: 1- depositi
fluviolacustri e coperture detritiche (Olocene Pleistocene superiore); 2 travertini (Pleistocene
medio-superiore; 3 centri vulcanici di Cupaello e Polino (Pleistocene medio); 4 sedimenti fluvio-
lacustri (Pleistocene medio-Pliocene superiore); 5 depositi marini silicoclastici (Miocene
superiore); 6 serie calcareosilicomarnosa (TriassicoMiocene); 7 sovrascorrimento; 8 faglia
normale; 9 faglia normale obliqua.
Cap. 1 – Inquadramento geologico regionale del bacino di Rieti
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Questi depositi fluvio-lacustri di riempimento del bacino reatino affiorano solo
nella parte meridionale e orientale dell’area e non sono presenti nella parte
occidentale, dove al di sotto di alcune decine di metri di alluvioni oloceniche è
presente il substrato carbonatico in facies Umbro-Sabina (MANFREDINI, 1972).
Altra caratteristica comune con altri bacini intermontani è la presenza di una
peculiare attività sismica localizzata, espressione di una marcata evoluzione
neotettonica della Conca di Rieti, e nel bacino reatino si esplica prevalentemente
con rilascio di una moderata energia sismica sul margine orientale (CAVINATO et
alii, 1989; CAVINATO 1993).
1.3. Il substrato Meso-Cenozoico in facies Umbro-Sabina
Il substrato Meso-Cenozoico del bacino reatino è formato dai termini calcareo-
silico-marnosi della successione Umbro-Sabina (ACCORDI & CARBONE, 1986;
CAVINATO et alii, 1989; COSENTINO et alii, 1991). Infatti la successione
stratigrafica affiorante nell’area del bacino di Rieti è costituita da termini mostranti
caratteri transizionali tra depositi pelagici, tipici di un ambiente di mare aperto, e
depositi neritici carbonatici. In effetti, questa succesione pur mostrando caratteri
generali di successione pelagica, presenta al suo interno, notevoli quantità di
materiale detritico, generalmente in facies neritica, caratterizzato da strutture