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Introduzione
Come spesso accade, nella vita, gli incontri inaspettati si rivelano i piø belli. Ho
conosciuto Dino Campana, attraverso i suoi scritti, in occasione di uno dei tanti esami
universitari, ma la scintilla non è scattata istantaneamente: piuttosto direi che qualcosa
della sua magnifica poesia si è sedimentato nel mio animo, e nel corso del tempo ha
conquistato uno spazio sempre piø definito. Così è maturata la decisione di affidare a lui
e ai suoi versi le sorti della mia tesi di laurea. Ciò che piø mi ha colpito è stato senza
dubbio il suo vagabondare, il suo non riuscire a restare a lungo nella sua terra natia e la
sua inquietudine, che lo ha portato a ricercare la verità nei “vichi profondi” dell’Italia,
del mondo e della sua stessa mente.
La decisione di visitare Marradi, paese che gli ha dato i natali, è stata inevitabile. Il
viaggio tra gli Appennini è stato tortuoso, difficile, come a volte la sua poesia. Il mio
lavoro voleva, inizialmente, indagare i Canti Orfici, l’opera piø conosciuta di questo
straordinario poeta. L’arrivo al Centro Studi Campaniani, però, ha fatto crollare il
castello che da mesi mi ero costruito: centinaia di libri, tesi, articoli, saggi dimostravano
come i Canti fossero già ampiamente studiati. Tuttavia, tra le opere del poeta, ho
scoperto il Quaderno, una specie di anticamera degli Orfici, ma non solo: una miniera
di informazioni su ciò che era Dino Campana prima della stesura del suo capolavoro.
Gli anni giovanili, le prime fughe, gli amori, gli studi, i suoi ricordi, le sue reminescenze
affioravano da quei versi, così scarsamente conosciuti dal grande pubblico, ma così
importanti, vitali. Il viaggio offriva inoltre possibilità di visitare i luoghi dove questi
primi componimenti trovarono luce: i boschi, le montagne, il fiume Lamone, la casa
materna, quella dello zio Torquato, Marradi, Campigno…
Tornato a casa, e addentratomi nei testi, la mia vicinanza emotiva con Dino è cresciuta
smisuratamente, al punto che, talvolta, mi ha addirittura fatto perdere la lucidità
necessaria all’indagine e alla ricerca, anche se, piø di ricerca, dovrei parlare di viaggio,
perchØ questo è stato. La prima operazione è stata, ovviamente, quella di reperire
l’edizione dell’opera omnia, curata da Enrico Falqui. Così ho avuto modo di studiare i
testi del Quaderno, visto che il manoscritto originale, su cui Falqui ha realizzato la
propria edizione, è andato perduto. Altra guida importante, per l’impostazione del mio
lavoro, è stato il libro di Silvano Salvadori Dino Campana prima dei Canti Orfici, che,
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oltre a fornire un’interpretazione personale dell’autore, ha il merito di far luce sulle
connessioni tra le poesie di Campana ed alcune opere d’arte.
Una volta avuto tutto il materiale a disposizione, ho pensato di articolare il lavoro in due
macro-capitoli: il primo che presenta la ricostruzione (per quanto possibile) della vita
del poeta, scevra dalle esasperazioni “leggendarie” a cui troppo spesso è stata
sottoposta, seguendo la linea della biografia campaniana di Gianni Turchetta; il secondo
che riporta fedelmente tutti i testi del Quaderno, seguiti da un’analisi basata su criteri
piø oggettivi possibile (tuttavia senza alcuna pretesa di scientificità). Oltre a ciò ho
ritenuto opportuno portare in superficie tutti quegli echi che la poesia di Campana
potrebbe suggerire alla mente e all’orecchio del lettore. Da qui l’idea dei confronti con
Carducci, Pascoli, D’annunzio, Baudelaire, Dante ed altri. Infine, le mie personali
conclusioni su ciò che il Quaderno rappresenta, ed un’appendice fotografica, per aiutare
chi avrà la voglia e la pazienza di leggere questo testo, a comprendere meglio i luoghi
campaniani e le sensazioni che hanno suscitato nel poeta.
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1. La Vita
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Le origini: la famiglia, Marradi.
Per comprendere appieno la figura a volte troppo mitizzata di Dino Campana, occorre
forse partire dal principio, ovvero dall’ambiente familiare e dal contesto sociale in cui il
poeta mosse i suoi primi passi. Il padre, Giovanni Campana (1854-1926), era maestro
elementare a Marradi. Uomo dal carattere rigoroso, ma molto affettuoso con la famiglia
e con Dino, di cui si prenderà cura ogni volta che gli sarà possibile farlo.
Sua moglie, Francesca “Fanny” Luti (1857-1925), è originaria di Comeana, un paesino
vicino Firenze; è una donna dal carattere forte e probabilmente intriso della bigotteria
cattolica e provinciale, tipica dei piccoli centri di quegli anni.
A Marradi la famiglia Campana abita in una casa sul fiume Lamone, vicino all’attuale
piazza Celestino Bianchi. Proprio in questa casa nasce Dino, il 20 Agosto 1885, e vi
rimane fino all’età di 3 anni. Oggi l’abitazione non esiste piø, distrutta dai
bombardamenti della guerra, rimane tuttavia intatta la casa in cui i Campana si
trasferirono nel 1888 e che ancor oggi appartiene alla famiglia, precisamente ad
Antonello Coppolino, pronipote del poeta. Nella sua biografia campaniana, Gianni
Turchetta afferma che proprio da questa casa il giovane poeta osservava la Madonnina
del Ponte, cantata nella celebre lirica L’Invetriata, ma l’ipotesi appare improbabile.
Visitando il luogo ci si rende conto, infatti, che non sarebbe stato possibile osservarla da
lì, in quanto suddetta immagine si trovava sulle mura del ponte, contigue all’abitazione.
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L’osservazione della sacra immagine avviene, con ogni probabilità, dalla casa dello zio
Torquato. Va sottolineato, infatti, il forte legame che Dino aveva con lo zio, autentica
figura-guida e supervisore dei suoi primi studi. Non stupisce perciò che la casa di
Torquato Campana fosse frequentata soventemente dal poeta, fin dalla giovane età.
L’infanzia del giovane Dino procede in modo abbastanza sereno; a turbare la vita di
famiglia sono i comportamenti di Fanny: spesso la donna si assenta da casa, a volte per
alcuni giorni, senza preavviso, per poi far ritorno, come se niente fosse. Sono
sconosciute le motivazioni di tali comportamenti e le ipotesi potrebbero lasciare troppo
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Per i testi e le informazioni riportate in questo capitolo, ove non diversamente indicato, si fa
riferimento a G. TURCHETTA, Dino Campana. Biografia di un poeta, Feltrinelli,Milano 2003
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Taa, Intervista a Mirna Gentilini (Responsabile del Centro studi Campaniani Enrico Consolini), File
audio, Marradi 3 Agosto 2011.
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spazio alla fantasia. Ci limiteremo ad affermare che le “fughe materne” influenzarono
l’emotività del piccolo Dino, costretto a vivere reiteratamente il distacco, l’abbandono e
il dolore per la perdita della madre, ed allo stesso tempo l’attesa e la speranza
spasmodica di un suo possibile ritorno. Potrebbe qui situarsi l’origine del tema del
viaggio, inteso campanianamente come partenza e ritorno, che caratterizzerà la vita e la
poesia del nostro.
Nel 1888 si verifica un evento cruciale dell’infanzia di Dino: la nascita del fratello
Manlio, infatti, diviene causa di distacco e gelosia affettiva, cosa comune in ogni
bambino di 3 anni che vede spostarsi le attenzioni della propria famiglia, ed in
particolare della mamma, su un individuo “nuovo”, percepito come estraneo.
Ad accentuare la situazione potrebbero aver contribuito alcuni comportamenti materni:
Dopo la nascita di Manlio, il cocco Dino passò in seconda, o per meglio dire in terza linea. Ninni sempre
Ninni, solo Ninni. Marianna ancor piø che Barberina si era affezionata a Dino. Quando veniva in casa per
la questua della Chiesa mi chiedeva come vanno su? E si sfogava con me. Si ha da vedere, diceva lei, un
povero figliolo che quando escono per il passeggio la mamma gli dice: tu Dino vai per la strada di
Palazzuolo, noi si va per altra via. Quel noi era Fanny e Manlio.
Il rapporto con la madre, così incostante e difficile, sembrerebbe quindi emergere fin
dall’infanzia del piccolo Dino:
Le liti con la mamma erano assai frequenti, forse era incomprensione dall’una parte e dall’altra. Dino era
geloso e questo è indubbio, certo è che egli cercava nella mamma l’affetto […] Intelligente come era ben
si avvedeva delle differenze che la mamma faceva fra lui ed il fratello. Le moine tributate a quest’ultimo e
gli improperi a lui diretti.
Sarebbe però semplicistico tentare di ricondurre gli squilibri di Campana al rapporto
con i familiari, favorendo il tema dell’animo sensibile e incompreso.
Va detto, anzi, che il poeta era portato dal proprio carattere ad astrarsi dalla realtà
intorno a sØ, tanto che spesso appariva svagato e dissociato affettivamente e, in alcuni
momenti, anche aggressivo:
Qualcosa mi tortura e mi sospinge
All’assurdo. ¨ il bisogno della morte
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PerchØ su tutto chiamo distruzione?
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L’altra stella infausta che si erge sulla psiche del poeta è quella dello zio Mario (1871-
1902), morto in giovane età nel manicomio di San Salvi, dove era ricoverato per dei
disturbi psichici che gli causavano deliri di carattere religioso.
Tornando all’infanzia di Campana, va detto che nel periodo delle elementari il
rendimento scolastico fu molto proficuo tanto che, dalla documentazione in nostro
possesso, si può desumere che il giovane poeta abbia concluso il ciclo elementare in
quattro anni anzichØ cinque, dal 1891 al 1895. Con ogni probabilità i genitori decisero
di fargli saltare la V elementare, per preparare sotto la tutela del padre l’esame di
licenza e quello di ammissione al ginnasio, che frequenterà presso il convitto Salesiano
di Faenza, seguendo corsi privati e sostenendo poi gli esami all’istituto Evangelista
Torricelli, sempre a Faenza.
La giovinezza: gli studi, l’irrequietezza e la “pazzia”.
L’iscrizione al liceo avverrà nell’anno 1900-1901. Se la vita del giovane fino a questo
momento era trascorsa in modo perlopiø sereno, è proprio verso i 15 anni che i genitori,
preoccupati da alcuni atteggiamenti di Dino (sbalzi di umore, rabbia, silenzi, chiusura in
se stesso), lo fanno visitare da un medico di Faenza, Alberigo Testi, che li rassicura
dicendo che probabilmente è tutto dovuto alla fase adolescenziale.
Tutti mi hanno sputato addosso dall’età di 14 anni
¨ una frase che riassume in modo abbastanza chiaro come i coetanei potessero vedere
questo ragazzo stravagante, che amava la lettura e la solitudine.
Nello stesso anno 1900-1901 Campana viene quindi tolto dalla scuola statale Torricelli.
Prepara privatamente l’ammissione alla terza liceo, che sosterrà a Torino al Massimo
D’Azeglio; a giugno sarà rimandato, ma ad ottobre verrà promosso e poi mandato a
studiare a Carmagnola, presso un collegio. Tra mille difficoltà, nel 1903 Campana
ottiene il sospirato diploma di maturità.
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E. FALQUI (a cura di), Campana – Opere e contributi, Vallecchi, Firenze 1973, p. 346
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Il ritorno a Marradi non è dei piø piacevoli: pare infatti che proprio nel 1903 Campana
abbia dato inizio alle sue sventure con la legge. Viene infatti messo in stato di fermo,
presso Parma, dagli agenti di polizia. Nei suoi racconti durante la permanenza a Castel
Pulci Campana parlerà addirittura di arresto e prigionia, ma non vi sono documenti che
certifichino quanto da lui narrato. A questo punto l’immagine di Dino sembrerebbe
ulteriormente compromessa agli occhi dei suoi coetanei marradesi, intrisi di piccola
cultura borghese e provinciale.
Non sapevo bene i costumi che c’erano fuori; quando tornai a Marradi mi ridevano, mi arrabbiai e divenni
nevrastenico. Poi cominciai a viaggiare.
Questo pensiero ci indica come il periodo passato in collegio abbia allontanato
Campana dalla sua realtà, che, additatolo come “strano”, lo irrideva.
C’è quindi una vastità di fonti e di elementi, piø o meno validi, a cui far riferimento
quando si affronta il discorso della pazzia di Campana. Senza volersi lanciare in voli
pindarici, si può affermare che il malessere del poeta fu dovuto alla concomitanza di piø
fattori, che potrebbero aver accresciuto una situazione di partenza difficile, ma
probabilmente risolvibile se vissuta in modalità piø serene. Lo stesso tema della fuga e
del ritorno, che trova origine nella precedente citazione, può essere riconducibile alla
volontà di ferire la madre giocando d’anticipo, ma anche alla voglia di un ragazzo di
allontanarsi dalla piccola provincia borghese e cercare la propria weltanschauung in altri
posti, o piø semplicemente a diretto contatto con la natura.
Questo punto di vista potrebbe portare a normalizzare un po’ il modo in cui Campana è
sempre stato visto: il mito del poeta cittadino del mondo, del genio folle, dell’infanzia
freudianamente distorta.
Nei continui spostamenti del poeta, come abbiamo visto, ha influito il rapporto che egli
aveva con Marradi e con i marradesi suoi coetanei. Probabilmente il paese provocava in
Campana una forte attrazione e repulsione al tempo stesso, tant’è che, proprio nei suoi
primi scritti, raccolti nel Quaderno, in chiusura della lirica Marradi, il poeta descrive i
suoi sentimenti verso il paese natìo:
Insaziabilmente
Batte al mio cuor che trema di vertigine
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E. FALQUI(a cura di), Campana – Opere e contributi, Vallecchi, Firenze 1973, p.326
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Cosa potrebbe essere questa vertigine se non un sentirsi in bilico, tra la voglia di partire,
abbandonare tutto, ed esplorare il mondo e la paura di abbandonare la propria terra?
Nel periodo compreso tra il 1903 ed il 1906, gli spostamenti del poeta sono limitati alla
Toscana e all’Emilia Romagna, anche se alcune testimonianze tenderebbero a far
pensare il contrario. Una famiglia faentina, i Collina, raccontano infatti allo studioso
Antonio Corbara che Campana, nel 1904
Si trovò disteso a dormire sulla soglia esterna della porta di casa, cioè all’addiaccio (la notte aveva
nevicato). Dino tornava dalla Russia ed era affamato. Vestiva un cappottaccio di tipo militare russo,
appunto color giallo-nocciola, barba incolta, di molti giorni.
Tale testimonianza risulta smentita dal ritrovamento di alcuni documenti che attestano
come, nel 1904, Campana si fosse arruolato come volontario presso il 40° Reggimento
Fanteria di Ravenna, frequentando la scuola ufficiali dal 4 Gennaio al 4 Agosto.
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Quindi
l’ipotesi del viaggio in Russia pare altamente improbabile.
Ma andiamo con ordine: abbiamo detto che tra il 1903 e il 1906 non si hanno molte
fonti circa gli spostamenti del nostro, tuttavia possiamo far luce su questo periodo
utilizzando fonti che ci consentono di datare correttamente gli studi universitari del
poeta. Nel 1903 Dino si iscrive alla facoltà di chimica pura a Bologna, dove si
trasferisce. La scelta così particolare è dettata da un consiglio dello zio Torquato, come
lo stesso Campana racconterà a Pariani:
Fu uno zio che mi suggerì di studiare chimica. Io accettai senza pensarci, per inconsideratezza.
E ancora:
Io studiavo chimica per errore e non ci capivo nulla. Non la capivo affatto. La presi per errore, per
consiglio di un mio parente. Io dovevo studiare lettere. Se studiavo lettere potevo vivere. Le lettere erano
una cosa piø equilibrata, il soggetto mi piaceva, potevo guadagnarmi da vivere e mettermi a posto. La
chimica non la capivo assolutamente, quindi mi abbandonai al nulla.
Sappiamo che Campana tentò di frequentare le lezioni, ma con scarsi risultati, come egli
stesso ribadisce:
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Marradi, Centro studi Campaniani Enrico Consolini, Copia della nota del Distretto Militare di Firenze