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CAPITOLO I
IL SISTEMA GENERALE DELLA RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI «DA
REATO»
SOMMARIO: 1. Premessa. Uno sguardo ai principi generali del d. lgs. n. 231/2001. 2. Il «falso
problema» della responsabilità «da reato» delle persone giuridiche e la crisi del principio societas
delinquere non potest. 3. Le scelte della legge delega n. 300/2000 e la loro trasfusione nel d. lgs. n.
231/2001. 4. La controversa natura della responsabilità dell’ente. 5. La centralità dei criteri
d’imputazione nel sistema della responsabilità «para-penale» degli enti. 5.1 Imputazione oggettiva:
cenni sul criterio dell’«interesse o vantaggio». 5.2 Imputazione soggettiva e «colpa d’organizzazione».
5.3 Il principio di autonomia della responsabilità dell’ente. 6. Il sistema sanzionatorio e le sue finalità.
1. Premessa. Uno sguardo ai principi generali del d. lgs. n. 231/2001
L’entrata in vigore del d. lgs. n. 231/2001, attuativo dell’art. 11 della legge
delega 29 settembre 2000 n. 300, con cui è stata introdotta in Italia (in ossequio agli
obblighi assunti a livello internazionale e comunitario) la responsabilità per gli
illeciti amministrativi derivanti da reato delle persone giuridiche, ha rappresentato
per il nostro ordinamento una vera e propria «rivoluzione copernicana» e una svolta
epocale verso il definitivo abbandono del principio societas delinquere non potest.
Si è dato vita ad un nuovo paradigma sanzionatorio finalizzato a colpire la
criminalità d’impresa attraverso una responsabilità diretta dell’ente, formalmente
etichettata dal legislatore come amministrativa (evidentemente per evitare il sorgere
di questioni di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 27 Cost.) ma
sostanzialmente allusiva ad una responsabilità più propriamente penale (rectius:
appartenente al sotto-sistema autonomo «para-penale»), dato che deriva da reato,
viene accertata nel processo penale e che prevede il ricorso a sanzioni di carattere
afflittivo.
I soggetti a cui si applica il d. lgs. n. 231/2001 sono gli enti forniti di
personalità giuridica, le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica,
con esclusione espressa dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli enti pubblici
non economici e di quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. 1) ed è
indubbio che la finalità che si prefigge la disciplina in questione sia quella della
prevenzione del rischio-reato: nella consapevolezza che il reato d’impresa affonda
tanto più saldamente le proprie radici quanto più la struttura societaria risulta
2
disorganizzata, l’obiettivo da raggiungere è quello di implementare l’adozione di
regole di comportamento che orientino l’agire degli enti verso la prevenzione del
rischio-reato e dunque in direzione della legalità. Ciò si manifesta precipuamente
nella previsione di un sistema di criteri di imputazione innovativo che si pone in
rottura col tradizionale schema del diritto penale imperniato attorno al principio
dell’esclusiva ascrivibilità della responsabilità penale alla persona fisica attraverso il
nesso causale e il nesso psicologico: viene infatti previsto dal decreto che nell’ipotesi
di commissione dei reati presupposto (artt. 24-26) da parte di soggetti che hanno un
rapporto qualificato (art. 5, comma 1 lett. a) e b), rispettivamente «apicale» o «para-
apicale») con la persona giuridica, possa sorgere una responsabilità anche dell’ente –
aggiuntiva ed autonoma rispetto all’accertamento di quella del soggetto penalmente
responsabile - qualora ricorrano i requisiti di cui agli artt. 5 (criterio oggettivo dell’
«interesse o vantaggio»), 6 e 7 (criteri soggettivi basati sulla mancata adozione ed
efficace attuazione di modelli organizzativi). Da qui la centralità dei criteri di
imputazione, soprattutto per quanto riguarda la loro capacità di stabilire un raccordo
ragionevole tra illecito ed ente collettivo, in quanto gli unici in grado di dimostrare
l’«appartenenza» effettiva del primo al secondo.
Lo scopo preventivo tuttavia non si ricava soltanto dai criteri di ascrizione di
responsabilità, ma anche dallo stesso sistema sanzionatorio (co-funzionale agli
stessi), in quanto le sanzioni, come si avrà modo di vedere, non si risolvono soltanto
sul piano della deterrenza, ma riflettono in realtà corpose finalità specialpreventive.
2. Il «falso problema» della responsabilità «da reato» delle persone
giuridiche e la crisi del principio societas delinquere non potest
La rappresentazione della persona giuridica quale soggetto di diritto
destinatario di norme alla stessa stregua della persona fisica è diffusa ed accolta in
tutti gli ordinamenti moderni
1
, mentre la possibilità di considerare la stessa quale
1
Già nell’antichità è possibile ravvisare la creazione dello strumento della persona giuridica: si veda
ex multis M. TALAMANCA, Elementi di diritto privato romano, Milano, 2001, 95 ss., in cui l’Autore
afferma che «i romani non avevano un termine generale equivalente a quello moderno di persona
giuridica […] ma ne conobbero la concreta operatività. La causa […] va ritrovata nella risalente
esistenza di scopi che non possono essere perseguiti – o facilmente perseguiti – da un singolo
individuo». Per la posizione della persona giuridica nel sistema del diritto civile: C. M. BIANCA,
Diritto civile, I, Milano, 2002, 311 s., in cui si afferma che «gli enti giuridici sono organizzazioni
3
soggetto di diritto penale è stata sin dall’epoca più risalente negata, tanto da rendere
il noto brocardo societas delinquere non potest per lunghissimo tempo un limite
insormontabile all’affermazione di una sua responsabilità penale
2
: questa difficoltà è
correlata fondamentalmente al preconcetto antropomorfico che spinge a ricercare nel
soggetto giuridico attributi e corrispondenze proprie della persona umana e dal punto
di vista logico-dogmatico questa posizione trova le sue più convinte argomentazioni
nella Fiktionstheorie savignyana
3
, per la quale le persone giuridiche sono il frutto di
una creazione esclusiva della legge, sono veri e propri «soggetti artificiali» creati per
«semplice finzione», hanno soltanto quelle capacità che il diritto obiettivo riconosce
loro e, difettando altresì della volontà e degli altri attributi umani, non hanno una
propria realtà soggettiva, essendo così disciplinate come se fossero persone
4
. In base
invece alla contrapposta teoria della «realtà organica» elaborata dal von Gierke le
persone giuridiche hanno un’esistenza simile a quella delle persone fisiche e si
presentano «come organismi che attraverso i propri organi vogliono e agiscono al
pari delle persone fisiche, e al pari di queste nascono, vivono e si estinguono»
5
. Si
viene così a profilare una realtà in cui gli enti non sono una mera proiezione della
persona fisica, bensì una precisa ed autonoma realtà nell’universo delle relazioni non
già creata ex nihilo dall’ordinamento ma semplicemente riconosciuta dallo stesso,
che interagisce nella realtà giuridica attraverso organi a ciò espressamente ed
istituzionalmente deputati, che svolgono la funzione cioè di esprimere quella che è la
dotate di capacità giuridica […] possono avere o non avere la personalità giuridica ma […] come tutte
le persone fisiche, sono soggetti di diritto». Si veda anche A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto
civile, Padova, 2005, 294 ss.
2
Nel diritto romano era la nozione stessa di dolo ad implicare l’incapacità degli enti collettivi di
delinquere: «quid enim municipes dolo facere possunt?» si chiede infatti Ulpiano in un frammento del
Digesto ricompreso nel quarto libro, terzo titolo De dolo malo (D. 4.3.15.1). Il diritto germanico
invece, in controtendenza, ammetteva anche in materia penale una sorta di «responsabilità collettiva»
delle proprie libere associazioni (es.Gilden), peraltro non distinte dai membri che le componevano. Si
veda a tal proposito F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2009, 951 ss.,
secondo cui hanno ammesso la responsabilità penale degli enti collettivi «[…] pure il diritto canonico
(per i capitoli, conventi, congregazioni, comuni ecc) ed in genere, il diritto medievale secondo
l’insegnamento dei postglossatori (Bartolo)».
3
Per un’accurata disamina della teoria elaborata da Savigny nel XIX secolo si veda F. GALGANO,
Delle persone giuridiche, in Commentario del codice civile, a cura di A. SCIALOJA e G. BRANCA,
Bologna - Roma 1969, 5 ss.
4
Si veda a tal proposito C. M. BIANCA, Diritto civile, cit., 323 s.; A. TRABUCCHI, Istituzioni di
diritto civile, cit., 295 ss. Circa la conseguente irresponsabilità penale così si esprime F. ANTOLISEI,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari, I, Milano, 2007, 595 ss.: «D’ordinario coloro che
accolgono la teoria della finzione, ritenendo che una persona giuridica sia un’astrazione, negano
all’ente la soggettività giuridico-penale».
5
Così si esprime C. M. BIANCA, Diritto civile, cit., 323 s.
4
volontà «collettiva» dell’ente, espressione della peculiare struttura dello stesso
6
.
Affermare ora che la persona giuridica è soggetto dell’ordinamento capace di agire e
di interagire nella realtà significa altresì logicamente ammettere che come può
comportarsi lecitamente, così può operare illecitamente: significa in pratica arrivare
ad ammettere la possibilità che un ente possa considerarsi responsabile penalmente
per la commissione di azioni illecite attraverso i «fatti dell’organo», i quali in virtù
del rapporto di «immedesimazione organica» tra organo ed ente sono direttamente
imputabili a quest’ultimo e alla sua volontà
7
.
Il radicamento nel nostro ordinamento per lungo tempo della concezione a
favore dell’irresponsabilità penale degli enti (almeno fino all’entrata in vigore del d.
lgs. 8 giugno 2001 n. 231, attuativo dell’art. 11 della legge delega 29 settembre 2000
n. 300, con cui è stata introdotta la responsabilità per gli illeciti amministrativi
derivanti da reato delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche
prive di personalità giuridica), ha trovato inizialmente una prima ragione
giustificatrice nella vigenza dell’art. 197 c.p. (quale novellato dall’art. 116, legge 24
novembre 1981, n. 689)
8
, il quale prevede semplicemente una «obbligazione civile di
garanzia» della persona giuridica per le pene pecuniarie nell’ipotesi in cui il soggetto
6
Per la teoria organica e un suo confronto con la teoria della finzione si veda G. SCALFI, voce
Persone Giuridiche (I - DIRITTO CIVILE), in Enc. Giur., XXIII, Roma, 1990, 3 ss., nonché G.
IORIO, Persone giuridiche, ne Il diritto privato nella giurisprudenza (a cura di P. CENDON), II,
Torino, 2000, 29 ss.
7
Si veda a tal proposito F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., 595 ss. : «Quelli che […]
seguono la teoria della realtà affermano che, siccome nelle persone giuridiche esiste un volere
collettivo distinto da quello individuale dei singoli, non vi è motivo di escludere una responsabilità
penale, suscettibile di sanzioni appropriate alla natura dell’ente (pene pecuniarie, sospensione,
scioglimento)». Seguono il medesimo orientamento altresì K. TIEDEMANN, La responsabilità
penale delle persone giuridiche nel diritto comparato, in Riv. it. dir. proc. pen, 1995, 625 s., il quale
afferma che «se la persona giuridica può stipulare dei contratti, ad esempio di compra-vendita, il
soggetto degli obblighi che nascono da questi contratti sarà proprio essa, e sarà sempre essa che potrà
violare tali obblighi. Ciò vuol dire che la persona giuridica può agire in maniera illecita»; D.
PULITANÒ, La responsabilità «da reato» degli enti: i criteri di imputazione, in Riv. it. dir. proc.
pen., n. 2/2002, 422 s.: «In via di principio, una volta ammessa la possibilità ed opportunità di
“creare” un autonomo centro d’imputazione di attività e di rapporti giuridici, la medesima logica che
vale all’ente per l’imputazione dell’agire lecito di suoi “esponenti” […] non può ragionevolmente non
valere anche per l’imputazione del fatto illecito e delle sue conseguenze. […] La “capacità di
colpevolezza” della persona giuridica, ideologicamente negata da un filone della dottrina, è implicita
nella configurazione fattuale e giuridica di un soggetto capace di agire».
8
Art 197, comma. 1, c.p. - Obbligazione civile delle persone giuridiche per il pagamento delle multe e
delle ammende: «Gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato, le regioni, le province e i
comuni, qualora sia enunciata condanna per reato contro chi ne abbia la rappresentanza, o
l’amministrazione, o sia con essi in rapporto di dipendenza, e si tratti di reato che costituisca
violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso
nell’interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento, in caso di insolvibilità del
condannato, di una somma pari all’ammontare della multa o dell’ammenda inflitta».
5
che ne abbia la rappresentanza o l’amministrazione commetta un reato in violazione
degli obblighi inerenti alla qualifica rivestita o nell’interesse della persona giuridica
9
e si trovi nella condizione di insolvibilità. Il fatto che la persona giuridica (non di
diritto pubblico) si veda obbligata al pagamento di una somma pari alla multa o
ammenda inflitte qualora il condannato risulti insolvibile e che soprattutto non si
veda applicare la disciplina della conversione ai sensi dell’art. 136 c.p. in caso di
proprio inadempimento, è stato assunto a testimonianza testuale in primis del
carattere di obbligazione civile sussidiaria che le è attribuita (l’attribuzione all’ente di
tale obbligo di garanzia non si spiegherebbe infatti se l’ente potesse considerarsi
soggetto attivo del reato) e soprattutto a conferma per via indiretta del diniego
dell’ordinamento a dare ingresso alla sanzione penale nei confronti delle persone
giuridiche, almeno secondo la dottrina maggioritaria
10
.
Un’ulteriore e ben più pregnante conferma della negazione della
responsabilità degli enti avrebbe da sempre ricevuto un avallo, a livello
costituzionale, dall’ art. 27 e più precisamente dal combinato disposto del primo e del
terzo comma, in cui si sancisce il principio della colpevolezza individuale
11
quale
9
Per quanto concerne l’ipotesi della commissione del reato nell’interesse della persona giuridica, così
si esprimono C. FIORE - S. FIORE, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2008, 662: «Quest’ultima
ipotesi […] ha per lungo tempo rappresentato il solo timido passo compiuto dal nostro ordinamento
nella direzione di una qualche forma di responsabilizzazione delle persone giuridiche per il fatto
commesso dai suoi organi di rappresentanza e amministrazione, miranti a realizzare un interesse che
appartiene alla sfera giuridico-patrimoniale non dell’autore, ma della persona giuridica», aggiungendo
altresì come «per supplire realmente al difetto di responsabilità delle persone giuridiche,
l’obbligazione civile dovrebbe però, quanto meno, perdere il suo carattere sussidiario; e la somma da
pagare dovrebbe essere determinata in base a criteri propri, correlati al vantaggio conseguito dalla
persona giuridica attraverso il reato del suo rappresentante». Evidenzia l’insufficienza di tali strumenti
sanzionatori anche J. DE FARIA COSTA, Contributo per una legittimazione della responsabilità
penale delle persone giuridiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 1248.
10
Cfr. ex coeteris: F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., 595 s., per il quale «[…]è evidente
che, se la persona giuridica potesse essere soggetto attivo di reati, non sarebbe stata sancita a suo
carico una particolare obbligazione di garanzia per l’ipotesi di insolvibilità dell’individuo che viene
condannato. Si noti anche che tale obbligazione è stabilita proprio per quei reati la cui responsabilità
potrebbe farsi risalire all’ente collettivo»; G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale. Parte
generale, Bologna, 2007, 139; C. FIORE - S. FIORE, Diritto penale. Parte generale, cit., 156; F.
MANTOVANI, Diritto penale, cit., 151. Tuttavia i maggiori inconvenienti del metodo d’imputazione
di cui all’art. 197 c.p. possono ravvisarsi in tutti quei casi in cui l’illecito costituisce la conseguenza
di precise scelte di politica d’impresa: ne deriva così che la mancata punizione della stessa si traduce
in un ingiustificato accollo di responsabilità ad un altro soggetto, che sembra dunque assumere il ruolo
di esclusivo «capro espiatorio». Si veda al riguardo A. MEREU, La responsabilità «da reato» degli
enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, in Ind. pen. n. 1/2006,
36.
11
Per un approccio generale e una visione d’insieme dell’art. 27 Cost. e del principio di colpevolezza
individuale si veda M. D’AMICO, Art. 27, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. BIFULCO
– A. CELOTTO – M. OLIVETTI, I, Torino, 2006, 563 ss.; C. FIORE - S. FIORE, Diritto penale.
6
presupposto inderogabile della responsabilità penale e del finalismo rieducativo
della pena. Contemplare tuttavia una «responsabilità personale» per fatto proprio
significa sì stabilire che la responsabilità nasce per un fatto proprio «colpevole»
della persona fisica e non ad altri altrimenti addebitabile
12
, ma ciò non basta ad
affermare che l’art. 27 Cost. vieti o neghi espressamente ed inequivocabilmente la
responsabilità «da reato» degli enti
13
. Sebbene infatti il principio della responsabilità
penale personale (nel suo senso più ampio) sia stato elaborato e redatto dai
costituenti con riferimento alla persona umana nell’orizzonte normativo e culturale
dell’epoca
14
, sembra comunque possibile adattarne il contenuto ed il significato alla
mutata realtà odierna in cui forte è l’esigenza di una responsabilizzazione delle
persone giuridiche per evitare che, attraverso la negazione di una qualsiasi forma di
«capacità di colpevolezza» delle stesse, si creino «pretese di ingiustificato
Parte generale, cit., 367 ss.; G. MARINI, voce Colpevolezza, in Dig. disc. pen., II, Torino, 2002, 314
ss.; F. RAMACCI, Corso di Diritto Penale, Torino, 2007, 96 ss. Per la dottrina che inizialmente ha
riflettuto sull’ostacolo che l’art. 27 poneva alla introduzione di una responsabilità propriamente penale
delle persone giuridiche cfr. per tutti F. BRICOLA, Il costo del principio «societas delinquere non
potest» nell’attuale dimensione del fenomeno societario, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, 951 s. e M.
ROMANO, Societas delinquere non potest (nel ricordo di Franco Bricola), in Riv. it. dir. proc.
pen.,1995, 1031 ss.
12
Sull’interpretazione dell’effettivo significato dell’art. 27, comma 1, Cost. è d’obbligo citare la ben
nota sentenza della Corte Cost. n. 364/1988 (consultabile dal sito istituzionale della Corte:
www.cortecostituzionale.it) con la quale la Consulta ha di fatto abbandonato la c.d. «interpretazione
minima» dell’articolo in questione (in base alla quale si riteneva che esso esprimesse soltanto un
divieto di responsabilità penale per fatto altrui), in favore della «costituzionalizzazione» del principio
nulla poena sine culpa. Nella motivazione l’interpretazione è strettamente collegata al terzo comma
dell’art. 27, ritenendosi corretto che «comunque si intenda la funzione rieducativa della pena, essa
postula almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica.
Non avrebbe senso la rieducazione di chi, non essendo almeno in colpa (rispetto al fatto) non ha,
certo, bisogno di essere rieducato». La sentenza in questione è rilevante anche perché un suo
corollario implicito riguarda le ipotesi di responsabilità oggettiva (il tema sarà comunque affrontato in
una successiva e coeva sentenza, la n. 1085/1988), nel senso di ammettere che il fatto in tutti i suoi
elementi sia commesso almeno per colpa, con ciò implicitamente intendendosi incostituzionali le
forme di responsabilità «senza colpa», come quelle di tipo oggettivo. Per un’analisi più dettagliata si
veda M. D’AMICO, Art. 27, cit., 568 s. Cfr. anche A. FIORELLA, voce Responsabilità penale, in
Enc. Dir., XXXIX, Milano, 1988, 1292, secondo cui «il principio di cui all’art. 27 comma 1 è
qualcosa di più del puro e semplice principio della responsabilità per fatto oggettivamente proprio» e
1294: «con la sentenza del 1988 la Corte costituzionale è giunta invece a sanzionare l’invalidità di una
norma di legge ordinaria […] sotto il profilo del contrasto con il principio di personalità
esplicitamente concependolo come contenente il principio di colpevolezza».
13
Contra G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., 140 ss.; M. ROMANO,
Societas delinquere non potest (nel ricordo di Franco Bricola), cit., 1036 s.
14
Secondo A. FIORELLA, voce Responsabilità penale, cit., 1291, si possono riscontrare in alcuni
passi significativi dei lavori preparatori le prove del fatto che il principio di colpevolezza «non era poi
così lontano dall’esser preso in considerazione dal Costituente», apparendo talvolta come naturale
contenuto del concetto di appartenenza del fatto al soggetto come testualmente riscontrabile nell’art.
27 comma 1.
7
privilegio»
15
e zone d’ombra di «criminalità diffusa». La soluzione praticabile
dunque non sembra tanto quella di ancorarsi alla «concezione psicologica»
16
della
colpevolezza (perché fondata sulla volontà dell’individuo e costruita attorno al nesso
psichico esistente fra volontà ed agente), quanto, piuttosto, quella di approdare (in
prima e generale istanza) ad una «concezione normativa»
17
della stessa, avendo
riguardo alle peculiarità della persona giuridica e basandone la valutazione su giudizi
di «riprovevolezza» e «rimproverabilità» per non aver impedito che un fatto
considerato dalla legge come reato si verificasse
18
. In merito al terzo comma dell’art.
27 Cost.
19
e alla sua presunta e pretesa incompatibilità con soggetti diversi dalle
15
Si esprime in questi termini D. PULITANÒ, La responsabilità «da reato» degli enti: i criteri di
imputazione, cit., 423.
16
C. FIORE - S. FIORE, Diritto penale. Parte generale, cit., 137 ss: secondo questa concezione, «nel
concetto di reato fondato sulla netta separazione tra oggettivo e soggettivo […] l’elemento soggettivo
dell’azione […] venne “collocato” nella colpevolezza e ne sancì il “contenuto”, espresso […] nella
definizione secondo cui la colpevolezza è “il rapporto psichico tra l’autore e l’evento criminoso”»,
tant’è che appare manifesto come la responsabilità penale debba fondarsi sulla attribuibilità psichica
del fatto e la pena «proporzionata al singolo atto di volontà in sé considerato». Cfr. altresì F.
RAMACCI, Corso di Diritto Penale, cit., 386 s., in cui si mette in evidenza la necessità della presenza
della «cosciente volontà» per l’attribuibilità del fatto alla persona, la quale è determinata
normativamente, con ciò superando le obiezioni sul piano naturalistico circa l’impossibilità di
ravvisare detta cosciente volontà in un individuo che non possieda la capacità di intendere e di volere.
17
La concezione normativa nasce per cercare di superare i momenti di debolezza e le manchevolezze
della concezione psicologica, quali la collocazione del dolo e della colpa in un unico concetto di
genere, il problema della colpa c.d. incosciente, la relazione tra colpevolezza e stato di necessità
nonché la collocazione di fattori della colpevolezza rilevanti per la commisurazione della pena non
sistemabili né nel dolo, né nell’imputabilità (come le motivazioni dell’azione, il contesto personale e
sociale dell’autore etc). Si veda a tal proposito C. FIORE - S. FIORE, Diritto penale. Parte generale,
cit., 139 ss., in cui si parla di «rilevanza della disobbedienza» correlata ad una «norma d’obbligo»
costituente la misura della sua valutazione: «il fatto doloso è un fatto volontario che non si doveva
volere, il fatto colposo un fatto che non si doveva produrre». Cfr. altresì F. RAMACCI, Corso di
Diritto Penale, cit., 390 s.: «All’interno della fattispecie legale di reato, la colpevolezza assume così
una connotazione normativa in termini di contrarietà al dovere […]. La volontà antidoverosa è dunque
una volontà che non doveva esserci, ed è questa la colpevolezza caratteristica dei reati dolosi, oppure
una volontà che doveva esserci e non c’è stata, quella che avrebbe potuto evitare il reato colposo». Tra
gli altri autori che hanno fatto propria detta concezione si segnalano anche G. FIANDACA- E.
MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., 282 ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 297. In
giurisprudenza, per un’importante pronuncia d’accoglimento della concezione normativa cfr. Cass.,
SS.UU., 25 gennaio – 8 marzo 2005, n. 9163, in Guida al diritto, n. 17/2005, 54 ss. Infine, per una
critica a dette concezioni in favore di una «colpevolezza» coincidente con «l’antigiuridicità
soggettiva», si veda G. MARINI, voce Colpevolezza, in Dig. disc. pen., II, Torino, 2002, 320 ss.
18
Cfr. A. FIORELLA, voce Responsabilità penale, cit., 1295, che per quanto riguarda le persone
fisiche afferma che «il presupposto comune della responsabilità penale risulta consistere nel mancato
dominio del dominabile, in contrasto con il precetto di legge», presupposto che tuttavia ben potrebbe
calarsi anche nella realtà delle persone giuridiche.
19
Cfr. A. FIORELLA, voce Responsabilità penale, cit., 1292 s., secondo cui «anche la funzione della
pena nel nostro diritto penale positivo indica la necessità di accertare un contenuto reale di
colpevolezza»: tale necessità fugherebbe peraltro qualsiasi dubbio circa l’interpretazione del primo
comma dell’art. 27, in quanto esplicitazione del «divieto costituzionale della responsabilità anche per
il fatto incolpevole».
8
persone fisiche, se è vero come è vero che esiste una relazione biunivoca tra funzione
della pena e principio rieducativo che si manifesta precipuamente e prevalentemente
nella dimensione punitiva dell’essere umano (con particolare riferimento alle pene
detentive)
20
, ciò non toglie che sia comunque possibile delineare un efficiente ed
efficace sistema punitivo che possa essere ricompreso nell’alveo del diritto penale -
ancorché non più «classico» - e che sia rivolto specificatamente alle persone
giuridiche. In primis sembra corretto l’orientamento dottrinario che afferma come sia
più idoneo considerare la funzione della pena come «composita», o «sincretistica»
21
,
una funzione complessa ma altresì capace di potersi «adattare» a sanzionare le
diverse e nuove forme di criminalità nell’ordinamento (quali i c.d. «crimini dei
colletti bianchi» e la criminalità d’impresa), così come non si può negare che la
compatibilità della pena pecuniaria (ricompresa a tutti gli effetti nel novero delle
pene principali ai sensi dell’art. 17 c.p.) con il terzo comma dell’art. 27 Cost. sia stata
già risolta positivamente dalla Consulta per quanto riguarda le persone fisiche
22
. Se si
volge lo sguardo poi al diritto comparato e si analizzano le soluzioni adottate dagli
altri paesi al riguardo, si può riscontrare come negli ordinamenti che ammettono la
responsabilità penale della societas (prevalentemente di tradizione anglosassone)
20
Sulla relazione tra funzione della pena e principio rieducativo si veda M. D’AMICO, Art. 27, cit.,
572 ss. È l’impossibilità per la persona giuridica di «patire» la pena detentiva (così venendo meno la
rieducazione) una delle argomentazioni più strenue a favore dell’irresponsabilità penale delle stesse: si
veda a tal proposito F. BRICOLA, Il costo del principio «societas delinquere non potest» nell’attuale
dimensione del fenomeno societario, cit., 956, per il quale le persone giuridiche non sono in grado di
apprezzare «un giudizio eticizzante di rimprovero giuridico-penale […] e di sentire l’effetto affittivo o
rieducativi della pena.», così come M. ROMANO, Societas delinquere non potest (nel ricordo di
Franco Bricola), cit., 1036 s.
21
Le tradizionali teorie sulle funzioni della pena tendono a considerarne e a valorizzarne le singole
caratteristiche (retributiva, general-preventiva, special-preventiva, di promozione sociale, d’emenda),
tralasciando però uno sguardo d’insieme, per il quale invece «la pena svolge nella realtà del nostro
ordinamento giuridico una funzione composita, che non è riconducibile senza residui dentro l’ambito
di una soltanto delle teorie tradizionali»: così F.RAMACCI, Corso di Diritto Penale, cit., 114 ss.
22
Cfr. sentenza Corte Cost. n. 50/1980 (consultabile, tra l’altro, sul sito www.cortecostituzionale.it):
«[…] L’adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti contribuisce a rendere quanto più
possibile “personale” la responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall’art. 27, primo comma,
Cost.; e nello stesso tempo è strumento per una determinazione della pena quanto più possibile
“finalizzata”, nella prospettiva dell’art. 27, terzo comma, Cost. Il principio d’uguaglianza trova in tal
modo dei concreti punti di riferimento, in materia penale, nei presupposti e nei fini (e nel
collegamento fra gli uni e gli altri) espressamente assegnati alla pena nello stesso sistema
costituzionale. L’uguaglianza di fronte alla pena viene a significare, in definitiva, “proporzione” della
pena rispetto alle “personali” responsabilità ed alle esigenze di risposta che ne conseguono, svolgendo
una funzione che è essenzialmente di giustizia e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite
della potestà punitiva statuale. Sussiste quindi di regola l’esigenza di una articolazione legale del
sistema sanzionatorio, che renda possibile tale adeguamento individualizzato, proporzionale, delle
pene inflitte con le sentenze di condanna. Di tale esigenza, appropriati ambiti e criteri per la
discrezionalità del giudice costituiscono lo strumento normale».
9
spicca la rilevanza che ha la finalità preventiva della pena nei confronti dei
componenti la comunità sociale tanto in termini di prevenzione generale che
speciale
23
. In merito infine all’obiezione che può sollevarsi per la quale un’eventuale
sanzione finirebbe per colpire terzi «innocenti»
24
quali gli associati all’ente
collettivo, si può semplicemente rispondere con un dato fattuale che può presentarsi
in ogni applicazione di sanzioni e cioè che qualsiasi pena può di fatto andare ad
incidere indirettamente su terzi innocenti legati al condannato: in più nell’ipotesi
degli associati un assoggettamento a sanzione (quale che essa sia) fa parte del
normale «rischio d’impresa», come semplice questione di costi, «di perdita
patrimoniale in ragione del decremento di valore dell’ente, non diversamente da
quanto avviene ed è ammesso senza problemi nel caso di assoggettamento dell’ente a
conseguenze civili pregiudizievoli (per es., condanna al risarcimento di danni o ad
altra prestazione)»
25
. In definitiva dunque, ponendosi in un’ottica di maggiore
pragmatismo volta a cercare di conciliare i valori e i principi fondanti l’«ossatura
costituzionale» con la concreta ed effettiva esigenza di contrasto all’aggressività e
dannosità della criminalità d’impresa, sembra opportuno ridimensionare la portata
della «dimensione eticizzante» della pena in favore di una maggiore attenzione nei
confronti dei beni giuridici che da tali forme di criminalità sono offesi, anche perché
il criterio per stabilire l’entrata in gioco del diritto penale è l’offesa al bene giuridico
e non già il tipo d’autore
26
.
23
Così K. TIEDEMANN, La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto comparato,
cit., 629 ss., che prosegue in questi termini: «In tutti gli Stati, le norme di diritto commerciale etc.,
relative al controllo interno sull’amministrazione della società sono, più o meno, in grado di garantire
che i dirigenti che hanno commesso dei reati non continuino nella commissione dello stesso reato, o
non ripetano azioni delittuose similari. Da qui la spiegazione, o la giustificazione, data da HARDING
della “deterrence as a mean of persuading the corporation as an organization to monitor its own
internal activities for compliance with the law”».
24
Il legislatore delegato (l. n. 300/2000) ha mostrato di voler tutelare il socio estraneo al reato,
prevedendo, all’art. 11, comma 1, lett. t), u), v), z), il diritto di recesso in una forma chiaramente in
rottura con gli schemi tradizionali e consolidati del diritto societario e un potenziamento dell’azione di
responsabilità. A seguito però di forti reazioni da parte delle imprese al riguardo, il Governo è stato
costretto a non attuare la delega in parte qua.
25
Così D. PULITANÒ, La responsabilità «da reato» degli enti: i criteri di imputazione, cit., 422.
26
Cfr. C. DE MAGLIE, L’Etica e il mercato. La responsabilità penale delle persone giuridiche,
Milano, 2002, 291 s., e 377 ss., la quale riconosce che attraverso la criminalizzazione degli enti «nei
confronti di un’impresa il diritto penale può dar sfogo a tutte le pretese di rimodellamento e di
riformulazione completa della struttura; può ricostruire una “persona nuova”, modificando il carattere
e reimpostando la condotta di vita», aggiungendo altresì che «la manipolazione dell’organizzazione
interna trasforma la persona giuridica autrice di reati in un “cittadino modello”, cambiandone
completamente lo stile di vita: l’obiettivo della rieducazione viene così conseguito nella sua
espressione più intensa e totale, improponibile quando il condannato è un individuo!».
10
Appare dunque chiaro come ormai il «costo» del principio societas
delinquere non potest sia insostenibile, tanto più che sono diverse le ragioni
27
che
portano a dire che oramai lo stesso sia in via di superamento. Tra i fattori che sono
alla base della nascita del d. lgs. 231/2001 vi sono principalmente forti esigenze di
politica criminale, legate allo sviluppo dell’economia e all’avvento del mercato c.d.
globalizzato, cause di una competizione sempre più aggressiva delle imprese per la
conquista del mercato, attraverso mezzi più o meno leciti (societas saepe
delinquit
28
): nell’ambito della «cultura d’impresa» - esterna ed interna – le
potenzialità criminogene sono elevate
29
e spaziano da una presunta aurea di prestigio
e di innocenza di cui i «colletti bianchi» godono presso l’opinione pubblica a una
spinta all’illegalità che si forma nelle dinamiche d’impresa e che può essere definita
come una vera e propria «cultura dell’illegalità»
30
. Se dunque il perseguimento dello
scopo primo dell’impresa (che è quello della massimizzazione dei profitti) prende la
via della criminalità d’impresa, allora può ben dirsi che prevedere un apparato
27
A. MEREU, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della
responsabilità tra teoria e prassi, cit., 30 ss.
28
J. DE FARIA COSTA, Contributo per una legittimazione della responsabilità penale delle persone
giuridiche, cit., 1246: «in quest’ultimo periodo di vertiginoso sviluppo tecnologico e, di conseguenza,
di aumento dei fatti lesivi correlati all’attività d’impresa […] i protagonisti principali della
competizione economica sono enti collettivi il cui riconoscimento normativo, se conferisce loro la
qualità di soggetti dell’ordinamento, li mantiene, peraltro, fuori dall’influenza penalistica». Cfr. anche
A. ALESSANDRI, voce Impresa (responsabilità penali), in Dig. disc. pen., VI, Torino, 2002, 196:
«la massiccia componente tecnologica dell’attività di produzione di beni e, in misura non minore, di
servizi, è causa di una tendenziale diffusività degli eventi lesivi, di una moltiplicazione interminabile
delle ricadute nocive su cerchie sempre più vaste di soggetti». Nella storia più o meno recente d’Italia
non mancano poi esempi di gravi episodi di criminalità d’impresa: il disastro di Seveso, le
spregiudicate operazioni di Sindona e Calvi che portarono alla rovina delle rispettive banche, le
gestioni fuori bilancio realizzate dalla Montecatini Edison e dall’IRI, il carattere sistemico assunto
dalla corruzione e che portò agli inizi degli anni ’90 all’esplosione del caso «Tangentopoli» e alla fine
della c.d. «Prima Repubblica», per arrivare ai più recenti casi Cirio e Parmalat. Per una panoramica
dei più clamorosi casi di corporate crimes in Italia e nel mondo si veda G. MARINUCCI, «Societas
puniri potest»: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, in Riv. it. dir. proc. pen.,
n. 4/2002, 1195 ss; ID, Diritto penale dell’impresa: il futuro è già cominciato, in Riv. it. dir. proc.
pen. n. 4/2008, 1465 ss.
29
Si veda a tal proposito G. MARINUCCI, Diritto penale dell’impresa: il futuro è già cominciato,
cit., 1472 ss.
30
La criminalità d’impresa dunque non è tanto il frutto della scelta di un singolo, quanto di «politiche
d’impresa spregiudicate o di difetti organizzativi interni alle corporations». Così A. MEREU, La
responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria
e prassi, cit., 31. L’Autore continua mettendo altresì in evidenza quelli che possono essere, all’interno
di strutture complesse, fattori predisponenti la criminalità, quali il fenomeno del gruppo, la segretezza
dell’organizzazione, gli scopi dell’ente e il contesto sociale in cui opera l’impresa; K. TIEDEMANN,
La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto comparato, cit. 616 s, il quale riscontra
che questa situazione «criminologico-empirica» per cui «la società stessa crea un ambiente, un clima
che aiuta ed invoglia gli autori materiali a commettere reati a favore della società commerciale» è
pressoché «identica in molti Paesi, soprattutto in quelli industrializzati».
11
sanzionatorio diretto e rivolto alle imprese non può che essere un beneficio per
l’equilibrio e il buon funzionamento del mercato stesso.
Molto importanti risultano poi le soluzioni che il diritto comparato
31
ha
trovato nella direzione della responsabilizzazione degli enti e a cui il nostro
legislatore si è ispirato nella redazione del d. lgs. n. 231/2001 sulla «responsabilità
amministrativa degli enti»: si pensi al codice penale francese del 1994 che ha
affermato il principio della responsabilità «penale» delle personnes morales
32
, alla
legislazione tedesca sulle infrazioni amministrative (Ordnungswideigkeiten)
33
e al
sistema dei compliance programs statunitensi
34
.
Ultimi, ma non meno importanti, sono infine gli input di diritto internazionale
e comunitario che hanno portato il nostro ordinamento alla ratifica obbligata di una
serie di protocolli e convenzioni internazionali, attraverso la legge delega n.
300/2000
35
: per quanto concerne tuttavia un esplicito riferimento all’adozione di una
qualche forma di responsabilità degli enti, una posizione netta al riguardo viene presa
nel secondo Protocollo della Convenzione PIF – l’unico che non è stato ratificato per
mancanza della relazione esplicativa - , da considerarsi la reale fonte di ispirazione
del legislatore italiano al riguardo
36
. Degne di nota sono altresì tutta una serie di
31
Cfr. K. TIEDEMANN, La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto comparato,
cit., 615 ss.; P. DI GERONIMO, La responsabilità penale degli enti negli Stati Uniti e nei paesi
dell’Unione Europea, consultabile attraverso il sito www.appinter.csm.it; F. VANNI, La
responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato. Le soluzioni intraprese in
ambito internazionale: un’analisi di diritto comparato, in www.filodiretto.com.
32
Si veda G. DE SIMONE, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle personnes
morales, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 189 ss.
33
Cfr. K. TIEDEMANN, La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto comparato,
cit., 622.
34
Per il significato e il ruolo che i compliance programs assumono nell’ordinamento nordamericano si
veda per tutti C. DE MAGLIE, L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle persone giuridiche,
cit., 102 ss.
35
Ratifica ed esecuzione dei seguenti Atti internazionali elaborati in base all’articolo K. 3 del Trattato
sull’Unione Europea: Convenzione per la tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee
(Convenzione PIF), Bruxelles, 26 luglio 1995, primo Protocollo della Convenzione PIF, Dublino, 27
settembre 1996, Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti
funzionari delle Comunità Europee o degli Stati membri dell’Unione europea, Bruxelles, 26 maggio
1997 e Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni
economiche internazionali, con annesso, Parigi, 17 dicembre 1997.
36
Sulla questione si veda A. MEREU, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di
attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, cit., 37 s.; G. DE VERO, Struttura e natura
giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato, in Riv. it. dir. proc. pen. n. 4/2001, 1133
s.
12
raccomandazioni del Consiglio d’Europa
37
con funzione di moral suasion indirizzata
a favorire la diffusione della responsabilità penale degli enti, nonché, nel quadro di
una «armonizzazione» del diritto penale degli Stati membri e della creazione di uno
«spazio giuridico europeo»
38
, il Corpus Juris
39
, documento frutto di uno studio
elaborato per conto del Parlamento Europeo con la supervisione della Commissione
UE che ha portato alla creazione di «un insieme di norme penali […] limitatamente
alla tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione Europea, e volte a garantire
[…] una repressione più giusta, più semplice, più efficace»
40
.
Se non ci si ostinasse dunque a concepire le categorie penalistiche in una
dimensione «individualistica», sorretta da connotati etici, le costanti criminologiche
che spingono in direzione di una criminalizzazione della societas potrebbero trovare
un’adeguata formalizzazione se non nel diritto penale «classico», quantomeno nella
sfera «para-penale», attraverso categorie che permettano di tipicizzare tanto i criteri
di imputazione oggettiva e soggettiva dell’illecito all’ente, quanto un catalogo di
sanzioni funzionali agli obiettivi general e special-preventivi.
37
Cfr. E. MUSCO, La responsabilità «para-penale» delle persone giuridiche, in Lavori monografici
del 30° corso superiore «Luigi Einaudi» di Diritto dell’Economia della Scuola di Polizia Tributaria
della Guardia di Finanza, Roma, 2002, 375 s., in cui si evidenziano la Raccomandazione n. 28/1977,
orientata verso una «rimeditazione dei tradizionali principi della responsabilità penale, al fine di
coinvolgere anche le persone giuridiche», le Racc. n. 12/1981 e n. 15/1982, in tema rispettivamente di
lotta contro la criminalità economica e di ruolo del diritto penale nella protezione dei consumatori,
nonché la Racc. n. 18/1988 dichiarante la «necessità di individuare specifiche responsabilità di natura
amministrativa». A quest’elenco A. MEREU, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i
criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, cit., 39, aggiunge anche la Racc. n.
8/1996 dedicata a «Politica criminale e diritto penale in un’Europa in trasformazione».
38
Sulla creazione di uno spazio giuridico europeo in materia penale si veda M. RONCO - E. M.
AMBROSETTI - E. MEZZETTI, La legge penale. Fonti, tempo, spazio, persone, Bologna, 2006, 137
ss.
39
Cfr. M. DELMAS-MARTY - J. A. E. VERVAELE, L’attuazione del Corpus Juris negli Stati
membri, consultabile attraverso il sito http://ec.europa.eu, in cui, oltre ad una ricostruzione delle
motivazioni e dell’iter che ha portato l’UE ad «adottare» questo documento, vi sono ricomprese anche
le disposizioni normative. Per quanto concerne la responsabilità degli enti, è l’art. 13 a stabilire che
per i reati di cui agli artt. 1-8 (frode al bilancio comunitario, frode in materia di appalti, corruzione,
abuso d’ufficio, malversazione, rivelazione di segreti d’ufficio, riciclaggio e ricettazione, associazione
per delinquere) «Sono responsabili […] anche gli enti che possiedono la personalità giuridica, così
come quelli che possiedono la qualità di soggetti di diritto e che sono titolari di un patrimonio
autonomo quando il reato è stato realizzato per conto dell’ente da un organo, un rappresentante o da
una qualunque persona che abbia agito in nome dell’ente o che abbia un potere di decisione, di diritto
o di fatto. 2. La responsabilità penale degli enti non esclude quella delle persone fisiche, autori,
istigatori o complici degli stessi fatti».
40
Corpus Juris – Motivazione, in G. GRASSO (a cura di), Verso uno spazio giuridico europeo,
Milano, 1997.
13
3. Le scelte della legge delega n. 300/2000 e la loro trasfusione nel d. lgs. n.
231/2001
L’entrata in vigore del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in attuazione dell’art. 11
della legge delega 29 settembre 2000, n. 300, con cui è stata introdotta nel nostro
ordinamento la «responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società
e delle associazioni anche prive di personalità giuridica», rappresenta senza dubbio
una «rivoluzione copernicana»
41
, soprattutto per quanti, ancorati alla cultura
giuridica tradizionale, negano che «entità» altre dalla persona fisica possano essere
soggetti di diritto penale ed essere coinvolti così nella vicenda punitiva: il decreto
infatti va a colpire la criminalità d’impresa attraverso il riconoscimento di una
responsabilità diretta dell’ente, qualificata come amministrativa ma saldamente
collegata alla commissione di determinati reati, accertata in sede di giudizio penale e
con la previsione del ricorso a sanzioni di carattere afflittivo.
Le scelte del legislatore delegato, rispettose nell’insieme dei contenuti delle
norme internazionali in precedenza richiamate, sono state il frutto di un ampio
dibattito parlamentare che, dall’iniziale (e scarno) disegno di legge C. 5491
42
, hanno
portato alla definitiva approvazione dell’articolato art. 11, legge n. 300/2000.
Le principali questioni che il legislatore delegante ha dovuto affrontare
riguardano la natura della responsabilità (se amministrativa o penale), la tipologia dei
destinatari, i criteri d’imputazione, nonché l’apparato sanzionatorio e il sistema
processuale di riferimento. Appare opportuno dunque ora procedere ad un rapido
confronto tra le scelte del delegante e le soluzioni adottate invece dal legislatore
delegato al riguardo, per vedere se e quali aspetti della legge delega siano poi stati
effettivamente trasfusi nel d. lgs. 231/2001.
In merito alla natura della responsabilità
43
, l’art. 11, legge n. 300/2000 si
orienta a favore del riconoscimento della natura «amministrativa» della stessa
44
,
41
L’espressione è usata da A. MANNA, La c.d. responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche: un primo sguardo d’insieme, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 502; parla invece di
«rivoluzione timida» D. PULITANÒ, La responsabilità «da reato» degli enti: i criteri di imputazione,
cit., 415 s.: «una svolta “di sistema”, attuata con estrema (troppa?) cautela, verso il superamento del
tradizionale principio societas delinquere non potest».
42
Per una ricostruzione dell’iter parlamentare: C. PIERGALLINI, Progetti di riforma, in Riv. it. dir.
proc. pen., 2000, 296 ss.
43
Per una trattazione esaustiva al riguardo, si rimanda al successivo paragrafo 4.
14
onde evitare il sorgere di eventuali questioni di legittimità costituzionale, per
contrasto con l’art. 27 Cost., mentre per l’individuazione dei soggetti destinatari si fa
riferimento non solo alle persone giuridiche, ma anche alle società, associazioni e
agli enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo
costituzionale, prevedendo la responsabilità in relazione alla commissione dei reati di
cui alle lettere a), b), c), d)
45
; per quanto concerne i criteri di imputazione invece, la
lett. e) dell’art. 11 prevede che la responsabilità degli enti sorga per i reati commessi
a loro vantaggio o nel loro interesse da persone che svolgono funzioni «apicali»,
ovvero da sottoposti
46
all’altrui vigilanza, quando la commissione del reato sia stata
resa possibile dall’inosservanza degli obblighi connessi a tali funzioni. Le sanzioni
previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive, di natura pecuniaria ed
interdittiva
47
(aggiungendo nel novero sanzionatorio altresì la confisca e la
pubblicazione della sentenza) e sono applicate «dal giudice competente a conoscere
del reato», applicandosi nel procedimento di accertamento della responsabilità, in
quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale ed assicurando
«l’effettiva partecipazione e difesa degli enti nelle diverse fasi del procedimento
penale». Ultima, la previsione dell’istituzione di un’Anagrafe nazionale delle
sanzioni amministrative irrogate nei confronti degli enti.
44
Interessante notare come in origine l’art. 6 del d.d.l. C 5491 prevedesse in realtà l’introduzione di
una forma di responsabilità penale delle persone giuridiche, opzione poi abbandonata in favore di
quella amministrativa.
45
Le fattispecie di reato elencate sono molte ed estremamente variegate, spaziando dai delitti dei
pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (artt. 316-bis/322-bis c.p.) alla truffa (art. 640
comma 2 c.p.), dai delitti contro l’incolumità pubblica (titolo VI, libro II, c.p.) all’omicidio e lesioni
personali colpose (artt. 589-590 c.p.) commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro o relative alla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro, per finire con i reati
commessi in violazione delle norme sulla tutela dell’ambiente e del territorio.
46
Per l’art. 11 lett e) i soggetti «apicali» sono coloro che svolgono «funzioni di rappresentanza o di
amministrazione o di direzione» ovvero coloro che esercitano «anche di fatto, poteri di gestione e di
controllo», mentre i «para-apicali» vengono definiti come coloro che sono «sottoposti alla direzione o
alla vigilanza delle persone fisiche menzionate».
47
Le sanzioni interdittive sono indicate nella lett. l) dell’art. 11 e consistono nella: chiusura anche
temporanea dello stabilimento o della sede commerciale (sanzione non trasferita in sede d’esercizio
della delega nel d. lgs. n. 231 del 2001); sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o
concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; interdizione anche temporanea dell’esercizio
dell’attività ed eventuale nomina di un altro soggetto per l’esercizio vicario della medesima quando la
prosecuzione dell’attività è necessaria per evitare pregiudizi ai terzi; divieto anche temporaneo di
contrattare con la pubblica amministrazione; esclusione temporanea da agevolazioni finanziamenti,
contributi, sussidi, ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto anche temporaneo di
pubblicizzare beni e servizi.