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Capitolo 1
Storia e teorie, cinema e musica.
1.1 La musica a servizio del film.
Ci si rende sempre più conto che il cinema non si basa sulla centralità dell’immagine
come elemento fondamentale di esso, ma al contrario viene considerato come
un’unione di suono ed immagine. Dalle origini del cinema fino ad oggi, la musica
nel cinema ha rivestito diverse funzioni, con esso si è evoluta, fino a diventare un
genere quasi a se stante, il genere della musica per film.
La musica pur essendo da sempre una parte fondamentale del cinema è sempre stata
considerata la parte povera, e per questo non si è potuto avere un felice connubio
estetico tra l’aspetto visivo e narrativo con la musica, portando a volte ad un lento
processo di degrado della musica stessa, a causa della scarsa conoscenza in ambito
musicale di molti produttori e registi.
Fin dalle origini il connubio musica-immagine assunse la sua importanza e divenne
presto oggetto di dibattito. Molti sostenevano l’ipotesi secondo la quale la musica
nel cinema nasceva da un’esigenza funzionale, e il bisogno dell’accompagnamento
musicale che nasceva era scaturito da un bisogno psicologico ed estetico. In
particolare il concetto base sul quale si fondava questo principio, era che il cinema
veniva considerato un arte in movimento che seguiva l’esperienza quotidiana, dove
al moto viene associato sempre un suono, e per non porsi in contraddizione con essa
la musica rappresentò il mezzo ideale per colmare ciò che sarebbe potuto apparire
come un qualcosa di irreale. In ogni caso musica e cinema non erano considerati
ancora come un insieme audiovisivo, la musica rimaneva piuttosto un mezzo con il
quale poter appagare un istinto che imponeva la presenza sonora. Il linguaggio
filmico però iniziò negli anni ad assumere i primi caratteri fisionomici, e anche le
tecniche di riproduzione sonora raggiungono i primi risultati degni di nota, anche
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se furono diversi i fattori che portarono al consolidarsi del genere della musica per
film.
Le evoluzioni nel campo della musica e la nascita di nuovi generi musicali,
contribuirono a creare e consolidare l’unione tra le due arti, tra cinema e musica.
Esemplare fu il fenomeno musicale tra i più rilevanti del nostro tempo, che si
sviluppò a cavallo tra Ottocento e Novecento, nella musica americana, nel ragtime, e
in particolare nella figura di Scott Joplin, in cui ritroviamo alcune anticipazioni di
un complesso meccanismo artistico, commerciale e di consumo, che investe anche
l’uso della musica nel cinema. Intorno al ragtime fiorì un fenomeno di
intrattenimento popolare realizzato da attori e musicisti bianchi i quali, truccati da
neri, imbastiscono spettacoli, in cui si imbattono in inni religiosi, canzoni
accompagnate con il banjo e la chitarra, o in dialoghi satirici e scenette basate su
una distorta oleografia dei neri, e ancora vengono realizzate musiche strumentali per
solista o per piccolo organico che si rifanno al folklore scozzese e irlandese. In
questo fenomeno musicale, si distingue il tempo binario di marcia, caratteristica
prettamente europea, e l’uso del banjo, invece caratteristica nera, insieme realizzano
un modo di suonare il pianoforte meccanico e percussivo, e che segnerà la nascita
della “piano rag music” verso la fine del secolo.
Dalla natura contraddittoria di questo tipo di musica, destinata ad esprimersi in una
sorta di ambiguità, nasce la vocazione per il cinema, al quale viene associata .
Nonostante i vari sforzi sostenuti da Joplin per dare alla propria musica un’identità
solida e una certa notorietà, il suo progetto non ebbe successo, e soltanto dopo la
morte, la sua musica venne esportata in Europa, dove fu Stravinnskij ad
appropriarsene e ad utilizzare il nuovo genere americano nelle sue composizioni. Il
ragtime passò dalle forme più popolari di spettacolo alla diffusione meccanizzata, e
da lì all’affermazione che lo portò nelle sale cinematografiche.
La novità di questo genere musicale fu quello di riuscire ad introdurre con la sua
meccanicità un tempo di fruizione dilatato, flessibile, di cui si avvalgono mezzi
come la pianola meccanica e poi il disco, e proprio per questa sua natura che questo
genere di musica non può non accostarsi al mondo cinematografico, il quale sarà la
sintesi di tutte queste tendenze, e non a caso il Ragtime è stato considerato fra i
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generi più adeguati all’accompagnamento di commedie cinematografiche. Rilevante
è inoltre il caso del primo film sonoro di successo The jazz singer, musica che
utilizza musica derivata proprio dal ragtime. La musica si avvicina al cinema, si
iniziano a creare le basi per creare un connubio che non si spezzerà tra le due arti
che non avrà mai fine.
A fine Ottocento il cinema vive una fase di stabilità, le funzioni di attrazione e
spettacolarizzazione unite alla musica utilizzata come supplemento alla scena,
servirono a consolidare la macchina cinematografica nel suo ruolo di mezzo
ricreativo. Fu proprio questa stabilità che, caduta nell’eccesso, portò ad una sorta di
staticità delle rappresentazioni e alla monotonia degli spettacoli che portarono il
cinema verso la sua prima crisi. Il pubblico si stancò presto di assistere a proiezioni
ripetitive di temi, o di spettacoli senza contenuti, e per questo se fino a quel
momento si era proposto come una sorta di attrazione spettacolare ora si evolve,
inizia a porsi come mezzo tramite il quale rappresentare situazioni ed esprimere
contenuti. Assistiamo ad una crescita del cinema, nel momento in cui si passa da
film brevi a produzioni di durata maggiore, e si attua un arricchimento e un
affinamento del linguaggio e della tecnica, che portò allo sviluppo di livelli narrativi
sempre più complessi e sofisticati, e ad un’autonoma forma di spettacolo, che
avrebbe raggiunto ben presto livelli notevoli. Ovviamente di pari passo con questa
evoluzione si pone la musica, alla quale viene riservata sempre maggiore
attenzione come elemento sonoro da accostare a quello visivo, e ciò comportò il
coinvolgimento di illustri compositori i quali dovettero confrontarsi con la nuova
realtà narrativa che il cinema presentava.
Prima che questa fase di innovazione prendesse piede, al cinema per coprire il
silenzio delle proiezioni si richiedeva la presenza di un pianista, o di un’orchestra o
di un coro, che servivano a creare gli sfondi musicali alle immagini e di dare
continuità alla rappresentazione. Fu uno dei sintomi che dimostra come il bisogno di
una presenza musicale particolarmente curata venisse avvertito soprattutto per le
realizzazioni più impegnative. Non pochi musicisti famosi si prestarono a questa
collaborazione, contribuirono ad uno sviluppo sempre maggiore di questa neonata
stabilità audiovisiva. Fino al primo decennio la scelta delle musiche era lasciata del
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tutto al pianista che utilizzava il proprio repertorio, successivamente in parallelo al
consolidarsi dell’industria cinematografica, le case di produzione, cominciano a
pubblicare selezioni di brani per l’accompagnamento delle proprie produzioni. Dopo
questa fase primordiale di nascita del cinema, il fenomeno cinematografico iniziò
quindi ad assumere tratti autonomi, fino a diventare un fenomeno di largo consumo.
Oltre ad assistere ad un crescente interesse degli specialisti verso la componente
musicale nel cinema, le maggiori case di produzione iniziano ad avvalersi della
collaborazione di musicisti, incaricati di predisporre selezioni più dettagliate di
suoni musicali, combinati in relazione al tempo e al carattere interpretativo da
conferire a ciascun motivo. Nasce così un connubio meno casuale, più studiato e
attento fra immagine e suono, e di conseguenza iniziarono a diffondersi manuali che
affrontavano l’argomento, fornendo delle regole generali con le quali poter
codificare il nuovo genere di linguaggio che si stava costituendo. Il primo di questi
manuali fu What and How to play for Pictures, di Eugene Ahern, pubblicato negli
Stati Uniti nel 1913
1
, il quale consigliava una tecnica di scombinamento del film
secondo la quale il compositore non avrebbe dovuto cambiare il tipo di musica ad
ogni scena del film, bensì utilizzare un numero circoscritto di pezzi coerenti col
carattere del film stesso, Aherm suggeriva anche i tipi di accompagnamento adatti ai
vari generi di pellicola.
Molti altri furono i contributi da parte di scrittori , musicisti e quant’altri che
offrirono nei loro testi le tecniche, a loro parere, più idonee per esprimere questo
linguaggio. Musical Accompaniment of Moving Pictures, di Edith Lang e Georges
West, pubblicata nel 1920
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, è uno dei testi più completi a riguardo, affronta da una
parte l’argomento di fondo della coerenza psicologica delle immagini con la
musica, e dall’altro invece l’uso dei mezzi musicali utilizzati per ottenere effetti
particolari. Riporta quindi una serie di esempi in cui la musica segue le azioni dei
protagonisti del film o più semplicemente delle vicende rappresentate. Il testo ebbe
larga diffusione, grazie alla sua particolare attenzione verso le possibilità descrittive
ed espressive della musica.
1
SergioMiceli, Musica e cinema nella culture del Novecento, Sansoni, 2000, pag.70
2
Ibidem
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A questo genere di testi, si unirono anche raccolte di brani musicali raggruppati in
base alle svariate situazioni in cui l’accompagnatore poteva imbattersi, questo tipo di
repertori ebbe un notevole successo e portò ad una notevole produzione
sull’argomento.
A inizio Novecento il cinema, dopo la fase di sviluppo in cui è diventato “cinema di
contenuti”, ebbe un enorme diffusione, grazie anche alla diffusione del numero delle
sale cinematografiche. I film venivano proiettati in diverse sale, in teatri ed altri
luoghi di varietà, ma in genere si proiettava nei piccoli magazzini con meno di
duecento posti a sedere, la proiezione era accompagnata da un pianoforte o da un
fonografo e l’entrata costava un nickel, da qui il termine Nickelodeon. L’allargarsi
di questo sistema in cui molti registi investirono il proprio denaro, e la crescita del
pubblico di massa che si costituì attorno, contribuì a creare la struttura dello studio
system hollywoodiano negli anni dieci. Nel corso degli anni dieci il cinema si
consolidò, trovò una propria struttura narrativa che nei vari paesi si sviluppò con
tecniche diverse.
La fase di maggiore interesse che fu determinante per consolidare il rapporto e
l’unione del cinema con la musica, fu il principio di base che guidò gli artisti che
presero parte al fenomeno delle avanguardie storiche degli anni Venti del
Novecento. I movimenti artistico-culturali sviluppatesi in Europa dagli inizi del
Novecento fino a circa gli anni Venti, vivono una sorta di rinnovamento e
rivoluzione dei fondamenti su cui si erano fondati fino ad allora; in genere si parla di
avanguardie storiche per distinguerle dalle neoavanguardie sorte dopo la seconda
guerra mondiale.
Gli artisti del tempo aspiravano all’unione e alla fusione disorganica di tutte le arti, i
loro obiettivi erano quelli di mettere in crisi i fondamenti su cui si basava l’indice di
gradimento pubblico, mostrandone tutta l’inadeguatezza. Maggiore propulsore di
questo concetto fu Man Ray: Forse lo scopo finale a cui l’artista aspira è una confusione
o unione di tutte la arti , così come le cose si confondono nella vita reale
3
.
3
Cinemanuovo, La componente musica nel cinema sperimentale, 1990, XXXIX, numero 326-327, pag.
48-58
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Il cinema sperimentale ha assunto in se tutte queste caratteristiche, ponendosi in
bilico tra arte figurativa di una nuova e particolare specie, e arte cinetica, si parla
infatti di un cinema che rinuncia alle convenzioni sul quale si basava fin dalle
origini, e che sembrerebbe l’occasione di incontro ideale con il linguaggio musicale.
Molti musicisti parteciparono alle esperienze delle avanguardie, presentandosi come
portatori di un linguaggio autonomo ed esclusivo, mettendosi così al servizio di un
mondo espressivo estraneo alla loro cultura. Tra i vari esponenti Edgard Varèse, già
nel 1916 dichiarava di voler rivendicare al linguaggio musicale la stessa libertà dalle
tradizioni come ad esempio è stata ottenuta nella pittura, la quale ebbe un ruolo di
primo piano nella modificazione del gusto e delle estetiche; in particolare la
sensazione di libertà si è ottenuta con il superamento dell’impressionismo, tra i cui
esponenti ricordiamo Seraut, Van Gogh e Gauguin, e l’avvicinamento al
rinnovamento musicale promosso da musicisti come Arnold Schönberg, Igor
Stravinskij e Bèla Bartok, figure di portata rivoluzionaria sul piano formale e sul
grado di scrittura compositiva del tempo.
I “rivoluzionari” si facevano portatori di una diversa concezione del linguaggio,
tramite il superamento di convenzioni gerarchico-strutturali ormai sedimentate, e il
trattamento di materiali, ovvero l’uso non convenzionale di strumenti convenzionali,
mentre lasciano quasi intatti quei valori di fondo che da sempre hanno caratterizzato
l’essenza del loro mestiere. Diversi furono i contatti che si crearono tra gli artisti
delle due arti. In musica, il caso esemplare è rappresentato da Stravinskij, definito
“musicista d’avanguardia”, perché associato allo spirito delle manifestazioni del
tempo. Significativi furono gli incontri del musicista, entrambi nel 1917, con i
futuristi e con Tristan Tzara. Il primo avvenne a Milano in casa di Marinetti,
propulsore del movimento futurista, il quale propose a Stravinskij dei nuovi
strumenti orchestrali, tra i quali gli “intonarumori” , da cui il musicista si guardò
bene dall’usarli nelle composizioni successive. Nel secondo incontro invece
assistiamo al rifiuto di Stravinskij di unirsi al gruppo dadaista, considerato un
movimento senza futuro e che secondo lui non avrebbe potuto offrire alla musica
nessun tipo di supporto. In realtà Stravinskij è stato associato allo spirito delle
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manifestazioni delle avanguardie, ma senza che egli ne possedesse né la vena
anarchica né una certa componente autodistruttiva.
Il compositore russo, apprese dai suoi maestri un’orchestrazione a grandi effetti
luminosi , riscontrabili nei suoi primi lavori importanti, quali Scherzo fantastique e
Feu d’artifice.
L’incontro e la successiva collaborazione di Stravinskij con Sergej Pavlović
Djaghilev, critico d’arte russo, mecenate, balletto impresario e fondatore dei Ballets
Russese, fu fondamentale per l’inizio della vicenda artistica del giovane russo.
Djaghilev apprezzò la qualità del giovane compositore e gli commissionò dei
balletti, La straordinarietà della rivoluzione Stravinkijana si manifestò quando lo
stesso Djaghilev, gli commissionò un balletto, in cui l’argomento avrebbe dovuto
riguardare la Russia pagana, in cui Stravinskij utilizzò un’idea strumentale dove il
pianoforte compisse evoluzioni acrobatiche suscitando rabbiose reazioni
dell’orchestra, di fronte ad esse l’acrobazia del pianoforte si sarebbe spenta in una
sorta di languore malinconico.
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Da qui nacque l’idea base di Petrouschka, in cui
Stravinskij inserisce la sovrapposizione di motivi diversi che portavano alla modalità
e ad un uso libero della dissonanza. L’aspetto nuovo dell’arte di Stravinskij fu però
la straordinaria ricchezza del ritmo, messa in evidenza dalla semplicità dei motivi
melodici e dal tipo d’orchestrazione, in cui la radicale dissociazione tra disposizione
degli accenti e durate deriva dalla vitalità del ritmo. Petrouschka rappresentò uno dei
motivi più sentiti dell’avanguardia parigina, partecipando allo specifico immaginario
del tempo. Nel balletto si ritrovano elementi stilistici derivanti dal circo, dalla fiera
paesana e dalle marionette, esprimeva tutta la gioiosità coloristica e vitalistica,
trasmettendo un atteggiamento ironico e antiromantico.
Le maggiori esperienze in cui viene vissuta quella confusione ed unione di tutte le
arti a cui molti artisti del tempo aspiravano , le stesse che poi conducono al cinema
delle avanguardie , si verificano proprio laddove la tradizione è meno forte oppure è
avvertita come un gioco, così i musicisti del movimento futurista, privi di credibilità,
accolgono i numerosi proclami lanciati da Marinetti, e così facendo tagliano i ponti
4
Guido Salvetti, Soria della musica, La nascita del Novecento, Ezioni di Torino, 1991, pag. 88.
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con la storia aderendo ad un programma estetico di per se piuttosto facile. Da
quest’adesione nacquero dei nuovi strumenti, quali gli “intonarumori”, prodotti che
non accontentarono nessuno.
Determinate vicende storico-culturali hanno pesato molto, e non sempre in modo
positivo, sul rapporto tra musica e avanguardie del Novecento, senza aver cercato di
ipotizzare quali possano essere state, in concreto, le aspettative dei cineasti
maggiormente interessati all’operazione, infatti gli ambienti dadaisti e surrealisti
mostravano un totale disinteresse nei confronti della musica, che a volte si
trasformava in dichiarata sofferenza.
In ogni caso la musica nel cinema sperimentale è sempre stata considerata come un
accessorio aggiunto a cose fatte, all’ultimo momento, senza preoccuparsi troppo
della sua qualità intrinseca e della sintonia d’intenti esistente far gli autori chiamati a
collaborare, e questo semplicemente, per una mancanza di sensibilità nei confronti
della componente musicale, indipendentemente dalla indubbia portata artistica dei
protagonisti. Il fenomeno delle avanguardie storiche però è servito anche a
consolidare l’idea secondo la quale il cinema ha bisogno della musica per potersi
completare, e ancora l’idea della fusione delle due arti, la musica inizia quindi ad
essere considerata un elemento portante del film.
Il film sonoro, avrebbe le carte in regola per raccogliere le eredità delle avanguardie
storiche, ma è stato appurato che i tempi di sviluppo non hanno coinciso.
Già all’inizio degli anni trenta il cinema inizia ad essere utilizzato come linguaggio
totale, entrando così in una fase di adolescenza, ha bisogno di nuovi stimoli che
siano in grado di credere nella realizzazione del film sonoro, in modo da scuotere
la posizione dei musicisti.
Due furono gli avvenimenti che sembrano dare un suggerimento in tal senso.
Nell’Unione Sovietica viene pubblicata una dichiarazione sul futuro del sonoro,
redatta da Ejzenstein e sottoscritta da Pudovkin e Aleksandrov, conosciuta come
Manifesto sull’asincronismo. Vi si propone una dissociazione fra immagini e suoni,
i quali, proprio in virtù della loro non coincidenza, possano condurre a quello che il
regista definisce “un nuovo contrappunto orchestrale”. Le idee del regista e teorico,
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tendono ad un radicalismo del tutto dipendente dal patrimonio dei classici, infatti
l’asincronismo fra musica e immagini viene visto come un’operazione critica in cui
il fenomeno sensoriale/percettivo è fuso con la scienza e la tecnica dell’uomo di
cinema. Tutto ciò assume una grande portata innovativa nel cinema rappresenta uno
stimolo per tutti i musicisti che ancora credevano in esso.
Bertolt Bretch, altra figura importante all’interno di questo dibattito, con L’opera da
tre soldi, intendeva allontanarsi dal concetto di unione confusiva delle le arti,
concetto tanto rivendicato dalle avanguardie, per dare alla musica una maggiore
autonomia, così come alla parola e alla figurazione, affiancandosi così alle teorie di
Ejzenstein.
Ejzenstein e Bretch, rappresentano i contributi più rilevanti della prima metà del
secolo, nascono nello stesso periodo e da concezioni opposte, ma si equivalgono per
la volontà costruttiva dimostrata nei confronti della componente musicale.
Il film sonori quindi alla fine degli anni Venti, modificano il rapporto tra musica ed
immagine, l’accompagnamento musicale è sottoposto a nuovi vincoli, deve tener
conto nelle sue funzioni anche della parola e del rumore, aumentando così le sue doti
interattive. Inoltre la possibilità di associare definitivamente il suono alle immagini,
rende operativo il concetto di colonna sonora, ed il discorso dei nuovi compositori
può svilupparsi a partire dall’inadeguatezza della vecchia musica da film.
Il legame fra suono musicale ed immagine è protagonista delle prime formulazioni
teoriche che insistono sulle analogie fra i due linguaggi, facendo ampio uso della
terminologia della musica, e anche se i successivi sviluppi della teoria prendono le
distanze dai primi approcci, resta il fatto che il cinema, arte dello spazio-tempo, ha le
maggiori affinità temporali con il linguaggio musicale.
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1.2 L’analisi dei livelli sonori di Sergio Miceli
Sono in tanti oggi a parlale di musica per film , ovvero quel genere musicale tanto
criticato quanto discusso, che solo da poco inizia a prendere piede come genere
compiuto in sé, rispetto al passato, quando la musica veniva considerata la parte
povera del film.
In genere i critici cinematografici non pongono molta attenzione alla componente
musicale, soffermano la loro attenzione su trame e recensioni, e solo raramente si
accorgono dell’operato di qualche compositore o si soffermano sul senso di qualche
specifica colonna sonora. Materiali e testi che trattano l’argomento ad oggi sono
molto diffusi, anche se spesso poco approfonditi, perché la competenza di critici
cinematografici in ambito musicale è davvero scarsa.
Dall’altra parte anche i musicologi non pongono molta attenzione al cinema, la
musica per film infatti è considerata da loro non degna di essere considerata, perché
ritenuta mercificata, impura e compromissoria. Non viene condiviso ancora il
concetto secondo il quale la musica applicata alle varie arti, quali il cinema, il teatro,
la televisione, la pubblicità e la radiofonia, faccia parte della musica del nostro
tempo, e vada quindi considerata un oggetto musicologico.
Pochi sono i musicologi che si occupano e si sono occupati della musica per film, tra
questi Sergio Miceli, il quale ha pubblicato un libro Musica per film, che si presenta
come la pubblicazione più completa finora prodotta in Italia sull’argomento.
Il testo di Miceli è suddiviso in tre parti: la prima affronta la storia della musica per
film partendo dal cinema muto in cui inserisce anche considerazioni riguardanti le
avanguardie storiche, e poi parla del passaggio al film sonoro. Nella seconda parte si
ripercorrono le diverse teorizzazioni riguardanti l’estetica della musica per film, sia
quelle degli studiosi di cinema che dei musicologi. Nella terza infine tratta delle
diverse tipologie di film che incorporano musiche, da quelli di danza ai musicals,
dalla commedia musicale alle biografie di musicisti, dall’opera lirica in vario modo
filmata al film d’animazione.
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Miceli non si pone nei confronti del cinema con un atteggiamento di superiorità, ma
punta a comprenderne l’immaginario e a esplorarne il mondo in rapporto con la
musica, non in modo musicocentrico, ma ponendo la musica per film come un
argomento che contiene forme e generi diversi.
Egli cerca di scostarsi dalla convinzione comune a molti musicologi secondo la
quale, la musica per film viene considerata consumistica, e per questo non degna di
considerazione, ma cerca di analizzarla in rapporto al secolo in cui essa è nata .
In particolare Miceli in Musica e cinema nella cultura del Novecento, dedica
un’intera parte all’analisi della musica nel film, esponendo il proprio criterio di
valutazione.
Miceli esprime il suo concetto, secondo il quale, non si può creare un linguaggio
universale, che possa rappresentare sia la musica che il cinema, perché esso
risulterebbe inconciliabile.
Se un’analisi formale è applicabile alla musica, difficilmente essa può esserlo anche
al linguaggio filmico, per questo Miceli distingue la musica per film, dalla musica
d’arte in generale, in quanto prodotto di un’arte applicata, di per se molto ambigua e
difficile da spiegare.
Con il termine “musica per film”, si intende una musica onnicomprensiva capace di
rifarsi ai diversi linguaggi disponibili, ma che sia anche capace di creare dei nuovi
linguaggi originali ed autentici, capaci di porsi in relazione con le componenti
verbali e figurative.
In ogni caso non esiste oggi un metodo di analisi audiovisiva che prevalga sugli
altri, né emergono dei modelli analitici consistenti e che non siano stati mutuati dal
settore filmico e musicale.
Nel modello di analisi audiovisiva elaborato, Sergio Miceli individua il “metodo dei
livelli”, proponendo una prima distinzione tra “musica d’accompagnamento”, e
“musica di commento”.
Distingue funzioni drammaturgiche di base, funzioni drammaturgiche primarie e
funzioni circoscritte. Le funzioni drammaturgiche di base si riferiscono a fenomeni i
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cui meccanismi rappresentano le fondamenta di un drammaturgia filmico-musicale,
mentre le funzioni circoscritte indicano una caratteristica assimilabile alle funzioni
drammaturgiche primarie, anche se nella realtà si sovrappongono e si intrecciano
senza gerarchie precostituite.
Miceli parla di una funzione mimetica della musica, poiché essa non si pone come
un linguaggio compiuto e complesso, ma si dà in frammenti e come parte
inscindibile di uno stimolo psico-percettivo globale, quindi come funzione
rafforzativa diretta, poiché tende a eludere nello spettatore la soglia di
discriminazione tra percezione visiva e percezione uditiva secondo quello che si
potrebbe definire un processo di convergenze linguistico – semantiche.
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Questa tendenza alla sinestesia la ritroviamo nei film d’azione o nelle scene corali e
nel genere comico, ma viene esaltato al massimo nei film d’animazione nel
cosiddetto “mickeymousing”, in cui la musica segue passo passo ogni movimento
del personaggio. Tutto ciò rientra in quella che Miceli definisce musica
d’accompagnamento.
La definizione di accompagnamento, si riferisce a determinati interventi musicali
che sono privi di una propria autonomia discorsiva, si limitano a rafforzare un
evento filmico corrispondente, in modo da crearsi una sorta di equivalenza tra il
flusso musicale e il flusso delle immagini.
La musica può anche presentarsi come linguaggio compiuto, così che il film assume
una funzione rafforzativa indiretta, spesso anacronistica, oppure ridondante, in
questo caso si parla di musica di commento, perché la musica assume una volontà di
interpretazione molto profonda, e tende ad assumere tutte le modalità
dell’espressione musicale in cui viene messo in mostra l’artificio. Il commento si
pone come interprete dei significati dell’evento filmico, ed è il fenomeno più
utilizzato nella musica per film.
5
Sergio Miceli, musica e cinema nella cultura del Novecento, sansoni, 2000 , pag. 336