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PRESENTAZIONE
« Nonny: You know, Dad, people need to stand up
and fight for what they believe in, or
nothing's ever going to change.
Nonny‟s dad: People need to sit down and talk.
Otherwise, people won't change.»
“A far off place”, regia di Mikael Salomon (USA 1993)
La comunicazione costituisce una delle più interessanti sfide e priorità dell‟epoca in cui
viviamo. È innegabile infatti che il bisogno di comunicare delle persone è aumentato
proporzionalmente con l‟incremento e il miglioramento degli strumenti che ci permettono di farlo.
Il nostro modo di comunicare appare in continuo cambiamento non solo dal punto di vista degli
strumenti, ma anche dal punto di vista dei contenuti, degli scenari a cui la comunicazione dà vita,
delle capacità di ascolto raggiunte. Ciò non è solo riscontrabile nelle interazioni tra singole persone,
anche dal punto di vista della politica internazionale è possibile prendere atto del fatto che la qualità
e la consistenza della comunicazione fra le nazioni hanno conosciuto dei progressi straordinari,
basti pensare che in Europa da più di sessant‟anni la guerra non è considerata più come l‟unica
opzione per la risoluzione delle controversie internazionali, nonostante si sia ancora in alcuni casi
arrivati ad essa, ma anzi è considerata la peggiore e la più estrema. L‟Europa, come ha detto il
Presidente della Repubblica Napolitano, citando le parole della cancelliera tedesca Merkel in
occasione della giornata della memoria del 27 gennaio 2012, «è la nostra fortuna..se non avessimo
l‟Europa forse anche la nostra generazione si farebbe la guerra». La capacità di comunicazione
riveste un ruolo fondamentale in qualunque situazione, dalla discussione di due persone qualsiasi su
un argomento, su un difficile problema alle opposizioni tra due parti politiche che non sempre
riescono ad ascoltarsi e comunicare, fino alle delicatissime questioni internazionali tra due diversi
governi tra i quali si è creata una pesante frattura. In qualsiasi di queste situazioni le vie sono due: in
una si cerca di parlare, di esprimersi e di ascoltare, si deve aver voglia di risolvere il problema da
entrambe le parti, si deve aver voglia di trovare il miglior accordo possibile non solo per la propria
parte, ma anche per l‟altra, con la buona volontà di non danneggiarla in alcun modo, per quanto
diversa possa risultare, o per quanto danno possa in precedenza avere arrecato. Quello che nella
prima via insomma ha luogo è un dialogo. Nella seconda via, si chiudono le porte al dialogo, una
delle due parti (o nessuna delle due) non ha la minima voglia di dialogare ed è li che la violenza si
genera, e l‟uomo è capace di commettere qualsiasi male. All‟origine dell‟Unione Europea, di cui
oggi noi facciamo parte, si trova la volontà, nata dopo l‟ultima guerra mondiale, dei principali
4
governi di poter comunicare pacificamente, di intraprendere un dialogo le cui finalità, come si vedrà
all‟interno di questa dissertazione, erano sì di natura principalmente economica (e per alcuni versi
sembrano esserlo ancora) ma comprendevano anche il raggiungimento della comprensione
reciproca fra i popoli, fra culture diverse, fra modi di comunicare diversi, fra lingue diverse.
Se la ricetta giusta è il dialogo, esso è anche il più bel modo per farci sentire.
Attraverso questa ricerca mi sono reso conto ancora una volta di quanto sia importante
sviluppare la capacità di comunicare in modo efficace, di quanto può fare la differenza il ricevere
un‟istruzione ma soprattutto un‟ educazione improntata sui più sani e civili valori. Ma soprattutto
questa ricerca mi ha permesso di esaminare nel concreto il modo in cui lo studio e la conoscenza di
altre culture (e di altre lingue) permette di capire, conoscere, anche se non sempre di apprezzare, un
pezzo in più della meraviglia della diversità che c‟è nel mondo.
Mi sono avvicinato in modo particolare al tema del multilinguismo preparando l‟esame di
“geografia delle lingue”, che mi ha permesso di capire in che modo le lingue mantengono un
legame inscindibile con le culture di cui sono espressione. In relazione a tale concetto spesso si
sente parlare anche di ambienti multiculturali. Questa ricerca mi ha dato modo, tra le altre cose, di
fare chiarezza sui significati di termini come “multiculturale” e “interculturale”. Il primo implica la
semplice presenza in un territorio di più culture diverse. Il secondo esprime l‟incontro fra queste
culture, il loro interagire, i loro scambi di idee e di diverse visioni della realtà che ci circonda, il loro
influenzarsi a vicenda e il loro crescere insieme. Il territorio europeo negli ultimi decenni ha
conosciuto dei profondi cambiamenti da questo punto di vista. E in effetti anche i due termini
sopracitati richiamano spesso l‟attenzione nei discorsi politici, in ambito economico, turistico.. e in
generale vengono spesso usati come sinonimi. L‟obiettivo della mia ricerca è stato cercare di capire
quanto, in ambito europeo, o meglio nell‟ambito della ancora giovane e sempre più grande Unione
Europea, fossero verificate le accezioni di “multiculturale” o “interculturale”. Sono partito
ovviamente dai libri, per approfondire la conoscenza degli argomenti su cui poi avrei basato la mia
ricerca, quali l‟identità, la diversità, il plurilinguismo e il multilinguismo, la cittadinanza europea, il
concetto di lingua franca, la “società della conoscenza” nella quale per tanti anni ci siamo sentiti
proiettati e in cui ormai stiamo vivendo, la politica linguistica.
Il primo capitolo si occupa di questi concetti, in particolar modo della natura della politica
linguistica europea, della sua storia, degli obiettivi sui quali ha impostato le sue fondamenta e si è
data una direzione, e dei risultati finora raggiunti. In questo contesto il multilinguismo si è
gradualmente inserito (e continua ad inserirsi tutt‟ora) in ambiti diversi e seguendo diverse
modalità. La sua stessa definizione si è costituta nel tempo grazie a continui apporti e modifiche.
Tale situazione viene esaminata all‟interno del primo capitolo riservando particolare attenzione alle
5
lingue nel concreto, a quali lingue vengono utilizzate e in che misura, e infine in quali contesti
vengono utilizzate. In questa prospettiva si colloca in primo piano l‟analisi del ruolo di lingua
franca che sembra attualmente ricoprire la lingua inglese e il futuro a cui questa lingua va incontro.
Nel secondo capitolo ho affrontato il tema dell‟educazione linguistica e culturale per mettere
in luce il potenziale ruolo di ponte che l‟educazione può svolgere per le persone nel passaggio da un
ambiente multiculturale ad un ambiente interculturale. La mia analisi si concentra in primo luogo
sulle caratteristiche del Quadro comune europeo di riferimento per l’apprendimento delle lingue e
sul ruolo di guida ad esso attribuito per il conseguimento di una dimensione europea
dell‟apprendimento e della valutazione della competenza linguistica. Viene particolarmente
approfondita l‟importanza dell‟apprendimento di almeno due lingue straniere per i cittadini europei,
affinché essi possano davvero conoscere e valorizzare le diversità culturali che compongono
l‟Unione Europea, rafforzando allo stesso tempo la conoscenza della propria cultura e il loro senso
di appartenenza ad una comunità più grande di quella racchiusa nel loro territorio nazionale.
Le ricerche che ho svolto sugli argomenti trattati nel secondo capitolo mi hanno spesso
riportato con la mente al periodo di studio da me compiuto in Spagna alcuni anni fa grazie ad uno
dei principali programmi europei quale l‟Erasmus. Durante quell‟anno, oltre ai corsi universitari,
avevo frequentato anche i corsi del Centro Idiomas dell‟Università, nel quale conseguii nel primo
semestre il livello B2 della lingua spagnola e nel secondo semestre il livello C1. I caratteri di tali
livelli vengono introdotti e analizzati proprio nel Quadro Comune Europeo, del quale al momento
in cui mi iscrissi a quei corsi non ero ancora a conoscenza, ma di cui appresi immediatamente subito
dopo essermi iscritto, quando dovetti sostenere un piccolo test che aveva lo scopo di verificare
proprio il mio livello di competenza linguistica per potermi collocare nel giusto corso. Grazie a
questa ricerca ho potuto guardare molti aspetti di quell‟esperienza sotto una nuova luce, e in
maniera molto più consapevole: ad esempio, insieme a me c‟erano studenti Erasmus provenienti da
ogni parte d‟Europa. Quando frequentai il corso per conseguire il livello B2, mi accorsi subito che
se le aule per i livelli A e B1 erano piene di studenti italiani provenienti da facoltà non linguistiche,
nell‟aula per il B2 di italiani eravamo davvero in pochi, e tutti provenienti dalle facoltà di lingue.
Ognuno di noi, pur studiando già per i propri esami all‟università, voleva sfruttare l‟opportunità di
quei corsi e ci siamo ritrovati a constatare come insieme a noi, nel livello B2, ci fossero un sacco di
studenti non italiani provenienti anche da facoltà non umanistiche. Nel secondo semestre, quando
andarono via molti studenti e ne arrivarono altri, nel corso per conseguire il livello C1 eravamo
molti di meno ed io ero l‟unico italiano e potei vivere l‟esperienza di “andare in classe” con ragazzi
tedeschi, inglesi, francesi, ucraini, finlandesi, americani, ungheresi, austriaci. Erano tanti i segnali di
diversità nel modo di apprendere che eravamo in grado di percepire gli uni verso gli altri, e nel
6
nostro cercare di esprimerci tutti in spagnolo, comunicando dei contenuti non sempre così semplici,
vedevamo un continuo stimolo e una fonte di soddisfazione. Alla fine del corso, dopo aver svolto il
test finale e con l‟arrivo dell‟estate e dell‟ora di ripartire, ci siamo salutati tutti, e anche se il tempo
trascorso insieme durante i mesi del corso non è stato sufficiente per farci in qualche modo stringere
delle amicizie che potessero durare anche dopo l‟Erasmus, ci siamo salutati con grande calorosità, e
quella scena è rimasta la più bella immagine che ancora oggi mi viene in mente quando penso al
significato di essere cittadini europei.
I primi due capitoli sono di natura essenzialmente teorica. Ad essi volevo affiancare un
esperienza che mi permettesse di toccare con mano gli argomenti della mia ricerca. Mi sono reso
conto che l‟argomento su cui avrei fatto questa dissertazione era molto attuale, frutto di un contesto
in continuo cambiamento, perciò ho sentito una forte esigenza di un‟esperienza diretta che mi
permettesse di verificare quanto (e soprattutto come) di tutto ciò che avevo letto fino a quel
momento corrispondesse alla realtà dell‟applicazione effettiva, alla realtà dell‟insegnamento vero e
proprio. Ho potuto compiere questa esperienza di ricerca visitando la Scuola Europea di Bruxelles I,
una scuola multilingue in cui alunni di lingue e nazionalità diverse possono intraprendere un
percorso che va dall‟asilo fino al conseguimento del diploma di istruzione superiore. Attualmente in
Europa ci sono 12 Scuole Europee: 4 in Belgio, 3 in Germania e 1 in Italia, Paesi Bassi, Regno
Unito, Spagna e Lussemburgo. Sono state create durante il lento processo di formazione politica
dell‟Unione Europea e posizionate nelle località che costituiscono la sede delle principali istituzioni
europee. Tali scuole sono rivolte in primo luogo ai figli dei funzionari delle organizzazioni europee,
sebbene in alcuni casi dei posti liberi vengono destinati, attraverso dei criteri di selezione, ai
bambini della nazione che ospita la scuola. È stato calcolato che nell‟anno scolastico 2004-2005 in
queste scuole hanno svolto il loro lavoro circa 1.390 insegnanti per l‟educazione di circa 19.862
studenti. Esse sono riconosciute pienamente nei paesi che le ospitano e godono dello status di
istituzione governata dal diritto pubblico. Ho contattato una professoressa italiana che insegna
all‟interno della Scuola la quale mi ha permesso di intervistare alcuni dei suoi colleghi italiani e di
incontrare una classe di alunni del ciclo secondario, a cui ho proposto la compilazione di una
piccola serie di domande. In realtà ero estremamente curioso. Ero curioso di sapere come
effettivamente si svolgesse una lezione nelle aule del ciclo primario con bambini di stati e lingue
diverse, di osservare come dei ragazzi di diverse nazionalità nel ciclo secondario si trovassero a
condividere la stessa aula, di scambiare in aula qualche parola con alcuni di loro o di ascoltare
qualche frammento dei loro discorsi in corridoio durante gli intervalli ed accorgermi che sanno
davvero parlare perfettamente più lingue già alla loro età. Le principali questioni che stavo
studiando e da me trattate nei primi due capitoli vengono portate a compimento pratico in scuole
7
come queste. Ed hanno loro come primi (e i principali) fruitori delle scelte intraprese, nell‟ambito
del multilinguismo, dagli organismi europei. Le interviste agli insegnanti hanno avuto lo scopo di
mettere in luce le modalità in cui tutto ciò avviene, analizzando dal punto di vista pratico la natura
dei concetti teorici da me studiati, e di fornire una serie di punti di vista fondati su esperienze reali
di insegnamento. I questionari ai ragazzi miravano invece ad ottenere un piccolo frammento che
rappresentasse il modo in cui essi vivono, con la loro sensibilità di adolescenti, l‟esperienza di
crescere in un ambiente multilingue. La qualità dell‟insegnamento che viene offerto in queste scuole
è considerata tra le migliori a livello mondiale e riflette i diversi argomenti che verranno introdotti
nei primi due capitoli, in particolar modo il raggiungimento della dimensione europea
dell‟educazione, uno dei principali obiettivi comunitari inclusi nel Trattato di Maastricht che nel
1992 istituisce l‟Unione Europea.
8
I. IL MULTILINGUISMO IN EUROPA
INTRODUZIONE
La maggiore mobilità all‟interno dell„Europa, le migrazioni e la globalizzazione
dell‟economia hanno moltiplicato enormemente l‟interazione tra persone parlanti lingue diverse e in
questa direzione la diversità linguistica, in un‟ottica operativa ma non solo, è inevitabilmente
considerata come un ostacolo, una sfida a cui far fronte, un fattore più che legittimo ma che occorre
aggirare. Non è questa però l‟unica maniera in cui viene considerata: il multilinguismo è stato
adottato gradualmente dalla politica linguistica dell‟Unione Europea partendo dalla convinzione che
la diversità linguistica, anziché un ostacolo possa rivelarsi un‟opportunità da sfruttare. Opportunità
di crescita, di conoscenza, sono tanti i campi a cui può essere collegata questa prospettiva,
semplicemente adottando una mentalità tale da permettere ad ogni differenza o difficoltà, in questo
caso la diversità linguistica, di essere utilizzata in modo utile, di essere considerata in grado di
servire a qualcosa, di essere trasformata in uno strumento piuttosto che relegata unicamente a
fattore di impedimento. Questo capitolo tratta il modo in cui l‟Unione Europea nell‟ultimo decennio
ha sensibilmente cercato di mettere in pratica i principi, frutto di questa mentalità, che aveva già
fatto propria da molti anni prima. Oltre a quei principi, verranno necessariamente presi in
considerazione anche i molti aspetti problematici scaturiti dopo la loro adozione, con i quali
l‟Unione Europea, nella più reale accezione dei suoi Stati membri, dei suoi funzionari e dei suoi
cittadini, si è dovuta confrontare e tutt‟ora si sta confrontando, essendo l‟integrazione linguistica un
fenomeno in costante cambiamento e non semplice da monitorare. Un interessante punto di partenza
possono essere, a questo proposito, le parole di Leonard Orban, Commissario Europeo per le
politiche linguistiche e per il multilinguismo dal 2007 al 2010:
«Il multilinguismo concorre al ravvicinamento di popoli e culture, favorisce la legittimità, la trasparenza e la
democrazia del processo d‟integrazione europea, promuove la mobilità dei lavoratori, migliora le prospettive di
occupazione e la competitività. Grazie al multilinguismo si rafforzano inoltre la tolleranza e l‟inclusione sociale. […]
La lingua è un elemento essenziale della nostra identità e l‟espressione più diretta della nostra cultura. In Europa la
diversità linguistica è un dato di fatto. In un‟Unione Europea all‟insegna del motto «unita nella diversità», la capacità di
comunicare in diverse lingue è un imperativo per tutti, cittadini, organizzazioni e imprese. Il nostro impegno è rivolto a
preservare e a promuovere questo corollario fondamentale del progetto europeo. Sono fiero di poter raccogliere questa
sfida: incoraggiare l‟apprendimento delle lingue e la diversità linguistica nella società, promuovere un‟economia sana,
multilingue, e consentire ai cittadini di accedere alla legislazione europea nella propria lingua.
1
»
1
Commissione Europea- DG Istruzione e cultura, (2007) Lingue per l’Europa: 30 progetti per promuovere
l’apprendimento delle lingue, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali della Comunità Europea, Lussemburgo, p. 3.
9
Orban con queste poche parole evoca una pluralità di immagini e di concetti di fondamentale
importanza per capire la natura dei meccanismi linguistici e dei processi politici alla base delle
effettive scelte operate all‟interno dell‟Unione Europea. Tali concetti appaiono estremamente
collegati e ricchi di implicazioni, molte delle quali di non facile risoluzione. Questo primo capitolo,
ripartendo da quelle parole, si propone di esaminare i concetti di identità e diversità e le loro
interconnessioni, fondamentali nella definizione di quella che viene denominata “cittadinanza
europea”. Anche le definizioni di “multilinguismo” e “plurilinguismo” verranno approfondite,
delineando i tratti che le contraddistinguono attraverso le analisi di alcuni autori che si sono
occupati della sovente confusione che è stata fatta nell‟utilizzo dei due termini. Verrà presa in
esame la politica linguistica europea, a partire dai principi su cui ha posto le basi della sua attività,
arrivando poi ai provvedimenti messi in atto e alla loro effettiva praticabilità alla luce della
situazione geopolitica ed economica dell‟Europa odierna. Verranno delineate poi le diverse strategie
linguistiche tra cui si è operata una scelta non solo in Europa, ma anche nel continente nord
americano. Il confronto tra le diverse strategie linguistiche per le quali hanno optato l‟Europa e gli
Stati Uniti ha come sfondo la questione più articolata e di difficile soluzione con cui il
multilinguismo, non solo in Europa ma nel mondo, è chiamato a confrontarsi: quella del ruolo di
lingua franca che attualmente sembra ricoprire la lingua inglese, grazie al suo principale utilizzo
come lingua veicolare in ogni contesto internazionale. Infine l‟attenzione verrà posta sui
provvedimenti elaborati nell‟ultimo decennio per lo sviluppo del multilinguismo in Europa, a
partire dagli aspetti teorici del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, per arrivare ai
caratteri pratici del successivo “Piano d‟azione 2003-2006”. Si vedrà come l‟Unione Europea abbia
cercato di favorire l‟apprendimento delle lingue in Europa attraverso una molteplicità di iniziative e
programmi di mobilità i quali, insieme ai più diffusi Erasmus e Leonardo, costituiscono in
definitiva un‟opportunità eccezionale per sperimentare e soprattutto comprendere, vivendoli in
prima persona, alcuni dei concetti qui presi in esame, primo fra tutti quello di cittadinanza europea.
I.1.1 IDENTITÀ E DIVERSITÀ NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA
Il concetto di identità, oltre al più ovvio significato di «attributi caratteristici di una persona
o cosa, tali da renderla individuabile specialmente sotto l‟aspetto giuridico e anagrafico»,
comprende anche quello di «uguaglianza totale, conformità»
2
. Questa accezione gli conferisce un
senso opposto a quello di diversità, inteso come molteplicità, il quale ben riassume le caratteristiche
2
Dardano M., (1982) Nuovissimo Dizionario della lingua italiana, p.867
10
dei circa 500 milioni di abitanti che compongono l‟Unione Europea. Per capire la valenza del motto
adottato dall‟UE “unita nella diversità”, e per riflettere sulla sua effettiva realizzabilità occorre
soffermarsi sul significato del termine “unione” e delle connotazioni che assume tra i concetti di
identità e diversità. Alla voce “unione” il dizionario della lingua italiana recita «Situazione di
concordia tra più persone o gruppi di persone; solidarietà; in ambito politico: accordo tra soggetti di
diritto nazionale e internazionale stipulato allo scopo di raggiungere obiettivi di interesse comune
(in materia di difesa, di scambi economici, di diffusione di ideali politici o umanitari) o di
disciplinare determinati settori (dogane, mercati monetari)». Tenendo presente la società
dell‟Unione Europea questa definizione di “unione” sembrerebbe collocare il suo senso nella giusta
posizione intermedia tra i due concetti, attribuendo al motto “UE unita nella diversità” l‟idea di una
giusta direzione fatta di collaborazione, di reciproco rispetto fra gli Stati membri, e di disciplinata
organizzazione con il fine del perseguimento di obiettivi di interesse comune. I dubbi arrivano però
leggendo alla voce “unire”: «mettere insieme, congiungere elementi in modo che costituiscano una
cosa sola»
3
. In questo modo l‟unione e l‟identità tenderebbero a sovrapporsi e se così fosse in
pratica gli Stati membri dell‟Unione non avrebbero modo di conservare la loro identità, sia a livello
nazionale, sia a livello dei singoli individui appartenenti a uno stato (e a una cultura) piuttosto che
un altro. La conclusione a cui si arriverà in questa sede è che il contatto, la collaborazione, lo
scambio di idee e informazioni produce inevitabilmente dei cambiamenti nelle identità di tutti i
partecipanti a questo contatto. Perciò le diverse identità in gioco nell‟Unione Europea non potranno
rimanere immuni al cambiamento prodottosi dal loro incontro. A questo punto è ovvio ricordare che
il contatto tra diverse identità (quelle di civiltà e poi di nazioni) esiste da sempre, ma la peculiarità
dell‟Unione Europea è che per la prima volta tutti i suoi Stati membri condividono un insieme di
leggi e di valori su cui si basa la loro società, oltre che una serie di obiettivi comuni. Il progetto di
un‟Europa unica da un punto di vista economico, politico culturale e sociale, espresso con il trattato
di Maastricht e compiutosi con il Trattato sull‟Unione europea e di costituzione della Comunità
europea, costituisce l‟inizio di un percorso di costruzione comune e condiviso. Questo la rende un
fenomeno storico senza precedenti, che riflette il contemporaneo cambiamento della società in
società dell‟informazione e della conoscenza, nella quale ci è possibile comunicare e condividere
informazioni con persone dall‟altra parte del mondo attraverso l‟uso di Internet, che in pochi anni si
è trasformato, da prerogativa della comunità scientifica e tecnica, in un mezzo di informazione e
comunicazione accessibile a tutti. Possiamo ritrovare questi concetti ampiamente espressi già nel
1995, anno di pubblicazione del Libro Bianco di Edith Cresson per la Commissione dell‟Unione
Europea, in cui si parla da subito di società conoscitiva:
3
Ibid., p.2264
11
«The internationalisation of trade, the global context of technology and, above all, the arrival of the information
society, have boosted the possibilities of access to information and knowledge for people, but at the same time have as a
consequence changed work organization and the skills learned. This trend has increased uncertainty for all and for some
has led to intolerable situations of exclusion. It is clear that the new opportunities offered to people require an effort
from each one to adapt, particularly in assembling one's own qualifications on the basis of 'building blocks' of
knowledge acquired at different times and in various situations. The society of the future will therefore be a learning
society. In the light of this it is evident that education systems - which means primarily the teachers - and all of those
involved in training have a central role to play. The social partners, in exercising their responsibilities, including
through collective bargaining, have a particularly important role, as these developments will condition the working
environment of the future.
4
»
In un contesto così ricco di fermenti e di trasformazioni, continua ad alimentarsi l‟idea di
un‟unione di popoli europei, che da anni condividono lo stesso patrimonio culturale e intendono
rafforzare quel sentimento di appartenenza che li accomuna, pur nel rispetto delle differenze,
nazionali e regionali. È nell‟uso della lingua che si rispecchia la cultura di una nazione o di una
regione. L‟Unione Europea riconosce il diritto all‟identità e promuove attivamente la nostra libertà
di parlare e scrivere nella nostra lingua, continuando al contempo a perseguire il suo obiettivo di
una più stretta integrazione tra i paesi membri. Sono questi i due obiettivi complementari da cui ha
preso corpo il motto “unita nella diversità”. Non va dimenticato che la gente è orgogliosa della
propria lingua, sia che si tratti di una lingua nazionale o di una lingua regionale. Oltretutto gli stili di
comunicazione differiscono da lingua a lingua e persino nel modo in cui una lingua particolare è
utilizzata in paesi diversi. È chiaro quindi che parlare di “popoli europei che condividono lo stesso
patrimonio culturale” equivale a parlare di un grande unico patrimonio, quello del continente
europeo, caratterizzato dalla condivisione di significativi tratti culturali generali e arricchito ancora
di più dalla ampia diversità linguistica e culturale dei suoi componenti. La volontà dell‟UE di
salvaguardare la diversità linguistica sembra dimostrare che quest‟ultima non sta cercando di
cancellare caratteristiche nazionali o regionali sostituendole con una uniformità “europea”, come
invece sostenuto da alcuni critici. Nel corso dell‟anno europeo delle lingue 2001 (organizzato
dall‟Unione Europea e dal Consiglio d‟Europa
5
) sono stati partoriti numerosi documenti e piani
d‟azione, tutti caratterizzati dall‟intento di promuovere la diversità linguistica, incoraggiando il
multilinguismo e il multiculturalismo connaturati alla storia d‟Europa con interventi volti ad
4
EU Commission (1995), White paper on education and training: Teaching and learning: towards a learning society,
COM (95)590 del 29 novembre 1995.
5
Nella relazione finale della dichiarazione dell‟anno europeo delle lingue si legge: «This decision was taken following
a Council of Europe‟s intergovernmental conference in 1997, which stressed the importance of promoting European
citizenship and protecting Europe‟s linguistic and cultural heritage. The wider aim of the Year was to encourage
lifelong language learning by all persons residing in the participating countries through stressing the cultural,
educational, economic and personal benefits of studying European languages.»
Evaluation of the European Year of Languages 2001- A final report to the Directorate General Education and Culture
(2002), ECOTEC Research & Consulting Limited, p.6.
12
allargare il ventaglio di abilità linguistiche degli europei a più lingue diverse dalla lingua madre o
«lingua identitaria». Ma già dal 1949 il Consiglio d‟Europa si era proposto di promuovere tra i
cittadini degli Stati che lo costituivano un‟identità condivisa basata sui principi di libertà,
democrazia, rispetto dei diritti umani e della legge. In tale prospettiva, l‟interesse verso la diversità
linguistica e culturale veniva delineato da subito come primo obiettivo della strategia operativa del
Consiglio. Già da allora, la promozione di un dialogo interculturale veniva, dunque, riconosciuta
essenziale per il rispetto delle molteplici identità e per lo sviluppo di un‟interazione cooperativa.
Afferma Chiti: «salvaguardare il patrimonio delle diversità significa non postulare un processo di
integrazione delle lingue che – in tempi più o meno lunghi – porti alla creazione di un‟unica
madrelingua, bensì promuovere la diffusione di una “competenza plurilingue”, uno strumento atto
non solo a rafforzare e potenziare le competenze comunicative del singolo, ma addirittura a “offrire
alla lingua materna nuove opportunità di circolazione”
6
».
1.1.2 IDENTITÀ E CITTADINANZA EUROPEA
All‟interno di un altro Libro Bianco, il Libro Bianco su una politica europea di
comunicazione
7
, viene riconosciuta la grande distanza esistente tra l‟Unione europea e i suoi
cittadini. Sembrerebbe mancare un processo comunicativo nei due sensi, i cittadini spesso non
sanno cosa sta succedendo così come spesso non viene offerta loro la possibilità di partecipare
attivamente ai progetti, ai programmi e ai provvedimenti. Anche per questo motivo, la
Commissione si e fatta più volte promotrice di programmi rivolti ad invitare tutte le parti interessate
a contribuire con le proprie idee a trovare soluzioni per ridurre quella distanza.
Per rilanciare il dibattito pubblico in Europa sono state promosse iniziative come l‟invito ai
cittadini a rispondere connettendosi al portale plurilingue appositamente creato per loro; per
lavorare in cooperazione con le altre istituzioni dell‟UE, la Commissione ha organizzato una serie
di “forum consultivi” a cui sono stati invitati specifici gruppi di interesse (ONG, organizzazioni di
imprese e altre parti interessate). Inoltre si è anche impegnata ad elaborare una sintesi delle risposte
e a trarre delle conclusioni al fine di programmare piani d‟azione mirati. Nonostante ciò, si ha la
sensazione che vivere l‟Europa come un “villaggio globale” rimane ancora difficoltoso e lontano
dai modi di agire e pensare. Per capire meglio questa situazione possiamo fare riferimento allo
studio di Delgado-Moreira, il quale distingue le definizioni di cittadinanza culturale e identità
6
Chiti E., Gualdo R., (2008) Il regime linguistico dei sistemi comuni europei, Giuffré, Milano, p.207
7
Commissione Europea (2006), Libro Bianco su una politica europea di comunicazione, COM (2006) 35 definitivo
dell‟1 febbraio 2006.
13
europea, ponendole su due piani distinti: la prima viene definita come « the right to cultural
difference and participation in democracy» mentre la seconda « the need to combine national
identities in a concentric system under a shared global identity
8
». Nella sua analisi, la cittadinanza
culturale ha caratteri soggettivi e i diritti politici e civili dei cittadini sono modellati da uno specifico
ambiente culturale. L‟identità europea, invece, si avvicina al concetto liberale di cittadinanza,
costituita dai diritti politici e civili degli individui come membri dell‟Unione. La differenza
principale sembra essere che l‟identità europea, a differenza della cittadinanza culturale, non
affronta il problema di come trarre beneficio dalle differenze culturali e nazionali, bensì di come
superarle
9
. Ogni cittadino, del resto, si è avvicinato all‟ “idea Europa” con la mentalità e la
prospettiva nazionale e locale. Per cui la politica europea da un certa angolazione è inevitabilmente
vista attraverso l‟ottica del cittadino della singola nazione, che spesso non ha o a volte rifiuta la
consapevolezza di essere parte di un organismo che va oltre quello della sua nazione, benché molte
delle decisioni politiche che riguardano la vita quotidiana dei cittadini siano prese a livello europeo.
I cittadini si sentono lontani da tali decisioni, dal processo decisionale e dalle istituzioni dell‟UE,
soprattutto considerando il fatto che i cittadini vengono a conoscenza delle politiche e dei problemi
politici prevalentemente attraverso i sistemi nazionali, i media regionali e locali. Eppure, come
ricorda Margherita Ulrych,
«le norme comunitarie, le quali si applicano direttamente ai singoli cittadini, senza il bisogno di un atto di
esecuzione specifico da parte dello Stato di appartenenza , hanno un effetto diretto sul cittadino, il quale può far valere i
propri diritti a giudici nazionali. Non solo, vige anche il principio del primato, che rappresenta l‟altra qualità basilare
delle norme comunitarie, ovvero nel caso di norme nazionali conflittuali queste ultime devono essere disapplicate in
favore della norma comunitaria
10
».
Questa ricerca si propone di riflettere sulla questione di come educare i cittadini ad un
coinvolgimento consapevole, ad entrare in collegamento con quell‟Europa che in tantissime
circostanze percepiscono ancora come “senza volto”, senza una chiara identità pubblica, affinché
possano avere accesso ad un flusso costante di informazioni comuni. Nella società conoscitiva di
cui si parlava in precedenza la rivoluzione dell‟informazione ha portato ad un aumento sostanziale
dell‟accessibilità delle informazioni e all‟avvento del mondo dei media “interattivi”. Un numero
senza precedenti di persone può ora comunicare agevolmente con altre e partecipare alla
realizzazione di progetti transnazionali capaci di promuovere la cittadinanza attiva e ai dibattiti
8
Delgado-Moreira J.M., (2000), Multicultural citizenship of the European Union, Aldershot, Ashgate, p.146.
9
Ibid, pp. 146-151.
10
Ulrich M., L’inglese fra realtà e utopia in Cambiaghi B., Milani C., Pontani P., (2005) Europa plurilingue:
comunicazione e didattica: atti del Convegno internazionale di studi, Milano, Università del Sacro Cuore, 4-5
novembre 2004, V&P, Milano, p.113.
14
pubblici sull‟Europa in ambienti “virtuali”di apprendimento. Ciò a cui l‟Europa ha iniziato a
puntare, quindi, attraverso gli strumenti della società conoscitiva, è la percezione tangibile della
dimensione europea delle tematiche comuni. È importante non dimenticare che in qualsiasi contesto
ci troviamo la parola cittadinanza richiama l‟immagine della partecipazione attiva. Giuridicamente,
si è soliti definire cittadino chi appartiene alla collettività di uno Stato e come tale è titolare dei
diritti e soggetto ai doveri stabiliti dalla legge. La domanda che ci si pone è se (e come) sia possibile
applicare questo principio nel più ampio ambito dell‟Unione Europea. Cambiano solo le
proporzioni della sua applicabilità e il concetto rimane invariato oppure insorgono altri nuovi fattori
che richiedono un‟adeguata considerazione?
Il concetto di Europa, ormai radicato da tempo, non è frutto di semplici accordi politico-
economici, anche se essi fino alla seconda metà degli anni Ottanta ne hanno rappresentato l‟unica
forma visibile: si pensi alla Comunità Europea del carbone e dell‟acciaio (1952), oppure alla
Comunità Europea dell‟energia atomica (1957). Inizialmente l‟Europa agli occhi dei cittadini
europei era quasi esclusivamente questo, una serie di accordi e di intese che riguardavano e
coinvolgevano solo ed esclusivamente le alte sfere della politica internazionale e dell‟economia. Per
capire la gradualità con cui si è arrivati ad oggi può essere utile considerare che è nel 1969 che,
durante il vertice dell‟Aia, si decise che la Comunità doveva progressivamente trasformarsi in
un‟unione economica e monetaria e si diede il via alla Conferenza periodica dei capi di stato e di
governo dei paesi comunitari, la quale nel 1974 poi diventò, in seguito al vertice di Parigi, il
Consiglio Europeo. Ma è solo nel 1986 che viene stipulato l‟Atto Unico Europeo, con l‟obiettivo di
far nascere un primo embrione di unità politica: sebbene fin dalla Dichiarazione solenne sull'Unione
europea, risalente al Consiglio Europeo di Stoccarda nel giugno 1983, si proponeva la realizzazione
di un'unione politica dell'Europa che s'integrasse con la CEE e che avrebbe avuto come nome quello
di Unione europea, è solo col Trattato di Maastricht del 1992 che essa si porta a compimento.
A questo proposito, intendo sottolineare due aspetti: innanzitutto, se riprendiamo la
definizione di cittadino ci accorgiamo di come esso per esistere debba necessariamente trovarsi
all‟interno di uno Stato, dentro un organo quindi caratterizzato da unità politica. Questo è il motivo
principale per cui il concetto di cittadinanza europea solamente negli anni novanta ha iniziato
davvero a diffondersi, anche in ambiti come quello dell‟istruzione, arrivando finalmente al singolo
studente. Ciò non poteva succedere finché l‟Europa non fosse diventata un‟unità politica. Il secondo
fatto è che il concetto di cittadinanza europea, a mio avviso, più che un‟ informazione della quale
prendere coscienza è un sentimento che si sviluppa e germoglia gradualmente nella mentalità delle
singole persone, grazie anche alle esperienze che esse vivono a contatto con l‟Europa al di fuori del
loro paese di origine. Il termine germogliare richiama l‟immagine di un seme che poi diventa pianta