Parte I: Inquadramento del problema
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1.1 Cosa si intende per “consumo di suolo”
Vista la relativa “giovane età” del problema, la comunità di studiosi non è ancora giunta ad una
definizione univoca di cosa si intenda per “consumo di suolo”. Il Prof. Pilieri lo definisce in
questo modo:
“In generale il consumo di suolo può essere definito come quel processo antropogenico che prevede la progressiva
trasformazione di superfici naturali od agricole mediante la realizzazione di costruzioni ed infrastrutture, e dove si
presuppone che il ripristino dello stato ambientale preesistente sia molto difficile, se non impossibile, a causa della
natura del stravolgimento della matrice terra. Tale definizione si caratterizza in maniera negativa, poiché
negativamente è percepito il problema della sottrazione di superfici naturali od agricole considerata la finitezza della
superficie terrestre; e sarebbe dunque più corretto parlare di trasformazioni dei suoli. Con questa accezione infatti è
ipotizzabile per esempio che un suolo agricolo, possa diventare artificiale mediante la costruzione di edifici, oppure
tornare naturale se abbandonato a se stesso, etc”
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Si tratta dunque di una pratica insita nell´attività antropica, poiché da quando le comunità
umane hanno abbandonato la vita nomade, l’uomo ha costruito, trasformando, consumando il
suolo. Le parti più estremiste dell´ecologia sostengono, per esempio, che anche la
trasformazione del suolo da boschivo ad agricolo (deforestazione) rappresenti un fenomeno da
limitare: questo può essere considerato corretto, anche se si tratta di un problema “non
europeo”, in quanto la quasi totalità delle foreste europee è ormai scomparsa, ma è un
problema che riguarda molto più da vicino paesi tropicali in cui vi è l´importante presenza di
foresta pluviale, come il Brasile o il Borneo. Ad ogni modo il tema è divenuto importante
presso la comunità scientifica per quanto avvenuto negli ultimi 20-30 anni: l´aspetto
veramente importante è che il consumo di suolo non è un problema di per sé, ma lo diventa
nel momento in cui si consuma senza reale necessità. Appare opportuno specificare che oltre
che una questione quantitativa il consumo di suolo è anche una questione di distribuzione:
non solo si costruisce tanto ma anche al di fuori dei centri abitati, erodendo territorio agricolo
o naturale, che è fondamentale per garantire la produzione di cibo e per regolare il clima e il
ciclo dell’acqua.
1.2 Perché il consumo di suolo è considerato un problema?
In seguito ai profondi cambiamenti che i processi di industrializzazione hanno apportato alla
geomorfologia della terra nell’ultimo secolo, in Occidente si è affermato, nella comunità
scientifica prima e nella società civile poi, un forte interessamento ai temi dell’ecologia,
portato avanti a partire dagli anni ’70 dai movimenti ambientalisti, tanto che oggi non solo vi è
la più o meno stabile presenza di partiti politici di matrice ambientalista nei parlamenti della
maggior parte delle nazioni sviluppate – in Italia Verdi e Sinistra-Ecologia-Libertà attualmente
non sono rappresentati in parlamento ma, in particolare, i primi lo sono stati in passato - ma è
assolutamente normale e consuetudinario che i partiti e le coalizioni politiche dei governi
organizzino i propri programmi con numerosi riferimenti alla componente ambientale. Questo
ha fatto sì che l’Unione Europea, ad esempio, stanzi importanti incentivi a Stati e Regioni per la
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Fonte: Pileri P. Consumo di suol,o consumo di futuro, in Urbanistica, n. 138/2009
Parte I: Inquadramento del problema
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promozione e lo sviluppo di programmi e politiche per l’ambiente.
Fatta questa breve premessa, può essere utile affrontare il problema dalle sue origini.
L’industrializzazione
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e la sua espansione in molti paesi della Terra è stata forse il più grande
cambiamento della storia dell’Uomo. È un processo che si basa sullo sfruttamento intensivo
delle principali risorse messe a disposizione dalla natura: l’aria, l’acqua, la terra e il fuoco,
ovvero l’energia. Dopo secoli di sviluppo tecnologico e crescita economica di buona parte degli
Stati del mondo, terminata negli anni ‘70 la fase di industrializzazione, i paesi occidentali hanno
cominciato a prendere coscienza degli effetti negativi di questo modello di sviluppo, mentre gli
altri paesi, quelli del cosiddetto “Sud del Mondo”, hanno a loro volta assunto il modello
industriale come guida per il benessere, con risultati, tuttavia, quantomeno discutibili sotto
molti profili. Così, l’inizio del nuovo millennio si presenta come una nuova sfida per l’Umanità:
conciliare le crescenti esigenze di democrazia e benessere di tutti i popoli con le necessità di
sopravvivenza della Terra. La sociologia ha più volte tentato di trovare una risposta accademica
e teorica al quesito
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, la cui soluzione, qualunque essa sia, necessita di una ricezione della teoria
da parte di chi opera con tutto ciò che ha a che vedere con l’ambiente. La presa di coscienza
che il consumo di suolo sia un problema nasce quindi da un’idea: che le risorse non sono
infinite e che il suolo è una di esse. Bisogna sottolineare, tuttavia, che in questo periodo
storico, in Occidente sarebbe più corretto parlare di “spreco” di suolo, poiché se è vero che
fino a un certo momento l’espansione delle città occidentali rispondeva a determinate
esigenze della società, la soddisfazione dei principali bisogni, come casa e servizi, al giorno
d'oggi il consumo di suolo rappresenta un fenomeno speculativo, ingiustificato da necessità di
questo tipo, come si vedrà in seguito.
Dal punto di vista ecologico è importante cessare di consumare ingiustificatamente la risorsa
suolo poiché essa, come tutte le altre, oltre a essere unica e irriproducibile, ha forti relazioni
con la qualità dell’aria, dell’acqua, e con il consumo dell’energia. Facendo un esempio, un
centro abitato, oltre ad occupare suolo, interferisce con l’infiltrazione dell’acqua piovana nel
sottosuolo, bloccando in parte o in toto la ricarica delle falde acquifere; la popolazione che lo
abita consuma risorse energetiche, contribuendo all’utilizzo di combustibili fossili, come il
metano per il funzionamento delle caldaie, carbon fossile o petrolio o energia nucleare usati
per la produzione di energia elettrica che serve al funzionamento delle componenti
tecnologiche delle abitazioni e delle apparecchiature per l’illuminazione pubblica
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; la necessità
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Con il termine industrializzazione si intende quel processo di trasformazione di una comunità (società)
da un tipo di vita ad economia rurale ad un tipo di vita ad economia industriale.
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Si rimanda ai vari saggi sulla “Decrescita Felice” ad opera di Pallante e Latouche.
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Anche se la ricerca sulle tecnologie fotovoltaiche e solari termiche stanno tentando di sostituire
gradualmente l’uso di questi combustibili per usi civili, esse contribuiscono ancora in modo minoritario
alla produzione totale dell’energia elettrica; l’energia nucleare, invece, al di là dei possibili e ben noti
incidenti che possono verificarsi nelle centrali (Cernobyl, 1986; Fukushima, 2011), prevede lo
smaltimento delle scorie radioattive in apposite discariche poste a centinaia di metri nel sottosuolo, che
a loro volta potrebbero avere (e hanno) ripercussioni negative sull’intero ecosistema poiché la
radioattività dell’uranio o del plutonio si estingue in decine di migliaia di anni.
Parte I: Inquadramento del problema
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di mobilità degli abitanti viene soddisfatta con l’utilizzo di mezzi di trasporto (pubblici o privati
che siano) che ovviamente utilizzano altri combustibili fossili (derivati del petrolio o metano
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)
che liberano emissioni in atmosfera. L’aria dei territori urbanizzati è, per questi motivi, in parte
inquinata, provocando danni alla salute degli abitanti e, in linea generale, all’ecosistema;
inoltre l’acqua piovana porta nel suolo e nel sottosuolo gli inquinanti, creando ulteriori danni
ambientali. L’edificazione dei suoli liberi non solo prevede la cementificazione di un dato pezzo
di terra, ma prevede anche il consumo di altri terreni, cioè quelli atti all’estrazione dei materiali
per produrre il cemento, ovvero le cave, che rappresentano ulteriore consumo di suolo. Anche
la questione del dissesto idrogeologico è da tenere in considerazione, perché spesso, dovendo
costruire, si cementificano aree apparentemente a norma, ma che poi si rivelano
estremamente pericolose: i risultati sono sotto gli occhi di tutti e le vittime ogni anno sono
decine per questo motivo.
In particolare, come espresso nel documento anticipatore della Direttiva Suoli
[COM(2006)232] le funzioni plurime dei suoli sono le seguenti:
Il suolo è una risorsa strategica per un Paese e i suoi cittadini;
Il suolo è un bene comune;
Il suolo libero è un potenziale insostituibile per la produzione di cibo;
Il suolo è una risorsa ecologia ed ambientale multifunzionale: conserva carbonio,
regola i cicli idrologici, governa l’umidità, offre rifugio a molte specie animali, è habitat
per altre specie, sostiene la vegetazione e le sue funzioni (in primis la produzione di
ossigeno e la sottrazione di CO
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), etc.;
Il suolo libero è la condizione di possibilità per ogni paesaggio di qualità;
Il suolo libero garantisce l’indispensabile presenza di spazi aperti, cruciali per il
benessere urbano e la salute dei cittadini;
In questa sede si assume la posizione che il consumo di suolo in sé e per sé non sia un
problema, cioè non tutte le trasformazioni di suolo “libero” siano da osteggiare; tuttavia quelle
forme di consumo di suolo che non sono motivate da necessità della popolazione sono da
evitare. In ogni caso la via principale del futuro sviluppo delle città, indicata da illustri studiosi e
urbanisti, come Paolo Pileri e Federico Oliva, di cui tutto l’Istituto Nazionale di Urbanistica
(INU) si fa promotore, è il riuso dei suoli già compromessi.
1.3 Perché l’urbanistica deve occuparsi del problema?
L’introduzione appena fatta serve a comprendere che in tema di ambiente tutte le componenti
sono interrelate tra loro. Le discipline territoriali, occupandosi principalmente della
componente ambientale “terra”, affrontano anche le relazioni che esistono tra questa e le
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Anche in questo caso la ricerca scientifica sta compiendo passi da gigante nello sviluppo di sistemi che
ottimizzino il consumo dei carburanti e limitino le emissioni, e parallelamente sta cercando di trovare
tecnologie alternative, come il motore a idrogeno, elettrico, o ibrido, ma queste ultime sono ancora
lontani dall’immissione sul mercato.
Parte I: Inquadramento del problema
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altre e si occupano da anni del tema del consumo di suolo, mettendo in evidenza gli eccessi e
gli sprechi finora avvenuti. Oltre a essere un problema di carattere ambientale con effetti che
si percepiscono a scala globale (come l’effetto serra o il buco dell’ozono), l’antropizzazione del
territorio procura, se non governata in modo efficace, gravi danni anche al paesaggio, alla
qualità della vita delle persone, alla loro salute e agli ecosistemi delle altre specie viventi. È
quindi necessario che la pianificazione, o governo del territorio, guidi la società verso un
modello di sviluppo compatibile con le esigenze ambientali, a partire da quelle dei “coinquilini”
dell’uomo (le altre forme di vita appunto); e questo sia per una ragione di rispetto per la vita,
sia per un banale interesse egoista: in natura tutto e correlato, tutto è connesso, e l’Uomo,
anch’esso parte della Natura, trae vantaggi se anche ad animali e piante sono riservati
sufficienti spazi vitali, poiché componenti complementari all’uomo stesso. Per raggiungere
questo fine gli amministratori devono poter essere in grado di far prevalere gli interessi della
comunità civile (che comprendono, per effetto di quanto appena affermato, gli interessi
dell’ambiente) su quelli dei privati cittadini. Come già anticipato, oggi in Italia non è così, si
vedrà in seguito perché.
Fatte queste premesse ci si appresta a indagare il fenomeno del consumo o spreco di suolo in
Italia e comprenderne cause, conseguenze, nonché studiare uno o più modi per fermare il suo
incedere.
1.4 Le dimensioni del consumo di suolo in Italia
In Italia , come sottolineano le ricerche di Legambiente, il fenomeno ha dimensioni importanti:
come dimostra la tabella 1 il totale della superficie artificiale (che comprende urbanizzato e
infrastrutture) in Italia, pari a 21.490 km
2
, è quasi uguale alla superficie della sola regione
Lombardia, cioè il 7,1% della superficie nazionale. In rosso sono evidenziate le regioni che sono
sopra la media nazionale: lo sviluppato Nord, escluse le regioni montane e costiere,
rappresenta la porzione di territorio maggiormente “coperto” da superficie artificiale, e anche
al Centro-Sud le regioni di maggior rilevanza economica (Lazio, Campania e Sicilia) sono quelle
più antropizzate.
Parte I: Inquadramento del problema
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Tabella 1: superfici artificiali in Italia rapportate alla superficie totale e alla popolazione, Elaborazione propria su
dati forniti da: dossier di Legambiente “Un’altra casa”, 2010
Si è ritenuto importante anche analizzare il rapporto tra superficie artificiale e popolazione,
poiché è evidente che in presenza di una popolazione numerosa si debbano costruire strutture
e infrastrutture. In questa seconda parte dell’analisi si rileva che la quota a livello nazionale di
suolo antropizzato per persona ammonti a 355,8 m
2
: questo valore è superato al Nord (eccetto
Liguria e Lombardia, la quale, ospitando sul suo territorio quasi un sesto della popolazione
Regioni
% Superfici artificiali
Superfici artificiali in kmq
Superficie Totale (kmq)
Popolazione Totale (ab)
Superficie artificiale per
abitante (mq)
Valle d'Aosta 2,0 70 3.263 127.836 547,6
Piemonte 7,6 1900 25.402 4.450.359 426,9
Liguria 6,3 340 5.422 1.616.435 210,3
Lombardia 14,1 3400 23.863 9.844.943 345,4
Trentino - Alto Adige 2,8 390 13.607 1.030.816 378,3
Friuli - Venezia Giulia 9,4 740 7.858 1.234.441 599,5
Veneto 11,3 2100 18.399 4.917.395 427,1
Emilia - Romagna 9,1 2000 22.446 4.405.486 454,0
Toscana 5,6 1300 22.994 3.734.355 348,1
Umbria 4,1 350 8.456 902.792 387,7
Marche 5,5 540 9.366 1.560.785 346,0
Lazio 9,1 1500 17.236 5.695.048 263,4
Abruzzo 3,4 360 10.763 1.339.317 268,8
Molise 1,6 70 4.438 320.042 218,7
Campania 10,7 1450 13.590 5.824.625 248,9
Basilicata 2,1 210 9.995 588.593 356,8
Puglia 5,9 1100 19.358 4.090.210 268,9
Calabria 5,8 870 15.081 2.009.307 433,0
Sicilia 7,4 1900 25.711 5.043.723 376,7
Sardegna 3,7 900 24.090 1.672.607 538,1
ITALIA 7,1 21490 301338 60.402.499 355,8
Parte I: Inquadramento del problema
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nazionale, deve necessariamente “concentrarla” in grandi agglomerati urbani), e al centro-sud,
dove Umbria, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna superano la media nazionale: questo dato
può essere interpretato considerando che queste regioni, non avendo particolari dotazioni
produttive, sono fortemente turistiche e quindi il consumo di suolo in questi territori è dovuto
alla realizzazione di strutture ricettive, ovviamente vuote per la maggior parte dell’anno, e
infrastrutture per “far arrivare” i turisti o la popolazione con una seconda casa. Nel sud-Italia,
come sottolinea anche l’EEA Report n. 10/2006, sono soprattutto le zone costiere ad essere
fortemente compromesse.
Gli unici dati ufficiali disponibili su base nazionale sono quelli elaborati da APAT e poi da ISPRA
sulle coperture del suolo nell’ambito del progetto europeo Corine Land Cover (CLC). Da tali
dati risulta una superficie urbanizzata in Italia pari a 1 milione e 474 mila ettari, con un tasso di
crescita di 8.400 ettari all’anno e un valore procapite di 255 mq/abitante di superfici
urbanizzate. Questi dati hanno però il limite di essere sicuramente sottostimati, come dimostra
il confronto con i dati raccolti in modo più capillare e aggiornato da alcune Regioni (Lombardia
in primo luogo): il protocollo CLC infatti soffre di un basso livello di risoluzione spaziale a causa
delle dimensioni delle celle unitarie di misura, e questo determina la produzione di dati di
urbanizzazione molto inferiori alla realtà osservabile al suolo.
Grafino 1: Consumo di suolo in Italia per regione (fonte: dossier di Legambiente “Un’altra casa”, 2010