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pro - capite, a fronte di circa 10 Kg di oli e grassi vegetali, Oil World
Annual, 1997), e l’evoluzione del suo consumo negli ultimi
venticinque anni mostra una tendenza ascendente. L’enorme
differenza dei due dati evidenzia una potenziale espansione del
consumo di olio di oliva in atto ormai da alcuni anni. In proposito,
tuttavia, occorre distinguere le aree di consumo tradizionali, che
coincidono con i paesi produttori del Bacino Mediterraneo, e le nuove
aree di consumo. Incrementi significativi dei consumi di olio d’oliva
sono stati registrati negli Stati Uniti, che oggi sono diventati il quarto
Paese consumatore dopo Italia, Spagna e Grecia. Nei Paesi ad
economia sviluppata come Giappone, Canada e Australia si registrano
significativi incrementi del consumo d’olio d’oliva. Anche i paesi
comunitari produttori, tranne la Grecia collocata a livelli altissimi,
sembrano evidenziare possibili margini di miglioramento nei consumi
pro – capite. L’Italia è il maggior mercato al consumo di olio di oliva
nel mondo, con un livello complessivo di circa 700 mila tonnellate,
per un consumo pro capite pari a circa 12 – 12,5 Kg (COI, 1997).
L’obiettivo di una quota del 50 % del totale di oli e grassi vegetali non
sembra essere lontano per l’Italia, mentre questo incremento evidenzia
margini di miglioramento ancora più ampi per la Spagna.
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A fronte di un mercato internazionale in crescita si sviluppa un
interesse inedito per l’olivicoltura anche in altri Paesi mediterranei e
mediorientali, dove fino ad oggi si avevano delle produzioni oleicole
contenute e per lo più destinate ai consumi interni; nuovi importanti
investimenti si segnalano anche in aree di coltivazioni non tradizionali
come l’Australia, Sud Africa e California.
Ciononostante, in Italia l’olivicoltura sta attraversando un periodo
di forte crisi, anche dovuta al notevole squilibrio tra ricavi ottenibili e
costi di produzione. Molti degli impianti, prevalentemente ubicati in
ambienti collinari e pedomontani, sono estensivi e ricadono in
aziende polverizzate e caratterizzate da forme di agricoltura obsolete,
legate agli schemi tradizionali. A questi fattori occorre aggiungere la
scarsa trasparenza del mercato al consumo, che poco incentiva le
aziende a valorizzare il prodotto, determinando vendite in “massa” di
prodotto alla stato sfuso.
Ciò ha contribuito a tenere gran parte dell’olivicoltura del nostro
Paese lontano dai processi di trasformazione e rinnovamento comuni
ormai a gran parte del resto del settore agricolo.
La filiera olivicola in Italia è la più complessa tra quelle frutticole,
sia per la distribuzione territoriale, che si estende dall’isola
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di Pantelleria al lago di Garda, che per l’estrema variabilità delle
situazione orografiche e dei modelli d’impianto, e soprattutto per la
straordinaria ampiezza del patrimonio varietale, che spesso assume
valenza esclusivamente locale. L’olivicoltura inoltre svolge ruoli
diversi, legati non solo alle finalità produttive, ma anche alla sua
valenza di presidio territoriale e di elemento paesaggistico.
A fronte di tale complessità e delle impellenti necessità di
innovazioni che la filiera olivicola richiede per mantenere il confronto
con le altre produzioni olivicole dei Paesi del Mediterraneo (quasi
sempre meno onerose in termini di costi di produzione) è necessario
fornire al comparto olivicolo italiano un supporto, sia tecnico che
politico, che contribuisca a ottimizzare i processi produttivi e a
migliorare la qualità del prodotto.
In questi ultimi anni, sia in Italia che in altri Paesi olivicoli
mediterranei, è emersa la necessità di avviare un processo di
ristrutturazione integrale della filiera, agendo sia sulle strutture
produttive che su quelle di trasformazione e di mercato, senza
trascurare l’importanza che la coltura assume in particolari territori,
anche sotto il profilo ambientale. Nel nostro Paese le linee direttrici
per il rilancio del comparto sono state indicate nel “Piano oleicolo
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nazionale”, che dovrebbe rappresentare lo strumento fondamentale per
il riaffermarsi dell’olivicoltura nelle diverse realtà regionali.
La Sicilia, insieme alla Puglia e alla Calabria, contribuisce per il
75 % alla produzione nazionale.
Nella provincia di Catania, tra le colture arboree da frutto, l’olivo
riveste una notevole importanza economica e nell’ambito della stessa
un’area olivicola di notevole importanza è quella del Sudovest Etneo,
dove la coltura dell’olivo, oltre a vantare antiche tradizione,
costituisce ancora oggi una fonte di reddito e di occupazione non
indifferente. Tale area dipartendosi dalla “Piana di Catania” si estende
sulle pendici dell’Etna fino a circa 750 – 800 metri s.l.m., e ricade
prevalentemente nei territori comunali di Adrano, Biancavilla, S.M. di
Licodia, Paternò, Ragalna e Belpasso.
Per approfondire le conoscenze sul comparto e in particolare
definire il mercato dell’olio di oliva si è ritenuto opportuno avviare il
presente studio. L’analisi mira a definire le specifiche forme di
mercato e soprattutto indagare la consistenza del canale commerciale
diretto. Nel territorio d’indagine una notevole aliquota della
produzione viene ceduta da parte dell’imprenditore agricolo
direttamente al consumatore finale, anche direttamente presso il
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frantoio, contestualmente alla molitura. Lo studio mira ad individuare
le difficoltà che questo comparto attualmente soffre, che le possibili
soluzioni per superarle.
Quello dell’olivicoltura si è rivelato un comparto molto difficile da
analizzare e interpretare, a causa della sua complessità strutturale,
ovvero dell’articolazioni delle fasi di cui è composta la filiera; sulla
base di questo presupposto il lavoro si è rivelato più interessante del
previsto. In una prima fase il lavoro si articola in una descrizione della
struttura della filiera, analizzandone tutte le fasi, per poi procedere ad
esaminare i problemi ad essa connessi; il primo fra tutti riguarda la
definizione di un’adeguata regolamentazione comunitaria del
comparto, argomento di particolare interesse, sia perché proprio
durante gli ultimi mesi sono state avanzate delle proposte di riforma
dell’attuale Organizzazione Comune di Mercato (OCM), sia perché
l’attuazione definitiva di un’Europa unita non può prescindere dalla
armonizzazione delle politiche agricole, che dovranno riuscire ad
eliminare le naturali disparità esistenti fra i diversi Paesi che
parteciperanno all’Unione. Nella seconda parte s’illustrano le
caratteristiche delle aziende esaminate attraverso un’indagine
aziendale per passare successivamente alla descrizione dei canali
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commerciali, delle diverse figure di acquirenti che in essi
s’individuano, e dei rispettivi prezzi di vendita del prodotto.
I pregi dell’olio sono stati sempre molto apprezzati, sia da un
punto di vista alimentare, che sanitario, tant’è che il suo prezzo è stato
sempre molto elevato. Questi due aspetti sono essenziali affinché
l’olio d’oliva svolga un ruolo fondamentale nella dieta mediterranea1 ,
in quanto, innanzitutto, nella gerarchia degli oli, ha un posto di
prim’ordine per la sua fragranza e digeribilità. Infatti, se consideriamo
che gli oli di semi non sono mai commestibili dopo l’estrazione, e che
devono subire un processo di rettificazione ad alte temperature ed in
presenza di solventi organici come trielina, benzolo, xilolo, ecc., l’olio
d’oliva, che , invece, è un vero succo oleoso di olive, perché estratto a
freddo dal frutto solo tramite pressione e centrifugazione, è
sicuramente più indicato per una sana e corretta alimentazione. Studi
di portata trentennale hanno ampiamente dimostrato quale ruolo abbia
l’alimentazione nella prevenzione dei principali disturbi che
1
Il termine dieta mediterranea è stato introdotto per la prima volta dal Prof.
Ancel Keys negli anni settanta, a significare un tipo di alimentazione seguito nei
Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Le caratteristiche più rilevanti della
tradizione alimentare mediterranea sono rappresentate dall’uso dell’olio d’oliva
per condire, di pane per accompagnare i cibi, di verdure come contorni, di pasta
come primo, e a volte unico piatto, e di spezie quali aglio, cipolla.
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affliggono l’uomo; la ricerca più importante è stata condotta dal Prof.
Ancel Keys dell’Università del Minnesota, che cercò di scoprire il
motivo della coronariopatia (infarto, angina, ecc.) e delle malattie
cardiovascolari in genere nelle popolazioni dell’area mediterranea.
Egli cominciò i suoi studi proprio in Italia, più precisamente nel
Salernitano, dove sembrava che tali malattie fossero praticamente
assenti; successivamente esaminò altre zone del bacino del
Mediterraneo e scoprì che tale situazione era da attribuirsi
essenzialmente ad un alimento: l’olio d’oliva. Va constatato, però, che
negli ultimi trent’anni molte abitudini alimentari delle nostre
popolazioni sono cambiate, ed in questo contesto il consumo di olio
d’oliva ha subito brusche flessioni, a favore degli oli di semi.
Nell’ambito della PAC la Comunità Europea ha cercato di portare dei
rimedi a questa situazione finanziando campagne di promozione, con
gli importi trattenuti sull’aiuto al consumo. A partire dal 1981 sono
state lanciate sei campagne promozionali, con un progressivo
ampliamento della portata delle azioni e della dotazione disponibile; la
strategia seguita si basa su: 1) informazione scientifica sull’olio
d’oliva per il settore medico e paramedico; 2) propaganda e relazioni
pubbliche concernenti le proprietà gastronomiche e nutrizionali del
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prodotto; 3) informazioni sui diversi tipi di olio destinate al grande
pubblico. L’obbiettivo originario di arrestare il calo dei consumi è
stato ampiamente raggiunto, inoltre si è consolidato il consumo in
Paesi in cui il mercato è aperto agli oli di semi (Spagna e Portogallo),
e si è sviluppato sia negli Stati membri non produttori, che nei Paesi
terzi, per i quali la promozione è affidata al COI. Lo sviluppo del
consumo di olio d’oliva rientra, indirettamente, nell’ambito della
affermazione del modello alimentare mediterraneo, come l’unico che
garantisce innegabili effetti positivi.
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2 La zona olivicola oggetto d’indagine
2.1 Principali caratteristiche territoriali ed aziendali
dell’olivicoltura e dell’attività di trasformazione delle relative
produzioni
Per un’analisi della consistenza delle aziende e delle superfici
interessate all’olivicoltura nell’area del sudovest etneo è necessario
rifarsi ad un dato pubblicato nel IV censimento dell’Agricoltura,
poiché non sono disponibili dati aggiornati disaggregati a livello
comunale. Dai dati censuari emerge che in provincia di Catania ricade
il 7,8 % della superficie olivicola isolana, destinata alla produzione
olearia, mentre le aziende olivicole rappresentano il 9,4 % del
complesso di aziende in Sicilia (cfr. tab.1). L’area olivicola oggetto
d’indagine (cfr. cartografia in appendice) è riconducibile ad un
territorio che dipartendosi dalla piana di Catania si estende sulle
pendici dell’Etna fino a circa 750 – 800 m s.l.m., e corrisponde ai
territori dei comuni di Adrano, Belpasso, Biancavilla, Paternò Ragalna
e S.M. di Licodia. In tali comuni la coltivazione occupa una superficie
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di 2.200 ettari, pari al 23 % della superficie ad olivo dell’intera
provincia, che è di 9.480 ettari.
Dalle interviste effettuate agli operatori della filiera ed ai
funzionari degli enti territoriali e dei servizi allo sviluppo emerge che
negli ultimi anni sono stati impiantati nuovi oliveti, anche grazie alle
provvidenze contributive previste dal P.O.P. 1994/99 della Regione
Sicilia. Dalle indagini emerse si ritiene che la consistenza delle
superfici attualmente interessate sia di circa 2.800 ettari. L’incremento
risulta distribuito in maniera quasi omogenea nell’area d’indagine, pur
mostrando maggiore intensità nei comuni di S. Maria di Licodia e
Biancavilla dove la coltura ha sostituito impianti agrumicoli obsoleti.
La maggiore consistenza risulta anche ascrivibile al miglioramento
delle coltivazioni che sono passate da promiscue a specializzate
Dalla tab.2 si evince l’importanza relativa per comune delle
aziende e della SAU rispetto ai totali della zona esaminata. La
struttura delle aziende olivetate presenta un elevato grado di
polverizzazione e frammentazione legata in parte alla difficile
situazione orografica delle superfici olivicole, in parte alla scarsa
mobilità fondiaria che caratterizza l’agricoltura. I comuni interessati
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presentano 4.755 aziende pari al 29.7 % di quelle totali ad olivo della
provincia che sono 16.005
Dal rapporto tra la SAU ed il numero di aziende si rileva come la
superficie agricola utilizzata media per azienda sia di 2,51 ha per la
totalità delle aziende della zona d’indagine, ma tale valore scende a
0,46 ha se ci si riferisce alle aziende olivicole, come mostra la tab.3,
dalla quale è possibile evidenziare le differenze emerse fra un comune
e l’altro della zona.
Sulla scorta dei dati ricavati in una preliminare indagine
territoriale2 si evidenzia che la presenza dell’olivo è stata riscontrata in
maniera diffusa su tutto il territorio, dai filari frangivento degli
agrumeti e dei vigneti fino ad arrivare alle alte quote dove l’olivo si
rinviene sparso insieme al ficodindia ed al mandorlo, passando
attraverso gli oliveti specializzati.
L’ambiente fisico è caratterizzato da terreni prevalentemente di
origine vulcanica e pertanto frequentemente sciolti e di medio
impasto, raramente compatti. Quelli di origine vulcanica, soprattutto
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L’indagine territoriale è stata effettuata nel 1999, ed è stata condotta attraverso
l’analisi della documentazione statistica dell’ISTAT e l’intervista diretta di
responsabili degli Enti Pubblici e privati operanti nel settore agricolo dell’area
interessata. Inoltre è stata effettuata una investigazione dell’area d’indagine per
valutare le attuali consistenze ed i principali caratteri dell’olivicoltura.
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nelle zone collinari, si presentano con un franco di coltivazione
limitato, ricchi di scheletro e non di rado con rocce affioranti.
La giacitura predominante è declive per il 70 % della superficie,
con ampia diffusione di sistemazione a terrazze, il che rende difficile
l’introduzione di macchine ed in generale di tecnologie in grado di
ridurre i fabbisogni di lavoro, soprattutto per quanto attiene alle
operazioni di raccolta.
L’altitudine oscilla entro un campo di variazione compreso fra i
300 e gli 800 m s.l.m., ma la maggiore diffusione delle superfici
olivicole si rinviene nelle zone collinari, dove le altitudini oscillano
fra i 350 e i 650 m s.l.m.
L’irrigazione risulta praticata nel 50 % del territorio e l’acqua ai
fini irrigui proviene prevalentemente da sorgenti naturali e/o pozzi
pubblici e privati.
Considerando le superfici specializzate si può stimare circa
2.800 ha l’oliveto nella zona d’indagine; tale valore differisce del 25%
circa rispetto ai valori rilevati dall’ISTAT nell’ultimo censimento per
il territorio che sono pari a poco meno di 2.200 ettari.
Relativamente all’età degli impianti è stato riscontrato che il
patrimonio olivicolo è costituito per il 10 % da giovani impianti di età
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fino a 20 anni, il 15 % è costituito da piante di età comprese fra i 20 e
35 anni; il 50% è costituito da piante di età compresa fra i 35 e 90
anni, ed il restante 25 % è rappresentato da alberi secolari in netto
decremento produttivo.
In merito alle cultivar presenti si registra una netta prevalenza
della Nocellara Etnea (70 % del patrimonio olivicolo), cultivar a
duplice attitudine caratterizzata dalla buona resa in olio e dalle
eccellenti qualità di drupe utilizzate per il consumo diretto, seguita
dall’Ogliarola (15 % circa) e da altre minori.
Le forme di allevamento rilevate possono essere considerate a
globo per il 60 % della superficie e a vaso per la restante parte,
riscontrandosi una notevole quantità di forme intermedie.
I sesti d’impianto risultano irregolari, per il 70 % delle superfici,
spesso a causa dei vincoli orografici. Nell’ambito dei sesti regolari la
distanza media d’impianto oscilla tra i 6 ed i 12 metri, per piante
disposte prevalentemente a quadrato. Le aziende con oliveti
specializzati sono diffuse per il 10 % mentre risultano diffuse per il 60
% le aziende con oliveto in coltura esclusiva, la restante aliquota è
rappresentata da aziende con oliveti consociati con altre colture
arboree (mandorlo, ficodindia, pistacchio, agrumi).
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Relativamente all’ampiezza aziendale è emersa una diffusa
polverizzazione, oltre l’80 % dei casi non supera i 3 ettari, mentre solo
il 5 – 6 % delle aziende supera i 5 ettari.
Riguardo ai tipi d’impresa, predomina la proprietà coltivatrice che
inglobando la coltivatrice – capitalistica arriva ad oltre l’80 %, mentre
quella capitalistica – coltivatrice e capitalistica con salariati è presente
per il restante 20 %. Va segnalata la presenza dell’imprenditore
part – time, trattandosi spesso di operatori che svolgono altre attività
professionali, anche in altri comuni, o che impiegano la loro attività
agricola anche in altri fondi a diverso indirizzo produttivo.
In riferimento alle quantità prodotte, le produzioni unitarie
risultano assai variabili in rapporto, oltre che alla densità d’impianto,
ai caratteri microambientali, alle condizioni fitosanitarie, all’epoca di
raccolta e soprattutto alla disponibilità dell’irrigazione. Inoltre
trattandosi di una specie a forte alternanza produttiva, si registrano
notevoli differenze di produzione tra un’annata e la successiva. La
produzione media registrata nella zona d’indagine è stata di 42
quintali ad ettaro, con una resa media alla molitura del 19 % circa, la
produzione oleicola risulta di circa 8 quintali di olio ad ettaro.