3
Introduzione
La lunga stagione del terrorismo costituì un grande trauma per l’Italia
repubblicana degli anni ’70. L’obiettivo di questa ricerca è quello di analizzare
l’atteggiamento del Partito Socialista Italiano di fronte alla nascita del terrorismo
in Italia, attraverso i suoi principali organi di stampa: l’“Avanti!” e
“Mondoperaio”. Gli anni presi in considerazione da questo studio sono quelli
compresi tra la strage di piazza Fontana (considerato dalla maggior parte degli
storici il primo episodio significativo della “strategia della tensione”) e la fine del
1974, periodo nel quale la lotta armata subì duri colpi grazie alla repressione delle
forze dell’ordine, ma dal quale contemporaneamente ripartì con rinnovato vigore.
Nella ricca produzione nazionale ed internazionale sul tema, esistono
analisi di diverso tipo, ma una vera riflessione storiografica appare oggi appena
agli inizi, dopo un primo avvio, tra la fine degli anni Settanta e la prima metà
degli anni Ottanta, cioè ancora nel vivo dell’emergenza terroristica e dunque con
tutti i condizionamenti che quella stagione portava con sé
1
. Le prime sintesi sulla
storia dell’Italia repubblicana, che risalgono ai primi anni ’90, come pure quei
testi che ripercorrono la storia del PSI dalla fondazione fino alla dissoluzione,
fanno emergere quella concezione che tenta di spiegare la nascita del terrorismo
con la visione “regressiva” degli anni ’70 da parte degli autori dei volumi: nella
maggior parte di questi scritti il decennio viene rappresentato come il periodo in
cui affiora la delusione di quelle generazioni che avevano vissuto nel decennio
precedente un periodo di inesorabile discesa della parabola di rinnovamento
politico e sociale del dopo Sessantotto, trascurando il fatto che gli anni Settanta
furono anche gli anni dei diritti civili, della partecipazione e del varo di
significative riforme
2
.
Dalla fine degli anni ’80 abbiamo assistito ad un considerevole aumento di
memorialistica: la stragrande maggioranza dei libri di memorie fu scritta da ex
brigatisti e reduci della sinistra rivoluzionaria. L’elemento che accomuna le
1
Su questo tema cfr. G. M. Ceci, Interpretazioni del terrorismo: il primo dibattito scientifico
italiano (1977-1984) in Mondo Contemporaneo, Milano, Franco Angeli, Fascicolo 3, 2009.
2
Barbara Armani, La produzione storiografica, giornalistica e memoriale sugli anni di piombo in
Marc Lazar, Marie-Anne Matard-Bonucci (a cura di), Il libro degli anni di piombo: storia e
memoria del terrorismo italiano, Milano, Rizzoli, 2010, pp. 211-212.
4
diverse biografie è il tentativo, più o meno esplicito, di giustificare a posteriori le
proprie scelte e i propri comportamenti. La storiografia italiana che si è
concentrata unicamente sul fenomeno “terrorismo” non è ancora riuscita
nell’intento di ricostruire i contesti, le condizioni e i percorsi che hanno favorito il
prodursi dell’azione violenta.
D’altra parte i testi che affrontano la storia del Partito Socialista trattano in
maniera marginale l’argomento “terrorismo” e non esiste alcuno studio
concernente l’atteggiamento del PSI di fronte alla nascita del fenomeno. Il
significato della presente ricerca è appunto quello di ricostruire i comportamenti e
le prese di posizione di una delle più importanti formazioni politiche del periodo
di fronte ad un fenomeno così rilevante e così complesso.
La fase storica presa in analisi prende le mosse dal periodo
immediatamente successivo alla contestazione del Sessantotto e del cosiddetto
“autunno caldo”, stagione di lotte e rivendicazioni operaie. A livello politico il
dominio della Democrazia Cristiana era incontrastato, nonostante la forte ascesa
del PCI (il partito comunista più forte dell’intera Europa occidentale). Il Partito
Socialista occupava un’importante posizione; era la terza forza politica italiana ed
entrò in diversi ministeri sempre diretti da esponenti democristiani: inaugurò la
stagione di centro-sinistra nel primo governo Moro alla fine del 1963, uscì dalla
coalizione di governo nel giugno del ‘68 e vi rientrò alla fine dello stesso anno nel
primo ministero guidato da Rumor. Nel 1972 il PSI fu fermo oppositore del
governo centrista di Andreotti, che cadde nel giugno del ’73 e vide il reingresso
dello schieramento socialista in un nuovo ministero guidato ancora una volta da
Rumor e che fu chiamato ad affrontare la difficile sfida dell’uscita dalla crisi
economica.
Il contemporaneo e travagliato periodo politico coincise con la fase di
incubazione e di insorgenza della violenza politica e della lotta armata, che durò
all’incirca fino alla fine del 1974. In questo periodo nel PSI emersero sostanziali
incomprensioni delle caratteristiche proprie degli episodi terroristici e una
considerevole sottovalutazione della pericolosità dell’estremismo di sinistra. La
violenza politica, che fu decisamente e ripetutamente condannata dal PSI, venne
prevalentemente, o addirittura quasi interamente, attribuita ai gruppi dell’estrema
5
destra e alle bande neofasciste. Si potrebbe sostenere che questa “miopia" fu il
prodotto del rifiuto di considerare “di sinistra” coloro che ricorrevano alla
violenza politica e dell’incapacità reale di comprendere la novità del fenomeno.
La teoria degli opposti estremismi, che si andò definendo in quei mesi, fu respinta
categoricamente dal Partito Socialista.
Nello stesso periodo la politica stragista, a sostegno della strategia della
tensione e delle mai sopite aspirazioni golpiste di alcuni strati conservatori della
società italiana, messa in atto dai gruppi della destra extraparlamentare e che
godeva di ampie connivenze in vari settori dello Stato, fu condannata fermamente
dal Partito Socialista, così come, più in generale, da tutta la classe politica del
paese.
Le fonti bibliografiche utilizzate riguardano la storia del Partito Socialista
negli anni presi in considerazione e il tema del terrorismo italiano soprattutto sotto
il profilo documentale, statistico, sociologico e politologico. La principale fonte
primaria utilizzata è ovviamente il quotidiano ufficiale del PSI, l’“Avanti!”, che,
accanto alla cronaca degli avvenimenti, forniva alcune riflessioni sotto forma di
editoriali del direttore, del condirettore della testata e dei principali esponenti del
partito demartiniano; riportava i discorsi parlamentari dei rappresentanti socialisti
ed i resoconti dettagliati (con annessi comunicati) delle riunioni della direzione e
del Comitato centrale del partito. Altra fonte adoperata è stata la rivista ufficiale di
carattere politico-culturale del Partito Socialista di quegli anni, “Mondoperaio”,
che, tuttavia, durante il periodo preso in considerazione, ha mostrato pochissima
attenzione al tema oggetto di studio. Alcuni siti informatici sono stati utilizzati
invece per ritrovare importanti e significativi documenti dell’epoca, come ad
esempio i comunicati delle Brigate Rosse durante il sequestro del giudice
genovese Mario Sossi.
Il testo si divide in quattro capitoli, caratterizzati dalla successione
cronologica degli episodi terroristici e dalle risposte del partito preso in esame. Il
primo capitolo è un excursus introduttivo che documenta la situazione del Partito
Socialista negli anni ’60: l’entrata nella coalizione di governo che inaugurò la
stagione del centro-sinistra in Italia, l’unificazione (e la successiva scissione) con
il Partito Socialdemocratico Italiano e le reazioni nei confronti del caso del
6
SIFAR, fino ad arrivare alla vigilia della strage di piazza Fontana, con gli scontri
di Milano che videro la morte dell’agente di polizia Antonio Annarumma.
Il secondo capitolo tratta gli anni dal 1969 al 1971: si apre con la
descrizione di quelle azioni sovversive che molti storici ritengono il prodromo
della strage di piazza Fontana, ovvero gli attentati alla Fiera campionaria e alla
stazione Centrale di Milano del 25 aprile. In seguito si occupa dell’eccidio del 12
dicembre, riportando le prime reazioni socialiste, che sarebbero rimaste
sostanzialmente inalterate nel corso dell’interminabile iter investigativo e
giudiziario della vicenda. Successivamente vengono descritti i risvolti e il
significato politico della rivolta egemonizzata dalla destra extraparlamentare a
Reggio Calabria; viene poi ripercorsa la nascita delle prime formazioni estremiste
di sinistra (i GAP dell’editore milanese Giangiacomo Feltrinelli, il gruppo XXII
Ottobre a Genova e le prime Brigate Rosse) e la descrizione delle loro prime
azioni. La ricerca ha dimostrato come queste prime iniziative vennero
minimizzate e trascurate dal Partito Socialista e dal suo organo ufficiale di
stampa.
Il capitolo seguente affronta il biennio ’72-’73 fornendo una descrizione
minuziosa degli atti terroristici e le reazioni di un Partito Socialista che sembrava
rifiutare il riconoscimento dell’estremismo di sinistra, in particolare all’indomani
degli atti eversivi dei vari gruppi riconducibili a quel settore: la morte dell’editore
Feltrinelli sul traliccio di Segrate alle porte di Milano durante la preparazione di
un proprio attentato terroristico, l’assassinio del commissario Luigi Calabresi, il
rogo di Primavalle e la “politica del sequestro di persona” inaugurata dalle Brigate
Rosse con il rapimento dell’ingegner Idalgo Macchiarini nel marzo 1972, e
proseguita nel corso del 1973 con i sequestri del sindacalista della CISNAL Bruno
Labate, del dirigente dell’Alfa Romeo Michele Mincuzzi e del capo del personale
Fiat Enrico Amerio (rispettivamente in febbraio, giugno e dicembre). Reazioni
completamente diverse, di sdegno, esecrazione e ferma condanna, emersero nei
confronti degli episodi che videro coinvolti gruppi di giovani della destra radicale:
la strage di Peteano, il ferimento del giovane neofascista Nico Azzi con un suo
stesso ordigno, l’uccisione dell’agente di polizia Antonio Marino e la strage alla
questura di Milano ad opera del sedicente anarchico Gianfranco Bertoli.
7
Il capitolo conclusivo, infine, passa in rassegna gli accadimenti dell’ultimo anno
preso in considerazione, il 1974, che rappresentò un salto di qualità nella vicenda
del terrorismo e dello stragismo in Italia. Nel 1974 si assistette infatti ad una
ripresa delle attività dei gruppi della destra radicale, rinforzatisi nonostante lo
scioglimento di quello che negli anni precedenti era stato il gruppo eversivo di
riferimento del neofascismo italiano, Ordine Nuovo. L’azione dell’eversione di
destra al servizio della strategia della tensione e dei progetti di golpe culminò
nelle due stragi di primavera-estate, a piazza della Loggia a Brescia, il 28 maggio,
e sul treno “Italicus” a San Benedetto Val di Sambro nei pressi di Bologna, il 4
agosto. Negli stessi mesi avvenne anche la più importante azione della prima fase
di militanza armata delle Brigate Rosse, il sequestro Sossi, cui seguì
un’imponente controffensiva delle forze dell’ordine contro il gruppo guidato da
Renato Curcio. La comparsa di una nuova organizzazione armata di sinistra (i
NAP di Napoli e di Firenze), i primi omicidi targati BR e l’arresto di molti dei
componenti storici dell’organizzazione brigatista e degli altri gruppi armati che
gravitavano nel settore dell’estrema sinistra portò il PSI ad una riflessione più
attenta: aumentò, difatti, la considerazione della pericolosità per quanto
riguardava le azioni terroristiche dei gruppi di sinistra che cominciarono ad essere
percepiti come tali anche dal PSI stesso. La politica stragista dell’estrema destra,
invece, subì una condanna che in ogni caso non si discostava da quello che era
stato il comportamento abituale del Partito Socialista in quegli anni, che tramite il
suo organo ufficiale di stampa, aveva censurato quasi giornalmente i focolai
neofascisti e aveva messo in guardia in maniera molto assidua dalle spinte
eversive provenienti da quel settore.
8
Capitolo I
Il Partito Socialista Italiano alla vigilia della strage di piazza Fontana
1. I primi anni Sessanta: la nascita del centro-sinistra
Gli anni Sessanta rappresentarono un decennio molto importante per il
Partito Socialista Italiano: il partito di Pietro Nenni era già tornato all’autonomia
dopo la fine dell’alleanza col Partito Comunista Italiano in seguito all’invasione
sovietica in Ungheria e al XXXII congresso del PSI a Venezia nel febbraio del
1957
3
.
Da quel momento il PSI aveva cominciato a guardare favorevolmente ad
un progressivo avvicinamento all’ala progressista della Democrazia Cristiana,
all’epoca partito di maggioranza relativa del paese e sempre presente al governo
dal dopoguerra. Nei primissimi anni Sessanta il rapporto DC-PSI fu ondivago e
caratterizzato da improvvise rotture (mozione parlamentare di sfiducia dei
socialisti al governo presieduto da Amintore Fanfani nel luglio del ’61) e fulminei
riavvicinamenti; ciononostante nel marzo del ’62 il Comitato centrale socialista
decise all’unanimità di appoggiare, con l’astensione, il nuovo governo Fanfani. Il
PSI entrò praticamente nella maggioranza politica: fu la nascita della politica di
centro-sinistra
4
.
A seguito del nuovo corso avviato dal PSI, l’ala di sinistra più
intransigente uscì dal partito, andando a formare un nuovo schieramento politico:
il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) che con il suo leader
Tullio Vecchietti ottenne un buon risultato alle elezioni politiche del 1968 (4,45
%) in coalizione col PCI. Il partito ebbe però vita breve in quanto fu sciolto in
seguito alla sconfitta elettorale nelle politiche del 1972 e molti dei suoi
componenti più importanti confluirono nel PCI o tornarono nelle fila del Partito
Socialista
5
.
3
G. Galli, Storia del socialismo italiano, Roma-Bari, Laterza, 1983, p. 221.
4
Ivi, p. 241.
5
M. Degl’Innocenti, Storia del Psi (3: Dal dopoguerra ad oggi), Roma-Bari, Laterza, 1993, p.
361.
9
Nel dicembre del 1963, in seguito ai risultati elettorali dell’aprile dello
stesso anno e alle dimissioni del governo presieduto da Giovanni Leone, Aldo
Moro diede vita ad un governo con la partecipazione dei socialisti: il PSI ottenne
quattro ministeri e la vice-presidenza del Consiglio affidata all’ex segretario del
partito Pietro Nenni; al suo posto andò Francesco De Martino. Il PSI iniziò
fiducioso la fase di centro-sinistra al governo con la volontà e la speranza di
mettere in pratica il suo profondo programma di rinnovamento del paese
6
.
Gli anni Sessanta furono importanti (anche e soprattutto) per la grande
ondata di protesta che esplose in comportamenti collettivi, ad iniziare da quello
degli studenti dell’università di Berkeley (in California) del 1964: il PSI, preso a
garantire in Italia il normale funzionamento della democrazia rappresentativa,
messo apparentemente o realmente in discussione in presenza di determinate
spinte sociali, ignorò del tutto o quasi questo tipo di movimenti
7
.
Sotto questo aspetto la prima crisi del centro-sinistra fu emblematica,
quando a causa di uno stanziamento pubblico per la scuola privata cattolica, il
governo Moro fu messo in minoranza alla Camera; la crisi di governo si trascinò
fino al mese di luglio intrecciandosi col tentativo di dare una svolta autoritaria al
paese messo in atto dal generale Giovanni De Lorenzo, comandante dell’Arma dei
carabinieri. Lo studioso socialista Giuseppe Tamburrano, che poté utilizzare gli
appunti e le confidenze di Nenni sull’avvio del centro-sinistra, sostiene:
Nenni e i dirigenti socialisti sapevano che il capo dello Stato [Antonio Segni], i
dirigenti democristiani e gli alti gradi militari erano decisi a ottenere un governo di
orientamento diverso dal primo governo Moro, che erano pronti a elezioni anticipate, che
erano adeguatamente preparati ad affrontare eventuali reazioni della sinistra. Può essere
una mera coincidenza ma il fatto che le trattative per la formazione del governo di centro-
sinistra si sblocchino grazie a un atteggiamento socialista accomodante, proprio il giorno
in cui Moro si incontrò con De Lorenzo, è estremamente significativo: sta a indicare la
progressione e l’avvio a conclusione di un processo a tenaglia sul PSI, costretto a
scegliere tra il cedimento alle pressioni moderate da una parte e il fallimento del centro-
sinistra, lo scontro nel parlamento e nelle piazze dall’altra. Il sistema rifiutò le riforme. O
il PSI rientrava nell’area capitalista, o il capitalismo usciva dall’area democratica
8
.
6
G. Galli, Storia del socialismo italiano, cit., p. 247.
7
Ivi, p. 254.
8
Ivi, pp. 254-255.
10
In realtà, il colpo di Stato non fu preparato, ma solo adombrato a scopo di
pressione: il cosiddetto “Piano Solo” venne poi scoperto pubblicamente solamente
tre anni dopo nel 1967, grazie ad un’inchiesta pubblicata dal settimanale
“L’Espresso”. In sede di commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti del luglio
del ’64 il leader socialista Nenni precisò: « Non erano a mia conoscenza fatti di
tale entità o gravità che mi facessero e ci facessero ritenere che ci fossero state
iniziative di carattere positivo e concreto volte a un intervento militare o delle
forze di polizia nelle vicende del paese »
9
.
Il PSI, comunque, rinunciò anche formalmente al programma riformatore
e, nonostante l’arrivo al Quirinale (nel dicembre del ’64 in sostituzione dell’ex
presidente Segni colpito da ictus cerebrale) di un uomo di estrazione socialista
come Giuseppe Saragat, che sembrò inserirsi in una dinamica riformista, la
situazione si evolse diversamente. La programmazione non decollò e gli sforzi dei
ministri socialisti nei singoli settori diedero risultati mediocri. Non ci furono:
politica urbanistica globale, riorganizzazione del sistema scolastico e sanitario,
avvio del superamento del divario Nord-Sud, rinnovamento della pubblica
amministrazione e si accentuò l’autonomia dei cosiddetti corpi separati (servizi
speciali, pubblica sicurezza, Arma dei carabinieri)
10
.
Infine ebbe effetto negativo l’avvio del processo di unificazione col Partito
Socialista Democratico Italiano (PSDI), un partito già largamente intaccato dalla
pratica del clientelismo a causa delle sue modeste dimensioni che lo costrinsero a
cercare risorse materiali e consenso nella gestione del potere, soprattutto locale,
del tutto subalterna agli indirizzi della DC
11
.
2. L’unificazione socialista, il caso del SIFAR e la contestazione giovanile
La via dell’unificazione fu intrapresa dal PSI nel suo XXXVI Congresso
nazionale a Roma (10-14 novembre 1965) nel quale si formò attorno a Pietro
Nenni, Francesco De Martino e Giacomo Mancini (favorevoli all’unità) una larga
maggioranza dell’80 % dei voti contro la minoranza del 20 % (contraria
9
G. Galli, Storia del socialismo italiano, cit., p. 256.
10
Ivi, p. 257.
11
Ivi, p. 259.
11
all’unificazione) rappresentata dall’ala sinistra del partito, il cui esponente
principe era Riccardo Lombardi
12
.
Fu il XXXVII Congresso straordinario che sancì la confluenza in un clima
euforico; il 30 ottobre 1966 il Partito Socialista Unificato (PSU) fu un fatto
compiuto: Nenni, vero artefice dell’unificazione in accordo con Saragat, fu eletto
presidente; segretari furono nominati Mario Tanassi (ex PSDI) e De Martino, vice
Giacomo Brodolini e Antonio Cariglia (ex PSDI); Mauro Ferri (ex PSDI) fu eletto
capogruppo dei deputati ed Edgardo Lami Starnuti (ex PSDI) dei senatori
13
.
L’unificazione comportò subito degli stravolgimenti interni al partito:
cambiò anzitutto sensibilmente la sua composizione, in quanto diminuirono gli
iscritti appartenenti alla classe operaia e aumentarono quelli appartenenti ai ceti
medi; altra novità fu sicuramente rappresentata dalla cosiddetta “carta
dell‘unificazione”, che dopo una riaffermazione del patrimonio di esperienze
dottrinarie appartenenti alla storia del socialismo italiano affermava
l’adeguamento della dottrina e dell’azione « all’evoluzione dei tempi e dei
rapporti sociali » e che « il partito non chiede ai suoi militanti l’adesione a un
credo filosofico e religioso »
14
; quest’ultima proposizione costituì una netta
rottura col passato e collocò il nuovo partito unificato in una posizione
“a-ideologica”
15
.
I problemi interni per il partito non tardarono però ad arrivare: già nel
primo Comitato centrale del gennaio ’67 fu palese la mancanza d’unità del gruppo
dirigente, tanto che entrambi i segretari tennero una propria relazione introduttiva.
Si ritenne subito fallita l’esperienza del doppio segretario e il Comitato centrale
approvò solo a fatica un compromesso unitario di conferma della validità del
centro-sinistra, ma anche di preoccupazione per lo stallo dello slancio innovatore
per le tendenze moderate e rallentatrici della DC. La sinistra lombardiana parlò
invece già apertamente di involuzione e degenerazione del centro-sinistra. A quel
punto il partito fu come congelato, colpito da una paralisi organizzativa e di
12
G. Galli, Storia del socialismo italiano, cit., p. 260.
13
M. Degl’Innocenti, Storia del Psi (3: Dal dopoguerra ad oggi), cit., p. 374.
14
G. Galli, Storia del socialismo italiano, cit. p. 262.
15
Ibidem.
12
movimento; la riorganizzazione a livello periferico stentò e il disagio in relazione
all’eccessiva euforia dei giorni della Costituente crebbe
16
.
Nel frattempo fu la vicenda greca a toccare profondamente anche la vita
politica italiana: il 21 aprile 1967 un colpo di stato militare rovesciò il governo
costituzionale, instaurando una dittatura che sarebbe durata fino al 1974 (il
cosiddetto “regime dei colonnelli”); fu proprio in collegamento con le
ripercussioni di questo avvenimento che i giornalisti Lino Jannuzzi ed Eugenio
Scalfari pubblicarono sul settimanale “L’Espresso” alcune rivelazioni sugli
avvenimenti del luglio 1964, accusando l’ex presidente della Repubblica Segni e
l’ex comandante dell’Arma dei carabinieri De Lorenzo di aver adottato in
quell’occasione, attraverso il Servizio Informazioni Forze Armate Repubblicane
(SIFAR), misure di sicurezza non autorizzate dal governo, tendenti ad imporre la
formazione di un ministero di destra. Le rivelazioni ebbero numerose
ripercussioni che si svilupparono in un’atmosfera caratterizzata da minacce e
ricatti; l’opposizione comunista chiese un’inchiesta parlamentare alla quale una
parte del nuovo partito unificato, indignata per i gravi avvenimenti, fu favorevole.
Il governo (a maggioranza DC, ovviamente) fu riluttante perché temeva di mettere
in moto un ingranaggio capace di strangolare la Repubblica
17
.
All’interno del Partito Socialista Unificato il nodo venne al pettine nella
seduta della direzione del 26-27 gennaio 1968 che vide per la prima volta il
distacco tra Nenni e De Martino. La risoluzione che ratificò gli accordi stilati tra i
tre partiti della maggioranza, nei quali la DC aveva respinto la richiesta socialista
di un’inchiesta parlamentare sul SIFAR e sui fatti del luglio 1964 fu approvata
con 27 voti favorevoli e 12 astensioni; questa dopo aver « preso atto delle
difficoltà incontrate dalla propria iniziativa, volta a raccogliere il consenso di tutte
le forze del centro-sinistra in favore di una inchiesta parlamentare che avesse
come oggetto fatti e vicende relative al Luglio 1964 e al ruolo che in esse avevano
avuto corpi speciali dello Stato »
18
, di fronte all’opposizione della Democrazia
16
M. Degl’Innocenti, Storia del Psi (3: Dal dopoguerra ad oggi), cit., p. 375.
17
F. Pedone, Novant’anni di pensiero e azione socialista attraverso i congressi del Psi, V: 1966-
1984, Venezia, Marsilio, 1985, pp. 23-24.
18
Ivi, p. 24.
13
Cristiana che considerò tale iniziativa « motivo di una crisi di governo »
19
,
ritenne che tale atteggiamento, « oltre alle conseguenze gravi che avrebbero
potuto derivarne per la vita del Paese, fosse di per sé suscettibile di rendere
inattuabile l’avvio di una iniziativa parlamentare nel senso auspicato »
20
. Per
questo la direzione chiese al Governo di condurre a termine « tutte le indagini
necessarie »
21
e di adottare « i provvedimenti conseguenti, dandone ampia e
completa informazione al Parlamento »
22
.
Sul fronte interno il periodo di pace sociale perdurante dall’inizio del 1963
si interruppe a partire dal novembre del 1967, mese nel quale ebbero inizio le
occupazioni delle università in seguito alla presentazione della legge di riforma
universitaria (numero 2314) in Parlamento; il movimento studentesco prese
esplicitamente a modello quella forma tipica di lotta operaia dei periodi di
tensione che fu l’occupazione delle fabbriche. I giovani dimostrarono in modo
violento la propria insofferenza contro una scuola vecchia, superata e chiusa alle
riforme e al rinnovamento. La rivolta studentesca partì dall’Università Cattolica di
Milano e dalla facoltà di sociologia di Trento per poi estendersi ad altre
università: Roma, Torino, Padova; il movimento studentesco tardò però a
prendere consapevolezza dei suoi obiettivi e fu animato da una confusa
ispirazione ideologica che andò dall’anarchismo alla rivoluzione culturale cinese
fino all’esaltazione della tirannia staliniana. Quando nel maggio del ‘68 gli
studenti parigini occuparono la Sorbona e trasformarono il quartiere latino in un
terreno di guerriglia, la contestazione trovò nuovo vigore e nuovo stimolo.
Nell’autunno si estese alle fabbriche e alla Pirelli di Milano andò in scena il primo
incontro tra studenti universitari e operai delusi per la lunga stasi seguita
all’ondata di rivendicazioni del ’62-’63. Nacquero così i Comitati Unitari di Base
(CUB) che scavalcarono commissioni interne e sindacati
23
.
Il Partito Socialista Unificato diventò uno dei primi bersagli della
contestazione principalmente per la sua costante collaborazione con la
19
F. Pedone, Novant’anni di pensiero e azione socialista attraverso i congressi del Psi, V: 1966-
1984, cit., p. 24.
20
Ibidem.
21
Ibidem.
22
Ibidem.
23
Ivi, p. 26.
14
Democrazia Cristiana; e proprio per questo motivo esso non fu considerato un
interlocutore, neanche potenziale. Questa situazione ebbe un effetto determinante
sui risultati delle imminenti elezioni politiche
24
.
I risultati delle elezioni politiche del 19-20 maggio 1968, infatti, furono
molto deludenti, anche e soprattutto in relazione all’obiettivo di partenza del
nuovo partito unificato (il 20 % dei suffragi); il PSU ottenne il 15,2 % al Senato,
cioè il 5,1 % in meno rispetto alla somma dei voti ottenuti dal PSI e dal PSDI solo
cinque anni prima, e alla Camera l’arretramento fu dal 19,9 % al 14,5 %, cioè il
5,4 %, anche se dal dato complessivo doveva sottrarsi quello relativo alla
scissione del PSIUP dell’inizio del 1964. Contemporaneamente il PCI e la DC
ottennero incrementi di circa l’un per cento; nelle regioni settentrionali e nelle
cosiddette regioni rosse (Emilia-Romagna, Toscana e Umbria) i comunisti
divennero nettamente prevalenti sui socialisti, mentre nelle regioni meridionali le
perdite furono più contenute. Il Partito Socialista Unificato perse consensi tra gli
operai, i pensionati e soprattutto tra i giovani confermando di fatto il trend di
protesta giovanile contro il sistema e, nel particolare, contro il nuovo PSU
25
.
Nella riunione della direzione del partito convocata pochi giorni dopo le
elezioni, Nenni attribuì l’insuccesso elettorale all’interruzione del processo di
unificazione (« unificazione a metà »
26
) sul piano organizzativo e politico;
riconobbe l’esigenza di un chiarimento con la DC, ma escluse soluzioni-ponte per
il governo anche per l’aggravarsi delle tensioni sociali nel paese. De Martino,
invece, attribuì la causa della sconfitta al fatto che il centro-sinistra, nato come
sfida riformatrice, era diventato moderato. Infine la direzione approvò un
documento secondo il quale non esistevano le condizioni di un governo con la DC
e impegnava il partito a rilanciare la presenza socialista nel paese allo scopo di
valutare nei fatti la disponibilità della DC per una ripresa organica della politica di
centro-sinistra. Il Comitato centrale ratificò le posizioni prese della direzione il 1°
giugno ‘68
27
.
24
F. Pedone, Novant’anni di pensiero e azione socialista attraverso i congressi del Psi, V: 1966-
1984, cit., p. 27.
25
M. Degl’Innocenti, Storia del Psi (3: Dal dopoguerra ad oggi), cit., pp. 383-384.
26
Ivi, p. 384.
27
Ibidem.