4
Introduzione
La dissoluzione dei regimi comunisti dell’Est e Centro Europa, la seguente
transizione democratica e l’ingresso nell’Unione Europea nel maggio 2004 di dieci paesi di
quest’area (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia,
Slovenia e Ungheria) hanno destato l’interesse per lo studio delle rispettive forme di
intervento a fronte di rischi sociali comuni quali disoccupazione, esclusione sociale, povertà
e invecchiamento della popolazione. Il presente elaborato è volto a esaminare l’impatto che
il processo di europeizzazione ha esercitato sulle politiche sociali nazionali dei nuovi paesi
membri. Gli scopi principali sono due: il primo mira a presentare i maggiori cambiamenti
avvenuti nel corso del tempo avvenuti nei paesi presi in esame. Il secondo obiettivo è di
verificare se tali mutamenti siano stati influenzati realmente dal processo di integrazione
europea. Il primo capitolo presenterà i concetti fondamentali utilizzati nel testo, oltre alle tre
ipotesi sulle quali verte il quesito di ricerca. Il secondo capitolo illustrerà le caratteristiche
più rilevanti dei welfare state dell’Europa centro-orientale durante e dopo il periodo
comunista. In secondo luogo, sulla base dei tre diversi tipi di capitalismo transnazionale nati
in Europa centro-orientale, verrà descritta l’evoluzione delle politiche sociali fino a fine anni
’90 dei due case studies presi in esame: la Repubblica Ceca e la Slovenia . Il terzo capitolo
riguarderà invece l’analisi delle principali riforme attuate in questi paesi nell’ultimo
decennio. Infine, il quarto capitolo cercherà di comprendere se e in che modo l’Unione
Europea ha influenzato lo sviluppo delle politiche sociali nei PECO, trattando più nello
specifico i due paesi presi come riferimento nell’elaborato.
5
Capitolo I
I concetti fondamentali per lo studio dell’europeizzazione delle politiche
del lavoro e pensionistiche
Il presente capitolo illustrerà i concetti fondamentali che ricorrono nell’elaborato quali:
welfare state, politiche sociali, politiche del lavoro, politiche pensionistiche ed
europeizzazione (paragrafi 1.1 e 1.2). Nel paragrafo 1.3 verranno presentati i principali
strumenti dell’azione comunitaria, mentre nell’1.4 si farà riferimento alle tre ipotesi (world
of dead letters, fit/misfit, joining-the-club) sulla base delle quali verrà strutturata l’analisi
dell’elaborato. Per ultimo, il paragrafo 1.5 introdurrà brevemente l’evoluzione dei welfare
state dei paesi dell’Europa centro-orientale.
1.1 Concetti fondamentali: l’oggetto di analisi
Prima di tutto è importante definire alcuni termini che verranno utilizzati nel testo:
welfare state, politiche sociali, politiche del lavoro, politiche pensionistiche ed
europeizzazione. Si tratta dei concetti che ci aiutano a definire l’oggetto di analisi (le
politiche sociali e del lavoro) e il quesito di ricerca (esiste una qualche forma di
europeizzazione di queste politiche nei paesi di recente adesione all’Unione Europea?).
Iniziamo dalla definizione dell’oggetto di analisi. Maurizio Ferrera definisce il welfare state
come
«un insieme di politiche pubbliche, ossia di corsi di azione che poggiano
sull’autorità dello Stato. Questo insieme va collocato sullo sfondo di un processo
di trasformazioni economiche, sociali e politico-istituzionali che le scienze
sociali hanno definito processo di modernizzazione. […] Tramite queste
politiche lo Stato fornisce protezione contro rischi e bisogni sociali […] sulla
base di diritti e doveri.»
1
1
Ferrera M. (2006), L’Analisi delle Politiche Sociali e del Welfare State, in Ferrera M. (a cura di), Le Politiche
Sociali. L’Italia in Prospettiva Comparata, Bologna, Il Mulino, p. 16.
6
Le politiche sociali sono invece intese come
«corsi di azioni volti a definire le norme, gli standard e le regole in merito alla
distribuzione di alcune risorse e opportunità considerate particolarmente rilevanti
per le condizioni di vita […]. Nelle contemporanee democrazie queste norme,
standard e regole sono incorporate nella nozione di cittadinanza sociale. […] Le
politiche sociali sono volte a organizzare concretamente la produzione e
distribuzione di [tali] risorse e opportunità: ad esempio attraverso gli schemi
previdenziali, i servizi sanitari o quelli per l’impiego.»
2
Nell’ambito delle politiche sociali, due sono i sotto-settori che analizzeremo nel prosieguo
della tesi: le politiche del lavoro e sociali (pensionistiche in particolare). Per politiche del
lavoro si intende un insieme di regole e istituzioni preposte a risolvere un problema relativo
all’occupazione. I compiti svolti da tali politiche sono principalmente tre: la
regolamentazione del mercato del lavoro; il mantenimento o la garanzia del reddito a fronte
dei rischi di disoccupazione e sospensione temporanea del lavoro; la promozione
dell’occupazione. Si deve inoltre distinguere tra politiche attive e politiche passive. Le
prime, dette anche politiche proattive, mirano a prevenire il rischio di disoccupazione
riducendone le cause e creando nuova occupazione. Interventi in tal senso possono tradursi
in sussidi all’occupazione, formazione professionale, creazione di posti di lavoro, servizi per
l’orientamento ed il collocamento lavorativo, sostegno finanziario per la nuova
imprenditorialità. Diversamente le politiche passive, soprannominate anche politiche di
uscita o reattive, sono finalizzate a sostenere il reddito di chi ha perso il lavoro e di chi esce
dal mercato del lavoro. Lo strumento utilizzato consiste in un sistema di ammortizzatori
sociali, ossia prestazioni monetarie erogate a favore dei disoccupati quali ad esempio la cassa
integrazione o l’indennità di disoccupazione.
Il disegno istituzionale nel quale rientrano questi interventi è composto da tre pilastri:
Gli schemi di assicurazione sociale fanno parte del primo pilastro, sono obbligatori in
tutti i paesi dell’Unione Europea e prevedono l’erogazione di un’indennità di
disoccupazione sulla base del versamento di una determinata quota di contributi.
I sussidi di disoccupazione sono previsti anche nel secondo pilastro, ma in questo
caso si tratta di schemi assistenziali dedicati rivolti a coloro che non possono
accedere al primo pilastro o che hanno esaurito le spettanze ma si trovano ancora in
una condizione di bisogno.
2
Ivi, p. 12.
7
Infine il terzo pilastro comprende schemi assistenziali generali, denominati anche
schemi di ultima istanza o universali. In questo caso le prestazioni, finanziate dalla
tassazione generale, forniscono un reddito minimo garantito a tutti i cittadini che
presentano condizioni di indigenza.
3
Anche le politiche pensionistiche costituiscono un insieme di regole e istituzioni come le
politiche del lavoro. Nel settore di policy in esame, però, esse sono preposte a erogare
prestazioni in denaro a fronte di rischi sociali quali vecchiaia, invalidità e premorienza. In
quest’ultimo caso esistono due tipi di pensioni che vengono erogate in relazione al grado di
parentela con l’assicurato defunto: si tratta di pensione indiretta quando l’assicurato muore
prima del pensionamento e di pensione di reversibilità se ciò avviene dopo.
Si deve fare un ulteriore distinzione relativamente all’invalidità: la pensione di invalidità
civile viene concessa agli invalidi civili, ciechi e sordomuti e ha natura assistenziale; tutti
coloro che hanno perso in modo parziale o totale la capacità di lavoro a causa di un evento
invalidante hanno invece diritto alla pensione di invalidità previdenziale.
Per quanto riguarda la vecchiaia esistono ben quattro tipi di prestazioni. I lavoratori che
hanno superato l’età pensionabile ricevono una pensione previdenziale di vecchiaia, ma solo
se hanno già pagato i contributi per il periodo minimo richiesto dalla legge. Diversamente, la
pensione previdenziale di anzianità presenta come unica condizione di accesso il
raggiungimento del periodo contributivo minimo. Si definisce pensione sociale la
prestazione, di natura assistenziale, che assicura un reddito minimo a coloro che non
possiedono sufficienti requisiti contributivi, ma che hanno oltrepassato l’età pensionabile.
Bisogna comunque dimostrare il proprio reale bisogno mediante una prova dei mezzi. Infine
la pensione di base, erogata a tutti i cittadini anziani, ha lo scopo di assicurare una somma
minima fissa, indipendentemente dalla retribuzione lavorativa precedente.
Il sistema pensionistico può essere amministrato sia dal settore pubblico attraverso enti
previdenziali, sia dal settore privato mediante istituti privati quali banche, assicurazioni,
società di gestione del risparmio e fondi pensione. La gestione delle risorse può essere in due
modi: a capitalizzazione o a ripartizione. Entrambi corrono il pericolo di non essere
sostenibili finanziariamente, in quanto dipendenti dai cambiamenti demografici ed
economici. Nel sistema capitalizzazione, detto anche fully funded, i contributi versati dai
lavoratori vengono messi in un conto individuale, investiti e rivalutati sulla base dei
rendimenti dei mercati finanziari e poi convertiti in rendita al momento della pensione. Nel
3
Ferrera M. e Vesan P. (2006), Le Politiche del Lavoro, in Ferrera M. (a cura di), Le Politiche Sociali. L’Italia
in Prospettiva Comparata, Bologna, Il Mulino, pp. 113-116.
8
sistema a ripartizione, o pay-as-you-go (PAYG), invece, i contributi pagati dei lavoratori
vengono utilizzati per finanziare le pensioni delle generazioni precedenti.
Come per le politiche del lavoro, anche qui il disegno istituzionale è composto da tre pilastri:
Il primo pilastro comprende schemi pubblici obbligatori finanziati mediante il
sistema PAYG.
Nel secondo pilastro si trovano schemi complementari privati basati sul sistema a
capitalizzazione.
Del terzo pilastro fanno parte schemi individuali volontari generalmente gestiti da
istituti privati.
Un ulteriore distinzione deve essere fatta a proposito delle modalità di definizione delle
prestazioni in denaro. Con il termine flat rate si intende una somma fissa, forfetaria, slegata
dai contributi versati. Se l’importo è calcolato sulla media delle retribuzioni percepite, sugli
ultimi anni di lavoro o, addirittura, sui migliori anni di attività, si è in presenza di un sistema
retributivo. Esiste infine il sistema contributivo nel quale, al contrario di quanto detto prima,
l’ammontare varia a seconda del montante dei contributi versati. Tuttavia, in entrambi i
sistemi, il tasso di sostituzione rappresenta il rapporto tra la pensione percepita e l’ultima
retribuzione.
4
1.2 Definizione del concetto di europeizzazione
Come già detto in precedenza, questo elaborato si propone di analizzare l’impatto che
l’Unione Europea ha avuto sulle politiche sociali nazionali dei paesi dell’Europa centro-
orientale, con particolare riferimento alle politiche del lavoro e pensionistiche in Repubblica
Ceca e Slovenia. La prima domanda da porsi è quindi cosa si intende per europeizzazione.
Cowles, Caporaso, e Risse ritengono che il termine sia un sinonimo di integrazione europea
e lo definiscono come la nascita e lo sviluppo a livello europeo di distinte strutture di
governance, cioè sia di policy networks specializzati nella creazione di norme europee, sia di
istituzioni sociali, politiche e giuridiche che formalizzano le interazioni tra gli attori.
L’approccio istituzionalista utilizzato implica che i cambiamenti istituzionali a livello
europeo interagiscono con le istituzioni nazionali già esistenti; l’adeguamento delle ultime
risulta difficile a causa del costo di tale processo e del forte radicamento di alcuni
4
Jessoula M. e Ferrera M. (2006), Le Politiche Pensionistiche, in Ferrera M. (a cura di), Le Politiche Sociali.
L’Italia in Prospettiva Comparata, Bologna, Il Mulino, pp. 53-59.
9
procedimenti.
5
Paolo Graziano sostiene che, nell’ambito dello studio delle politiche pubbliche, il concetto di
europeizzazione debba essere arricchito. In questo caso l’europeizzazione è intesa come un
processo diviso in due fasi. La prima prevede la «costruzione a livello europeo di istituzioni
sovranazionali, di regole formali e informali e di politiche pubbliche». Ciò fa riferimento
all’individuazione a livello europeo, sia da parte degli stati membri che delle istituzioni
comunitarie, di problemi collettivi comuni e degli eventuali mezzi istituzionali o di politica
pubblica per la risoluzione. Le decisioni prese sono di tipo congiunto quando coinvolgono
prevalentemente le istituzioni europee: la Commissione, il Parlamento, il Consiglio. Si parla
invece di negoziazioni intergovernative se gli stati membri mantengono il controllo del
processo decisionale, nonostante le politiche nazionali siano regolate da accordi comunitari.
Nella seconda fase avviene la diffusione di mezzi, prima menzionati, nei sistemi politici
nazionali degli stati membri. Molte politiche interne dipendono dalle politiche e norme
comunitarie, in quanto le aree di policy nelle quali interviene l’Unione Europea sono sempre
più numerose. La spinta adattativa esercitata dal livello comunitario su quello nazionale e
subnazionale può essere di vario genere:
è di tipo impositivo quando deriva da un regolamento, vincolante per tutti i paesi
membri (un esempio è la PAC);
è di tipo direttivo quando, come nella politica ambientale, ha origine da una
direttiva, la quale lascia un certo margine di discrezionalità agli stati;
è di tipo coordinativo quando si fonda sulla cosiddetta soft law, caratterizzata da
raccomandazioni, opinioni e comunicazioni giuridicamente non vincolanti, ma che
esercitano comunque pressioni all’adattamento. È il caso della Strategia Europea per
l’Occupazione e del Metodo di Coordinamento Aperto;
per ultimo si parla di pressione regolativa non formalizzata quando le indicazioni
europee non presentano basi giuridiche, ma ciononostante comportano spinte alla
regolazione.
Rifacendosi a Cowles et al., Graziano afferma l’importanza di verificare se e quanto le
politiche comunitarie siano congruenti (fit) o incongruenti (misfit) con quelle nazionali. Più
l’insieme dei principi, obiettivi e strumenti alla base di una politica pubblica a livello
europeo è simile a quello del livello domestico, maggiore è la congruenza. Le pressioni
5
Caporaso J., Cowles M. G. e Risse T. (2001), Europeanization and Domestic Change: Introduction, in
Caporaso J., Cowles M. G. e Risse T. (a cura di), Transforming Europe. Europeanization and Domestic
Change, New York, Cornell Universtity Press, pp. 1-4.
10
dell’Unione Europea sono più forti quando l’incongruenza è più elevata e le relative
conseguenze consistono in mutamenti di policy e istituzionali. I primi riguardano solo la
struttura della politica pubblica (obiettivi, principi e procedure), mentre i secondi fanno
riferimento sia all’assetto che al funzionamento delle istituzioni. Per di più, in caso di
incongruenza di policy, le modalità di cambiamento sono diverse a seconda del vincolo
imposto dalla norma comunitaria. Avviene una cosiddetta trasformazione quando si
modificano le procedure, le strutture, i principi e gli obiettivi di policy, mentre se il
mutamento è solo parziale si parla di assorbimento; quando invece sono presenti ostacoli
all’adeguamento si tratta di resistenza.
6
Infine, in caso di imitazione, al fine di soddisfare le
richieste comunitarie informali, si alterano le politiche domestiche o, in alternativa, le
politiche introdotte a livello nazionale sono in linea con l’impianto di policy europeo.
7
Cowles et al. indicano tre fattori strutturali che favoriscono o inibiscono l’adattamento.
Maggiore è la dispersione del potere nel sistema politico, maggiore è la possibilità che gli
attori, come le parti sociali, intervengano nel processo di decision-making imponendo punti
di veto. La grande difficoltà a creare una coalizione vincente o a raggiungere il necessario
consenso per introdurre i cambiamenti istituzionali richiesti dall’Unione Europea rende i
punti di veto il fattore che più ostacola l’adeguamento degli stati membri. Un mezzo per
superare ciò è certamente un decision-making cooperativo che può essere riscontrato in
alcune culture politiche e organizzative. Esse determinano la possibilità o meno che gli attori
nazionali si avvalgano delle pressioni adattive europee per indurre cambiamenti strutturali.
Per capire meglio questo concetto si può fare riferimento a quanto accaduto in Germania e
Spagna. Nel primo caso l’adeguamento all’UE è stato possibile grazie al federalismo
cooperativo che ha favorito il raggiungimento del consenso tra i diversi Länder durante il
processo di decision-making. Questo però non è avvenuto in Spagna a causa dei forti
contrasti tra lo stato centrale e le comunità autonome. L’ultimo fattore è rappresentato dalla
promozione di istituzioni formali, la cui presenza permette agli attori di disporre delle risorse
ideazionali o dei mezzi materiali necessari a introdurre modifiche strutturali.
8
Secondo Graziano, Cowles et al. non chiariscono a sufficienza né se l’adattamento sia
realmente facilitato oppure ostacolato dalle istituzioni formali, dai punti di veto e da
determinate culture, né se essi rappresentino solo le conseguenze dei cambiamenti dovuti
6
Graziano P. (2004), Europeizzazione e Politiche Pubbliche Italiane. Coesione e Lavoro a Confronto,
Bologna, Il Mulino, pp. 16-22.
7
Graziano P. (2008), Europeizzazione: Vaso di Pandora o Lanterna di Diogene?, in Ferrera M. e Giuliani M.
(a cura di), Governance e Politiche nell’Unione Europea, Bologna, Il Mulino, p. 218.
8
Caporaso J., Cowles M. G. e Risse T. (2001), op. cit., pp. 9-10.
11
alle pressioni comunitarie. Nonostante concordi nell’includere tra i fattori facilitanti le
istituzioni formali, Graziano specifica che la loro definizione più corretta sia la seguente:
«organizzazioni dotate di regole e di comportamenti che variano a seconda della capacità di
influenza esercitata dall’attore coinvolto». Con il termine attore si intendono esperti, politici
e burocrati che compongono il personale delle istituzioni e sono proprio loro a favorire o
rallentare l’adattamento. Infine, anche l’autore conviene sulla rilevanza dei punti di veto,
presieduti dalle parti sociali, nel processo di decision-making.
Avvalendosi degli studi empirici condotti nella seconda metà degli anni ’90 in Francia,
Germania, Italia, Regno Unito e Spagna , Graziano giunge ad alcune considerazioni generali
sugli esiti che l’europeizzazione ha avuto a livello istituzionale. Primo, il potere esecutivo si
è rafforzato a discapito di quello legislativo; un esempio è l’Italia dove il primo ministro ha
acquisito potere ai danni del parlamento. Secondo, le burocrazie nazionali, la cui attività
principale consisteva nella validazione formale degli atti amministrativi, hanno faticato a
rapportarsi con il modello burocratico europeo, focalizzato sulla risoluzione dei problemi.
Terzo, il sistema di rappresentanza di interessi è variato specialmente dove il policy-making
era chiuso o neocorporativo. Ad esempio tale processo è diventato più pluralista in Spagna e
meno corporativo in Francia. Quarto e ultimo, l’europeizzazione ha modificato i rapporti
centro-periferia. Nei paesi federalisti come Spagna e Germania, dove si è registrata una
riduzione del potere regionale e subnazionale, le differenti culture amministrative hanno
sviluppato strategie istituzionali diverse. Al contrario, in stati più centralisti come Regno
Unito e Francia, gli attori subnazionali hanno creato alleanze che, a volte, hanno permesso
loro di mettere in secondo piano i governi. Tutto ciò grazie all’affermazione di attori
sovranazionali nel processo decisionale domestico.
9
A differenza degli autori fino ad ora considerati, Olsen ha attribuito al concetto di
europeizzazione ben cinque dimensioni. Innanzitutto, parla di cambiamenti nei confini
esterni, intendendo ad esempio l’espansione di norme, politiche, valori e istituzioni avvenuta
nei paesi dell’Europa centro-orientale. In secondo luogo, fa riferimento allo sviluppo di
istituzioni a livello europeo che impongono vincoli agli attori politici nazionali. Altra
definizione riguarda il sistema politico multilivello dell’Unione Europea che induce
l’adeguamento degli stati alle politiche, strutture istituzionali e modelli di comportamento
comunitari. L’europeizzazione può essere intesa ulteriormente come l’esportazione dei valori
fondamentali verso paesi non membri mediante la politica estera, ma anche tra stati membri
come dimostrato in seguito all’adozione del MAC. Infine, Olsen definisce il concetto come
9
Graziano P. (2004), Europeizzazione e Politiche Pubbliche cit., pp. 23-28.
12
un progetto politico di unificazione.
10
Bulmer semplifica queste cinque dimensioni riducendole a due: da un lato si riferisce al
trasferimento di norme, politiche, valori e disposizioni istituzionali dall’Unione Europea agli
stati membri, processo definito top-down o downloading; viceversa il processo detto bottom-
up o uploading prevede che gli attori a livello nazionale contribuiscano alla costruzione del
sistema di governance europeo.
11
La sua definizione di europeizzazione, condivisa anche da
Radaelli, è la seguente:
«l’europeizzazione consiste in processi di costruzione, diffusione e
istituzionalizzazione di regole formali e informali, procedure, paradigmi di
policy, stili, modi di fare le cose, opinioni e norme condivise che sono prima
definite e consolidate nel processo politico dell’Unione Europea e poi
incorporate nella logica di discorsi domestici (nazionali e subnazionali), strutture
politiche e politiche pubbliche.»
12
Gli autori individuano quattro modelli di governance europea ognuno legato ad un
particolare tipo di policy. L’analisi di questa relazione porta alla conclusione che l’impatto
dell’europeizzazione non è stato uniforme, bensì frammentato. Il primo tipo di governance fa
riferimento al fatto che ogni decisione europea è presa in seguito ad un lungo processo di
negoziazione, in cui gli stati membri svolgono un ruolo centrale. L’Unione Europea non
possiede la stessa competenza in tutti i settori di policy: per esempio essa è maggiore sulle
questioni del mercato interno e minore relativamente all’occupazione. Nella prima fase della
negoziazione un grado più elevato di europeizzazione, che avviene tramite l’uploading, può
dipendere da vari fattori: la maggior convergenza degli interessi dei governi nazionali; la
formazione di visioni comuni sulle issues discusse mediante un processo di apprendimento;
la presenza di regole di votazione all’interno del Consiglio che mirano ad evitare l’unanimità
e l’uso del potere di veto.
Nella cosiddetta governance by hierarchy le istituzioni europee quali Consiglio,
Commissione e Corte europea di giustizia detengono un grande potere che si manifesta
nell’utilizzo di meccanismi di controllo sull’applicazione degli accordi raggiunti. In caso di
integrazione negativa, ossia di rimozione delle barriere nazionali generalmente atta a favorire
il funzionamento del mercato interno di beni e servizi, avviene un adeguamento orizzontale
collegato all’europeizzazione. L’integrazione positiva si esplicita invece attraverso il
10
Bulmer S. (2007), Theorizing Europeanization, in Graziano P. e Vink M. P. (a cura di), Europeanization.
New Research Agendas, Basingstoke, Palgrave Macmillan, pp. 47.
11
Ivi, pp. 47-48.
12
Bulmer S. J. e Radaelli C. M. (2005), The Europeanization of National Policy, in Bulmer S. e Lequesne C. (a
cura di), The Member States of the European Union, New York, Oxford University Press, p. 341.