PREMESSA
Quando si vuole affrontare un lavoro critico sull’opera di Federico Fellini occorre prima di
tutto chiedersi, poiché sarà ciò che domanderanno molti, se abbia un senso occuparsi di quello
che è senza il minimo dubbio il regista italiano a cui sono stati dedicati più libri e studi di
chiunque altro. La risposta, affermativa, ha delle motivazioni innegabilmente valide e riguarda
principalmente il tipo di atteggiamento che spesso la critica (soprattutto nazionale) ha avuto
nei confronti del regista riminese e quello che intende avere chi si accinge a scrivere sul suo
cinema.
Il rapporto tra Federico Fellini e la critica cinematografica italiana è ben lungi dai toni
aspri che sembra richiamare l’impiccagione dell’intellettuale Daumier immaginata dal regista
in81/2: i torti iniziali fatti ai danni dei primi film di Fellini da critici militanti (come Guido
Aristarco della rivista Cinema Nuovo) sono stati, col tempo, ampiamente risarciti dalla totale
venerazione (ai limiti del divismo) che ha accompagnato la sua figura almeno dalla metà degli
anni sessanta in poi, un vero e proprio harem critico che tanto si avvicina a quello di donne
che in una scena del film circonda il regista Guido Anselmi. Tuttavia, un rapido scorcio
all’immensa bibliografia felliniana suggerisce che l’interesse sempre crescente verso il cinema
di Fellini ha spesso e volentieri prodotto, accanto a pochi e validissimi lavori sull’opera, una
moltitudinedibiografie, trascrizionidisceneggiature
1
, repertorifotografici, raccoltedidisegni,
interviste al regista, ad amici, colleghi e parenti. Opere di questo tipo, pur di indubbia
utilità e giustificazione, avvallano la visione di Fellini come una sorta di santone o guru, un
inventore di mode, un simpatico bugiardo (“celestiale mistificatore” lo definì in un’intervista
Oriana Fallaci), raccontando la sua opera come un eterogeneo miscuglio di autobiografismo,
populismo, personaggi bizzarri e incomprensibili fantasticherie: insomma rappresentano il suo
cinema come un fenomeno isolato da tutto e da tutti, risultato della proiezione dell’“uomo”
Fellini. Niente di più vero e, allo stesso tempo, di più falso. Questi punti di vista non sentono
la necessità di rintracciare delle linee guida cinematografiche (che riguardino cioè l’estetica
1
Mi pare abbastanza singolare che Fellini sia uno dei pochi registi italiani di cui siano state pubblicate, in
un’ apposita collana da Cappelli, tutte le sceneggiature dei suoi film, lui che non le amava particolarmente
(e come si può notare confrontandole coi film, neanche le rispettava tanto) tanto che, quando Mastroianni gli
chiese di poter vedere quella della Dolce vita prima di accettare il ruolo del protagonista, Fellini per tutta
risposta gli mostrò un disegno osceno.
3
e le tematiche) all’interno del cinema di Fellini degli anni cinquanta e neppure di collocarlo
nel tempo a cui appartiene: così facendo, non colgono, dunque, la profonda interdipendenza
(a tutti i livelli) di una pellicola dall’altra e il sotteso legame che esse hanno con il periodo
storico durante il quale furono girate. Come ha giustamente affermato Gian Piero Brunetta
«la caratteristica di lunga durata della critica italiana è stata quella di non aver mai preso
sul serio Fellini»
2
, riducendolo ad un «unidentified object»
3
e rinunciando troppo spesso a
confrontarsi con la sua opera in quanto cinema piuttosto che col personaggio Federico Fellini
(cosa che, bisogna dire, era avvallata in gran parte da lui stesso, narcisista ed egocentrico come
pochi altri colleghi): per questo motivo ogni lavoro che parta da presupposti “cinematografici”,
come mi propongo di fare qui, risulterà essere molto più sensato, utile ed originale di quanto
si possa pensare.
Passando alle caratteristiche e alla struttura di questa tesi, essa si propone di tracciare un
percorsonellacinematografiadiFedericoFellinidagliesordicon Luci del varietà finoallesoglie
degli anni sessanta, quando uscì quel grande spartiacque della storia del cinema mondiale che
risultò essere La dolce vita. Se si mette la lente d’ingrandimento su questi “sei film e mezzo”
della vasta produzione felliniana non si può che accoglierne l’omogeneità: questo percorso
vuole evidenziare come tale coesione dipenda dalla centralità dei medesimi temi, ovvero le
illusioni, la loro creazione e le difficoltà nel liberarsene, il loro contemporaneo essere evasioni e
prigioniche“bloccano” lepersone,ladelusioneprovocatadalloroscontrarsiconlarealtà. Sono,
questi, temicheritornanocontinuamenteeconinsistenzanelcinemadiFellini, caratterizzando
le ambientazioni, le storie e i personaggi: fin dalla prima inquadratura del primo film essi
prendono vita e, in una evoluzione a spirale che unisce le diverse pellicole, arrivano a toccare il
vertice con l’avventura romana di Marcello Rubini, la quale che senza dubbio condensa tutto
il senso di questa parte della filmografia felliniana. Nella esteriorizzazione di tali tematiche,
Fellini mette in gioco tanto la sua vita quanto l’autobiografia dell’Italia degli anni cinquanta,
mostrandonedirettamentelaculturapopolareesoprattutto, indirettamente, sogni, aspirazioni
e paure.
Il lavoro è stato quindi diviso in quattro parti che vogliono ripercorrere le tappe di quel
2
G.P. Brunetta, Il cinema neorealista italiano. Da “Roma città aperta” a “I soliti ignoti”,in:Storia del
cinema mondiale,Laterza,Roma-Bari2009,p.122.
3
G.P. Brunetta, Cent’anni di cinema italiano,Laterza,Roma-Bari1991,p.394.
4
viaggio nell’uomo e nella società che è il cinema di Fellini degli anni cinquanta
La prima parte prende in considerazione quelle che sono state in sede critica definite le
“ossessioni” felliniane, dal circo fino alla religione passando per il cinema stesso, mettendone
in evidenza la natura illusoria ed evasiva e analizzando le conseguenze che esercitano sui
protagonisti delle storie: i fenomeni della cultura popolare, rappresentati nel cinema di Fellini
non sono solo (come si è quasi sempre scritto) frutto della vena autobiografica del regista,
ma anche il risultato dell’interesse che egli ha da sempre avuto per i luoghi e i momenti che
permettonounaevasionedallarealtàattraversolacreazionediillusioni(iqualihannotuttiuna
radice comune nel sentimento carnevalesco del mondo). Sono aspetti della nostra cultura per
cui Fellini prova grande affetto e ammirazione ma allo stesso tempo ne percepisce il pericolo
come gabbie che isolano l’uomo dal mondo reale, provocando immobilismo e apatia.
Accanto a questa rappresentazione della società incentrata sulla cultura popolare, acuta-
mente definita da Kezich una “cerimonia degli addii”, Fellini non rinuncia a nascondere tra
le righe temi di attualità. Sulle orme delle intuizioni della sociologia del cinema (Kracauer
e Sorlin su tutti) si sostiene che un film possa testimoniare un periodo storico anche se esso
non viene mostrato in maniera diretta. Nella seconda parte si è di conseguenza individuata la
presenza di modi di pensare o sentimenti degli anni tra dopoguerra e boom economico: gli ita-
liani, tra illusioni (ancora) di prosperita e felicità, delusioni nel non raggiungerle, spaesamento
e crisi di identità provocati da quest’epoca di transizione, vedevano nelle avventure di Gelso-
mina, Cabiria e degli altri protagonisti del cinema di Fellini uno specchio delle loro ansie e dei
loro sentimenti molto più fedele di quanto si possa pensare. E’ questo un tentativo di fare una
particolare sociologia del cinema felliniano, ricavando dai suoi film non solo delle rappresenta-
zioni dirette di fenomeni culturali e sociali, ma anche dei tratti psicologici che appartenevano
all’Italia e agli italiani nel viaggio compiuto negli anni cinquanta tra la ricostruzione e il mi-
racolo economico. Se del cinema di Fellini si è sempre enfatizzato il simbolismo, allora anche
certi aspetti dei suoi film possono essere simbolo di qualcosa di più universale.
Nella terza parte si è messa in luce la profonda rete di interrelazione tra i personaggi di
queste pellicole, legati da rapporti di vicinanza uno all’altro, spesso rappresentati dai temi di
cui si è appena parlato: la coerenza della filmografia felliniana vede il continuo ritorno dei
medesimi caratteri, degli stessi simboli e ruoli all’interno di personaggi pur diversi e lontani
5
nel tempo.
La quarta ed ultima parte propone La dolce vita come primo punto di arrivo di questo
viaggio nell’evoluzione cinematografica di Fellini, la storia del giornalista Marcello Rubini
come “contenitore” in cui si ritrovano le rappresentazioni estetiche e le riflessioni tematiche
evidenziate nei capitoli precedenti: se molti critici hanno definito La dolce vita un affresco,
possiamo allora sezionarlo facendo emergere da ogni suo episodio i temi trattati nei film che
la precedono.
Per concludere, alcune note sulle scelte filmografiche e bibliografiche. La necessaria sele-
zione dei film su cui ci si è concentrati ha lasciato ai margini Un’agenzia matrimoniale (1953):
episodio di trentacinque minuti all’interno del film collettivo (L’amore in città), girato da
Fellini su commissione e quindi meno (ma non del tutto) coerente con le linee estetiche e te-
matiche che si è voluto delineare all’interno del suo “primo” cinema. Per quanto riguarda le
edizioni video utilizzate nell’analisi, si veda la Filmografia alla fine. In linea con quanto si è
appena detto riguardo ad un determinato atteggiamento di molta della critica italiana verso
il regista riminese, molta della bibliografia strettamente “cinematografica” è di provenienza
estera: quando non è stato possibile reperire una versione italiana del testo, la traduzione è
stata effettuata personalmente.
6
«Fare un film è come fare un viaggio, ma del viaggio mi interessa la partenza, non l’arrivo.
Il mio sogno è fare un viaggio senza sapere dove andare, magari senza arrivare in nessun
posto, ma è difficile convincere banche e produttori ad accettare questa idea»
Federico Fellini
1 INTRODUZIONE: IL VIAGGIO DI F. FELLINI
Nel mezzo di uno dei luoghi felliniani per eccellenza, la spiaggia, il reporter di cronaca rosa
Marcello Rubini ed alcuni amici si ritrovano a dover smaltire i postumi di un’orgia a cui
hanno da poco partecipato. E’ l’alba, anch’essa topos caro al regista, e i dissoluti protagonisti
si affrettano verso il mare dove assistono alla cattura di un “mostro” marino. Seduto poco
lontano, Marcello sente una voce femminile proveniente dall’altro lato della spiaggia che lo
chiama: è Paola, una ragazzina bionda che ha incontrato in una trattoria di Fregene e che
ora sta cercando di dirgli qualcosa che il rumore del mare
4
impedisce di sentire. Una serie
campo-controcampo mostra Paola che sembra mimare a Marcello il gesto di venire via con lei
mentre il giornalista gesticola ripetendo continuamente “non capisco”. Dopo vari tentativi, la
ragazza si arrende e sorride a Marcello che si allontana con una delle donne del party.
Il finale della Dolce vita (1960) possiede la capacità di provocare delle domande nello
spettatore, di farlo interrogare sull’enigmatico significato dell’intero film che, alla luce degli
ultimi minuti, sembra racchiudere qualcosa di più di un affresco sociale di luoghi e persone:
così Roma non sembra solo una città italiana a cavallo del boom economico, persa tra vizi e
peccati, Marcello un giornalista che ne testimonia la decadenza o un provinciale approdato
nella grande metropoli durante ilfenomeno della migrazionelavorativae Sylviauna delletante
attrici americane scritturate dalla “Hollywood sul Tevere”. Pare, infatti, esserci qualcosa di
più. Lo stesso Fellini lo ha in un certo modo confermato quando interrogato dall’amico-critico
Tullio Kezich sul significato della Dolce vita, contravvenendo per una volta alla volontà di non
spiegare i propri film, ha detto:
«Vogliamo avere un po’ più di coraggio? Vogliamo piantarla con le fregnacce, le
illusioni sbagliate, i fascismi, i qualunquismi, le passioni sterili? E’ tutto rotto. Non
4
Appare evidente il parallelo (anche solo per la predilezione che il regista aveva per questo procedimento)
con l’inizio del film, quando le ragazze sulla terrazza non riescono a capire quello che dice loro Marcello a causa
del rumore dell’elicottero. La difficoltà di comunicazione tra gli individui, come vedremo, è uno dei motivi
principali della prima parte della filmografia felliniana.
7
crediamo più a niente. E allora?»
5
E’ una considerazione che nella sua ambiguità tutta felliniana evoca molteplici elementi: met-
tersi alle spalle qualcosa, finire con un passato fatto di vani sogni, cambiare, rompere con un
certo tipo di vita illusoria facendo scelte coraggiose e definitive. Ma le domande che Fellini
pone a sua volta a Kezich ne fanno nascere una ulteriore: di chi sta parlando il regista? Un
bilancio sulla prima filmografia felliniana dovrebbe partire dalla risposta a questa domanda
che, vedremo, riguarda tanto La dolce vita quanto tutti i film precedenti e che permette di
illuminare con una luce più chiara il significato della sua produzione tra anni cinquanta ed
inizio anni sessanta.
Proprio il 1960, l’anno in cui tra mille clamori e polemiche esce nei cinema La dolce vita,
può essere considerato la chiusura di un’epoca storicamente di transizione. Finiscono, con
tutto quello che hanno voluto dire per l’Italia, gli anni cinquanta: un quindicennio si è ormai
interposto tra gli italiani e i dolorosi ricordi della guerra e del fascismo, quelli che prima erano
solo inconfessabili sogni di evasione iniziano ad essere reali speranze di cambiamento e di
addio definitivo all’amaro passato. Mai come in questi anni, l’illusione di poter davvero fare
un definitivo passo avanti è forte ed attuale, mai come ora il crescente benessere economico,
a cavallo del cosidetto “miracolo”, avvicina la prospettiva della felicità materiale alla speranza
di una spirituale, rendendo imperante il sogno di una nuova identità che sostituisca antiche
vergogne. Le star e i film visti al cinema si trasformano da mezzo di evasione dalla realtà a
modelli di vita futura:
«Dopo gli anni degli stracci e del dolore vengono quelli di E’ primavera, Due soldi
di speranza, I sogni nel cassetto, Un americano a Roma, Poveri ma belli, Pane, amore e
fantasia,deiVitelloni felliniani e dei primi film di Antonioni: sono gli anni in cui sullo
schermo vengono registrati i primi visibili mutamenti nei modi di vivere dell’Italia. Il
cinema comincia a raccontare storie diverse [...] guardare con più ottimismo al futuro,
mostrando i primi incoraggianti segnali d’incremento dei consumi, di modernizzazione del
paese, [...] nella misura in cui cresce un benessere apparente, [cresce] anche una difficoltà
di comunicare.».
6
5
T. Kezich (a cura di), La dolce vita di Federico Fellini. Dal soggetto al film,Cappelli,Bologna1960,p.
123.
6
G.P. Brunetta, Il cinema neorealista italiano. Da “Roma città aperta” a “I soliti ignoti”,inStoria del
cinema mondiale vol. XV,Laterza,Roma-Bari2009,p.VIII.
8
Pochi film, in ogni caso, hanno davvero simboleggiato un’epoca come la storia di Marcello
Rubini, raramente si è identificato un anno con una pellicola uscita nelle sale quanto il 1960
con La dolce vita. E’ questo forse il motivo per cui, in breve tempo, ha iniziato a diffonder-
si l’idea che Fellini fosse un neorealista della decadenza e La dolce vita una valutazione sul
degrado morale dell’Italia dei consumi: in questo modo, con un procedimento retroattivo, i
suoi film precedenti sono diventati il ritratto dell’Italia del varietà, dell’avanspettacolo, della
rivista, del circo, del fotoromanzo, delle prostitute, dei truffatori. Bisogna subito chiarire che
effettivamente essi sono anche questo. Forse però, scavando più a fondo, si può scoprire un
filo, un percorso, che unisce queste realtà, un collegamento che passa attraverso le forme della
cultura popolare tanto care al regista e i personaggi dei suoi film, che arriva ad esibire i sen-
timenti, le ossessioni, i desideri e le preoccupazioni di Fellini, scoprendo che non sono solo sue
ma di un’intera epoca storica fornendone in questo modo una stupefacente rappresentazione
psicologica.
Ma torniamo per un momento alla Dolce vita e alla descrizione più superficiale ma allo
stesso tempo più corretta che si può darle: il «viaggio di Marcello»
7
per le vie di Roma. Ogni
viaggio, sia esso uno spostamento fisico o solo mentale, contiene in nuce un addio, ogni addio
prevede che ci si metta alle spalle il passato: il cinema di Fellini tra anni cinquanta e sessanta
sembra muoversi circolarmente tra viaggi, partenze e conseguenti dichiarazioni di addii. Ci-
nema e viaggio sono, d’altronde, indiscutibilmente legati da sempre: se la leggenda vuole che
il cinematografo sia nato con la proiezione di un treno
8
(il treno, tra l’altro, è un leit motiv
felliniano)
9
certamente il Voyage dans la lune (1902) o quelloàtraversl’impossible(1904) di
Méliès ne hanno decretato il successo. Il viaggio è una delle rappresentazioni preferite del cine-
ma e alcune scuole americane di sceneggiatura sostengono persino che qualsiasi film narrativo
è riconducibile ad un “viaggio” del personaggio principale
10
: questo perchè il viaggio contiene
tecnicamente il principio del movimento tanto caro al cinema e allo stesso tempo simboli-
camente rappresenta la crescita del personaggio protagonista (quest’ultimo aspetto risulterà
7
Ibid., p. 134.
8
In realtà proprio di leggenda si tratta visto che il primo film proiettato dai Lumiére fu Sortie d’usine
(1895) ma ciò non toglie che i viaggi siano al centro del primo cinema Lumiére (Cfr. N. Burch, Il lucernario
dell’infinito. Nascita del linguaggio cinematografico,IlCastoro,Milano2001,p.55.)
9
Una breve carrellata della presenza del treno nel cinema di Fellini si trova in: P. Pillitteri, Appunti su
Fellini,FrancoAngeli,Milano1990,pp.25-27.
10
Cfr. C. Vogler, Il viaggio dell’eroe,Audino,Roma2005.
9
fondamentale nel discorso che segue).
Per Fellini il viaggio è importante almeno quanto lo è per il cinema stesso: una leggenda,
da lui stesso creata e successivamente smentita dai biografi, lo vede nascere su di un treno in
corsa. Seèvero, comesostieneCalvinonellasua Autobiografia di uno spettatore, chechimente
rivela comunque qualcosa di sè
11
, allora in molte delle invenzioni del regista sulla sua vita si
riflette questo interesse per il viaggio (quasi sempre interpretato come scappare), nelle fughe
con la prima fidanzata o quelle da piccolo per seguire il circo. Il suo è un modo di intendere
il viaggio che si configura più come uno stato mentale che come un desiderio d’avventura:
d’altronde in alcune occasioni Fellini ha dichiarato di non essere in realtà un amante dei viaggi
in senso fisico ma di essere affascinato dai sentimenti che il viaggio provoca in chi parte e in chi
viene lasciato, e in particolare da chi si incontra
12
. Come scriveva Lizzani, bisogna raccontare
la doppia vita del cinema italiano ovvero anche quella dei film che non sono mai stati girati
13
:
é una storia di viaggi mancati pure quella delle pellicole irrealizzate di Fellini; molte biografie
e interviste, infatti, si soffermano sulle peripezie legate ai film che il regista voleva fare ma
che di fatto non portò mai a termine: senza troppo stupore si apprende che i più famosi sono
un adattamento cinematografico dell’Inferno dantesco (il viaggio spirituale per eccellenza), un
viaggio in Sudamerica (il Viaggio a Tulum poi diventato un fumetto di Milo Manara) e, dalla
metà degli anni sessanta in poi, ogni qual volta uno dei suoi film fosse finito o un progetto
naufragasse, il regista diceva in preda all’entusiasmo «adesso faccio Il viaggio»
14
.Il“Viaggio”
(o il “Mastorna”) è come Fellini si riferiva a un progetto di film pensato con lo scrittore Dino
Buzzati (da un suo racconto comparso in rivista intitolato Lo strano viaggio di Domenico
Molo): Il viaggio di G. Mastorna, una delle più grandi e costose non-produzioni del cinema
italiano, le cui peripezie produttive sono raccontate da Kezich
15
.T u t t a v i aa n c h eifi l m c h es i
realizzeranno su pellicola sono viaggi incompiuti.
Non deve stupire quindi che la metafora del viaggio (dei personaggi, del regista ma anche
degli spettatori) risulti essere parecchio utile per capire tutto il cinema di Fellini dalle origini
fino agli anni sessanta, Luci del varietà (1950), Lo sceicco bianco (1952),Ivitelloni(1953), La
11
I. Calvino, Autobiografia di uno spettatore,inF.Fellini,Fare un film,Einaudi,Torino1980,p.XI.
12
F. Fellini, Fellini on Fellini,DaCapoPress,NewYork1996,pp.53-54.
13
C. Lizzani, Il cinema italiano,EditoriRiuniti,Roma1979,p.171.
14
S. Schoonejans, Fellini,Latoside,Roma1980,p.13.
15
T. Kezich, Federico Fellini, la vita e i film,Feltrinelli,Milano2002,pp.258-272.
10
strada (1954),Ilbidone(1955), Le notti di Cabiria (1957) e La dolce vita (1960). Un viaggio
che spesso si vorrebbe mettere alle spalle, come dice Kezich, l’ “italietta” delle “illusioni sba-
gliate e delle passioni sterili”, cioè “quei miti grandi e piccoli di cui il popolo italiano sembra
aver bisogno di nutrirsi” ma che ora “sbiadiscono”
16
: varietà, avanspettacolo, fumetti, fotoro-
manzi, manifestazioni religiose di massa, sono tutti aspetti della cultura popolare che hanno
offerto (e tuttora offrono) a loro volta un viaggio all’uomo, nel senso di una (momentanea)
via di fuga dalla realtà e dalle sue difficoltà ma che rischiano spesso di diventare delle invali-
cabili prigioni per chi ci si avventura. Fellini di certo non condanna questi mondi, essi sono
e saranno la fonte primaria di quell’universo detto poi felliniano, ma compie una riflessione
amara su una condizione umana pericolosa nella quale il regista stesso ammette di trovarsi e
nella quale vede molti attorno a lui. Imprigionati da queste ed altre illusioni, i personaggi di
Fellini faticano però a raggiungere la meta del loro di “viaggio”, il cui compimento li dovrebbe
portare a cambiare, a crescere, a trovare una nuova e più felice identità, ma il cui fallimento li
lascia a vagabondare in attesa che succeda loro qualcosa. Nei viaggi felliniani nessuno arriva
mai a destinazione. Le speranze di questi personaggi, per come traspaiono dai film, rivelano
a loro volta illusioni che vengono deluse, ovvero qualcosa che non trova compimento:
«Il sogno e l’illusione sono guardati da Fellini come una costante che caratterizza e
accomuna tutti gli esseri umani intesi come creature, sia coloro che opprimono sia coloro
che sono oppressi. Ma ancora una volta alienazione e magia, sogno e tensione verso la luce
sono per l’universo poetico di Fellini proprio i segni di un dolore insuperabile e strutturale
della natura umana».
17
Questo è forse il senso più e allo stesso tempo meno superficiale dei «sei film e mezzo» che
Fellini dirige nel decennio tra anni cinquanta e sessanta: una riflessione sulle illusioni, di poter
cambiare, diunavitapiùfelice, divederrealizzareiproprisognimachespessovengonodeluse,
su partenze che quindi non diventano mai arrivi. I personaggi, le trame, l’ambientazione, il
simbolismo di queste pellicole paiono in gran parte orientati a questi temi che, a loro volta,
rispecchiano un contesto più ampio: partendo dal momentaneo appagamento del desiderio
di una nuova e diversa vita offerto dalle forme d’evasione popolare, affrontano un generale
16
Ibid., p. 130.
17
E. Bispuri, Interpretare Fellini,Guaraldi,Rimini2003,p.27.
11
sentimento della società italiana degli anni cinquanta, con la sua necessità di voltare pagina e
la contemporanea difficoltà che incontra nel farlo.
I protagonisti, da Checco Dalmonte e Liliana Antonelli (Luci del varietà) fino a Marcello
Rubini (La dolce vita), lasciano intravedere delle condizioni psicologiche che qualsiasi persona
ha singolarmente provato nella vita ma che, nel periodo di transizione (ovvero un viaggio) che
l’Italia ha passato traannicinquanta esessanta, sembra appartenere adun’intera popolazione:
l’ansia della trasformazione, il desiderio di cambiare o di non farlo, la volontà di lasciarsi
indietro il vecchio, il passato, le difficoltà oppure la tristezza nell’abbandonare l’infanzia e
la giovinezza per qualcosa che non è ancora ben definito nel futuro. Per questo nel primo
cinema di Fellini i personaggi sono sempre ritratti in questo momento di passaggio, come
sospesi, congelati nell’attimo di una crescita-evoluzione che di fatto non avverrà mai. Come
avviene nella spesso citata scena finale dei Vitelloni che è all’unanimità riconosciuta come
autobiografica (non solo di Fellini ma metaforicamente della vita di chiunque): il protagonista,
Fellini o Moraldo, a diciannove anni, sul treno che da Rimini lo porterà a Roma, cerca di dire
addio al suo passato provinciale e allo stesso tempo all’irresponsabilità della giovinezza. Ma
Moraldo arriverà a Roma, attraversando tutto il cinema di Fellini, diventando Marcello, il
quale però alla fin fine non è molto diverso dal suo predecessore.
«Fellini riesce a trasmettere con sincerità un disagio esistenziale [...], una reale crisi,
che non è soltanto sua personale (anche se in modo tutto personale, soggettivo, la vede e
la rappresenta) bensì molto più diffusa.»
18
Riguardo a questo rapporto tra sentimento individuale, collettivo e realtà sociale, in una sua
celebre polemica contro chi lo accusava di fare un cinema contro il dogma neorealista, quindi
non politico e non attinente alla situazione italiana del tempo, Fellini ebbe modo di dire:
«Secondomeilprocessostoricochel’artedevecertamentescoprire,assecondaree
chiarire, si svolge in dialettiche assai meno limitate e particolari, assai meno tecniche e
politiche di quanto voi credete: a volte un film che prescindendo da riferimenti più precisi
ad una realtà storico-politica incarna, quasi in figure mitiche, il contrasto dei sentimenti
contemporanei in una dialettica elementare, può riuscire tanto più realistico di un altro
dove ci si riferisca a una precisa realtà sociale-politica in cammino »
19
18
B. Torri, Cinema e film negli anni cinquanta,in:G.Tinazzi,Il cinema italiano degli anni ’50,Marsilio,
Venezia 1979, p. 47.
19
P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini,Guaraldi,Rimini1994,p.87.
12
Seguendo quest’ultima suggestione, i grandi temi della modernità attraversano con innimagi-
nabile forza la filmografia felliniana tra anni cinquanta e sessanta: illusione di cambiamento,
ricerca di se stessi e, come annota Frank Burke, la trasformazione
20
.D i r ea d d i oa lp a s s a t o ,
lasciarsi alle spalle le passioni illusorie ed affrontare la realtà però, per Fellini in primis,risulta
difficile. Dirà infatti Fred alla vecchia compagna di mille danze Ginger, congedandosi alla
stazione al momento della partenza di lei: “Scusa, a me i treni che partono non piacciono...”.
20
F. Burke, Federico Fellini. Variety Lights to La Dolce Vita,Columbus,Londra1984,p.4.
13
«Andate al cinema e lasciatevi guidare. Prima di accorgervi voi state vivendo la
storia...ridendo, amando, combattendo, vincendo. Tutta l’avventura, il romanzesco,
l’eccitante che manca alla vostra vita quotidiana lo troverete nel film. Esso vi fa
evadere completamente da voi stessi, portandovi in un nuovo e meraviglioso mon-
do...uscite dalla mediocrità di tutti i giorni. Anche se soltanto per un pomeriggio o
una sera...evadete.»
Manifesto publicitario hollywoodiano
«La vera vita è quella del sogno»
Lo sceicco bianco
2 ILLUSIONI ED EVASIONI POPOLARI
Nel corso della sua lunga fortuna critica, il cinema di Fellini ha dovuto affrontare diverse volte
accuse come quelle del critico Aristarco, che lo giudicavano anacronistico
21
in quanto legato ad
una weltanschauung non compatibile con le idee che andavano per la maggiore nell’Italia di
allora, vale a dire pericolosamente lontano da quello che si era stabilito essere il canone neorea-
lista. Su questa scia si andò formando uno dei grandi “antagonismi” cinematografici italiani,
quello a cui lo stesso Fellini si riferiva ironicamente come il cinema della verità contrapposto
al (suo) cinema della menzogna. Gli orientamenti critici più recenti, tuttavia, tendono a ri-
durre le distanze tra il neorealismo e il “primo” Fellini, mettendo in evidenza la condivisione di
alcuni aspetti sia tecnici che tematici. In particolare lo studioso Peter Bondanella rintraccia
un possibile punto di contatto (che si potrebbe pensare imprevedibile all’interno del “cinema
della realtà”) nel tema dell’illusione
22
, il quale si troverebbe anche nei film neorealisti come
scontro dialettico tra quest’ultima e la realtà (come il critico americano mostra chiamando a
testimone esempi da Ladri di Biciclette a Miracolo a Milano.)
23
; un altro celebre studioso del
regista romagnolo, Frank Burke, nel suo volume su Fellini, dopo aver distinto attentamente la
teoria neorealista sul cinema (in gran parte espressa da Cesare Zavattini) mostra come essa si
dimostri abbastanza lontana dall’effettiva pratica registica dei suoi autori
24
: secondo Burke, i
film neorealisti, diversamente dall’opinione comune, non negano l’interesse per i temi quale la
finzione e l’illusione. Burke e Bondanella arrivano quindi a concordare sul fatto che illusione
21
G.P. Brunetta, Il cinema neorealista italiano. Da “Roma città aperta” a “I soliti ignoti”,inStoria del
cinema mondiale,cit.,p.122.
22
P. Bondanella, Federico Fellini: Essays in criticism, Oxford University Press, New York 1978, p. 222.
23
Ibid., pp. 222-223.
24
F. Burke, Federico Fellini. Variety Lights to La Dolce Vita,cit.,p.1-2
14
ed evasione dalla realtà rappresentino un possibile trait d’union tra il cinema neorealista e
quello di Federico Fellini.
Proseguendoilsuopersonalepersorso, Burkeindividualapresenzadiquestitemidieredità
neorealistanell’operacinematograficafelliniana, inparticolaredall’iniziodellasuacarrierafino
agliannisessanta. Tuttavia, sesiosservaattentamentel’attivitàpre-registicadiFellini, sinota
comeegliabbiamanifestatounprofondointeresseperl’illusioneel’evasionedallarealtàgiànei
suoiscrittigiornalisticioradiofonici: essendoormaiunateoriacondivisaquelladellacontinuità
tematica ed estetica tra il Fellini giornalista e il Fellini regista
25
, non stupisce che tutti i suoi
film da Luci del varietà a La dolce vita si soffermino spesso su temi analoghi e su significati
ad essi connessi.
Si può sostenere dunque che la filmografia del “primo” Fellini trae forza ed ispirazione da
un «mondo italiano minore, sia esso quello dell’avanspettacolo e dei fotoromanzi, come quello
più chiuso della provincia», basandosi su una personale rielaborazione di alcuni elementi ca-
ratterizzanti della cultura popolare italiana con cui il regista ha avuto a che fare, direttamente
o indirettamente, nel corso della sua vita:
«se si esaminano infatti da vicino le origini culturali ed intellettuali di Fellini, non
si può andarle a scovare solo nella storia del cinema, bensì in quei fenomeni più tipici
ecaratteristicidellaculturapopolaredeltempo:ifumetti,lecaricature,ilvarietàele
commedie radiofoniche.»
26
La caratteristica comune delle locations predominanti nelle prime pellicole felliniane, teatri,
tendoni, cinema, set fotografici o cinematografici, cabaret, locali notturni (che sono anche i
posti dacuiprovengonoisuoi personaggi)èinnanzituttoquelladi essere luoghidicreazioneed
esibizione di spettacoli: lo sfondo privilegiato dell’azione dei suoi film, dove si può «osservare
la realtà con onestà, ma qualunque tipo di realtà, non solo la realtà sociale, ma anche quella
spirituale, metafisica, tutto quanto l’uomo ha dentro di sé»
27
è molto spesso costituito dal
mondo degli svaghi popolari (per Luci del varietà è abbastanza eloquente il titolo, Lo sceicco
25
Italo Calvino, per primo, ha notato la provenienza “giornalistica” del cinema di Fellini, in particolare per
quanto riguarda lo stile figurativo (Cfr. P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini,cit.,p.23-24.)
26
P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini,cit.,p.23.BondanellariconosceaCalvinoilmeritodi
aver intuito subito il legame tra la cultura popolare e il cinema di Federico Fellini, parlandone diffusamente
nell’Autobiografia di uno spettatore.
27
P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini,cit.,p.87.
15
bianco si sofferma invece sul mondo del fotoromanzo e negli altri film c’è sempre almeno una
scena ambientata in luoghi di tale natura). Questo sottobosco dell’Italia, molto popolare e
poco intellettuale, è oggi il punto di partenza di qualsiasi studio sul regista riminese ed è
anch’esso individuato come oggetto del suo interesse fin dall’attività di giornalista.
Tuttavia è rimasta spesso in secondo piano la profonda analogia che unisce queste forme
spettacolari ai temi, prima neorealisti e poi felliniani, di cui si parlava poc’anzi: l’illusione e
la fuga-evasione dalla realtà o, con le parole di Quintana, «la relazione tra sogno e realtà»
28
.
Possiamo anticipare che temi di questo tipo, pur appartenendo al cinema fin dalle sue origini
ed essendone sostanzialmente la base concettuale, assumono un significato particolare se si
considera l’epoca storica in cui questi film vengono girati: d’altronde dalla guerra al boom
economicoiteatri,icinema,itendonideicirchi,lepaginedifumettiefotoromanzi,cioè«luoghi
doveleillusionipossonoesserecreate»
29
,sonostatipredilettidallapopolazioneperdimenticare
le difficoltà quotidiane ed immaginare una vita alternativa alla propria; presentandosi tuttavia
spesso «più come un miraggio che un luogo di salvezza»
30
:
«Ed è anche chiaro il motivo per cui ricorre nei film di Fellini la situazione dell’a-
vanspettacolo, del fumetto, del circo, del cinema stesso: perchè queste sono le moderne
fabbriche dell’illusione [...]. Questa è infatti per Fellini la religione di massa dell’uomo
contemporaneo, che finisce col cercare nell’illusione la felicità invano e altrimenti rincorsa
nel cosiddetto mondo reale»
31
.
DaLuci del varietà finoalla Dolce vita correquindiunfilocomunecheattraversaipersonaggi,
iluoghieletrame: l’illusione-evasione,spessoosservataall’internodeiluoghichelaproducono.
Il tema è connesso al cinema stesso e, proprio per questo, anche a molti aspetti della cultura
popolare che per il cinematografo sono stati padri concettuali e che lo hanno preceduto o
affiancato nella sua storia di luogo di evasione di massa. In particolare, il varietà, il circo e il
cinemasonostatistoricamentelegatinelperiodosubitoseguentelanascitadelcinematografo
32
all’interno di quel fenomeno che Bernardini ha definito “l’epopea del cinema ambulante”:
28
A. Quintana, Federico Fellini,Cahiersducinèma,Parigi2007,p.15.
29
Ibid., p. 15.
30
G.P. Brunetta, Il cinema neorealista italiano. Da “Roma città aperta” a “I soliti ignoti”,inStoria del
cinema mondiale vol. XV,cit.,p.206.
31
E. Bispuri, cit., pp. 26-27.
32
D. Bordwell e K. Thompson, Storia del cinema e dei film,IlCastoro,Milano1998,p.49.
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«Per farsi conoscere ed apprezzare, il cinema può insomma contare su una serie di
generi e di luoghi caratteristici: dalla piazza al circo, dagli spettacoli d’arte varia basati
sulle “attrazioni” del cafè-chantant francese al music-hall inglese, al vaudeville americano,
al varietà italiano »
33
Il cinema, quindi, fin dalle origini è stato associato (anche fisicamente) a questi fenomeni
culturali con i quali condivideva il ruolo di spettacolo di evasione per la gente disposta ad
assistervi. In origine, la proiezione cinematografica era in tutto e per tutto uno dei numeri di
cui era composto lo spettacolo di varietà: è quest’ultimo un luogo dove si mischiano indistinta-
mente schermi, maghi, attori, marionette, prestigiatori e clown, andando a formare una specie
di campione (forse sarebbe meglio parlare di processione-parata) dell’universo cinematografi-
co di Federico Fellini. Col passare del tempo varietà e cinema sono rimasti affiancati come
fenomeni indipendenti e infine, quando l’ultimo dei due ha palesato il suo maggior successo,
il varietà (col nome di avanspettacolo) è diventato un piccolo spazio che introduceva il suo
parente su pellicola più famoso.
Ma non è solo la storia a legare questi spettacoli: infatti a unirli è anche, come si è
detto, la loro natura illusoria
34
di fenomeni ludici e figurativi creati con lo scopo di evadere
la realtà (rin)chiudendo lo spettatore in un mondo separato. Lo possiamo vedere nei film di
Fellini, ad esempio in Le notti di Cabiria dove la protagonista, scossa dalla partecipazione al
pellegrinaggio al santuario della Madonna e delusa dal mancato miracolo, cerca distrazione
nello spettacolo di varietà del teatro Lux; il cinema è invece il luogo dove Augusto ne Il bidone
prova a scordarsi della sua vita da furfante e dove passa finalmente del tempo con la figlia;
Fausto si reca anche lui al cinema, dove può dimenticare di essere sposato e tentare di sedurre
una vedova, e al teatro per assistere al varietà. Tutti questi sono elementi fortemente radicati
nella cultura popolare italiana e non è un caso che abbiano vissuto i loro periodi di maggior
successo durante le fasi di difficoltà del paese: proprio in questa veste sono ritratti nel cinema
di Fellini, come una valvola di sfogo per la gente che cerca di sopportare una realtà dura e
poco gratificante, un comodo riparo dal mondo esterno.
33
A. Bernardini, L’epopea del cinema ambulante,in:G.P.Brunetta,Storia del cinema mondiale,cit.,vol.
I, p. 116.
34
Il cinema d’altronde è geneticamente basato su un’ illusione, quella di movimento. Non si contano i casi
in cui la settima arte ha riflettuo sulla sua natura illusoria.
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