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CAPITOLO PRIMO
Il consumo dei media nella società moderna
1.1 L’avvento della società moderna
In un mondo in cui i mezzi di comunicazione di massa vivono una continua evoluzione e si
rendono più accessibili per costo e disponibilità, si è sviluppato una sorta di campo magnetico
pubblico, aperto ad un numero sempre crescente di individui in tutto il mondo. Tale
evoluzione ha reso più dinamiche le modalità di produzione e diffusione dei materiali mediali
ed ha comportato, rispetto al passato, una riorganizzazione dei modi in cui gli individui si
relazionano con se stessi e con gli altri. Gli stili di vita odierni, inoltre, hanno apportato
modifiche sostanziali ai pilastri su cui si basavano i rapporti tra fiducia e rischio. Nella società
pre-moderna, infatti, la vita si svolgeva in dimensioni spaziali limitate e le interazioni fra le
persone avvenivano generalmente attraverso scambi faccia a faccia in un luogo fisico
condiviso. Le tradizioni venivano tramandate oralmente di generazione in generazione; ciò
richiedeva tempo e garantiva una forza di penetrazione limitata. I rituali, che collegavano la
fiducia nelle pratiche sociali abitudinarie alla continuità tra passato, presente e futuro,
vengono insidiati dalla riflessività della vita sociale moderna e lasciano il posto
all’osservazione empirica, al metodo scientifico ed al pensiero logico. I legami di parentela,
cui si faceva affidamento perché fornivano una rete stabilizzante di rapporti intimi, rimangono
importanti dal punto di vista affettivo ma non costituiscono più fattori duraturi attraverso il
tempo e lo spazio. La relazione con la comunità locale, che grazie alla limitata estensione
territoriale era garantita nel tempo, nonostante il permanere dell’attaccamento al luogo
d’origine sfuma intrecciandosi alle relazioni globali. I credenti, che si affidavano alla
religione per attingere interpretazioni morali di avvenimenti personali, sociali o naturali in
grado di dar loro sicurezza, si scontrano con un processo di secolarizzazione e l’attività
religiosa, intesa come influenza generalizzata sull’organizzazione e sulle pratiche della vita,
diventa inconciliabile col dinamismo del vivere quotidiano. La razionalità si afferma in molti
ambiti della vita sociale.
1
A tali cambiamenti, si affiancano le innovazioni tecnologiche apportate dalla seconda
rivoluzione industriale, che trovano impiego in numerosi settori quali la medicina,
1
Giddens A., (1994), Le conseguenze della modernità, pp.102-112
6
l’agricoltura, l’industria, i trasporti e la comunicazione. Con le invenzioni del telegrafo e del
telefono divennero possibili le prime comunicazioni istantanee intercontinentali che furono
decisive nei commerci e nelle relazioni tra gli Stati, divenuti interdipendenti.
Nel pensiero sociologico questa organizzazione sociale, costituitasi nel XVII secolo in Europa
e poi diffusa in tutto il mondo, viene identificata come “modernità” ed uno dei tratti principali
che la distingue è l’uniformità dell’organizzazione sociale, conseguente all’invenzione e alla
diffusione dell’orologio meccanico in tutti gli strati della società. Prima di essa luogo e spazio
coincidevano e le dimensioni spaziali della quotidianità erano dominate dalla presenza. La
vita era scandita dall’imprecisa misurazione del tempo basata su connotazioni socio-spaziali
localizzate, senza le quali gli individui non erano in grado di definire l’ora del giorno in cui si
trovavano. La standardizzazione geografica del tempo ne permise la separazione dallo spazio,
favorendo i rapporti tra persone fisicamente lontane tra loro.
2
Nella modernità la
comunicazione può svincolarsi dalla compresenza di emittente e ricevente cosicché gli scambi
simbolici avvengono anche in contesti spazio-temporali diversi.
I progressi attuati nella stampa ed il rapido susseguirsi di notizie condussero alla creazione
delle prime agenzie di stampa e dai primi del Novecento, con l’avvento della radio, all’inizio
dell’era delle comunicazioni di massa. Da allora le istituzioni mediali si sono trasformate in
grandi imprese commerciali e le informazioni sono divenute merci vendute sul mercato.
Grazie agli investimenti di grandi capitali, l’industria giornalistica ha abbandonato il
tradizionale assetto di gestione familiare, si è ampliata ed ha catturato l’attenzione di un vasto
pubblico. A partire dal XX secolo poi, con l’avvento dei mass media digitali, è possibile
produrre, elaborare e trasmettere contenuti su ampia scala con grande facilità, flessibilità e
rendendo nullo il tempo di trasmissione. Innovazioni tecniche di tale portata, fanno apparire il
mondo più piccolo e completamente esplorato, anche se in realtà esso diviene più complesso
da gestire e più difficile da comprendere e da vivere. L’economia è dominata da imprese con
estensione globale, che influenzano i mercati di tutti gli Stati. La ricchezza viene generata
dalla produzione di grandi industrie che gestiscono un enorme potere mentre nell’ordinamento
politico in cui gli Stati-nazione erano i protagonisti, l’intensificarsi delle relazioni che li
collegano fa si che gli eventi verificatisi in contesti locali vengano modellati da eventi che si
verificano a distanza e viceversa.
2
Ibidem, pp. 28-31
7
Queste mutate condizioni in ambito politico, economico, tecnologico e sociale, hanno
plasmato una società decentralizzata ed hanno dato il via al processo di globalizzazione che
Beck individua nella trans-nazionalizzazione, con l’interconnessione tra le società di stati
diversi, in rottura con la cornice degli Stati-nazionali: essi cessano di costituire le istituzioni
mediatrici tra globalità e località e si approda ad uno spazio intermedio che non può più essere
ricondotto alle vecchie categorie.
3
La realtà stessa è diventata cosmopolita: lo dimostra ad
esempio il considerare la guerra in Iraq come un problema di politica interna mondiale che
attraverso i media ha simultaneamente coinvolto l’intera umanità. I nuovi cittadini del mondo
si dotano di “uno sguardo dialogico capace di cogliere le ambivalenze nel contesto delle
differenze che sfumano e delle contraddizioni culturali;”
4
lo sguardo scettico, autocritico e
cosmopolita di Beck. L’autore propone una svolta epistemologica che distingua il
cosmopolitismo, inerente ai battibecchi politici, dal suo sguardo cosmopolita, volto ad
analizzare la situazione creatasi in seguito alla caduta dei confini. Empatia globale, nazionale
e locale si compenetrano, si integrano e si modificano a vicenda originando identità ridefinite.
Ne consegue un disvelarsi di rischi che provoca uno stato d’ansia e di disagio per l’individuo
che, disorientato, perde i punti di riferimento ai quali era abituato.
Alcuni filosofi e scienziati sostengono che questo venir meno della fede nel progresso e
nell’obiettività generi una nuova fase della storia, un’epoca storica successiva alla modernità
che nonostante il permanere di molti aspetti ne rappresenta il superamento. Tale transizione
viene definita in più modi “era dell’informazione”, “società dei consumi”, “tardo-modernità”,
“era del post-capitalismo” ma la terminologia a cui si fa più riferimento è “postmodernità”.
Altri autori invece, tra cui Giddens, ritengono che la modernità sia un processo in continuo
divenire e non trovano nell’acquisita consapevolezza una novità o un qualcosa che segna una
cesura con la modernità ma solo il momento in cui questa comincia a comprendere se stessa,
una fase di radicalizzazione della modernità (modernità radicalizzata o modernità radicale o
tarda - modernità).
Al di là della corrente di pensiero che si ritiene più aderente al periodo che stiamo vivendo, è
opportuno riconoscere che, nello scenario attuale l’incertezza e la complessità prendono il
posto della concezione deterministica e meccanicistica del mondo, rendendo opaco il nuovo
che emerge. Un mutamento rapido e pervasivo è in corso, ne sono espressione ed al tempo
stesso artefici i nuovi metodi di produzione e le nuove tecnologie che pervadono la società
3
Beck U., (2001), Libertà o capitalismo?Varcare la soglia della modernità, Carocci, Roma, p. 44
4
Beck U., (2003), Lo sguardo cosmopolita, Carocci, Roma, p. 14
8
con codici complessi.
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Con le comunicazioni elettroniche e virtuali è possibile operare una
dislocazione della realtà e trovare in esse nuove identità, nuove tipologie di relazioni
comunitarie e nuove forme di partecipazione; basta guardare ai consumi per avere un
riscontro immediato dei cambiamenti. Il linguaggio digitale mitiga i confini tra vita reale e
mondo virtuale e così nella quotidianità ci confrontiamo con soggetti e situazioni che ci fanno
transitare da uno spazio all’altro, dalla veridicità all’apparenza. Per dirla con le parole di
Silverstone“oggi appare compiuta una rivoluzione silenziosa: il mondo in cui viviamo, le
esperienze che facciamo, sono filtrate dai media, al punto che i loro prodotti sono dentro di
noi e contribuiscono ampiamente a formare la nostra identità, a riempire di contenuti e di
emozioni i nostri valori, il significato che diamo alle singole cose e nel complesso, alla nostra
vita”.
6
1.2 Produzione e trasmissione mediatica
L’industria dei media nasce da uno sviluppo tecnico, industriale e commerciale imponente, è
legata inizialmente a specifiche imprese culturali ed è caratterizzata dal fatto che nel prodotto
culturale il valore non è rappresentato dal materiale ma dal contenuto. La de-
materializzazione ha determinato la perdita del tradizionale valore d’uso dei prodotti,
trasformandoli in segni e simboli che offrono servizi. La produzione mediatica è l’atto con cui
si fissa un contenuto simbolico in un sostrato materiale. Chi produce il contenuto simbolico
deve codificarlo in un formato che permetta a chi ne fruisce un’adeguata decodifica. Il sistema
di comunicazione a distanza, tra due o più persone attraverso dispositivi che elaborano
tecniche di trasferimento del messaggio tramite segnali, viene chiamato telecomunicazione.
Le telecomunicazioni consentono il passaggio di dati audio, video e testuali; elementi
indispensabili di un sistema di telecomunicazioni sono il trasmettitore che prende il
messaggio e lo converte in segnale, il mezzo tecnico che costituisce il canale su cui il segnale
viene trasmesso ed il ricevitore che riceve e converte il segnale in messaggio.
Thompson descrive la comunicazione come “un genere particolare di attività sociale che
comporta la produzione, la trasmissione e la ricezione di forme simboliche, e presuppone
5
Fabris G., (2008), Societing. Il marketing nella società postmoderna, Egea, Milano, pp. 7-8
6
Silverstone R., (2002), Perché studiare i media?, Il Mulino, Bologna, p. 7
9
l’utilizzo di risorse di vario tipo.”
7
Le risorse che impieghiamo mutano in base al genere di
scambio simbolico che mettiamo in atto. Quando parliamo utilizziamo l’apparato fonatorio,
mentre per ciò che concerne la comunicazione massmediale le risorse da impiegare
corrispondono al sostrato materiale delle forme simboliche, ovvero ad un mezzo tecnico che
fissa ed immagazzina le informazioni per conservarle nel tempo e renderle disponibili per usi
successivi. Il grado di fissazione può essere più o meno elevato e varia in relazione alla
capacità del supporto usato (un libro, la memoria umana, una moderna penna usb, ecc.). Il
mezzo tecnico è inoltre capace di riprodurre un contenuto riportandolo in diverse copie.
Proprio la riproducibilità ha determinato la trasformazione delle forme simboliche in merci da
vendere ed acquistare sul mercato: basti pensare all’impatto che l’invenzione della stampa ha
avuto, a fini commerciali, con l’aumento della capacità riproduttiva dei testi. Per alcuni media
(riviste, televisione, radio ecc.) oltre alla riproducibilità, la valorizzazione economica deriva
dalla possibilità di vendere, insieme all’informazione, spazi pubblicitari. Parallelamente, in
altri campi, come quello artistico, l’originalità e la non riproducibilità di un’opera assumono
sempre maggior importanza. Nelle moderne imprese a rete, un elemento fondamentale per
definire gli sviluppi sul mercato è dato dalla conoscenza. Per far aderire produzione e
distribuzione e definire una geografia del consumo, le grandi industrie destinano ingenti
investimenti in ricerche di mercato, osservazioni, focus group ed etnografie della vita
quotidiana. L’utilizzo dell’informatica rende la produzione flessibile e de-localizzata. Mutata
è anche la concezione del consumo: i bisogni cedono il passo ai desideri e l’utilità viene
sostituita dal consumo come divertimento, un consumo quindi che non fa perdere valore al
prodotto ma anzi, lo rafforza. Per anni è stata considerata prioritaria l’offerta mentre oggi è
cruciale l’orientamento al consumo del destinatario. I media si strutturano allora in modo da
rendere il piacere, derivante dall’offerta dei loro eventi, facilmente accessibile al pubblico di
lettori, spettatori o ascoltatori.
7
Thompson J. B., (1998), Mezzi di comunicazione e modernità, Il Mulino, Bologna, pp. 32-33
10
1.3 Pubblico, media e teorie
Fin dall’inizio dell’era delle comunicazioni di massa gli studiosi hanno cercato di
comprendere quali siano gli effetti delle relazioni tra le persone e i media. Ovviamente questo
non è un compito facile anche perché sia le tecnologie che l’ordinamento sociale vivono un
costante processo di trasformazione e le influenze non sono le stesse in tutti i momenti storici.
Tuttavia l’analisi scientifica persiste nella ricerca di verità durature ed ha prodotto negli anni
una serie di formulazioni che provano a spiegare ed a prevedere cosa accade quando le
persone si espongono a messaggi particolari attraverso mezzi altrettanto particolari. Il
pubblico dei mass media non si può racchiudere in un’entità unica, isolata e passiva, ma al
contrario, se lo si osserva, si noterà come esso sia composto da una variegata tipologia di
pubblici distinti, di gruppi diversi dal punto di vista della posizione socioculturale che
occupano, per il genere, per la tipologia di medium che preferiscono e per molti altri aspetti.
Nella concezione odierna il pubblico è costituito dai destinatari dei messaggi veicolati
attraverso apparecchi elettronici e, dato che il consumo dei media è disperso geograficamente
in una moltitudine di ambienti, i confini di questo pubblico sono inevitabilmente instabili.
8
Seguendo l’evoluzione temporale degli approcci teorici relativi agli effetti dei media sul
pubblico, è possibile notare che nel passato si insisteva molto sui processi di massificazione
operati su di una folla passiva, mentre più di recente queste impostazioni vengono
riconsiderate e, grazie anche a numerose ricerche sul campo, al destinatario viene attribuito un
ruolo più attivo. Agli inizi del Novecento i media venivano considerati onnipotenti; stando
alla teoria ipodermica,
9
si guardava al pubblico come ad una massa indifferenziata, al cui
interno gli individui si trovavano in una condizione di isolamento fisico, sociale e culturale.
Questa chiusura in loro stessi era dovuta alla perdita di orientamento e di identificazione
avvenuta all’interno di un’emergente comunità urbano-industriale. I messaggi mediali
venivano ricevuti da tutti in maniera uniforme stesso modo, perciò, di fronte al grande potere
dei mezzi di comunicazione di plasmare l’informazione, gli uomini restavano indifesi ed
allarmati da ciò che le nuove forme comunicative (quotidiani, film radio) potevano provocare
8
Moores S., (1998), Il consumo dei media, Il Mulino, Bologna, p. 8
9
La teoria ipodermica, (Bullet Theory), nasce in U.S.A. nel periodo tra le due guerre mondiali e considera il
messaggio “sparato” dal medium come un ago ipodermico che viene “iniettato”, senza ostacolo alcuno, nel
cervello del ricevente, al quale si attribuisce dunque un ruolo del tutto passivo.
11
nelle persone. Si pensava che, come proiettili, i messaggi colpissero l’audience innescando in
essa stimoli a risposte dirette ed immediate.
10
Successivamente la visione dei media onnipotenti venne abbandonata per via dei risultati che
emersero dalle ricerche empiriche sui processi e per gli effetti delle comunicazioni di massa
che rilevarono un quadro inconciliabile con quello disegnato dal proiettile magico. Sociologi e
psicologi giunsero inoltre a conclusioni del tutto nuove sulle caratteristiche personali e sociali
degli esseri umani. Dallo studio sui meccanismi dell’apprendimento e della motivazione negli
esseri umani ad esempio divenne chiaro che ogni persona ha un profilo psicologico, una
struttura cognitiva, dei bisogni e delle capacità diverse dalle altre. Furono identificati allora
modelli di comportamento individuale e di gruppo che dettero luogo alla formulazione di un
complesso di teorie dell’influenza selettiva.
“Negli anni Quaranta, quando ci si rese conto delle conseguenze delle differenze individuali
e della differenziazione sociale sul comportamento legato alle comunicazioni di massa, si
aprì una nuova prospettiva teorica sul rapporto tra le audiences e i media.”
11
Si acquisì la
consapevolezza che i membri del pubblico selezionano dai media i contenuti che preferiscono.
Da una concezione passiva del pubblico all’interno dei processi di comunicazione e
persuasione, viene riconosciuto l'intervento di fattori sociali, con particolare riferimento alla
mediazione esercitata dai gruppi primari (famiglia, chiesa, partito, associazioni) e, in seno ad
essi, dagli opinion leader. Tale prospettiva ha ispirato la teoria degli uses and gratification,
introdotta nel dopoguerra e sviluppata negli anni Sessanta dal sociologo americano Elihu
Katz. Essa si fonda su 5 assunti, i quali stabiliscono che il pubblico è da considerarsi attivo
poiché è lui a collegare il bisogno di gratificazione e la scelta di quali media utilizzare. I mass
media competono con altre fonti di soddisfazione dei bisogni del pubblico e le gratificazioni
che forniscono, attraverso il soddisfacimento di informazioni, possono essere raggiunte anche
dagli individui con le loro capacità personali. Infine, dunque, i giudizi di valore sul significato
culturale dei media devono essere sospesi. Ciò sposta l’attenzione dai media verso il pubblico:
nel processo di comunicazione di massa è lui che sceglie quale mezzo usare per perseguire il
bisogno di gratificazione. Gli individui si creano dunque una sorta di palinsesto di fruizione
che risponde ad esigenze, scopi e desideri personali. I bisogni particolari dei pubblici e le
gratificazioni che essi traggono dall’utilizzo dei mass media influiscono non solo sui modelli
10
De Fleur M. L. Ball-Rokeach S. J., (1995), Teorie delle comunicazioni di massa, Il Mulino, Bologna, pp. 174-
179
11
Ibidem, p. 204
12
di attenzione ai contenuti mediali, ma anche sui metodi di utilizzazione delle notizie apprese.
Si passa dal “cosa fanno i media alle persone”, al “cosa le persone fanno ai media” dato che,
quest’ultimi sono permanentemente sotto il controllo esercitato dal pubblico attraverso il
consumo. Il processo comunicativo può apparire asimmetrico poiché l’emittente, ovvero il
medium, genera messaggi diretti ad un ampio numero di destinatari secondo un modello di
comunicazione “uno a molti”, dove cioè all’unicità di emittenza corrisponde una grande
molteplicità di recettori. I riceventi, per di più, si ritrovano coinvolti all’interno di un processo
di scambio simbolico ma in una posizione subordinata e non reciproca rispetto al medium di
massa. A loro resta solo la possibilità di apportare contributi attraverso, ad esempio, telefonate
in studio, lettere al direttore di una testata o spegnendo il televisore. In secondo luogo però è
necessario pensare alla massa come ad una pluralità di persone che possono fruire, ma non per
forza fruiscono, come destinatari, dei messaggi mediali e quando decidono di farlo mettono in
atto facoltà critiche che consentono loro di interpretarli. Ognuno agisce e attribuisce
significati ai prodotti mediali in relazione a determinati fattori ed in base a questi, uno stesso
messaggio può essere inteso in modi differenti. Secondo uno studio di Katz e Lazarsfeld,
12
i
fattori da indagare riguardano principalmente la dimensione e la composizione del pubblico, il
grado di attenzione prestato, la comprensione del contenuto simbolico ricevuto, gli effetti
dell’esposizione ai messaggi ed i bisogni sociali e psicologici che il consumo ha soddisfatto.
L’idea della comunicazione come generatrice di immediata influenza viene soppiantata da una
ricerca più attenta ai contesti e alle interazioni tra i riceventi; l’efficacia della comunicazione
viene cioè posta in relazione ad un numero variabile di fattori. In questo tipo di interazione
ogni individuo del pubblico, in maniera privata, instaura rapporti con le persone che vede,
ascolta o legge ed esse diventano per lui familiari. Questi rapporti sono però privi di
interazione diretta poiché l’ambiente spazio-temporale non è condiviso. Quando ci
appassioniamo ai libri di un autore, ai brani di un musicista o ad un programma televisivo essi
diventano per noi riconoscibili, li facciamo entrare nella nostra vita e diventiamo dei loro fan.
Il fan
13
è un accanito sostenitore di qualcosa o di qualcuno che instaura con l’oggetto della sua
ammirazione un rapporto che va oltre al semplice consumo perché implica un grado di
identificazione o investimento e al tempo stesso non coincide con il fanatico poiché non vi è
né adesione incondizionata né identificazione.
14
L’essere un fan rientra tra la gamma di
12
Katz E. Lazarsfeld P.F., (1968), L’influenza personale nelle comunicazioni di massa, Torino, Eri, pp. 3-14
13
Fan è un termine mutato dalla lingua inglese dove nasce come abbreviazione di “fanatic” (fanatico)
14
Grossberg L., (2002), Saggi sui Cultural Studies, Liguori, Napoli, pp. 48-50
13
relazioni che si possono instaurare con una certa attività mediale ed è un legame particolare
che non implica interazioni faccia a faccia o l’assunzione di impegni reciproci ma che ci
permette di condividere il nostro interesse con altri dando vita a delle comunità di ammiratori,
chiamate fandom.
Negli anni Settanta si diffonde la teoria della coltivazione
15
che indaga gli effetti dei media
nel lungo periodo. Concentrandosi in particolare sulla televisione, mira a valutare se la mente
dei fruitori possa essere coltivata con l’insistenza dei media rispetto a certe tematiche o ad un
clima culturale. La coltivazione dunque non è altro che l’interazione tra il telespettatore ed il
messaggio e dipende dall’ampiezza del tempo di esposizione al medium. In particolare
Gerbner, ideatore della teoria, era interessato a valutare come la violenza mostrata dal piccolo
schermo, aumentasse negli spettatori la paura che vi fosse criminalità nel proprio ambiente e
ritenne che la presenza di un palinsesto mondiale unitario, globalizzato, facesse della TV uno
strumento di omogeneizzazione culturale, in grado di canalizzare il nostro modo di pensare e
provocare un cambiamento nella percezione della realtà, facendo vivere lo spettatore in un
mondo modellato su ciò che viene trasmesso dal mezzo stesso. Pur sovrastimando in parte gli
effetti del mezzo, la teoria è una risposta utile per affrontare la questione di come acquisiamo
le nostre conoscenze e di come la realtà mediata influisca sul nostro comportamento e sui
significati che attribuiamo al mondo oggettivo.
16
Molti studiosi hanno suddiviso la storia del mezzo televisivo in una triplice periodizzazione e
la cultivation theory rientra all’interno della prima delle tre fasi, compresa tra le origini e gli
anni Ottanta. Essa coincide con il monopolio del servizio pubblico ed è denominata fase della
scarsità, “si caratterizza infatti per la presenza di un numero limitato di canali, e per un
numero egualmente limitato di ore di programmazione nell’arco della giornata”.
17
La
seconda fase si ha dall’avvento delle reti commerciali alla fine degli anni Ottanta e viene
definita come quella della crescita perché si rende disponibile agli spettatori una grande
varietà di canali e programmi e si accende la competizione per la conquista dell’audience.
L’ultima fase, quella che dagli anni Novanta ci porta fino ad oggi, è la fase dell’abbondanza
15
La teoria della coltivazione, sviluppata da Gerbner a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta negli Stati Uniti,
attribuisce alla televisione la capacità di fornire allo spettatore, dall’infanzia all’età adulta (per questo si parla di
coltivazione), una visione del mondo comune e condivisa, operando in tal senso nella direzione di
un’unificazione della realtà. Il mezzo televisivo non avrebbe quindi effetti specifici ed immediati sugli spettatori
ma produrrebbe un effetto di cumulazione che porta lo spettatore a vivere in un mondo che somiglia a quello
mostrato dal teleschermo.
16
De Fleur M. L., Ball-Rokeach S. J., Op. cit., pp. 282-284
17
Buonanno M., (2006), L’età della televisione, Laterza, Bari, p.16
14
perché caratterizzata dalla moltiplicazione spropositata di canali e programmi, nonché dalla
diversificazione delle piattaforme di trasmissione (analogico, digitale ecc.).
18
A differenza
degli altri mezzi, (internet, quotidiani) per usare la televisione e la radio non occorrono alti
gradi di alfabetizzazione e competenze particolari, perciò essi sono mezzi assai democratici.
Al contrario tutt’oggi numerosi filosofi si trovano d’accordo nel condannare la degenerazione
culturale che passa attraverso lo schermo, ritenendo la televisione un mezzo in grado di
provocare assenso e omologazione. Specie quando si parla di informazione, le esperienze
veicolate dai media non sono mai ritenute neutrali ma inserite in un discorso di potere nella
definizione della gerarchia tematica. La teoria dell’agenda setting, sostiene che i mass media,
scegliendo quali notizie dare, in quale ordine e quanto tempo dedicare a ciascuna di esse,
influenzino l’audience. Il pubblico tenderebbe a includere o escludere certe notizie
dall’agenda personale a seconda che i media le includano o meno nei contenuti che offrono e
gli individui si formerebbero così un’idea della realtà partendo da quella rappresentata dai
mezzi di comunicazione di massa. La scelta delle news, da parte degli emittenti, seguirebbe
criteri differenti. Quello di notiziabilità indaga l’attitudine di un evento a diventare notizia e
indica ad esempio la capacità di intrattenimento, il grado di interesse e di coinvolgimento che
essa può suscitare. I criteri relativi al prodotto indagano la qualità, la brevità e la novità
(l’anteprima, lo scoop) della notizia mentre quelli relativi al mezzo studiano l’adeguatezza del
canale in relazione al messaggio. Nessuno ha mai dimostrato l’assoluta validità di tale teoria
ma analisi empiriche mostrano che i media sono effettivamente in grado di spostare
l’attenzione su determinati temi (il naufragio della Costa Concordia, il delitto di Cogne, ecc.).
Dalla consapevolezza circa l’ineludibilità della distorsione derivano due interpretazioni dei
processi comunicativi. Da una parte la convinzione della soggettività interpretativa favorisce
un atteggiamento tendenzialmente irresponsabile, dall’altra la consapevolezza della
soggettività interpretativa fa emergere le varietà di prospettive culturali, interpretative e
valutative che arricchisce ogni questione con varie di rappresentazioni sociali e differenti
punti di vista che si contrappongono tra loro in uno scontro dal quale esce vittoriosa la
costruzione di senso più potente. Allora, forse, “piuttosto che di manipolazione della realtà
prodotta dai media, sarebbe preferibile parlare di lotta tra diversi attori per la visibilità loro
e delle loro rappresentazioni sociali sui media.”
19
18
Ibidem, pp. 16-18
19
Sorrentino C., (2008), La società densa, Le Lettere, Firenze, pp. 124-125