L.Baiamonte - Proprietà termomeccaniche di rivestimenti protettivi ottenuti per termospruzzatura
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Introduzione
La necessità di prestazioni elevate nelle applicazioni aerospaziali spinge la ricerca verso lo studio
e lo sviluppo di materiali che offrano proprietà di resistenza meccanica e termica sempre migliori.
Nell’ambito della progettazione di un motore aeronautico grande attenzione va riservata alla
turbina ed in particolare alla palettatura dei primi stadi, soggetta a forti sollecitazioni meccaniche
e termiche: ad essa infatti è destinato il compito di accogliere i gas caldi che escono dalla camera
di combustione, e di espanderli in modo da convertire l’energia termica in energia meccanica.
Inoltre il rendimento di un propulsore è direttamente legato alla temperatura dei gas combusti,
dunque da qui nasce la necessità di aumentare tale temperatura al fine di ottenere un
miglioramento dal punto di vista dell’efficienza del motore. Per questo motivo, è necessario
proteggere le palette di turbina mediante opportuni rivestimenti.
Stesso discorso si può estendere ai velivoli preposti al rientro in atmosfera, soggetti ad
elevatissimi stress termomeccanici a causa dei forti gradienti termici cui vanno incontro
nell'attraversamento dell'atmosfera.
A tale scopo, la soluzione adottata negli ultimi anni è stata quella di utilizzare un rivestimento
multistrato detto Thermal Barrier Coating (TBC), composto da una barriera termica - realizzata
prevalentemente in materiale ceramico – che provveda ad abbattere la temperatura del substrato;
e da uno strato intermedio, denominato bond coat, metallico, deputato all'accoppiamento tra la
suddetta barriera ed il substrato.
La presente sperimentazione, inserita nell'ambito di una ricerca basata su un approccio
multistrato dei sistemi di protezione termica per applicazioni aerospaziali, si prefigge l’obiettivo
di studiare le proprietà termomeccaniche ad alta temperatura del molibdeno termospruzzato in
previsione di un suo eventuale utilizzo in qualità di bond coat, ed il comportamento in
temperatura di una barriera termica, anch'essa termospruzzata, costituita da zirconia parzialmente
stabilizzata.
In particolare per il molibdeno, verranno elencate ed analizzate tutte le problematiche ad esso
associate, e verranno prese in esame tutte le eventuali soluzioni atte a risolvere tali problemi,
mentre per quanto riguarda la zirconia verranno messe a confronto le proprietà di campioni
microstrutturati e nanostrutturati.
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Il primo capitolo di questo studio tratterà i problemi associati all'apparato propulsivo per quanto
riguarda l'applicazione aeronautica, in particolare quelli riguardanti la turbina, e quelli invece
strettamente riguardanti i velivoli da rientro, nella prospettiva di realizzare veicoli riutilizzabili.
Nel secondo capitolo verrà illustrato lo stato dell'arte dei rivestimenti per le palettature di turbina
e per le navette spaziali, ed in particolare ci si soffermerà sulle barriere termiche TBC.
Il terzo capitolo offre una carrellata delle più importanti tecniche di realizzazione di tali
rivestimenti per termodeposizione, con una più attenta analisi della termospruzzatura al plasma.
Il quarto capitolo, infine, è dedicato alla sperimentazione condotta sul molibdeno e sui campioni
di zirconia parzialmente stabilizzata.
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1Capitolo 1
Problematiche dell'apparato propulsivo e dei velivoli da
rientro
1.1 Introduzione ai problemi di un motore aeronautico
Il progetto di un motore aeronautico implica il rispetto di requisiti che, spesso, entrano in
contrasto tra di loro: per esempio, il miglioramento delle prestazioni in termini di velocità e
temperatura interna raggiunta dai gas risulta necessariamente in un aumento del peso
complessivo, a discapito perciò del requisito sulla leggerezza; oppure, un aumento della
temperatura interna richiede l’impiego di materiali che la supportino adeguatamente, e che
rispondano contestualmente a determinate specifiche di resistenza meccanica.
La turbina rappresenta in questo senso la parte più critica di un motore aeronautico, in quanto
fortemente sollecitata sia da un punto di vista strutturale che da un punto di vista termico: oltre,
infatti, ad accogliere i gas ad alta temperatura in uscita dalla camera di combustione, la sua
rotazione fa sì che le estremità delle palette raggiungano velocità molto elevate, dovendo
pertanto tollerare delle condizioni operative piuttosto gravose.
Per questa ragione, nel corso degli anni la ricerca si è concentrata particolarmente sullo studio di
materiali che rispondano a certi requisiti di resistenza termica e meccanica alle alte temperature.
A tal proposito, in Figura 1.1 (1) è possibile notare l’andamento della temperatura di esercizio
della turbina in funzione dei materiali che, nel corso degli ultimi sessant’anni, sono stati
impiegati per la realizzazione delle stesse; in particolare le superleghe a base Ni monocristalline
hanno avuto grande sviluppo negli ultimi anni per la crescente richiesta di materiali in grado di
fornire ottime prestazioni meccaniche alle alte temperature. Queste leghe presentano ad alta
temperatura una resistenza meccanica molto elevata, se confrontata con quella delle
convenzionali superleghe policristalline, ed anche una più alta temperatura di fusione che
permette il raggiungimento teorico di temperature prossime ai 1300°C senza subire
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danneggiamento e con la capacità di sopportare carichi significativi se comparati a quelli a bassa
temperatura, a differenza dei migliori acciai che possono al massimo operare intorno ai 700°C,
pena un rapido decadimento delle proprietà meccaniche. (2)
L’elevata resistenza termomeccanica è dovuta principalmente all’assenza delle discontinuità
originate dai bordi di grano e dei siti di concentrazione di precipitati, che nelle superleghe
policristalline rappresentano le zone di innesco e di propagazione delle cricche.
I miglioramenti registrati sulle superleghe in base al loro processo di produzione viene spiegato
più in dettaglio in Figura 1.2 in funzione del tempo di vita di ciascuna tipologia di materiale,
avendo convenzionalmente associato alle leghe policristalline un valore pari a 1.
A valle di tali progressi, negli ultimi vent’anni si è riusciti ad incrementare la temperatura di
ingresso in turbina dei gas da 1000°C a 1600°C, con conseguente guadagno in termini di rapporto
spinta/peso e consumo specifico.
Figura 1.1: andamento della temperatura dei gas all’ingresso in turbina negli ultimi 60 anni
1.2
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Ricordando che il ciclo termodinamico che esprime il funzionamento di un turbogetto semplice è
il ciclo di Brayton-Joule, è possibile definirne il rendimento come segue:
(1.1)
L’equazione (1.1) altro non è che il rapporto tra il lavoro utile L
U
ottenuto dalla macchina ed il
calore fornito all’unità di massa di fluido Q
e
, ed fornisce un’indicazione sull’efficienza del ciclo.
Poiché ci si riferisce al ciclo reale, assumendo l’ipotesi di gas termicamente e caloricamente
stabile e di compressioni ed espansioni adiabatiche non reversibili, il lavoro utile si esprime come
(1.2)
in cui L
t
è il lavoro di espansione ceduto in turbina, L
c
è il lavoro di compressione assorbito dal
compressore e Q
e
è il calore fornito dal processo di combustione.
Poiché, viste le ipotesi adottate, valgono le relazioni:
( 1 . 3 )
allora, inserendo le (1.2) e (1.3) nell’espressione del rendimento (1.1), si ottiene:
1 (1.4)
si ottiene cioè una funzione crescente di T
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, il che significa che un miglioramento delle
prestazioni complessive del motore aeronautico deve necessariamente passare attraverso un
aumento della temperatura di combustione. (3)
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Ma la limitazione principale a qualsivoglia miglioramento di efficienza è proprio costituita dai
materiali con i quali le palette di turbina vengono realizzate: alle elevate temperature di
combustione, infatti, anche i materiali più resistenti alle alte temperature quali sono le superleghe
presentano un decadimento delle loro proprietà meccaniche. Diviene pertanto necessario
individuare un compromesso tra condizioni di funzionamento e materiali disponibili, per esempio
optando per una miscela povera (cioè in eccesso di ossidante), lontana dal rapporto
stechiometrico di miscela, in modo tale che la temperatura di combustione risulti più bassa
rispetto alla temperatura adiabatica di fiamma.
Gli studi nell’ambito dei turboreattori, con riferimento a quanto appena detto, puntano quindi a
rendere più elevata possibile la temperatura di esercizio dei primi stadi della turbina senza però
inficiarne le proprietà meccaniche; si mira perciò ad abbassare la temperatura delle palette
mediante opportuni metodi, quali:
• installazione di sistemi di raffreddamento integrati, nei quali il fluido refrigerante –
generalmente aria spillata dagli ultimi stadi del compressore – viene convogliato e
canalizzato all’interno di una serie di fori sia interni che eventualmente sulla superficie
dalla paletta; in quest’ultima configurazione si forma un film protettivo di fluido che
separa la superficie della paletta dai gas caldi (una schematizzazione di tale sistema è
illustrata in Figura 1.4).
Figura 1.4: Sistema di raffreddamento per paletta di turbina
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• realizzazione di rivestimenti per le palette di turbina, allo scopo di proteggerle, composti
da strati di materiale isolante (Figura 1.5) (4).
Figura 1.5: paletta di turbina rivestita con una barriera termica
Il sistema di raffreddamento integrato presenta il grande vantaggio di non comportare quasi alcun
aumento di peso, oltre quello di avere praticamente la stessa vita del componente; tuttavia, esso
influisce negativamente sul rendimento complessivo del motore, in quanto sottrae fluido al ciclo
per utilizzarlo a fini non propulsivi; inoltre, la realizzazione di questa tipologia di sistema
comporta maggiori complessità e costi di realizzazione delle palette.
Per quanto riguarda l’impiego dei rivestimenti protettivi, i vantaggi principali risiedono nei
relativamente ridotti costi di realizzazione, nella possibilità di sostituzione del solo rivestimento
senza dover intervenire sul materiale sottostante, e nel ruolo che tali sistemi ricoprono anche in
termini di protezione da ambienti aggressivi. Di contro, l’utilizzo delle barriere termiche implica
un aumento di peso e di forze centrifughe, oltre che un maggiore rischio connesso ad improvvisi
distacchi del rivestimento dalla paletta.
Va comunque precisato che l’adozione di uno e/o dell’altro metodo diviene necessario nel
momento in cui si vogliano progettare motori più performanti, vista l’attuale mancanza di leghe
innovative capaci di sopportare temperature sempre più elevate. Oltre a questo, non bisogna
dimenticare che tali accorgimenti, soprattutto per quel che riguarda i sistemi del secondo tipo,
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consentono anche di allungare la vita del componente in virtù del comportamento protettivo
relativo all’ambiente in cui le palettature della turbina si ritrovano: i prodotti della combustione,
infatti, per lo più costituiti da idrocarburi al 98% circa, contengono anche un 2% di composti di
zolfo, azoto, ossigeno e metalli (come vanadio, silicio, manganese, piombo, titanio, alluminio,
rame, zinco, ecc.), derivanti da idrocarburi non combusti e/o dal processo di produzione di questi
ultimi, tutti elementi questi che risultano essere molto aggressivi nei confronti del materiale
costituente la palettatura di turbina (5).
1.3 Problematiche nella progettazione dei velivoli spaziali
La progettazione dei velivoli spaziali rappresenta un aspetto estremamente complesso per via dei
carichi termici e meccanici, difficilmente riproducibili, che le strutture subiscono in fase di
rientro atmosferico, ed inoltre occorrono diverse campagne di prova prima di poter effettuare voli
sperimentali.
L’ossidazione ad alta temperatura e l’elevato flusso termico incidente sulle superfici dei velivoli
da rientro rappresentano i caratteri essenziali sui quali basare la progettazione di barriere
termiche; è quindi fondamentale studiare e sviluppare materiali che possano garantire un elevato
grado di schermatura termica, una buona resistenza chimica ad alta temperatura ed un sufficiente
livello di affidabilità meccanica. A tal fine lo sviluppo di materiali ceramici innovativi ha
permesso di rivestire le superfici soggette all’azione dei gas caldi e dell’ossigeno in forma
atomica.
Negli ultimi anni il progresso in campo aerospaziale, che mira a ridurre i costi di missione
adottando soluzioni aerodinamiche più efficienti, è stato vincolato e accompagnato dallo sviluppo
dei materiali destinati ai sistemi di protezione termica.
Una tipica configurazione aerodinamica è quella sharp (cioè aguzza) per quanto riguarda i bordi
di attacco delle ali e del nose. Tale configurazione costituirebbe una soluzione ideale in quanto
presenta vantaggi in termini di flessibilità e manovrabilità del mezzo; tuttavia, i materiali
impiegati sarebbero soggetti a forti sollecitazioni termiche rispetto ad una configurazione blunt
(tozza) a causa dell’estrema vicinanza del punto di ristagno alle superfici, dal momento che
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l’onda d’urto generata risulterebbe essere idealmente attaccata al bordo d’attacco, come mostra la
Figura 1.6.
Figura 1.6: Onda d'urto prodotta da un profilo sharp ed uno blunt
Ciò comporta elevati flussi termici concentrati in quei punti, e quindi elevate temperature.
La conseguenza è un compromesso che ha portato all’adozione di profili blunt, che comportano
una minore manovrabilità ed una maggiore spesa propulsiva a causa di una più elevata resistenza
aerodinamica e quindi di una minore efficienza aerodinamica rispetto alla configurazione aguzza.
Dunque la ricerca nel campo dei materiali assume un ruolo fondamentale relativamente alla
possibilità di dare vita ad una nuova generazione di velivoli riutilizzabili (RLVs,Reusable Launch
Vehicles ) più efficienti, manovrabili ed affidabili rispetto allo Space Shuttle e che necessitino di
minore manutenzione (dopo una missione dello Space Shuttle sono necessarie circa 40000 ore di
manutenzione).
La scelta dei materiali da destinare alla realizzazione di rivestimenti adatti per la protezione
termica in ambienti altamente ossidanti non è semplice, in quanto non esiste un materiale che
possieda in sè tutte le caratteristiche richieste per una buona protezione.
Il presente studio sperimentale si colloca in un progetto che prevede come modello TPS (Thermal
Protection System) un multistrato costituito dall’alternanza di materiali sia ceramici che metallici.