Evoluzione dei processi di internazionalizzazione. Il caso Caleffi 4
Introduzione
Il processo di internazionalizzazione e la sua evoluzione sono l’oggetto di analisi di questo elabora-
to; ciò che sarà sviluppato è il fenomeno dell’internazionalizzazione avendo come punto di riferi-
mento l’azienda. Nell’ottica aziendale l’internazionalizzazione può essere considerata, come dimo-
strato dalle numerose teorie al riguardo, sotto molteplici punti di vista. Il fenomeno è generalmente
descrivibile come lo sviluppo successivo e di natura sistemica rispetto ad una o più attività azien-
dali, oltre i confini nazionali; in altre parole come il processo che porta l’impresa ad interfacciarsi
con l’ambiente internazionale.
La caratteristica principale del fenomeno, è proprio la discontinuità dell’ambiente a cui è soggetta
l’impresa che opera oltre confine. Gli studi sull’internazionalizzazione cercano di portare alla luce
diversi problemi legati a quest’aspetto, cercando di fornire schemi di lettura e di analisi per classifi-
care i processi ed in alcuni casi per fornire possibili previsioni future dello sviluppo.
Lo scopo della trattazione che segue è quello di fornire un quadro generale dei vari aspetti teorici
dell’internazionalizzazione, considerando tramite un caso pratico la validità e l’applicazione degli
stessi alla realtà. Si concluderà l’analisi con varie considerazioni riguardanti la coerenza tra punti di
vista teorici e l’effettivo percorso dall’azienda in esame.
L’elaborato è diviso in tre parti, una prima parte, dove il processo di internazionalizzazione è stu-
diato sotto i suoi differenti aspetti. In particolare saranno dapprima elencate le diverse teorie ed i
principali autori, si porterà poi l’attenzione sull’azienda andando a presentare alcune delle teorie
generali sull’impresa, per andare poi a definire l’internazionalizzazione e l’impatto che può avere
sulle strategie aziendali.
Si procederà poi con l’analisi dell’evoluzione del processo, più precisamente, saranno trattate le
varie fasi che persegue un’azienda internazionalizzandosi, e le modalità che adotta per raffrontarsi
in un mercato estero.
Porremo a questo punto l’attenzione a livello macro, la seconda parte sarà, infatti, dedicata a con-
siderazioni riguardanti la globalizzazione dei mercati e le varie tendenze sovrannazionali in atto.
Negli ultimi capitoli sarà presa in considerazione la società Caleffi, che opera in un ambiente inter-
nazionale, e verrà svolta un’analisi di confronto tra l’evoluzione del processo di internazionalizza-
zione della società stessa e i processi teorizzati nei primi capitoli.
L’approccio al tema dell’internazionalizzazione può essere complicato poiché essendo un proces-
so che interagisce a livello sistemico dell’azienda, può presentare differenti chiavi di lettura, e non
vi è in letteratura un approccio unanime. Nello sviluppo dei vari argomenti ho cercato, per quanto
fosse possibile, un filo conduttore che potesse da un lato raccogliere tutte le varie sfumature del
fenomeno e dall’altro, fornire un quadro espositivo che sia chiaro e non discontinuo.
Evoluzione dei processi di internazionalizzazione. Il caso Caleffi 5
Parte I – L’internazionalizzazione nella prospettiva accademica
Analisi dell’internazionalizzazione secondo l’approccio accademico.
1. Quadro teorico di riferimento
Il campo dell'internazionalizzazione interessa gli studiosi da diversi secoli e gli studi sono in conti-
nua evoluzione, di seguito verranno esposte le teorie fondamentali che hanno alimentato questo
campo. Saranno presentate in successione cronologica e per quanto possibile connesse l’una alle
altre. Fin da subito è utile notare che gli interventi, le trattazioni, le varie teorie e le analisi si fonda-
no su approcci completamente differenti, per questo sarà complicato definire un percorso di studio
chiaro e ben definito rispetto alle caratteristiche dell’internazionalizzazione.
L'excursus storico, avrà come punto di partenza la scoperta dell'America perché ha portato a nuo-
ve rotte e nuovi mercati rispetto al mondo conosciuto fino ad allora, ampliando in modo sensibile il
commercio mondiale.
a. Mercantilismo
In una prima fase, con la nascita delle colonie ogni paese cercava di ottenere le massime riserve
di oro e argento in quanto erano considerate alla base della ricchezza di un paese. Si tendeva ad
ampliare la differenza tra esportazioni ed importazioni; erano cioè incentivate le esportazioni a
scapito delle importazioni.
Le politiche mercantilistiche, sostenute tra gli altri da Jean-Baptiste Colbert, prevedevano creazioni
di barriere nel mercato domestico, come dazi su prodotti esteri o riduzione di tasse a produttori in-
ternazionali, e appunto incentivi all'export. Il che andava a colpire il consumatore nazionale.
Ad oggi politiche neomercantilistiche sono ancora presenti su alcuni prodotti.
b. Teorie classiche e neoclassiche
Un'evoluzione al mercantilismo è stata proposta inizialmente da Adam Smith
1
e supportata nel
tempo da altri studiosi.
La critica principale mossa al mercantilismo riguarda l'accumulo di ricchezze, cioè viene evidenzia-
to che la ricchezza di una nazione è legata al libero commercio, dato che in questo modo un paese
entrare in possesso di beni che altrimenti non potrebbe disporre.
A questo filone appartengono le teorie dei vantaggi assoluti, dei vantaggi relativi e sulla dotazione
dei fattori produttivi. La prospettiva è macroeconomica, vengono cioè prese in considerazione le
variabili che caratterizzano un paese, e partendo da queste vengono analizzati i flussi commerciali.
In particolare la teoria dei vantaggi assoluti proposta da Smith, volge l'attenzione alla produttività
del lavoro rispetto ai differenti prodotti in nazioni diverse, concludendo che i paesi e l'economia
1
(Smith, 1776)
Evoluzione dei processi di internazionalizzazione. Il caso Caleffi 6
globale trarrebbero vantaggi nel caso in cui ogni paese si specializzasse nella produzione dei beni
per i quali vanta la migliore tecnologia.
La teoria dei vantaggi comparati edita da Ricardo
2
, spiega il commercio come risultante del van-
taggio comparato di un paese; si producono cioè quei beni che hanno un costo opportunità, e-
spresso in altri beni, inferiore rispetto ad altri paesi.
Esempio
3
:
Ipotizzando due paesi H e F, e due beni grano e stoffa:
In H i lavoratori sono 25, potrebbero produrre o 100 bushel di grano o 50 iarde di stoffa.
Da cui, il costo opportunità di 2 bushel di grano sono 0,5 iarde di stoffa, dato che un lavora-
tore può produrre o 4 bushel di grano o 2 iarde di stoffa.
Se in F vi sono 100 lavoratori che producono o 100 bushel di grano o 100 iarde di stoffa, al-
lora il costo opportunità di 1 bushel di grano è pari ad 1 iarda di stoffa.
Figura 1 - Esempio vantaggi comparati
Di conseguenza per il modello dei vantaggi comparati F avrà un vantaggio comparato nella
produzione della stoffa, mentre H nella produzione di grano.
Infine, la teoria della dotazione dei fattori produttivi di Heckscher e Ohlin 1933, analizza il commer-
cio internazionale come risultato di una diversa dotazione delle risorse tra i differenti paesi.
Esempio:
Nella produzione di scarpe è richiesta una maggiore intensità di lavoro, nella produzione di
computer, una maggiore intensità di capitale, quindi in un paese come la Cina ricco della ri-
sorsa lavoro, si produrranno più scarpe e viceversa negli USA più computer.
Le teorie espresse sono materia di studio dell'economia internazionale, che a sua volta si suddivi-
de in commercio internazionale ed economia monetaria internazionale. Più precisamente le teorie
sovra esposte sono parte del commercio internazionale, mentre l'economia monetaria internazio-
nale analizza i differenti tassi di cambio e di rendimento come spiegazione del commercio. Il punto
di vista è quindi macroeconomico.
2
(Ricardo, 1817)
3
(Feenstra, et al., 2008)
Evoluzione dei processi di internazionalizzazione. Il caso Caleffi 7
c. Teorie sull’impresa multinazionale
Partendo dal contributo di Hymer
4
, si apre la terza fase di contributi, dove si porta l'attenzione dagli
aspetti macroeconomici legati al paese, ad aspetti micro considerando l'impresa. In particolare
Hymer svolge uno studio sugli IDE e da questo nuovo approccio si sono sviluppate le teorie
sull'impresa multinazionale. Nella sua tesi di dottorato, si chiede quali siano i motivi che spingono
le imprese ad investire all’estero piuttosto che continuare ad esportare prodotti fabbricati nel paese
di origine. Analizzando per la prima volta gli IDE, verifica, in contrasto con la convinzione del tem-
po, che non si tratta esclusivamente di movimenti di capitale per ricercare tassi di rendimento van-
taggiosi tra le nazioni ma, anche di trasferimenti di tecnologia, conoscenze e competenze organiz-
zative legate e riconducibili all’attività d’impresa.
Il contesto storico che ha favorito tale teoria vede la fine della seconda guerra mondiale, e l'emer-
gere di grandi imprese multinazionali. Grazie ad essa si riescono a spiegare la crescita del com-
mercio intrasettoriale e si spiegano i flussi commerciali considerando fattori come la qualità, la tec-
nologia, il marchio e la fedeltà dei consumatori.
Negli anni successivi si sviluppano principalmente due scuole di pensiero, Cambridge in USA e
Reading in UK, con rispettivi esponenti che approfondiscono diverse tematiche riguardo appunto il
processo di internazionalizzazione dal punto di vista dell’impresa:
La scuola di Reading annovera tra i propri autori, Dunning, Buckley e Casson; in particolare
i principali contributi sono il paradigma eclettico e lo studio dei costi transazionali
nell’internazionalizzazione.
La scuola di pensiero di Cambridge vanta tra i propri autori principali Vernon, Caves, Kinde-
leberger e Knickerbocker. Vi sono due principali filoni, quello dei modelli sequenziali tra cui
il ciclo di vita del prodotto proposto da Vernon e quello delle teorie oligopolistiche; quest'ul-
timo, descrive l'impresa multinazionale come un’impresa di grandi dimensioni la cui esi-
stenza è supportata da un vantaggio competitivo di origine oligopolistico, il quale la rende in
grado di compensare i vantaggi che le imprese locali possiedono quando operano nel pro-
prio contesto ambientale nazionale.
Knickerbocker
5
nel filone oligopolistico, elabora una teoria sulla crescita internazionale dell’impresa
secondo cui è una reazione strategica delle imprese agli investimenti all’estero realizzati dai con-
correnti. Ogni volta che l’impresa leader realizza un investimento all’estero, allora, i concorrenti so-
no indotti a seguirla, le second mover dunque agirebbero per impedire l’allargamento della quota di
mercato delle leader.
4
(Hymer, 1960)
5
(Knickerbocker, 1973)
Evoluzione dei processi di internazionalizzazione. Il caso Caleffi 8
Vernon
6
, nel filone dei modelli sequenziali propone la teoria del ciclo di vita del prodotto, dove ri-
prende le teorie di Linder e Posner
7
. Il primo definisce che più due paesi sono simili, maggiore è la
domanda potenziale, quella effettiva dipende dalle barriere esistenti; la teoria di Posner sottolinea
che il vantaggio comparato dipende dal vantaggio monopolistico e quindi che è temporaneo e vali-
do fino a quando altri paesi non abbiano imparato a riprodurre i prodotti.
La teoria di Vernon si basa sull'ipotesi che le imprese di paesi industrializzati pur essendo dotate
delle stesse probabilità di accesso alle nuove conoscenze scientifiche, non hanno uguali probabili-
tà nell'applicazione di tali conoscenze alla creazione di nuovi prodotti. Introduce un modello se-
quenziale che prevede tre stadi di sviluppo: introduzione, maturità e standardizzazione.
Nella prima fase il prodotto viene realizzato ed è necessario un continuo aggiustamento secondo
le richieste del mercato, quindi di continue relazioni con clienti e fornitori, questo spiega l'impegno
nel mercato nazionale dell'impresa; una seconda fase dopo l'affermazione sul mercato domestico
vede il prodotto inserirsi nei mercati esteri avvalendosi delle caratteristiche di differenziazione dello
stesso. L'ultima fase è quella in cui il prodotto è del tutto standardizzato, può essere prodotto diret-
tamente in altri paesi internazionalizzando così la catena del valore, viene a perdersi inoltre il suo
vantaggio di differenziazione e deve dunque puntare su una riduzione dei costi di produzione.
A conseguenza di queste considerazioni un’impresa localizzata in un paese con un mercato di
sbocco avanzato, avrà un vantaggio dato dal fatto che potrà anticipare la domanda in altri paesi.
Tra le critiche principali mosse contro questa teoria vi è la focalizzazione sul prodotto e non
sull'impresa, quindi non si considerano le imprese multi prodotto.
Per un quadro delle altre teorie dell'impresa multinazionale partirò dal contributo di Dunning
8
che,
tramite il proprio lavoro analizza le diverse teorie esistenti dando un chiaro schema interpretativo.
L'analisi di Dunning si presta a questo compito poiché tende ad identificare come punto centrale gli
obiettivi dell'impresa, e cioè l'equilibrio patrimoniale, finanziario ed economico che gli possano
permettere una competitività duratura.
Partendo da questo presupposto Dunning identifica ciò che un’azienda ricerca qualora scegliesse
una strategia di internazionalizzazione:
1. Risorse naturali, cioè qualora nel paese d'origine dovessero essere assenti determinate
materie prime, o prodotti agricoli, oppure ricerca di lavoro a basso costo.
2. Mercati, orientata dunque ad ottenere una maggiore domanda per i propri prodotti.
3. Efficienza nella gestione delle proprie attività
4. Assetto strategico, proteggere o aumentare il vantaggio verso concorrenti, con investimenti.
5. Investimenti di fuga
6. Investimenti di supporto
6
(Vernon, 1966)
7
(Linder, 1961); (Posner, 1961)
8
(Dunning, 1980) (Dunning, 1977)(Dunning, 1993) (Dunning, 2000)
Evoluzione dei processi di internazionalizzazione. Il caso Caleffi 9
Da cui estrapola i vantaggi che vuole ottenere un'impresa, detti OLI, riassunti di seguito:
a. di proprietà, l'impresa deve possedere qualche vantaggio competitivo unico e sostenibile ri-
spetto alle imprese straniere locali. Ownership.
b. di localizzazione, la forza di attrazione di alcune nazioni o regioni nei confronti delle attività
di imprese multinazionali. Location.
c. di internalizzazione, necessario per spiegare la modalità con cui le aziende approcciano
mercati esteri. Internalization.
Partendo da questo schema vengono riprese le varie teorie, ciascuna delle quali è classificata
all'interno di uno dei tre vantaggi e ne approfondisce una dimensione.
1. Vantaggi di proprietà:
Si tratta di vantaggi dovuti dal possesso di determinati asset oppure dovuti dalle competenze
nel gestire tali asset.
Vantaggio derivante dallo sfruttamento delle risorse presenti nella nazione di origine, quindi
un vantaggio nazionale, tale vantaggio è identificato dalle teorie economiche sul vantaggio
comparato e da Dunning stesso.
Vantaggio derivante dallo sfruttamento di un potere monopolistico o oligopolistico, quindi un
vantaggio di settore. Questi aspetti sono stati approfonditi da Hymer e Caves.
Hymer, partendo dalle considerazioni di Bain
9
sulle barriere e le condizioni di entrata le ap-
plica alle imprese di diversa nazionalità, per sopravvivere un’impresa deve creare un van-
taggio competitivo che porti all’erezione di barriere contro nuovi entranti e che producano
l’uscita dei competitors meno efficienti. Partendo dal servire il proprio mercato domestico
cerca di acquisire sempre maggiori quote di mercato, andando a costituire un oligopolio, nel
momento in cui vi è l’impossibilità di ampliare la propria quota nel mercato nazionale
l’impresa ricerca altri mercati oltre i confini nazionali.
Un’impresa che si insedia in un paese estero è però soggetta a tutti gli svantaggi connessi
alla condizione di società non nazionale; questo significa che vi sono imprese locali che so-
no avvantaggiate dal fatto che conoscono il proprio ambiente e questo vantaggio si tra-
sforma in barriera all'ingresso. Per subentrare le aziende estere dovrebbero quindi affronta-
re costi notevoli, anche se considerati fissi; tali costi sono possibili se l’azienda possiede un
vantaggio oligopolistico o monopolistico, ad esempio conoscenze di tipo esclusivo. Si ricor-
re perciò agli IDE in quanto una competenza non è facilmente trasferibile oppure se per im-
perfezioni di mercato è più conveniente impiegare tali vantaggi all’interno dell’impresa.
Inoltre Hymer considera anche un altro fattore che spiega gli IDE, il fatto cioè che
l’acquisizione o la fusione con un soggetto estero rimuove la competizione ed evita conflitti;
9
(Bain, 1956)
Evoluzione dei processi di internazionalizzazione. Il caso Caleffi 10
infatti, con un controllo centralizzato si può ottenere un maggior profitto rispetto ad una si-
tuazione con più decisori.
Due esempi estremi:
i. Il caso di competizione orizzontale, due paesi con un’unica azienda ciascuno; si può
generare una collusione che porta all’aumento dei profitti. Lo stesso si ripete in un mec-
canismo di oligarchia qualora ci fossero barriere all'entrata.
ii. Situazione di monopolio bilaterale, quindi il caso di integrazione verticale. Quando a-
ziende di un paese vendono ad altre, se sono in numero ristretto, possono emergere
forme di cooperazione per aumentare il profitto totale.
Caves
10
, riprende dagli studi di Hymer e descrive che gli investimenti diretti esteri avvengo-
no soprattutto in quei settori caratterizzati da forme di mercato oligopolistiche e sono rap-
presentati da processi di estensione nel medesimo settore ed in una nazione diversa. At-
traverso strategie che agiscono:
i. In senso orizzontale, produzione all’estero dello stesso bene, ma adottando una diffe-
renziazione di prodotto;
ii. In senso verticale, a monte o a valle del processo produttivo anche al fine di creare bar-
riere all’entrata per i concorrenti;
iii. In senso conglomerale, strategie di tipo finanziario fiscale per reinvestire utili e per ab-
battere eventuali rischi di cambio.
Vantaggio derivante dal controllo di un insieme di risorse e di competenze da parte di una
singola impresa rispetto ai concorrenti, tale vantaggio è esposto dalle teorie resource-
based view RBV, e dalle teorie evolutive di impresa.
Con risorse s’intendono tutti gli assets disponibili ad un’impresa, poi diverse sono le inter-
pretazioni: Wernerfelt
11
le definisce come tutto ciò che può essere considerato punto di for-
za o di debolezza di un’impresa; Barney
12
invece distingue le risorse in tre categorie; risor-
se fisiche, umane e capacità organizzative.
Secondo la RBV, il vantaggio competitivo di un’impresa discende dal fatto che tutte le im-
prese sono eterogenee, vantando ciascuna una dotazione di risorse differente. Per produr-
re potenzialità le risorse di un’impresa devono produrre valore, essere rare ed essere diffi-
cilmente imitabili.
Alcuni studiosi hanno poi analizzato le risorse non come un semplice stock a disposizione
dell'impresa ma come un potenziale in continua evoluzione.
10
(Caves, 1971)
11
(Wernerfelt, 1984)
12
(Barney, 1991)
Evoluzione dei processi di internazionalizzazione. Il caso Caleffi 11
Mintzberg
13
parla di sprint e pause, in pratica si considera una situazione di partenza con
un determinato stock di risorse, poi a seguito di un impulso dovuto a determinati stimoli, si
ottiene un’innovazione che porta a un nuovo equilibrio, possibilmente migliore rispetto a
quello precedente.
In un’ottica dinamica le risorse devono essere alimentate e protette, non si esauriscono
come altri beni, ma costituiscono secondo Prahalad, Doz, Hamel
14
le core competence.
Teece
15
, utilizza il concetto di dynamic capabilities per spiegare come nel tempo sia neces-
sario mantenere una capacità manageriale di gestione delle risorse che ne permetta lo svi-
luppo in un ambiente in continuo mutamento. Non è solo necessario possedere le risorse
ma, anche organizzarle dal punto di vista del vantaggio competitivo.
Per quanto riguarda le teorie evolutive dell'impresa, l'enfasi si pone sul percorso che l'a-
zienda ha già compiuto, path dependency, sulle variazioni possibili e sulla selezione da par-
te del mercato. In pratica si estende la teoria di Darwin all'economia. Nelson e Winter
16
, svi-
luppano l'approccio evolutivo alla teoria dell'impresa, sostengono che l'obiettivo dell'azienda
è il raggiungimento di un profitto soddisfacente, nel caso si è sopra la soglia minima, ven-
gono adottate routine stabili; qualora il livello di profitto sia al di sotto, si ricercano nuove
routine, o meglio si ricerca innovazioni che possano portare l'azienda a sopravvivere
nell'ambiente, avendo come selezionatore l'ambiente stesso ed il mercato.
Vantaggio derivante dalle competenze dei manager di individuare, valutare ed acquisire a
livello mondiale le risorse e le competenze necessarie per l'impresa e di coordinarle con
quelle già esistenti.
Queste teorie includono inoltre definizioni della struttura organizzativa di un’impresa, Praha-
lad e Doz
17
, definiscono come fonte del vantaggio competitivo la qualità dell'organizzazione
e del management. Bartlett e Goshal
18
, propongono il modello transnazionale, come un
modello, per cui l'impresa si configura come una rete integrata che permette un processo di
apprendimento su scala globale consentendo il trasferimento di conoscenze.
13
(Mintzberg, 1978)
14
(Hamel, et al., 1983); (Prahalad, et al., 1987)
15
(Teece, et al., 1997)
16
(Nelson, et al., 1982)
17
(Prahalad, et al., 1987)
18
(Barlett, et al., 1989)
Evoluzione dei processi di internazionalizzazione. Il caso Caleffi 12
2. Vantaggi di localizzazione:
Spiega le forze di attrazione di alcune nazioni o regioni nei confronti delle attività delle imprese
multinazionali. In altre parole più alcune risorse sono immobili e quindi legate ad un determina-
to spazio, maggiore sarà la presenza internazionale delle imprese.
Teorie tradizionali sulla localizzazione; rivolte a spiegare inizialmente la scelta dei siti pro-
duttivi. Gli autori che si sono susseguiti sono Weber 1929, Hotelling 1929, Hoover 1948,
Losch 1954 e Isard 1956. L'analisi si focalizza sui costi di trasporto, andando a evidenziare
un problema di minimo, dato che, i costi di trasporto incidono sul profitto.
Teorie sui processi di internazionalizzazione, che spiegano l'espansione territoriale attra-
verso il concetto di distanza psicologica. In particolare Johanson e Vahlne
19
illustrano un
modello in cui l'internazionalizzazione è un processo incrementale che non dipende dalla
ricerca di un'allocazione efficiente delle risorse, bensì da una serie di continui aggiustamen-
ti nelle operazioni di un’impresa. Attraverso un’analisi empirica riconoscono che le aziende
nell'internazionalizzarsi seguono diversi step che vanno dall'esportazione, alla creazione di
filiali commerciali alla produzione manifatturiera. I due autori partono dal presupposto che
una delle peculiarità dell'internazionalizzazione è la mancanza d’informazione e di cono-
scenza e suppongono che la spinta al processo sia di tipo incrementale e in risposta a con-
tinui stimoli da parte dell'ambiente. Il modello prevede due aspetti. Uno di stato che rac-
chiude la dotazione di risorse investite all'estero e la conoscenza del mercato estero. Un
secondo aspetto è di cambiamento e include le decisioni di impegnarsi all'estero e le per-
formance che si ottengono dal business. Si ottiene così un modello ciclico e dinamico in cui
in ogni momento si è a un certo grado di internazionalizzazione e solo grazie alla cono-
scenza che si acquisisce tramite l'esperienza, è possibile aumentare le operazioni all'este-
ro.
Le teorie sull'agglomerazione spiegano la concentrazione geografica attraverso l'interazio-
ne di forze centripete quali dimensioni del mercato, mercato del lavoro, economie esterne e
di forze centrifughe come risorse non mobili e diseconomie esterne.
Teorie dei geografi industriali sui costi di transazione spaziali, Scott 1996, Storper 1995,
Florida 1995.
3. Vantaggi di internalizzazione:
Si spiega con questo insieme di teorie le modalità di internazionalizzazione, quali esportazioni,
licensing, o investimento diretto. Ammesso che vi sia un vantaggio di proprietà e di localizza-
zione, ci si chiede se tale vantaggio sarà sfruttato dall'impresa stessa oppure venduto, oppure
ceduto il diritto ad utilizzarlo a un’impresa locale. Maggiori sono i benefici dell'internalizzazione
maggiore sarà la possibilità di operare tramite investimenti diretti.
19
(Johanson, et al., 1977)