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Introduzione
Il seguente lavoro,si pone l’obiettivo di analizzare il fondamentale ruolo della
comunicazione nel processo di raccolta differenziata dei rifiuti. Alla
comunicazione spetta il compito di promuovere la raccolta differenziata, e di
informare gli utenti sulle norme a cui attenersi nel conferimento. La pratica della
raccolta differenziata richiede un forte impegno ai cittadini che devono
modificare in modo permanente le proprie abitudini e comportamenti, quindi la
comunicazione deve agire non solo sul sistema dei valori di ciascuno, ma deve
anche far riflettere sulle conseguenze dei comportamenti e far emergere
l’importanza del contributo dei singoli. L’azione del singolo individuo può
sembrare irrilevante ma se adottata da tutti i membri della comunità diventa
significativa, perciò il contributo di tutti è fondamentale. Per indirizzare i cittadini
in questa direzione la prima cosa da fare è far “conoscere” perchè solo con la
conoscenza l’individuo diventa consapevole delle sue azioni e l’essere
consapevoli porta ad essere responsabili delle proprie azioni. Il presente
elaborato si presenta in quattro capitoli. Nel primo capitolo descrivo, partendo
dalle sue origini, la Psicologia Ambientale, ossia quel filone di ricerche che
sviluppatosi a partire dagli Anni Settanta si è concentrato sugli aspetti fisici e
spaziali del comportamento umano. All’interno di questa disciplina vado ad
analizzare due elementi fondamentali per la comprensione dell’agire umano
rispetto alle questioni ambientali che sono:
gli atteggiamenti ecologici, ossia la predisposizione che gli individui
hanno a rispondere a certe classi di oggetti di atteggiamento per mezzo di certe
classi di risposte che si distinguono in affettive, comportamentali, cognitive.
i comportamenti ecologici ossia quelle azioni che contribuiscono alla
salvaguardia e alla conservazione dell’ambiente.
Termino il capitolo con la descrizione dei principali modelli teorici di riferimento.
Nel secondo capitolo analizzo il tema del marketing sociale, definito come la
strategia che attraverso l’utilizzo di tecniche di marketing influenza un gruppo
target ad accettare, modificare, cambiare un comportamento in maniera
volontaria per ottenere un vantaggio non solo per il singolo ma anche per la
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società nel suo complesso. In questo capitolo non potevo tralasciare due
importanti strumenti come le campagne di cambiamento sociale, che vengono
messe in atto da un soggetto che può essere pubblico o privato, che hanno
come finalità tematiche di interesse sociale condivise e non lucrative, e il piano
di marketing management che svolge un ruolo fondamentale in tutte le fasi della
campagna e serve allo staff per verificarne puntualmente lo svolgimento e lo
scostamento dagli obiettivi. Infine mi è sembrato opportuno concludere il
capitolo parlando del marketing ambientale: in campo ambientale il marketing
ha offerto il proprio contributo suggerendo politiche di produzione e di
commercializzazione, o alle organizzazioni senza scopo di lucro, suggerendo
efficaci azioni di sensibilizzazione ma anche una serie di campagne finalizzate
a modificare quei comportamenti individuali aventi impatto ambientale. Nel terzo
capitolo affronto il tema principale della tesi ossia la comunicazione Pubblica in
campo ambientale. La comunicazione pubblica, nasce negli anni Novanta, è
allo stesso tempo strategia, risorsa e servizio. Strategia, per costruire relazioni
migliori con i cittadini e i dipendenti, risorsa, per trasferire al proprio interno più
informazioni e più conoscenze della comunità e del territorio, servizio, per
soddisfare i cittadini nel loro rapporto con gli uffici e i servizi pubblici. La P.A.
non comunica con i cittadini per persuaderli, ma per farli partecipare alle
decisioni assunte e alle opportunità offerte. Per una P.A. efficace, diventa quindi
condizione necessaria dialogare con i destinatari della sua attività. Nel secondo
paragrafo parlo della comunicazione Ambientale, partendo da una sua
definizione e arrivando ad analizzare e descrivere nell’ultimo paragrafo le
caratteristiche necessarie per una comunicazione Ambientale efficace. Infine
nell’ultimo capitolo presento un caso concreto di comunicazione Pubblica in
campo ambientale: analizzo la strategia comunicazionale e presento la
campagna pubblicitaria del Comune di Quartu Sant’Elena nel servizio di
raccolta differenziata dei rifiuti.
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Capitolo primo
La Psicologia Ambientale e sostenibilità sociale
1.1. La Psicologia Ambientale
L’interazione tra l’uomo e l’ambiente è oggetto abbastanza recente di ricerca.
Infatti, fino agli inizi degli anni Settanta possiamo riscontrare una quasi totale
assenza di studi in questo settore. Quindi, è a partire dagli inizi di quegli anni,
che la Psicologia Classica, sotto l’influenza degli studi, provenienti da discipline
limitrofe come l’Etologia, l’Antropologia e la Sociologia inizia ad interessarsi a
quelli che sono gli aspetti fisico spaziali del comportamento umano. Proprio da
questo fiorire di nuove esperienze che mostrano un particolare interesse
all’ambito specifico del “comportamento spaziale”, che nasce, quel settore di
studi, definito col termine di Psicologia Ambientale. La Psicologia Ambientale è,
secondo una definizione generalmente accettata, “la disciplina che studia gli
aspetti cognitivi e affettivi dei comportamenti umani in relazione all'ambiente
inteso nelle sue caratteristiche spaziali, naturalistiche, climatiche, sociali”
(Baroni, 1998). Nata negli USA verso la fine degli anni Cinquanta, si sviluppa
decisamente come estensione di un settore autonomo della Psicologia
Classica, assumendo solo nel corso degli anni Settanta la definizione specifica
di Environmental Psychology, tradotto in italiano con l’espressione “Psicologia
dell’ambiente” (Francescato, 1974; Bonnes, 1977, 1978; Bagnara, Misiti, 1978;
Secchiaroli, 1979). Il campo di pertinenza di questo nuovo settore è quello delle
caratteristiche fisiche dell’ambiente (cfr. Proshansky et al, 1970),
successivamente in senso più ampio si pone come “interfaccia tra
comportamento umano e ambiente socio-fisico” (Stokols e Altman, 1987). Gli
USA costituiscono il principale riferimento di questa recente disciplina, anche se
non manca una fioritura di studi in materia, anche nel contesto europeo. Una
delle principali tappe è rappresentata dal costituirsi del gruppo di ricerca
coordinato da William Ittelson e Harold Proshansky (New York, 1958) per lo
studio sulla possibile correlazione tra la disposizione spaziale/architettonico
dell’ospedale psichiatrico e il comportamento dei pazienti. Il passaggio poi dallo
studio della disposizione spaziale dell’ospedale psichiatrico allo studio dei
rapporti tra comportamento e assetto fisico ambientale in genere, è breve: anzi,
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quasi immediato. Nel 1968, con la costituzione dell’Environmental Design
Association Research e l’istituzione dei suoi convegni annuali, unitamente alla
fondazione delle due prime e più importanti riviste americane del settore
(Environment and Behavior e Non Verbal Behavior and Environmental
Psychology), la Psicologia Ambientale entra nel contesto scientifico
internazionale come campo di studio specifico. Va peraltro sottolineato come,
ben prima della nascita vera e propria della Psicologia Ambientale, l’evoluzione
della definizione del campo di pertinenza di questa nuova disciplina, sia
debitrice alla pluralità di interessi maturati al di fuori del campo psicologico
all’interno di ambiti disciplinari inizialmente abbastanza lontani dall’oggetto
psicologico tradizionale, soprattutto della Architettura e Progettazione
Ambientale, della Geografia Comportamentale o della Percezione e delle
Scienze Bio-ecologiche, ambiti che oggi possono essere considerati i principali
attori che hanno favorito l’emergere di questo nuovo settore psicologico. I
caratteri di novità e di interdisciplinarietà che contraddistinguono la nuova
disciplina rendono difficile individuare in maniera precisa e immediata il campo
di pertinenza della psicologia ambientale. Se partiamo dalla definizione di
Psicologia Ambientale data da Ittelson e collaboratori (1974) come “tentativo di
stabilire una relazione empirica e teorica tra comportamento ed esperienza
dell’individuo e il suo ambiente costruito”, possiamo affermare che inizialmente
l’attenzione da essa data ai problemi fisico-spaziali porta a definire e identificare
il suo ambito nelle caratteristiche del campo fisico, visto nella distinzione tra
ambiente fisico costruito e ambiente fisico naturale. I successivi tentativi di
definizione sistematica (Stokols, 1978 e Holahan, 1986), cercano soprattutto di
affermare, da un lato, il carattere di continuo scambio e reciprocità che
caratterizza il rapporto individuo/ambiente e dall’altro il ruolo attivo e
intenzionale (cioè orientato e di conseguenza pianificato) dell’individuo nei
confronti dell’ambiente. Il risultato è che viene così delimitato in senso
maggiormente interdisciplinare il campo della Psicologia Ambientale, favorendo
il convergere di studi provenienti da molteplici ambiti disciplinari: sociologico,
antropologico, economico, geografico ecc.. Ma l’ulteriore passaggio al concetto
di “ambiente socio-fisico” presente nella definizione di Stokols, 1978: “La
Psicologia Ambientale riguarda l’interfaccia tra comportamento umano e
ambiente socio-fisico” avviene, grazie all’introduzione nell’ Handbook di Stokols
e Altman del 1987 secondo cui “la Psicologia Ambientale, è lo studio del
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comportamento e benessere umano in relazione all’ambiente socio-fisico” di
una ulteriore dimensione di interesse per questa disciplina: il “benessere
umano”. Ciò sta ad indicare che il nuovo tema disciplinare si estende dal
semplice intento di studio/ricerca a quello sia di coinvolgimento sul versante del
cambiamento/ intervento socio-ambientale, sia di una possibile ed effettiva
implicazione pratico-operativa anche sul versante dell’organizzazione/gestione
ambientale. L’evoluzione della Psicologia Ambientale, vista a partire dalla
ricerca conoscitiva fino alla programmazione/attuazione di interventi di
cambiamento psicologico-ambientale, apre così a questa disciplina una visione
dell’ambiente non più come qualcosa di statico, bensì come un’unità costituita
da processi in continuo divenire: una prospettiva dinamica che fa della
Psicologia Ambientale “l’ambito che si interessa ai rapporti tra processi
psicologici e processi dell’ambiente socio-fisico” (Bonnes, Secchiaroli, 1992).
1.2. I comportamenti ecologici
In letteratura si fa riferimento ai comportamenti ecologici utilizzando diverse
definizioni in base alle diverse prospettive con cui essi sono stati indagati.
Secondo Axelrod e Lehman, 1993: “i comportamenti pro-ambientali sono quelle
azioni che contribuiscono alla salvaguardia e/o alla conservazione
dell’ambiente”. Stern definisce il comportamento ecologico secondo 2
prospettive: quella delle conseguenze (“impatto”) e quella “dell’intento” con il
quale una persona lo mette in atto. La prospettiva dell’impatto ambientale, tiene
conto di quelle che sono le conseguenze ambientali delle azioni umane, da
questo punto di vista un comportamento ecologico può corrispondere a quel
“comportamento che cambia la disponibilità di materie o energia dell’ambiente o
altera la struttura e le dinamiche degli ecosistemi ovvero della stessa biosfera”
(Stern, 2000). Un comportamento ambientale può dunque avere un impatto
ambientale sia diretto (che può quindi causare direttamente un cambiamento
all’ambiente) che indiretto (che può influenzare il contesto nel quale vengono
operate le scelte che a loro volta causano il cambiamento ambientale). Una
definizione orientata all’impatto consente di mettere in evidenza le buone e le
cattive pratiche ecologiche delle persone. Nella prospettiva dell’intenzione, il
comportamento umano è studiato dal punto di vista di colui che mette in atto il
comportamento, “dell’attore”. In questa prospettiva il comportamento ecologico