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1. Premessa.
L'istituto della famiglia costituisce, da sempre, il nucleo più importante
nell'ordinamento sociale umano, in quanto “luogo naturale” di interazione tra singoli
individui uniti fra loro da legami di parentela, di affetto, di servizio o di ospitalità. Le
sue caratteristiche dimensionali e strutturali, la sua funzione e la natura dei legami che
in essa si instaurano, sono legate alle circostanze sociali ed economiche nelle quali tale
istituto si trova ad operare, in quanto <<fortemente compenetrato con tutti gli ambiti di
vita esterna, i quali entrano in essa e ne plasmano la struttura più intima e profonda>>
(Andolfi, 2004).
Per tali motivi, oggi, in Italia, si discute molto di famiglia, anche se, sempre più
spesso, in termini problematici. Gli elementi di sofferenza, del resto, sono evidenti e
riguardano sia aspetti demografici che economici. Rispetto ai partners europei, l'Italia
è uno dei paesi in cui la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è tra le più
basse
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, le coppie fanno sempre meno figli e la scelta di averne accresce il rischio di
povertà.
Questi aspetti di criticità possono essere ricondotti, da un lato, ad un mercato del
lavoro inefficiente, che garantisce sempre meno opportunità, soprattutto a donne e
giovani, e, dall'altro, ad un sistema di welfare inadeguato e obsoleto, incapace di
fornire strumenti appropriati per rispondere ai bisogni emergenti e per tutelare i
cittadini dai nuovi rischi derivanti da una società in continua evoluzione, lasciando
ampio spazio, invece, a disparità di genere, geografiche e generazionali.
Più di recente è emersa la necessità, tra i nuclei familiari meno abbienti, di trovare una
occupazione per entrambi i membri della coppia, al fine di ovviare al problema delle
basse retribuzioni iniziali. È proprio riguardo a questo punto che si innesta uno dei
problemi tipici del nostro sistema economico: l'altissimo grado di incertezza
occupazionale.
I fattori qui enunciati portano, come inevitabile conseguenza, all'allungamento dei
tempi di realizzazione di tutte quelle condizioni ritenute adeguate per dare vita ad un
nuovo nucleo familiare, la prima di queste è la stabilità economica.
1 Il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro si attesta, in Italia, attorno al 47,2%, uno
dei più bassi in Europa. Con la Strategia di Lisbona del 2000, l'Unione Europea poneva l'obiettivo
dell'innalzamento dell'occupazione femminile: puntava a raggiungere per la media europea un tasso
di occupazione femminile pari al 60% entro il 2010.
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Se la conquista di una propria autonomia e la costituzione di un proprio nucleo
familiare arrivano in età tardiva, si riducono i margini di realizzazione dei desideri
riproduttivi, formando così un quadro coerente con la bassa fecondità che caratterizza
l'Italia
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. Difatti, le donne si trovano ad affrontare un trade off tra carriera lavorativa e
famiglia che le costringe a posticipare il proprio desiderio di maternità per far fronte
alle difficoltà economiche. A queste si aggiungono, poi, la mancata sicurezza di
mantenere il proprio posto di lavoro e la scarsità di strumenti che permettano una
maggiore conciliazione famiglia-lavoro. Il risultato è un paese caratterizzato da un
basso tasso di natalità e da una fecondità che può essere definita “persistentemente
bassa” (Del Boca e Rosina, 2009).
Insomma, l'Italia è nel complesso uno dei paesi più lontani dall'efficienza del mercato
del lavoro e dalle politiche di sostegno alla famiglia. Tutti aspetti, questi, che pesano
sulle scelte familiari, comprimendo le possibilità di crescita del paese.
Queste riflessioni forniscono il punto di partenza per lo sviluppo di uno degli
argomenti più discussi in questi anni: la formulazione di una riforma fiscale che ponga
le basi sull'istituto della famiglia attraverso un effettivo sostegno che incentivi la
formazione di un nuovo nucleo familiare che in Italia, come nel resto del mondo, ha
subito profonde trasformazioni. Il punto nodale della riflessione risiede, esattamente,
nel principio di revisione della tassazione dei redditi delle persone fisiche mediante il
meccanismo del quoziente familiare.
Si rende preliminarmente necessario fornire un quadro esplicativo dei mutamenti che
stanno caratterizzando la struttura economica e sociale della famiglia, guardando anche
ai principali interventi a sostegno della famiglia e dei meccanismi di imposizione
fiscale che caratterizzano i paesi dell'OCSE; infine, verrà fatto un richiamo all'attuale
situazione italiana, punto di partenza per la formulazione di ipotesi di tassazioni di tipo
familiare, analizzandone gli impatti.
2 Secondo stime recenti riferite all'anno 2005, nel nostro Paese nascono in media 1,33 figli per ogni
donna in età feconda (generalmente fissata entro l'intervallo di età 15-49 anni). Quello italiano è uno
dei livelli più bassi di fecondità osservato nei paesi sviluppati ed è il risultato di una progressiva
diminuzione delle nascite che è in atto da circa un secolo. Ad eccezione, infatti, di brevi periodi di
ripresa – come il baby boom della prima metà degli anni '60 in cui si è registrato un massimo di 2,7
figli per donna – dal 1965 è iniziata una nuova fase di diminuzione della fecondità che si è protratta
per trent'anni. Nel 1995 si è toccato il minimo storico di 1,19 figli per donna, mentre a partire dalla
seconda metà degli anni '90 è in atto una lieve ripresa.
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2. Le trasformazioni delle dinamiche familiari.
L'ordinamento italiano riconosce la centralità del ruolo della famiglia come “luogo
della solidarietà relazionale fra coniugi e fra generazioni” (Osservatorio Nazionale
sulla famiglia, 2010b). In tal senso, la famiglia ricopre un ruolo peculiare nella
formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel
perseguimento della coesione sociale. Ciò scaturisce direttamente dalla Costituzione,
all'art. 31, comma 1, in cui è statuito il principio secondo cui lo Stato promuove la
<<formazione della famiglia e dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie
numerose >>.
Tuttavia, negli ultimi anni sembra non essere più così. Una serie di disagi sociali ed
economici colpisce sempre più famiglie le quali, molte volte, si trovano a ricoprire un
ruolo di protezione sociale per sopperire alla mancanza di sostegni che lo Stato non è
in grado di garantire.
Contrariamente ad altri paesi, l'Italia non ha ancora definito un efficace piano
nazionale di politiche familiari, inteso come un quadro organico di politiche
specificatamente rivolte alla famiglia.
Ha, invece, operato attraverso una serie infinita di interventi frammentari e solo
correttivi dei problemi di cui le famiglie continuano tutt'oggi a farsi carico
(Osservatorio Nazionale sulla famiglia, 2010b).
Tali disagi sono molteplici. Tuttavia, i principali sono riconducibili ad un processo di
trasformazione delle famiglie iniziato da qualche decennio che riguarda: le
trasformazioni demografiche, il rapporto famiglia-lavoro e il benessere socio-
economico. Questi i punti cruciali che, nel prosieguo, verranno discussi.
2.1. Le trasformazioni demografiche.
Il processo di trasformazione che ha investito in modo significativo i nuclei familiari è
legato ai mutamenti demografici e sociali che hanno comportato una dilatazione ed un
cambiamento delle fasi del ciclo di vita.
Uno dei tratti caratterizzanti il processo evolutivo che ha interessato la famiglia italiana
è rappresentato dal basso indice di natalità, accompagnato, a sua volta, da un
altrettanto basso tasso di mortalità specifica tra gli anziani.
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Il declino della fecondità in Italia, così come in altre realtà dell'Europa Occidentale, è
legato a fattori socio-economici che hanno spinto le coppie a posporre il momento
della procreazione o ad avere pochi figli. Investimenti in più alti livelli di istruzione e
in maggiori opportunità di carriera lavorativa, soprattutto con riferimento alle donne,
sono tra le cause principali che hanno portato alla riduzione delle nascite (Breschi e
Bacci, 2002).
La recente crisi economica ha peggiorato la situazione: le non facili condizioni
economiche con alti livelli di disoccupazione, diffusa specialmente tra i giovani, e le
difficoltà nel trovare casa possono essere tra i fattori che hanno contribuito a rinviare
ulteriormente la procreazione e/o ad avere figli.
Eppure, secondo l'Istat (2010), negli ultimi decenni il desiderio di maternità è rimasto
pressoché inalterato. Molte indagini dimostrano, infatti, che le donne fanno meno figli
di quelli che in realtà desidererebbero, che è mediamente attorno a due.
Tabella 2.1 – Numero medio di figli per donna
Anni 2006-2009 e 1995 - Valori medi assoluti
Fonte: Elaborazione Istat, 2010.
La tabella 2.1 elaborata dall'Istat
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evidenzia significative differenze nel numero medio
di figli che una donna è riuscita ad avere, differenze che vanno analizzate
congiuntamente sotto profili sia territoriali che temporali. Confrontando tra loro il dato
italiano con i dati riferiti alle diverse aree del paese (Nord, Centro e area del
Mezzogiorno), si nota che il valore medio nazionale delle nascite nasconde forti
differenze regionali: l'aumento dei nati si registra, infatti, solo per i residenti nelle
3 La tabella, disponibile sul sito www.demo.istat.it, riportava inizialmente il Numero medio di figli per
donna per regione – Anni 2006-2009. Per facilitare un confronto è stata aggiunta la colonna del
numero medio di figli per donna riferito all'anno 1995. Inoltre, l'analisi si concentra essenzialmente
sulle diverse aree geografiche del nostro paese, senza guardare ai dati specifici di ogni regione.
AREE
Numero medio di figli per donna
1995 2006 2007 2008 2009
Nord 1,05 1,38 1,41 1,46 1,46
Nord-Ovest 1,05 1,37 1,40 1,46 1,45
Nord-Est 1,05 1,39 1,43 1,47 1,46
Centro 1,07 1,31 1,32 1,41 1,37
Mezzogiorno 1,42 1,33 1,34 1,35 1,36
Sud 1,42 1,33 1,35 1,35 1,36
Isole 1,40 1,32 1,32 1,35 1,36
ITALIA 1,19 1,35 1,37 1,42 1,41
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regioni del Centro e del Nord, mentre al Sud e nelle isole prosegue il fenomeno della
denatalità.
Tra il 1995 e il 2009, nelle regioni del Centro e del Nord, si osservano incrementi
compresi tra l'11 per cento del Trentino-Alto Adige (che passa da 1,34 nel 1995 a 1,57
nel 2009) e il 30 per cento della Lombardia (da 1,07 nel 1995 a 1,50 nel 2009). Un
caso a parte è quello dell'Emilia-Romagna, regione che a metà degli anni Novanta
mostrava i livelli di fecondità più bassi (0,97 figli per donna) e che ora registra il 50
per cento di nati in più (1,47). Nello stesso lasso di tempo, nelle regioni del
Mezzogiorno, al contrario, si osserva una riduzione delle nascite compresa tra il 5 per
cento della Sardegna e il 21 per cento della Basilicata, con una significativa inversione
di tendenza in Abruzzo che, dopo vari anni, sperimenta una prima variazione positiva
superiore al 4 per cento.
A livello nazionale, nel 2009, l'Italia ha registrato una media di 1,41 figli per donna, in
lieve aumento rispetto agli anni precedenti, ma pur sempre lontano dai desideri di
riproduttività. Questo dato è in linea con la ripresa avviatasi a partire dalla seconda
metà degli anni Novanta, dopo trent'anni di calo e il minimo storico delle nascite e
della fecondità registrato nel 1995. Non si può dimenticare, infatti, che nell'ultimo
secolo l'Italia, fatta eccezione per i primi anni Sessanta
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, è stata protagonista di una
progressiva diminuzione delle nascite che ha visto toccare proprio nel 1995 il suo
valore più basso, attestato a 1,19 figli per donna.
Inoltre, come già accennato, l'Italia si caratterizza, oltre che per un basso tasso di
natalità, anche per un elevato tasso di anzianità, effetto, a sua volta, di un generale
miglioramento delle condizioni di salute e della qualità della vita. La famiglia italiana
è quindi soggetta a fenomeni di contrazione e di invecchiamento: si è determinato un
grande squilibrio tra le generazioni poiché nascono pochi bambini e c'è un
invecchiamento della popolazione molto più dilatato rispetto agli altri paesi.
Non a caso il nostro viene dai più definito il <<welfare dei pensionati>>, caratterizzato
dall'aumento consistente dei “grandi vecchi” di oltre ottanta anni non autosufficienti e
da una maggiore e più articolata domanda di servizi assistenziali.
Difatti la spesa sociale italiana risulta una delle più squilibrate in Europa: una parte
preponderante viene dedicata al sistema pensionistico, lasciando una quota irrisoria
4 I primi anni Sessanta sono gli anni del cosiddetto baby boom, in quanto caratterizzati da un forte
incremento delle nascite che ha fatto registrare, nel 1965, un massimo di 2,7 figli per donna.