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AUTOBIOGRAFIA DELLA CONTESSA
SOF’JA ANDREEVNA TOLSTAJA.
I
Sono nata il 22 agosto 1844, nella casa di campagna di Glebov-Strešnev, nel
villaggio Pokrovskoe, dove ho trascorso ogni estate fino al tempo del mio
matrimonio. D’inverno la nostra famiglia viveva a Mosca, al Cremlino, in un edificio
presso la Porta della Trinità, in un appartamento di proprietà dello Stato perché mio
padre era medico di corte. Inoltre era anche il principale medico del senato e
dell’Ufficio di ordinanza.
Mio padre era luterano, mia madre invece era ortodossa. Le indagini di mia sorella,
T. A. Kuzminskaja
1
, e di mio cugino, A. A. Bers
2
, mostrano, riguardo alle origini di
mio padre, che fu suo nonno ad emigrare dalla Germania in Russia. Durante il
regno dell’imperatrice Elisabetta Petrovna furono arruolati in Russia dei reggimenti
per i quali si richiesero nuovi istruttori. Su richiesta dell’imperatrice, il re di Prussia
mandò a San Pietroburgo quattro ufficiali delle Guardie a Cavallo; tra loro c’era il
Capitano Ivan Bers, il quale, dopo aver servito per diversi anni in Russia, fu ucciso
nella battaglia di Zorndorf
3
. Lasciò una vedova e un figlio, Evstafij. Tutto ciò che si
sa di lei è che si chiamava Marija e che era una baronessa; morì giovane, lasciando
una considerevole fortuna a suo figlio Evstafij.
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Evstafij Ivanovi č visse a Mosca e sposò Elisabetta Ivanovna Wulfert
4
, appartenente
ad un’antica e aristocratica famiglia della Vestfalia. Ebbero due figli, Aleksandr e
Andrej, mio padre. Entrambi studiarono all’università di Mosca e divennero medici.
Nel 1812 tutta la proprietà di Evstafij Ivanovi č venne distrutta da un incendio,
compresi la sua casa, i documenti; e sparì anche il sigillo con lo stemma, che
rappresentava un’alveare le cui api stanno attaccando un orso, dal quale deriva il
nome della nostra famiglia, Bers (Bär in tedesco significa orso). Il diritto allo stemma
non fu restituito a mio nonno, sebbene i discendenti ne avessero fatta richiesta; fu
dato solo il permesso di usare sullo stemma un alveare con le api
5
.
Dopo la guerra del 1812 il governo aiutò Evstafij Ivanovi č con una piccola
assegnazione in denaro e mia nonna Elizaveta Ivanovna, quando rimase vedova,
riuscì con difficoltà ad educare i figli. Dopo aver concluso i loro studi universitari alla
facoltà di medicina, i fratelli Bers cominciarono a guadagnarsi da vivere. Il maggiore,
Aleksandr
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, si stabilì a Pietroburgo, il più giovane visse con la madre a Mosca.
All’età di trentaquattro anni Andrej sposò Ljubov’ Aleksandrovna Islavina
7
, la quale
aveva sedici anni ed era figlia di Aleksandr Michajlovi č Islen’ev e della principessa
Sof’ja Petrovna Kozlovskaja, per nascita contessa Zavadovskaja.
La discendenza di mia madre era la seguente: il conte Petr Vasil’evi č Zavadovskij,
il nonno di mia mamma, era un noto statista e favorito dell’imperatrice Caterina II.
Sotto Alessandro I divenne ministro dell’istruzione, il primo in Russia. Era sposato
alla contessa Vera Nikolaevna Apraksinaja, la quale era una dama di corte, una
nobildonna di diritto e di una straordinaria bellezza. Ebbero alcune figlie e due figli,
che morirono senza prole. La loro figlia maggiore, la contessa Sof’ja Petrovna
Zavadovskaja, all’età di sedici anni fu data in sposa, contro il suo volere, al principe
Kozlovskij; ebbe un figlio da lui, ma dopo una vita coniugale breve e infelice lo lasciò
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ed ebbe una relazione amorosa con Aleksandr Michajlovi č Islen’ev, col quale visse
per il resto della sua vita. Ella morì di parto, ma in precedenza gli aveva dato tre figli
e tre figlie delle quali la più giovane, Ljubov’ Aleksandrovna, era mia madre.
Sof’ja Petrovna visse stabilmente nella tenuta di mio nonno, nel villaggio di
Krasnoe,
8
e là fu sepolta vicino alla chiesa. Si diceva che ella avesse persuaso un
prete a sposarla a mio nonno
9
. Era solita dire: “Voglio essere la moglie di Aleksandr
Michajlovi č almeno davanti a Dio, se non agli occhi della gente.”
Mio nonno, Aleksandr Michajlovi č Islenev
10
, di un’antica famiglia aristocratica,
prese parte alla battaglia di Borodino, dopo la quale gli fu dato un incarico nelle
guardie del reggimento Preobraženskij. In seguito fu aiutante di campo del conte
Černyšev. Il cognome “Islen’ev” non venne dato da Sof’ja Petrovna ai suoi figli; il
matrimonio non fu considerato legale e i discendenti ora portano il nome “Islavin.”
Molti di loro divennero persone d’alto rango
11
.
II
Mio padre e mia madre ebbero una famiglia molto numerosa
12
ed io ero la loro
seconda figlia. Mio padre aveva, oltre ai suoi lavori governativi, un’attività medica
molto ampia e spesso lavorava troppo. Cercò di darci la migliore educazione e ci
circondò di tutte le comodità e gli agi della vita. Mia madre cercò di fare lo stesso,
ma ci impresse anche l’idea che, siccome non eravamo ricchi e la famiglia era
grande, dovevamo prepararci per guadagnarci la vita. Oltre a imparare le nostre
lezioni dovevamo insegnare ai nostri fratelli più piccoli, cucire, ricamare e sbrigare le
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faccende domestiche e, più tardi, prepararci per l’esame per il diploma di istitutrice
privata. Le nostre prime istitutrici furono tedesche; il francese ci venne insegnato
prima da mia madre, poi dalle istitutrici e più tardi dal lettore francese dell’università.
Le scienze e la lingua russa ci furono insegnate da studenti universitari. Uno di essi
provò a modo suo a sviluppare e infondere in me il materialismo estremo; mi
portava da leggere Büchner e Feuerbach, mi suggeriva l’idea che non ci fosse alcun
Dio e che la religione fosse una superstizione obsoleta. Dapprima fui affascinata
dalla semplicità della spiegazione atomistica e dalla riduzione di tutto nel mondo alla
correlazione di atomi, ma presto sentii la mancanza della normale fede e della
chiesa ortodossa e abbandonai il materialismo per sempre.
Fino al momento dell’esame noi figlie fummo educate a casa. All’età di sedici anni
diedi l’esame all’università di Mosca per diventare istitutrice privata, portando russo
e francese come materie principali. Gli esaminatori erano i ben noti professori
Tichonravov, Ilovajskij, Davidov, padre Sergievskij, e il francese M. Paquaut
13
. Fu un
periodo interessante. Mi preparavo all’esame con un’amica, la figlia di un ispettore
dell’università, e perciò frequentavamo spesso i circoli universitari, in mezzo a
professori e studenti, tutte persone colte e intelligenti. Era l’inizio degli anni
Sessanta, un periodo di grande fermento intellettuale. L’abolizione della servitù della
gleba era appena stata annunciata; tutti ne discutevano, e noi giovani eravamo
entusiasti del grande evento. Avevamo l’abitudine di incontrarci, discutere e
divertirci.
In quel periodo apparve per la prima volta, nella letteratura e nella società, un
nuovo tipo umano e un nuovo impulso tra i giovani: il nichilismo. Mi ricordo che a
una numerosa assemblea, dove erano presenti professori e studenti, venne letto
Padri e Figli di Turgenev
14
; noi trovammo qualcosa di particolare nel modello di
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Bazarov, e in generale c’era qualcosa di nuovo, che ci piaceva molto e che
conteneva una promessa per il futuro.
Studiavo piuttosto male, concentrandomi sempre esclusivamente sulla materia che
mi piaceva. Così, ad esempio, mi piaceva molto la letteratura; essendo
appassionata di letteratura russa, leggevo moltissimi libri di questo genere,
procurandomi i volumi più vecchi e i manoscritti dalla biblioteca dell’università,
cominciando con le cronache e finendo con gli scrittori più recenti. Ero affascinata e
sorpresa che la lingua russa, dal debole inizio degli scritti monastici fosse riuscita a
svilupparsi nella lingua di Puškin. Era come la crescita di una creatura vivente.
Nella mia adolescenza, mi colpirono maggiormente Infanzia
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di Tolstoj e David
Copperfield di Dickens. Ho trascritto e persino imparato a memoria passaggi di
Infanzia che mi erano particolarmente piaciuti, ad esempio: “Si riavrà mai la
freschezza, la spensieratezza, il desiderio d’amore e la forza della fede che si
possiede nell’infanzia?…” Quando finii di leggere David Copperfield, piansi come se
mi stessi separando da delle persone care. Non mi piaceva studiare storia dai libri di
testo; della matematica ho studiato volentieri l’algebra che, per la totale mancanza
di predisposizione alla materia, presto dimenticai.
Gli esami universitari si conclusero con successo; sia in russo che in francese mi
diedero “ottimo” e ottenni un diploma del quale ero molto fiera. In seguito, ricordo,
fui contenta di sentire il professor Tichonravov lodare il mio saggio sulla “Musica” a
mio marito; egli aggiunse: “E’ proprio la moglie di cui hai bisogno. Ha un grande
intuito per la letteratura; agli esami il suo componimento è stato il migliore
dell’anno”.
Poco dopo gli esami mi misi a scrivere una novella, prendendo come eroine me
stessa e mia sorella Tanja e chiamandola Nataša
16
. Anche Lev Tolstoj chiamò la
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sua eroina Nataša
17
in Guerra e Pace. Egli lesse il mio racconto un po’ di tempo
prima del nostro matrimonio e al riguardo scrisse nel suo diario: “Quale forza di
verità e semplicità
18
.” Prima del mio matrimonio bruciai il racconto e anche i miei
diari, che annotavo dall’età di undici anni, e altre composizioni giovanili che avevo
iniziato, ma me ne rammarico molto.
Imparai poco di musica e disegno; non avevo abbastanza tempo, anche se nel
corso della mia vita ho amato tutte le arti e sono tornata ad esse più di una volta,
approfittando del poco tempo libero che rimaneva da una vita che fu sempre
affaccendata e di duro lavoro, sia da nubile sia, soprattutto, da sposata.
III
Il conte Lev Nikolaevi č
19
conosceva mia madre dai tempi dell’infanzia ed era un
suo amico sebbene egli fosse due anni e mezzo più giovane. Ogni tanto, quando
era di passaggio a Mosca, veniva a trovare la nostra famiglia. Suo padre, il conte
Nikolaj Il’i č Tolstoj, era molto amico di mio nonno, Aleksandr Michajlovič Islen’ev, ed
erano soliti farsi visita reciprocamente al villaggio di Krasnoe e alla tenuta di Jasnaja
Poljana. Nell’agosto 1862 mia mamma accompagnò noi ragazze dal nonno, al
villaggio di Ivicy, nel distretto di Odoevskij, e strada facendo ci fermammo a Jasnaja
Poljana, dove mia madre non era più stata da quando era una bambina e dove
soggiornava a quel tempo Marija Nikolaevna Tolstaja
20
, la più grande amica di mia
madre, che era tornata da Algeri
21
.
38
Nel nostro viaggio di ritorno anche Lev Nikolaevi č venne a Mosca con noi e quasi
tutti i giorni veniva a trovarci nella nostra casa di campagna a Pokrovskoe e, in
seguito, a Mosca
22
. La sera del 16 settembre mi consegnò una lettera con la
proposta di matrimonio
23
. Fino a quel momento nessuno conosceva lo scopo delle
sue visite
24
. Una tormentosa lotta si agitava nel suo animo. Nel diario di quel periodo
scrisse, ad esempio:
12 settembre 1862, “Sono innamorato come non credevo che ci si potesse
innamorare. Sono pazzo; mi sparerò se continua così. Alla sera sono stato da loro;
lei è incantevole in tutti i sensi…”
25
13 settembre 1862, “Domani andrò appena alzato e dirò tutto o mi sparo…”
26
Io accettai la proposta di Lev Nikolaevi č e il nostro fidanzamento durò solo una
settimana. Il 23 settembre ci sposammo
27
nella chiesa reale della Natività di Nostra
Signora e subito partimmo per Jasnaja Poljana
28
in una carrozza nuova tirata da sei
cavalli e un postiglione. Aleksej Stepanovi č
29
, servo devoto di Lev Nikolaevič e
l’anziana domestica Varvara, ci accompagnarono
∗
.
Quando partimmo per Jasnaja Poljana, decidemmo di vivere stabilmente là con la
zia Tat’jana Aleksandrovna Ergol’skaja
30
. Fin dai primi giorni aiutai mio marito nella
gestione della proprietà e nella trascrizione delle sue opere
31
.
Trascorso il primo periodo della nostra vita coniugale, Lev Nikolaevi č si rese conto
che oltre a questo aveva bisogno di attività e lavoro. Nel suo diario scrive, nel
dicembre 1862: “Sento la forza dell’esigenza di scrivere.” Quella forza era una
grande forza, che creava un grande lavoro il quale ha illuminato di felicità e gioia i
primi anni del nostro matrimonio.
∗
Il matrimonio di Tolstoj, v. il periodico «La parola russa» del 23 settembre 1912. (Nota di S. A. T.)
39
Poco dopo le nostre nozze Lev Nikolaevi č finì Polikuška
32
, completò
definitivamente I Cosacchi
33
e li diede al «Messaggero russo» di Katkov
34
. Poi si
mise a lavorare ai Decabristi, il cui destino e attività lo interessarono moltissimo.
Dopo aver cominciato a scrivere di quel periodo, considerò necessario narrare chi
erano stati, descrivere le loro origini e la vita precedente e in tal modo retrocedette
dal 1825 al 1805. Egli rimase deluso dai Decabristi ma 1805 servì come inizio per
Guerra e Pace e fu pubblicato nel «Messaggero russo». Quest’opera, che a Lev
Nikolaevič non piaceva fosse chiamata romanzo, egli la scrisse con vigore,
assiduamente e riempì la nostra vita di un profondo interesse
35
.
Nel 1864 una gran parte di essa era già scritta e Lev Nikolaevi č spesso leggeva ad
alta voce a me e alle nostre due nipoti, Var’ja e Liza, le figlie di Marija Nikolaevna
Tolstaja
36
, gli incantevoli brani non appena li aveva scritti. Nello stesso anno egli
lesse alcuni capitoli agli amici e a due letterati, Žem čužnikov e Aksakov
37
, a Mosca,
e ne furono estasiati. In genere Lev Nikolaevi č leggeva straordinariamente bene, a
meno che egli non fosse molto agitato, e ricordo com’era piacevole a Jasnaja
Poljana sentirlo leggere le commedie di Molière, quando non aveva niente di nuovo
su Guerra e Pace.
Durante i primi anni a Jasnaja Poljana noi conducevamo una vita molto ritirata.
Non potrei scrivere niente di interessante di quel periodo nella vita delle persone,
della società o dello stato perché tutto ci sfiorava appena; vivevamo tutto il tempo in
campagna, non seguivamo nulla, non vedevamo nulla, non sapevamo nulla – non ci
interessava. Non avevo nessun’altra esigenza, vivevo con i personaggi di Guerra e
Pace, li amavo e guardavo la vita di ognuno di loro svilupparsi come se fossero
creature viventi. Era una vita piena e straordinariamente felice, con il nostro amore
40
reciproco, i bambini e, soprattutto, quel grande lavoro, amato da me e più tardi dal
mondo intero, il lavoro di mio marito – non avevo altri desideri.
Solo a volte, di sera, quando avevamo messo a letto i bambini e spedito i
manoscritti a Mosca o corretto le bozze di stampa, per svago, ci sedevamo al piano
e suonavamo a quattro mani fino a notte fonda. Lev Nikolaevi č era particolarmente
appassionato alle sinfonie di Haydn e Mozart. A quel tempo io suonavo piuttosto
male ma ho provato e riprovato molto a migliorare. Anche Lev Nikolaevi č, era
evidente, era soddisfatto del suo destino. Nel 1894 in una lettera a mio fratello egli
scrisse: “E’ come se la nostra luna di miele fosse appena cominciata.” E ancora:
“Penso che solo una persona su un milione sia felice quanto lo sono io.” Quando la
sua parente, la contessa Aleksandra Andreevna Tolstaja, si lamentò che egli le
scriveva poco e di rado, egli rispose: “I popoli felici non fanno la storia, e così è
anche per noi.”
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Ogni nuova idea o il portare a termine con successo alcune
creazioni del suo genio lo rendevano felice. Così, ad esempio, scrive nel diario il 19
marzo 1865: “Ora, come una nuvola di gioia mi ha avvolto l’idea di scrivere la storia
psicologica di Alessandro e di Napoleone.”
39
E’ perché sentiva la bellezza delle proprie creazioni che Lev Nikolaevi č scrisse: “Il
poeta prende il meglio dalla sua vita e lo trasferisce nella sua opera. Per questo la
sua opera è bella e la sua vita brutta.”
40
Ma la sua vita in quel periodo non era
affatto brutta; era buona e pura come il suo lavoro.
Quanto amavo ricopiare Guerra e Pace! Scrivevo nel mio diario: “La coscienza di
servire un genio e un grand’uomo mi ha dato la forza per affrontare tutto” In una
lettera a Lev Nikolaevi č ho scritto anche: “Ricopiare Guerra e Pace mi innalza molto
dal punto di vista morale, cioè spiritualmente. Quando mi siedo per copiarlo, sono
trasportata in un mondo di poesia e talvolta mi sembra perfino che non sia il tuo
41
romanzo ad essere così bello, ma io così intelligente.”
41
Nel mio diario ho anche
annotato: “Levo čka ha scritto tutto l’inverno con agitazione, spesso con lacrime e
inquietudine. Secondo me, il suo romanzo, Guerra e Pace, non può che essere
eccellente. Ogni cosa che mi ha letto mi commuove fino alle lacrime.” Nel 1865,
quando mio marito era a Mosca per consultare del materiale storico, gli scrissi:
“Oggi ho copiato e letto un po’ più avanti, quello che non avevo ancora visto e letto,
e precisamente come il misero, vecchio Mack, legato, arrivi egli stesso a
riconoscere la propria sconfitta e attorno a lui ci sono gli aiutanti di campo curiosi,
mentre lui è quasi in lacrime, e poi, il suo incontro con Kutuzov. Mi è piaciuto
immensamente e ti sto scrivendo per dirtelo.”
Nel novembre 1866 Lev Nikolaevi č frequentava spesso il museo Rumjancev
42
e si
documentava su tutto ciò che riguardava i Massoni. Prima di lasciare Jasnaja
Poljana mi consegnava sempre qualcosa da ricopiare. Quando finivo inviavo il
lavoro a Mosca e scrivevo a mio marito: “Cos’hai deciso per il romanzo? Me ne
sono molto innamorata. Quando invio la bella copia a Mosca è come se inviassi un
bambino e temo che gli facciano del male.”
Spesso, ricopiando, ero perplessa e non riuscivo a capire perché Lev Nikolaevi č
correggesse o distruggesse ciò che sembrava così bello, e mi rallegravo quando
veniva ripristinato ciò che era stato cancellato. Succedeva anche che le bozze di
stampa spedite in modo definitivo ritornassero di nuovo a Lev Nikolaevi č, su sua
richiesta, per essere ricorrette e ricopiate. Oppure egli spediva un telegramma per
sostituire una parola con un’altra. Tutta la mia anima era così immersa nel lavoro di
copiatura che io stessa cominciai a sentire quando il testo non era del tutto
appropriato, ossia quando c’erano troppe ripetizioni della stessa parola, periodi
lunghi, una punteggiatura errata, punti oscuri ecc. Io ero solita far notare tutte
42
queste cose a Lev Nikolaevi č. Qualche volta era felice delle mie osservazioni ma
qualche altra mi spiegava perché doveva restare com’era, egli diceva che non erano
importanti i dettagli, solo lo schema generale aveva importanza.
La prima cosa che copiai nella mia brutta ma leggibile grafia fu Polikuška e in
seguito, per anni, quell’opera continuò ad affascinarmi molto. Mi accadeva di
aspettare con impazienza la sera, quando Lev Nikolaevi č mi avrebbe portato
qualche nuovo scritto o nuove correzioni. Alcuni passaggi di Guerra e Pace, e
anche di altre sue opere, dovettero essere copiati più e più volte, altri invece, come
la descrizione della battuta di caccia dallo zio in Guerra e Pace, riuscivano subito.
Ricordo che una volta Lev Nikolaevi č mi chiamò giù nel suo studio e mi lesse questo
capitolo che aveva appena finito di scrivere, noi ridevamo ed eravamo felici insieme.
Nel ricopiare talvolta mi permettevo di fare delle osservazioni e di chiedergli di
eliminare ciò che non consideravo sufficientemente puro da essere letto dai giovani,
come, ad esempio, le scene di cinismo della bella Elena, e Lev Nikolaevi č
acconsentiva alle mie richieste. Ma spesso nella mia vita, mentre copiavo i poetici e
incantevoli passaggi delle opere di mio marito, ho pianto, non solo perché mi
emozionavano, ma semplicemente per il piacere della creazione artistica che io
sentivo insieme all’autore.
Mi rattristavo molto quando Lev Nikolaevi č improvvisamente si deprimeva ed era
deluso delle sue opere e mi scriveva che non gli piaceva il suo romanzo ed era
avvilito. Questo avvenne in modo particolarmente accentuato nel 1864 quando si
ruppe un braccio e io gli scrissi a Mosca
43
: “Perché vedi ovunque motivi per
demoralizzarti? In qualunque luogo ti senti triste e non va bene niente. Perché ti
scoraggi e ti perdi d’animo? Possibile che non trovi le forze per risollevarti? Ricorda
quanto eri contento del tuo romanzo, come lo hai elaborato con cura, e
43
improvvisamente non ti piace più! No, no, non devi! Ecco, tornerai da noi e invece
dei muri del Cremlino vedrai il nostro Čepyž
*44
illuminato dal sole e i campi…e con
un’espressione felice comincerai a raccontarmi i temi delle opere che hai in mente,
mi detterai e le idee ti verranno ancora e l’ipocondria passerà.” E così avvenne dopo
che egli tornò a casa.
Se Lev Nikolaevi č smetteva di lavorare, io mi annoiavo e gli scrivevo: “Prepara, ti
prego, del lavoro per me.” Quando egli a Mosca vendette la prima parte di Guerra e
Pace a Katkov per il «Messaggero russo», e consegnò il manoscritto al segretario
Ljubimov
45
, io chissà perché ne fui molto dispiaciuta e scrissi a mio marito: “E’ stato
un vero peccato che tu l’abbia venduto. Terribile! I tuoi pensieri, i sentimenti, il tuo
talento, anche la tua anima: venduti.”
Quando Lev Nikolaevi č finì Guerra e Pace, gli chiesi di pubblicare quel bel poema
epico in formato di libro e di non pubblicarlo nei periodici, ed egli acconsentì. Poco
dopo comparve la brillante recensione di N. N. Strachov
46
e in proposito Lev
Nikolaevič disse che, grazie all’apprezzamento espresso da Strachov, il rilievo dato
a Guerra e Pace sarebbe durato nel tempo. Ma, al di là di questo, la fama di Tolstoj
aumentò con gran rapidità, la sua reputazione come scrittore crebbe sempre di più e
presto si estese a tutte le nazioni e a tutti i ceti.
La principessa Paskevi č fu la prima a tradurre Guerra e Pace in francese, per degli
scopi caritatevoli, e i francesi, sebbene sorpresi, apprezzarono il lavoro dello
scrittore russo. Tra le mie carte ho una copia della lettera di I. S. Turgenev a
Edmond About
47
, nella quale Turgenev esprime un ottimo giudizio su Guerra e
Pace. Tra le altre cose egli scrive, il 20 gennaio 1880: “Uno dei più eccezionali libri
*
L’ antica foresta di querce vicino a casa. (Nota di S. A. T.)
44
dei nostri tempi.” E ancora: “E’ una grande opera di un grande scrittore, è la vera
Russia.”
Nel 1869 la stampa della prima edizione di Guerra e Pace fu completata; andò
rapidamente a ruba e una seconda fu stampata. L’opinione dello scrittore Š čedrin su
Guerra e Pace fu singolare; egli disse con disprezzo che gli ricordava le ciance di
bambinaie e vecchie signore.
Dopo che Lev Nikolaevi č ebbe terminato la sua grande opera, il suo bisogno di
attività creativa non si era esaurito. Nuove idee nascevano nella sua mente. Si mise
a studiare l’epoca di Pietro il Grande, ma non era in grado, nonostante tutti gli sforzi,
di descriverla, in particolare nella sua vita quotidiana. A questo proposito scrissi a
mia sorella: “Tutti i protagonisti del tempo di Pietro il Grande ce li ha pronti; sono
vestiti, sistemati, seduti ai loro posti, ma ancora non respirano. Forse cominceranno
a vivere.”
Ma questi personaggi non presero vita. Dieci parti iniziali di quest’opera sul periodo
di Pietro il Grande rimangono ancora inedite.
48
Una volta, Lev Nikolaevi č aveva l’intenzione di scrivere la storia di Mirovi č
49
, ma
non realizzò neppure quella. Egli condivideva sempre con me i suoi progetti e nel
1870 mi disse che voleva scrivere un romanzo sulla caduta di una donna del bel
mondo, appartenente ai più alti circoli pietroburghesi e il compito che si era dato era
raccontare la storia di questa donna e della sua caduta senza condannarla. L’idea fu
in seguito realizzata in un nuovo romanzo, Anna Karenina. Ricordo bene le
circostanze in cui cominciò a scriverlo.
Per far piacere all’anziana zietta Tat’jana Aleksandrovna Ergolskaja, mandai da lei
mio figlio Sergej, che era il suo figlioccio, a leggerle i Racconti di Belkin di Puškin.
Ella si addormentò durante la lettura e Sergej salì nella camera dei bambini
45
lasciando il libro sul tavolo, in salotto. Lev Nikolaevič prese il libro e cominciò a
leggere un passaggio che cominciava con le parole: “Gli ospiti si erano raccolti nella
casa di campagna del conte L***.” “Che bello, che semplice,” disse Lev Nikolaevi č,
“Dritto allo scopo. Ecco come bisogna scrivere. Puškin è il mio maestro.” Quella
sera stessa Lev Nikolaevi č cominciò a scrivere Anna Karenina e mi lesse il capitolo
d’apertura, dopo una breve introduzione sulle famiglie egli aveva subito scritto:
“Tutto era in subbuglio nella casa degli Oblonskij...” Era il 19 marzo 1872.
Dopo aver scritto la prima parte di Anna Karenina
50
e avermi data la seconda da
copiare, Lev Nikolaevi č improvvisamente smise di lavorarci e si interessò di nuovo
alla pedagogia. Nel 1874 scrisse al riguardo, alla contessa Aleksandra Andreevna
Tolstaja: “Sono di nuovo immerso nella pedagogia come lo ero quattordici anni fa.
Sto scrivendo un romanzo, ma non posso staccarmi dai vivi per descrivere persone
immaginarie”
51
.
Per quanto potessi trovare difficile combinare il lavoro di copiatura con i miei doveri
di madre e altri, quando non l’avevo mi mancava e aspettavo con impazienza che
l’attività creatrice di mio marito cominciasse di nuovo.
Le condizioni in cui fu scritto Anna Karenina furono ben più difficili di quelle in cui fu
scritto Guerra e Pace. Allora, avevamo una felicità indisturbata, ora erano morti in
successione tre dei nostri figli
52
e due zie
53
. Io mi ammalai, ero dimagrita, tossivo e
sputavo sangue e soffrivo di dolori alla schiena. Lev Nikolaevi č si allarmò e
passando per Mosca, nel suo viaggio per andare a fare la cura del kumys, mandò a
chiamare il professore Zachar’in che disse: “Non si tratta ancora di tisi, ma può
avere i nervi a pezzi”; e aggiunse con rimprovero: “L’avete veramente trascurata.”
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