Introduzione
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INTRODUZIONE
Con la decisione-quadro 2002/584/GAI, l’Unione Europea introduce
l’istituto del mandato d’arresto europeo.
Si tratta di un provvedimento destinato a cambiare, almeno nelle
intenzioni, i rapporti giudiziari tra i singoli Stati membri.
Il mandato d’arresto europeo è quella particolare decisione giudiziaria
emessa da uno Stato membro, in vista dell’arresto e della consegna di
una persona ricercata, che si trova in un altro Stato membro.
Ci troviamo di fronte ad uno strumento innovativo per un duplice
ordine di motivi: in primo luogo mira a sostituire la disciplina
dell’estradizione (limitatamente ai soli Paesi aderenti all’UE), ritenuta
oramai obsoleta e farraginosa, proponendo al contrario una procedura
semplificata di arresto e consegna del ricercato; in secondo luogo, risulta
palese la quasi completa “giurisdizionalizzazione” dell’intera procedura,
sottratta dunque a quelle ingerenze politiche, ancora previste nel
meccanismo estradizionale.
Con la decisione-quadro in esame si assiste finalmente ad una concreta
applicazione ed estrinsecazione di quella tanto decantata cooperazione
giudiziaria, caratterizzante il cd. Terzo Pilastro dell’UE, implicante una
Introduzione
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continua collaborazione e concertazione tra Stati, tanto nella fase
legislativa, quanto in quella esecutiva.
Viene difatti lasciato ai singoli Stati il compito di recepire, nei propri
ordinamenti nazionali, la disciplina introdotta dalla decisione-quadro, nei
limiti degli obiettivi da questa evidenziati.
Il punto di maggior attrito s’individua proprio nel recepimento interno
di uno strumento legislativo di così vasta portata, specie se rapportato
agli effetti che tale decisione è destinata a produrre; ci riferiamo alle
conseguenze che può portare con sé l’introduzione, in un ordinamento
come il nostro, di un istituto quale quello in questione: sorgono tutta una
serie di problematiche connesse con la compatibilità di tali disposizioni
con l’intero impianto costituzionale, ma soprattutto, ancor prima, si
registra la strenua volontà di ciascuno Stato membro di difendere la
propria sovranità, messa in seria discussione dal palese evolversi di una
legislazione sovra-nazionale, in grado oramai di sostituirsi, o forse
meglio di sovrapporsi, a quella interna.
Non a caso l’Italia è stata l’ultimo Paese a dotarsi di una legge di
attuazione, la n°69 del 2005, frutto di un complesso e concitato iter
parlamentare, chiaro segnale della contraddittorietà di una disposizione
di non facile conciliazione con i principi vigenti di carattere
costituzionale.
Introduzione
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Oggetto dello studio sarà un approfondimento destinato
necessariamente a partire dalle fonti (sia comunitarie che interne di
recepimento) e dai principi giustificatori dell’istituto, per poi meglio
analizzare il recepimento nel nostro ordinamento, in rapporto soprattutto
con le garanzie costituzionali vigenti.
Inevitabile un approccio che tenga conto del continuo evolversi dello
stesso apparato normativo dell’Unione europea, con un sovrapporsi di
riforme e modifiche che vanno da Maastricht a Lisbona, passando per
Amsterdam, Nizza, senza dimenticare Laecken, Tampere e via
discorrendo.
La creazione di uno spazio unico di libertà, sicurezza e giustizia ha dato
vita così all’istituto del mandato d’arresto europeo, la cui perfetta
attuazione è però lasciata nelle mani dei singoli Stati membri, non tutti
caratterizzati da identiche tradizioni culturali e giuridiche.
Uno sguardo particolare sarà dedicato alle diverse procedure di
consegna previste, sempre tenendo sotto osservazione l’istituto
dell’estradizione, l’antecedente storico per eccellenza: costante ed
inevitabile sarà un raffronto con la disciplina che il codice di procedura
penale (che ricordiamo rimane vigente nei rapporti che il nostro Paese
instaura con gli Stati non appartenenti all’Unione) dedica alla materia.
Un punto di riferimento che anche il nostro legislatore ha tenuto saldo,
cogliendo di esso i lati già collaudati ed adattandoli, dove possibile, alla
Introduzione
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nuova disciplina, ma soprattutto prendendo le distanze da quelle
peculiarità che rendevano (e rendono tuttora) l’estradizione un istituto
obsoleto, contraddistinto da procedure lente e macchinose.
Verranno quindi esaminate le varie procedure previste dalla legge di
attuazione, tanto nell’ipotesi che sia lo Stato italiano a richiedere (come
Stato d’emissione) la consegna della persona, quanto nella circostanza
opposta, allorché la nostra autorità giudiziaria si veda recapitare un
mandato d’arresto europeo.
Obiettivo sarà effettuare un’analisi più corretta possibile dell’istituto,
segnatamente alla luce delle valutazioni fatte principalmente dalla
dottrina, molto attenta alla nuova materia, ma soprattutto dalla
giurisprudenza, attivissima, ma non sempre univoca.
La decisione quadro N° 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo
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CAPITOLO I
LA DECISIONE QUADRO N° 2002/584/GAI RELATIVA AL
MANDATO D’ARRESTO EUROPEO
La decisione quadro N° 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo
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1.1
I PRINCIPI GIUSTIFICATORI DELLA DECISIONE
QUADRO
1.1.1
a) COOPERAZIONE GIUDIZIARIA TRA STATI MEMBRI
Il Trattato di Maastricht, firmato il 7 Febbraio 1992, dà una spinta decisiva
al processo d’integrazione tra i Paesi europei, sorto con i Trattati di Roma
del 1957, istitutivi delle Comunità Europee.
Con Maastricht i Paesi aderenti si danno un nuovo assetto e una nuova
fisionomia istituzionale e legislativa.
La nascente Unione Europea poggia ora su tre pilastri ben definiti: il primo
(titoli II, III, IV) è costituito da norme che modificano i trattati istitutivi
delle tre originarie Comunità (CEE, CECA, CEEA); il secondo si occupa
della politica estera e di sicurezza comune (titolo V); il terzo individua come
suo campo d’azione la giustizia e gli affari interni (titolo VI).
Trattato di Maastricht che si affianca agli accordi comunitari già esistenti
senza sostituirli, sempre nell’ambito dello stesso processo d’integrazione
avviato, come detto, con i Trattati di Roma
1
.
1
B.Piattoli, Cooperazione giudiziaria e pubblico ministero europeo, Milano, 2002, p. 68, n. 12.
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Tuttavia il concetto di “pilastri”, già messo in seria discussione dal testo
della Costituzione europea
2
, sembra destinato a dissolversi alla luce del
Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 dai capi di Stato e di
Governo dei 27 Stati membri.
Il nuovo Trattato istituzionale dell’Ue, che rimpiazza la bozza di
Costituzione bocciata nel 2005 nei referendum in Francia e Olanda,
modifica, senza sostituirli, il Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il
Trattato che istituisce la Comunità Europea (TCE).
In particolare quest’ultimo subisce una modifica denominativa di non poco
conto, diventando il “Trattato sul funzionamento dell’Unione”, in modo tale
da sancire la sostituzione e la successione della stessa Unione alle Comunità
europee, ponendo fine alla loro eterna distinzione, trascinatasi fin dai tempi
di Maastricht.
Con Lisbona, vengono riprese alcune intenzioni di fondo che, a suo tempo,
furono inserite nel “Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa
3
“, tra
le quali si segnala proprio la progressiva ed auspicata soppressione
dell’attuale struttura a tre pilastri dell’Unione; ciò nonostante, la politica
2
Sul punto, G. Dalia, L’adeguamento della legislazione nazionale alla decisione quadro tra esigenze di
cooperazione e rispetto delle garanzie fondamentali, in L. Kalb (a cura di), Mandato di arresto europeo e
procedure di consegna, Milano, 2005, n. 5, sottolinea il tentativo, all’interno del testo della Costituzione
europea, di realizzare un generale quadro giuridico comune, con identice regole e procedure per ciascun
settore.
3
Firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e ratificato nel nostro Paese con la legge 7 aprile 2005, n° 57; tuttavia
non tutti gli Stati aderenti hanno operato allo stesso modo, dal momento che la risposta negativa ai
referendum popolari indetti in Francia e nei Paesi Bassi (dove non si è ritenuta necessaria una legge di
attuazione) ha, di fatto, congelato l’intero iter di ratifica, costringendo così l’Unione a ridimensionare il
testo originario (non più definita Costituzione), optando per un Trattato di riforma, ossia quello firmato a
Lisbona il 13 dicembre 2007.
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estera e di sicurezza comune (PESC), può ritenersi ragionevolmente il
settore maggiormente preso in considerazione nel Trattato di riforma: basti
pensare che l’Alto rappresentante dell’Unione (colui che nella Costituzione
europea doveva chiamarsi Ministro degli Affari esteri) sarà il mandatario del
Consiglio in ordine alla politica estera ed alla sicurezza comune, con poteri
rafforzati rispetto al passato: la capacità di azione dell'Unione in materia di
libertà, sicurezza e giustizia sarà potenziata, consentendo di rendere più
incisiva la lotta alla criminalità e al terrorismo.
In attesa che tutti gli Stati membri ratifichino, con apposite leggi, il Trattato
di Lisbona, quest’ultimo non può ancora dirsi vigente; tuttavia le modifiche
che intende apportare al Trattato Ue (precisamente a quello coincidente con
le riforme di Nizza) sono destinate a cambiare, ed anche notevolmente,
l’impianto istituzionale fin qui conosciuto, anche e soprattutto nell’ottica di
una politica sempre più rivolta ad un processo di armonizzazione e di
integrazione, resosi necessario dall’allargamento a ventisette Paesi, non tutti
con eguali tradizioni giuridiche e culturali.
Processo d’integrazione che non può assolutamente prescindere da una
sempre più ferma “cooperazione” anche in campo giudiziario, soprattutto
alla luce delle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam del 1999, che
trasferisce molti settori al primo pilastro (come ad esempio la cooperazione
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in campo civile), comunitarizzando materie che in precedenza erano trattate
esclusivamente in ambito intergovernativo.
Non si tratta soltanto di semplici modifiche denominative, dal momento
che vengono coinvolti quelli che sono gli stessi strumenti giuridici,
attraverso i quali realizzare tale forma di cooperazione.
Ricordiamo innanzitutto che in seno al terzo pilastro vige il metodo
intergovernativo (in contrapposizione al metodo comunitario), caratterizzato
in primo luogo dal diritto d’iniziativa riservato alla Commissione, in
concorrenza con ciascuno Stato membro, e poi dal ricorso generalizzato al
metodo dell’unanimità in sede di Consiglio.
Ciò determina un’inevitabile concertazione tra i singoli rappresentanti
nazionali, nell’ottica di uno schema cooperativo, al fine di giungere alla
stesura di atti comuni, frutto di una reale armonizzazione tra le rispettive
vedute.
Per quanto concerne, invece, il ruolo degli altri attori istituzionali, va
segnalato che il Parlamento Europeo non sarà più semplice destinatario di
un’informazione sui lavori svolti, ma dovrà necessariamente fornire il
proprio parere preventivo in ordine a qualunque delle misure previste
dall’art 34 TUE (con particolare riguardo verso le decisioni quadro).
Con Amsterdam, prende così forma definitivamente il terzo pilastro,
concentrato di fatto esclusivamente sulla “cooperazione giudiziaria e di
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polizia in materia penale”, con nel mirino un obiettivo non poco ambizioso,
la creazione di un unico spazio di libertà, sicurezza e giustizia all’interno del
territorio dell’UE.
Già nel 1998, lo stesso Consiglio GAI
4
adotta, nella seduta del 3 Dicembre,
un Piano d’Azione
5
, nel quale si puntualizza proprio il concetto di “unico
spazio” nelle sue accezioni di sicurezza, libertà e giustizia, assegnandosi un
periodo di cinque anni per la realizzazione delle priorità riguardanti il
raggiungimento di tale obiettivo: si sottolinea l’esigenza e la consapevolezza
di dover necessariamente migliorare la cooperazione giudiziaria in materia
penale, sia con Paesi membri che con Paesi terzi.
Necessità che deriva dalla presa di coscienza di dover assecondare una
libera circolazione delle persone all’interno dello spazio territoriale europeo,
ma al tempo stesso permettere che tale circolazione avvenga in condizioni di
parità e di omogeneità di trattamento, senza tollerare differenze giuridiche,
sociali, civiche e politiche, inaccettabili secondo l’impianto di Maastricht.
Si tratta dunque di uno spazio composito, in cui gli elementi di sicurezza,
libertà e giustizia, rappresentano punti di uno stesso insieme.
Il tema della cooperazione giudiziaria penale è sempre stato al centro dei
pensieri della Comunità Europea. I primi passi verso la realizzazione di una
comunanza di intenti e di azioni tra gli Stati membri sono stati mossi già nel
4
Acronimo che sta per: Giustizia e Affari Interni.
5
In GUCE, C 19 del 23 Gennaio 1999.
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1977, anno cui risale il progetto espace judiciaire pénal européen, promosso
dal Presidente francese Giscard d’Estaign al vertice dei Capi di Stato e di
Governo. Dotata di maggiore concretezza, sembra essere invece l’esperienza
di otto anni maturata nel quadro della Cooperazione Politica Europea (CPE),
cooperazione intergovernativa introdotta dall’Atto Unico Europeo del 1986,
dai cui lavori però sono scaturite soltanto un numero ristretto di convenzioni
(si ricordi fra tutte quella sul ne bis in idem del 1987), tra l’altro neppure
ratificate dalla totalità degli Stati membri, come primo indice di un
atteggiamento prudente e difensivo da parte di ciascuno di essi, a strenua
difesa della propria sovranità nazionale.
Nasce proprio da questa mancanza di solennità, o come qualcuno ha
scritto
6
, da una situazione di quasi clandestinità, l’esigenza di
istituzionalizzare la questione e dar vita al terzo pilastro dell’Unione
Europea, secondo gli sviluppi e i rafforzamenti già citati.
Da un punto di vista prettamente normativo, la cooperazione giudiziaria
trova una sua giustificazione nello stesso art. 31 TUE, dove si fa riferimento
6
L. Salazar, La cooperazione giudiziaria in materia penale, in N. Parisi e D. Rinoldi (a cura di), Giustizia
e affari interni nell’Unione Europea: il “terzo pilastro del Trattato di Maastricht”, Torino, 1998, p. 136.
L’ Autore, nell’esaminare i tentativi storici di creare un embrionale status di cooperazione in campo
europeo, mette in evidenza proprio la difficoltà dei singoli Stati, ad accettare un approccio comune delle
tematiche, dietro preferenze per un sistema ancora basato su rapporti intergovernativi. Dello stesso parere,
E. Anodina, Cooperazione-integrazione penale nell’unione europea, in Cassazione Penale, 2001, p. 2898
ss., che pone l’accento, tra le altre considerazioni, sulla riluttanza degli Stati ad un impiego generalizzato di
forme avanzate di cooperazione, con approcci di taglio ancora essenzialmente intergovernativo, che
inesorabilmente limitavano l’incidenza e la pregnanza di esperienze sul modello della CPE; sul punto v.
anche D. Manzione, Il mandato europeo di arresto dalla decisione quadro alla legge attuativa, in
Legislazione Penale, 2005, p. 393, secondo il quale “chiudersi in casa non è un modo per scongiurare
pericoli né una seria e valida alternativa ad una sicurezza e ad una giustizia in grado di dare risposte tanto
comuni quanto tempestive e maggiormente credibili”.
La decisione quadro N° 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo
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ad azioni comuni che gli Stati aderenti devono cercare d’intraprendere, sotto
forma di coordinamento e dialogo tra i ministeri competenti e le autorità
giudiziarie.
Le premesse qui esposte trovano un loro concreto sviluppo nei lavori
effettuati durante il Consiglio Europeo tenutosi a Tampere il 15 e 16 Ottobre
1999, non a caso appositamente dedicato al tema della giustizia e degli affari
interni, resosi attuale soprattutto alla luce delle recenti innovazioni apportate
dal Trattato di Amsterdam.
Vengono tracciate le linee-guida per una migliore realizzazione
dell’auspicato spazio giudiziario europeo; sul punto, da un attento esame
delle Conclusioni
7
, si possono ricavare delle interessanti considerazioni.
La creazione di un mercato unico e quindi di un’unione economica e
monetaria deve costituire un monito, un chiaro segnale della reale possibilità
di dar vita ad un analogo risultato anche in campo giudiziario
8
; tornando ai
concetti di libertà, sicurezza e giustizia, si evidenzia che “per godere della
libertà è necessario uno spazio autentico di giustizia, in cui i cittadini
possano rivolgersi ai tribunali e alle autorità di qualsiasi Stato membro con
la stessa facilità che nel loro”
9
.
7
In Bollettino UE, 10-1999, consultabile anche all’indirizzo http://europa.eu/bulletin/it/9910/i1002.htm.
8
Sul punto, v. D. Manzione, Decisione-quadro e legge di attuazione: quali compatibilità? Quali
divergenze?, in M. Chiavario (diretto da), Mandato d’arresto europeo: commento alla legge 22 aprile 2005
n°69, Torino, 2006, p. 2, dove si evidenzia il clima entro il quale nasce il Consiglio straordinario di
Tampere, ossia sotto l’influsso delle preoccupazioni legate alle progressive eliminazioni proprio delle
barriere in “area Schengen” , inevitabilmente in grado di coinvolgere anche il settore “giustizia”.
9
Si tratta della Conclusione n°5 dello stesso vertice di Tampere.
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È proprio in occasione del vertice di Tampere che viene istituito l’Eurojust,
organismo avente il compito di assicurare il coordinamento delle attività
svolte dalle autorità nazionali competenti in materia penale, che si compone
di magistrati o funzionari di polizia distaccati da ogni Stato membro,
destinati a formare una Rete giudiziaria europea: si tratta del primo
organismo europeo nel settore, a carattere sovranazionale
10
.
La decisione istitutiva di Eurojust (2002/187/GAI), individua gli obiettivi
dell’organismo, riconducibili ad una doppia tipologia, che vanno dal
rafforzamento delle già esistenti forme di cooperazione, fino a prevedere
meccanismi di coordinamento delle indagini e delle azioni penali.
Trova dunque attuazione la più volte invocata cooperazione giudiziaria,
specie se rapportata con l’Europol, deputata a sua volta all’attività di
informazioni e di intelligence, soprattutto nel campo del terrorismo e della
criminalità organizzata; ne deriva la figura di Europol come elemento chiave
della lotta al crimine internazionale, dal momento che lo stesso Vertice di
Tampere auspica l’impegno a promuovere la cooperazione dotando tale
organismo dei più ampi poteri, anche attraverso una rete di ricerca,
10
La precedente esperienza dei magistrati di collegamento, previsti dall’azione comune 96/277/GAI del 22
aprile 1996, prevede soltanto degli strumenti cooperativi essenzialmente bilaterali e non tipizzati, aventi
prevalentemente funzioni di scambio e di informazione tra i sistemi giudiziari: non è un caso che i
magistrati di collegamento siano sopravvissuti all’istituzione di Eurojust, come sintomo della mancanza di
un organismo centrale, all’interno dell’Unione. La stessa Rete giudiziaria europea, organo multilaterale
istituito dall’azione comune 98/428/GAI del 29 giugno 1998, manca dell’idoneità a stimolare e migliorare
il coordinamento delle indagini e delle azioni penali: è da queste premesse che nasce Eurojust.