PREMESSA
Questo lavoro si propone di analizzare l'intensa relazione di Vasco Pratolini con il mondo
del cinema, relazione avviata nel 1946 con la collaborazione al soggetto di Paisà di
Rossellini.
Pratolini, nel corso della sua lunga e produttiva carriera, firmò molte sceneggiature e
soggetti e collaborò spesso con altri sceneggiatori e registi che portarono sullo schermo i
suoi romanzi.
Non nascose mai la passione per il cinema: lo dimostrano non solo le numerose citazioni
cinematografiche presenti nelle sue opere narrative, ma anche la feconda attività di critico,
negli anni Cinquanta, e la collaborazione a riviste come «Cinema Nuovo», «ABC» e
«Bianco e Nero» (dove pubblicò l'articolo Per un saggio sui rapporti fra letteratura e
cinema
1
), e infine l'impegno che profuse in tutti i film a cui prestò il suo lavoro, impegno
riconosciuto anche dai colleghi e compagni di strada. Non a caso Pasquale Festa
Campanile e Suso Cecchi d'Amico sottolinearono la sua capacità di portare anche
all'interno di un film la sua grandezza di scrittore.
Perché Pratolini rimase, per tutta la vita, prima di tutto un grande narratore: un narratore
capace di rievocare, nelle prime opere (Il tappeto verde, Via de' Magazzini), gli anni
dell'infanzia e dell'adolescenza, segnati dalla drammatica scomparsa della madre Nella, per
poi allargare la sua visione con sguardo “corale” sulla sua città, Firenze, protagonista di
numerosi romanzi (come Il Quartiere e Cronache di poveri amanti) e sull'intera società
italiana, come dimostra la trilogia Una Storia italiana.
Nonostante la resistenza mostrata in certe circostanze a cedere i diritti dei suoi romanzi al
cinema (basti pensare a quanti anni occorsero a Valerio Zurlini per convincerlo a realizzare
il film tratto da Cronaca familiare, uscito solo nel 1962, ben quindici anni dopo il
romanzo!), e la delusione provata per aver visto stravolte dal cinema le sue opere (come Le
ragazze di San Frediano dello stesso Zurlini), Pratolini non nascose mai l'entusiasmo nel
vedere riprodotti sullo schermo con successo alcuni suoi testi, come Metello, Cronaca
familiare e Cronache di poveri amanti.
Nel corso della tesi abbiamo analizzato quattro adattamenti molto dissimili ai quali
1 «Bianco e Nero», n. 4, luglio 1948.
4
collaborò Pratolini. I primi due (La viaccia di Mauro Bolognini del 1961 e La colonna
infame di Nelo Risi del 1972) sono tratti da opere letterarie di scrittori di diverso ambiente,
epoca, livello, peso culturale: il romanzo L'eredità di Mario Pratesi edito nel 1889 e
scoperto con fervore e passione da un giovane Pratolini; e il celebre e sottilissimo saggio
storico-civile Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni, pubblicato per la prima
volta in appendice all'edizione «quarantana» dei Promessi sposi. Gli altri due (Cronache di
poveri amanti di Carlo Lizzani e Cronaca familiare di Valerio Zurlini, rispettivamente del
1953 e del 1962) sono desunti invece direttamente dai suoi romanzi omonimi pubblicati
nel 1947.
Il primo capitolo della tesi è dedicato interamente a Vasco Pratolini, e ne ripercorre
abbastanza analiticamente la biografia, inquieta e movimentata, le principali opere
letterarie, e infine le sue esperienze nel campo cinematografico.
Gli altri quattro capitoli analizzano e confrontano i film e le opere letterarie da cui questi
sono tratti. Per ogni testo letterario, dopo una nota biografica sull'autore, abbiamo riportato
i dati editoriali ed elaborativi, l'intreccio narrativo (o argomentativo, nel caso della Storia
della colonna infame) e gli aspetti salienti della struttura. Per i film, oltre una breve nota
biografica sul regista, abbiamo cercato di mettere a fuoco le affinità e le divergenze rispetto
al testo letterario di partenza, le caratteristiche più significative (la rappresentazione dei
personaggi, gli spazi della rappresentazione, le scelte registiche), le sequenze principali e il
ruolo giocato da Pratolini nella realizzazione del film.
Nel capitolo finale, dedicato alle conclusioni, abbiamo tentato di mettere in luce la
tendenza di Pratolini a lavorare all'interno di un testo cinematografico seguendo le
modalità “cronachistiche” che dominano tipicamente le sue narrazioni. Questo
procedimento trovò un adattamento felice e congeniale nei film di Risi (La colonna
infame), di Zurlini (Cronaca familiare) e di Lizzani (Cronache di poveri amanti), e meno
in quello di Bolognini (La viaccia).
5
CAPITOLO I: V ASCO PRATOLINI TRA LETTERATURA E CINEMA
6
I.1 La vita e le opere letterarie
I primi anni
Vasco Pratolini nasce a Firenze il 19 ottobre 1913, al numero 1 di Via de' Magazzini
2
. Il
padre, Ugo, è cameriere in un caffè, mentre la madre, Nella, è sarta. Allo scoppio della
prima guerra mondiale, il padre parte per il fronte e nel 1918, poco dopo il suo
momentaneo rientro per un periodo di convalescenza, la madre muore dando alla vita il
secondo figlio Dante. Il ricordo traumatico della morte della madre sarà uno dei temi più
presenti nell'opera dello scrittore, non solo nei libri memorialistici dell'esordio (Il tappeto
verde, Via de' Magazzini), ma anche nei romanzi più tardi (ad esempio le pagine dedicate a
Irma, la madre di Valerio, in Allegoria e Derisione).
Vasco viene affidato ai nonni materni
3
, mentre il neonato Dante a una nuova famiglia, che
gli cambia il nome in Ferruccio. Il difficile rapporto tra i due fratelli sarà raccontato da
Vasco, dopo la morte di Ferruccio, in Cronaca familiare (1947).
Nel 1919 Vasco viene iscritto alle elementari presso le Scuole Pie Fiorentine grazie
all'interessamento dell'assessore alla Pubblica Istruzione, padre Ermenegildo Pistelli
4
; ma,
espulso poco dopo per indisciplina, prosegue gli studi nella scuola pubblica “Ubaldino
Peruzzi”
5
.
2 Così informa Pratolini: «È alla passione di mio padre per il teatro che io devo il mio nome, Vasco.
Andò a vedere Vasco de Gama e Stenterello suo servo fedele alla conquista delle Indie e quel nome gli
rimase impresso. Decise che l'avrebbe messo al suo primo figlio» (Sono fazioso, ghibellino, bianco. E porto
rancore, intervista a Mirella Delfini, «Il Tempo», 11 agosto 1962; desumo la citazione da V . Pratolini,
Romanzi, vol. 1, a cura di Francesco Paolo Memmo, I Meridiani, Mondadori, Milano 1993, p. XLI). Per gli
altri dati cronologici abbiamo consultato e utilizzato le varie monografie critiche citate in bibliografia.
3 Il nonno, Pio Casati, e la nonna Rosa, entrambi di origine contadina, saranno tra i protagonisti dei
primi libri di Pratolini.
4 «mio nonno, vecchio anarchico che però conosceva padre Pistelli (allora assessore alla cultura del
comune di Firenze e, come scopersi poi, dantista di fama), pensò di farmi entrare […] nel collegio degli
Scolopi, in prima elementare. Io a quel momento sapevo già leggere e scrivere, e nella mia personale
mitologia mi convinsi che fosse stata mia madre a insegnarmelo prima di morire, quando io avevo quattro
anni» (Un pomeriggio con Pratolini, intervista a Marino Sinibaldi, «Linea d'Ombra», febbraio 1991. Desumo
la citazione da V . Pratolini, Romanzi, vol. 1, cit., p. XLIII).
5 È curioso rileggere la «scheda» scolastica del giovane Pratolini, conservata presso l'Archivio
Contemporaneo «Alessandro Bonsanti» del Gabinetto G. P. Vieusseux di Firenze (qui riportata da V .
Pratolini, Romanzi, vol. 1, cit., p. XLIII): «14 Pratolini Vasco, ottobre e novembre. Temperamento
nervosissimo e irrequieto, ma buono. Presta attenzione e prende attiva parte alla lezione e alle discussioni.
Talvolta lo coglie il capriccio di non voler fare qualche cosa, ma è frutto del carattere. Sempre pulito. Gruppo
letterario. - Legge passabilmente, ma afferra bene il senso. Gretto e sciatto nella composizione. Scadente in
grammatica e qualche volta negli esercizi di memoria. Gruppo scientifico. - Sufficiente in tutto. Gruppo
artistico. - Buono per il canto e per la recitazione, scadente in disegno e bella scrittura».
7
Nel 1920 il padre si risposa con Erina Giannetti, anch'essa sarta, e si trasferisce in Via dei
Pepi, dove nasce il loro figlio Nello. Vasco rimane ad abitare dai nonni in Via de'
Magazzini, tornando solo per dormire nella casa paterna. Il rapporto con la matrigna si
rivela difficile fin da subito, come dimostrano le pagine di Via de' Magazzini (dove la
donna è chiamata Matilde):
Lo zio Cesare e la sorella Giovanna, in tono risentito e come di avversari mi dicevano: «Non sei più un
ragazzo, cerca di capire. È come se fosse la tua mamma». Allora io non sapevo dominarmi, acceso di
collera, col petto trafitto gridavo: «È una sciagurata, vi dico. E poi è la moglie del babbo, non è la mia
mamma, la mia mamma è morta». Cadevo a terra in convulsioni […] Soltanto quando qualcuno
pronunciava il mio nome, e io lo ripetevo ancora a voce alta come un oggetto, riprendevo totalmente
conoscenza. Per prima cosa, associata al riconoscimento di me stesso mi si presentava la faccia di
Matilde e immediatamente dopo l'immagine della mamma. Allora mi prendeva un gran pianto.
6
In questi anni Vasco si appassiona al teatro (scrive alcune commedie che non furono mai
rappresentate) e alla lettura: oltre a Dante
7
e Boccaccio, legge anche Manzoni, Machiavelli,
Dickens, Dostoevskij, London, Maupassant, Salgari, Zola, Verne.
Nel frattempo a Firenze gli scontri tra fascisti e gli oppositori del regime si fanno sempre
più violenti: alcuni episodi rimangono così impressi nella mente del giovane Vasco tanto
da ritrovarli nelle pagine dei suoi romanzi, come lo scoppio della bomba di Piazza Antinori
del 1921 (descritto nello Scialo) e la Notte dell'Apocalisse del 1924 (Cronache di poveri
amanti).
Dopo la morte del nonno Pio nel 1925, per i conseguenti gravi problemi economici, Vasco
è costretto ad abbandonare la scuola e a mantenersi svolgendo vari mestieri: garzone di
bottega, tipografo, portiere d' albergo, venditore ambulante, rappresentante di commercio.
Nel novembre del 1926 Vasco e la nonna vengono sfrattati dalla casa di Via de' Magazzini
(circostanza ricordata nel racconto Lo sgombero all'interno di Diario sentimentale) e si
trasferiscono in un appartamento in via del Corno:
6 V . Pratolini, Via de' Magazzini, Vallecchi, Firenze 1942, pp. 85-86.
7 «il fatto che sotto casa, lo prenda come un dato mitologico, ma è una verità, c'erano i marmi con le
terzine dantesche, come una reazione a catena per un ragazzo del popolo: leggere Dante diventa naturale e
dalle note a piè di pagina della Divina Commedia risalire ai libri di storia, ai cronisti, ai biografi» (intervista a
F. Camon, La moglie del tiranno, Roma, Lerici, 1969; desumo la citazione da Carlo Villa, Invito alla lettura
di Pratolini, Mursia, Milano 1973, p. 15).
8
Ho abitato in via del Corno […] in un periodo molto importante, duro e doloroso, della mia vita.
Cos'era, a esempio, doversi alzare la mattina alle sei, d'inverno, con ancora addosso la stanchezza del
giorno avanti, e la faccia gelatasi nel sonno per il freddo che faceva dentro la camera! Ma furono anche
gli anni in cui mi innamorai per la prima volta, in cui cominciai a portare a casa un salario, e potei
disporre di due o tre lire, la domenica: uno di quei momenti che resistono a lungo nella memoria, e
ripensando ai quali si dice: «Ah, se sapessi scrivere, ne avrei di cose da raccontare!»
8
Nel 1929 lascia la casa di Via del Corno per andare ad abitare con il padre in via
Toscanella, vicino allo studio del pittore Ottone Rosai. Attraverso Rosai Vasco scopre gli
autori italiani contemporanei, Tozzi, Campana, Palazzeschi, Cardarelli, Jahier
9
, e quelli
appena precedenti (Verga, Pratesi):
Dopo via de' Magazzini e via del Corno andai ad abitare in via Toscanella, vicino a questo Rosai che
faceva ancora lo stipettaio...Che cosa significò per me Rosai? Probabilmente, oltre al grande artista che
era, il debito che io ho verso Rosai, irrazionale come partenza, in seguitò mi si rivelò prezioso. Le
spiego: mi servì immediatamente a capire quali fossero alcuni dei miei contemporanei in cui
riconoscermi, un po' perché erano amici di Rosai, un po' perché li ritrovavo nei libri che Rosai
possedeva e mi prestava quando avevo quindici, sedici anni, dico: Jahier, Palazzeschi, Tozzi.
10
In questo periodo Vasco inizia a scrivere le prime poesie e i primi racconti. Nel novembre
1931 gli vengono pubblicati, sulla rivista di Perugia «Il Bivacco» diretta da N. F. Cimmino,
tre brevi frammenti lirico-narrativi intitolati Asterischi fiorentini.
Nel 1931 lascia il lavoro per dedicarsi completamente allo studio: passa le giornate in
biblioteca
11
, frequenta da libero uditore le lezioni dell'università, segue un corso serale di
8 V . Pratolini, Ho ritrovato i poveri amanti nelle Cronache di Carlo Lizzani, «Cinema Nuovo», n. 20,
1º ottobre 1953. Ricavo la citazione da A. Vannini, Vasco Pratolini e il cinema, La Bottega del Cinema,
Firenze 1987, p. 86.
9 Asor Rosa sottolinea, tra le varie letture del giovane Pratolini, quelle di Jahier, che contengono
tematiche vicino a quelle riprese da Pratolini nelle prime opere: «Allora le sue stesse letture si fanno più
attente e più scelte, più rispondenti a una sua intima necessità; e fra le altre ci sembra soprattutto significativa
quella di Jahier, del quale il giovane Pratolini istintivamente apprezzava l'attenzione sempre vigile e rigorosa
al fatto morale e quel ritorno alla purezza incontaminata della propria pubertà, che risvegliava forse in lui
ricordi e nostalgie» (A. Asor Rosa, Vasco Pratolini, Edizioni Moderne, Roma 1958, p. 13).
10 Fabio Russo, Vasco Pratolini, Le Monnier, Firenze 1989, pp. 12-13.
11 «A diciott'anni andavo a giocare a biliardo, avevo una ragazza qui e l'altra là. Decisi di lasciare ogni
cosa. Vissi i miei giorni in biblioteca, pianificando le mie letture. Cominciai a conoscere Croce, la filosofia
tedesca, dopo aver digerito ed essermi sostanzialmente nutrito degli illuministi. E la frequentazione dei miei
classici ai quali sempre tornavo: Compagni, Boccaccio, sacchetti, Machiavelli, dante...Disperazione di dover
9
lingua francese presso il Circolo Filologico e si mantiene collaborando saltuariamente a
qualche rivista locale e compilando tesi di laurea.
Gli anni del «Bargello»
12
e i primi passi nel mondo culturale fiorentino
Pratolini inizia la collaborazione al «Bargello»
13
nel n. 31 del 31 luglio 1932, con l'articolo
Pensieri di giovane.
Durante i sette anni in cui scrive sulla rivista (il suo ultimo articolo è datato 5 settembre
1939), Pratolini pubblica oltre centoventi pezzi, spaziando dai temi di politica estera a
quelli di politica interna, dalla teoria politica ed economica alla critica letteraria; recensisce
inoltre libri, film, spettacoli teatrali, mostre di pittura e pubblica otto brevi racconti
14
.
All'interno di un movimento originariamente antiborghese e anticapitalistico come il
fascismo, Pratolini conduce sulle pagine del «Bargello» una battaglia in favore di una
cultura popolare, che contribuisca ad alzare il livello culturale delle masse e a creare una
«coscienza sociale e rivoluzionaria» del proletariato:
In questo nostro tentativo di contribuire alla polemica per una cultura fascista ci ha interessato in primo
luogo, e soprattutto, chiarire la necessità politica e l'obbligo morale che, come fascisti, abbiamo di
favorire ed incrementare, ordinare e facilitare una cultura popolare la quale, elevando il livello
intellettuale della massa, potenzia l'Idea nella sua struttura sociale come una aderente, specifica, conscia
partecipazione del popolo alla dottrina e agli sviluppi rivoluzionari.
Concepire ancora la speculazione culturale soltanto come patrimonio di pochi è un ribadire il concetto
d'egoismo che valuta la sua superiorità al metro dell'altrui forzata bassura intellettiva […]
sempre ricominciare, voracità, e abissi d'ignoranza che mi si aprivano di volta in volta» (intervista a F.
Camon, Il mestiere di scrittore, Garzanti, Milano 1973).
12 Per le notizie sulla collaborazione di Pratolini con la rivista, abbiamo seguito lo studio di S. Siliani,
Pratolini ed il «Bargello», in Convegno internazionale di studi su Vasco Pratolini. Atti, Edizioni Polistampa,
Firenze 1995, pp. 73-80; e la monografia di F. P. Memmo, Pratolini, Il Castoro, Firenze, 1977.
13 Settimanale della federazione provinciale fascista fiorentina, esce dal 9 giugno 1929 al 25 luglio
1943. Fondato e diretto inizialmente da Alessandro Pavolini (segretario federale del PNF di Firenze e dal
1939 ministro della Cultura Popolare) e, dal maggio 1934, da Gioacchino Contri. «Il Bargello», come molte
altre riviste dell'epoca (come «L'Universale» di Berto Ricci), era considerata una rivista di partito, ma covava
al suo interno anche posizioni critiche verso il regime e spesso ospitava articoli che rivendicavano la carica
antiborghese inizialmente presente nell’ideologia fascista. Queste riviste (oltre al «Bargello» e
all’«Universale», «Critica fascista», «Primato» e altre) crearono le condizioni per alimentare la fronda interna
al regime, chiamata poi “fascismo di sinistra”, di cui fecero parte, tra gli altri, i giovani Pratolini, Vittorini e
Bilenchi.
14 Uno di questi racconti, uscito sul «Bargello» nel 1938 col titolo Elemosine, verrà ripreso da
Pratolini (con un' aggiunta finale) nel Tappeto verde, con il titolo La mano.
10
Ad ogni modo si deve inoculare nell'operaio (e in chiunque) una possibilità superiore, cioè sempre più
chiara e definita, di coscienza sociale e rivoluzionaria.
15
Gli articoli più interessanti che Pratolini pubblica sulla rivista riguardano il campo
letterario, dove si nota la volontà di rompere con la tradizione letteraria ottocentesca
puramente documentaristica, per rivolgersi verso autori più moderni, capaci di interpretare
la realtà attuale in maniera più vera e genuina. Tra gli scrittori che Pratolini individua come
possibili artefici di una nuova letteratura risaltano i nomi di Palazzeschi e Bilenchi,
risalendo alla lezione di Verga e Tozzi.
Noi giovani si dovrebbero avere idee chiare, ormai, ed alla voce «romanzo» - messi in pari con
Palazzeschi – fermarsi a Tozzi ed a Verga. Con questi contadini e con questi pescatori (Podere o
Malavoglia) c'entra aria sana ne' polmoni e ci giova allo spirito.
16
Per quanto riguarda Bilenchi, nella recensione al Capofabbrica, definito il prototipo del
nuovo romanzo «popolare e universale», Pratolini aggiunge:
ai migliori di noi non è necessario, per esprimersi, di vestire i propri personaggi in camicia nera né di
arruffianare alla profondità dei loro gesti il sacro dell'idea ed il culto degli eroi.
17
Questa considerazione ci conduce verso il punto fondamentale sul quale si fonda l'idea di
letteratura e di arte di Pratolini, cioè l'indipendenza dell'artista e della sua opera dalla
politica:
L'arte che si sottomette ad un'ortodossia, sia pure a quella della più sana dottrina è perduta. Essa
intristisce nel conformismo. Poiché la rivoluzione trionfante può e deve offrire all'artista prima di tutto
la libertà. Senza di essa l'arte perderebbe valore e significato.
18
Ma le precarie condizioni di salute causate dalla povertà («La mia tbc la dovetti
15 V . Pratolini, Tempo culturale della politica, «Il Bargello», 31 gennaio 1937. Desumo la citazione da
F. P. Memmo, Pratolini, cit., p. 21.
16 V . Pratolini, Vita di Tozzi, «Il Bargello», 21 marzo 1935; in F. P. Memmo, Pratolini, cit., p. 22.
17 V . Pratolini, Letteratura del nostro tempo. Bilenchi: Il Capofabbrica, «Il Bargello», n. 23, 1935;
riporto la citazione da S. Siliani, cit., p. 76.
18 V . Pratolini, Il Gide redento?, «Il Bargello», n. 8, 1936; in S. Siliani, cit., p. 77.
11
unicamente alla denutrizione»
19
) costringono Pratolini al ricovero in sanatorio prima a Villa
Bellaria, ad Arco di Trento, nel 1935, poi a Sondalo, in Valtellina, fino alla metà del 1937.
L'esperienza del ricovero darà vita alle prose del Taccuino del convalescente (edite
inizialmente all'interno di Le amiche
20
e poi variamente riprese in Diario sentimentale
21
),
degli Uomini che si voltano (presenti anch'esso nelle Amiche e nel Diario), dedicato al
pittore Scipione conosciuto in sanatorio, e dei due racconti che confluiranno nel Tappeto
verde, Una giornata memorabile e Prima vita di Sapienza (che in volume prenderà il titolo
di Prima età).
Nel 1936, durante un momentaneo ritorno a Firenze prima del nuovo ricovero a Sondalo,
conosce Elio Vittorini, che lo avvicina alla letteratura europea:
Il sodalizio con Vittorini...fu determinante, fondamentale, trovi lei gli aggettivi, saranno sempre inferiori
al mio debito verso Vittorini. Senza l'incontro con Vittorini, non so, certe scoperte, quando le avrei fatte
e quanto mi sarebbero costate: Svevo, Proust, Radiguet...Fu un incontro che Vittorini cercò, mica io. Lui
mi cercò. Aveva questo fiuto, da sempre, anzi allora ad uno stato forse ancor più naturale, perché
accanto all'interesse culturale, quello umano, nei miei confronti, lo travalicava. Niente di demiurgico, il
suo bisogno di donare intelligenza piuttosto, di esistere anche negli altri
22
.
L'incontro con Vittorini è importante sia dal punto di vista letterario sia dal punto di vista
politico. Tornato definitivamente dal sanatorio, è infatti introdotto da Vittorini (che ha già
pubblicato su «Solaria» i racconti di Piccola borghesia e Il Garofano Rosso) nell'ambiente
culturale fiorentino, dove conosce, tra gli altri, Montale
23
, Berto Ricci, Palazzeschi,
Alfonso Gatto e Bilenchi. L'amicizia tra Pratolini, Vittorini e Bilenchi sarà ricordata da
19 Dall'intervista a Ferdinando Camon, in Il mestiere di scrittore, Garzanti, Milano 1973.
20 Le Amiche, Vallecchi, Firenze 1943.
21 Diario sentimentale, Vallecchi, Firenze 1956.
22 Fabio Russo, cit., p. 16.
23 «Soltanto dopo un lungo periodo che passavo davanti alle Giubbe Rosse, e mi guardavo bene
dall'entrare, una sera Vittorini mi introdusse e mi presentò a Montale. Ma per quanto fosse già famoso e ne
sapessi tante citazioni, io non lo avevo mai letto, un po' perché con il mio autodidattismo […] non potevo
aver letto tutto, un po' perché ero un ungarettiano di ferro, se possiamo dire così. Sapevo tutto Ungaretti a
memoria […] Così io dissi a Montale che avevo difficoltà a trovare i suoi libri, non li avevano nemmeno alla
Nazionale. Allora Montale mi invitò ad andare a trovarlo al Gabinetto Viesseux dov'era il direttore. Figurati
con che emozione ci andai, e lui mi aspettava nel suo studio, e sul tavolo, già dedicato, trovai una copia degli
Ossi di seppia. Poi siamo diventati amici e io l'ho accompagnato per mesi e mesi a casa la sera dalle Giubbe
Rosse» (Viaggio nella memoria, intervista a L. Luisi, in Luciano Luisi, Vasco Pratolini, Mandese Editore,
Taranto 1988, p. 55).
12
quest'ultimo in Vittorini a Firenze, all'interno della raccolta Amici (1976):
Tra la fine del 1935 e il principio del 1936, Elio conobbe Vasco Pratolini, che io avevo incontrato,
ragazzo, in via Toscanella dove abitava vicino alla casa di Rosai e deve essere stato proprio Ottone a
presentarmelo. Vittorini era rimasto colpito dalla vivacità, dall'intelligenza di alcuni scritti di Vasco,
aveva compreso dalle idee espresse e da quelle adombrate che si trattava di un giovane ben disposto a
imboccare la via giusta e tanto fece, tanto si agitò finché non riuscì a conoscerlo. Cominciò tra loro una
profonda amicizia che durò fino alla morte di Elio. Mi pare che il loro incontro avvenne fra un ricovero
e l'altro di Pratolini in sanatorio. Elio spiegò con pazienza a Vasco cosa fosse realmente il fascismo e
che vera, unica alternativa ad esso non poteva che essere il comunismo. Se ben ricordo fu Vittorini che
fece pubblicare il primo racconto di Vasco. Mentre Pratolini era per la seconda volta in sanatorio, ora
Sondalo, Elio e lui si scrivevano tutti i giorni. Quando Vasco tornò a Firenze, dopo la solita passeggiata
quotidiana Elio e io ci recavamo quasi ogni pomeriggio in un piccolo caffè, Da Tonino, situato in via
Martelli e frequentato da vecchi magistrati, da puttane e da giornalisti. Ci sedevamo a un tavolo con
Ottone Rosai, Bruno Rosai, Berto Ricci, Vasco Pratolini, Renzo Grazzini, Bruno Becchi e qualche altro.
Parlavamo un po', poi Vittorini, io e spesso Rosai andavamo a trascorrere la fine del pomeriggio alle
Giubbe Rosse dove incontravamo gli altri amici. Pratolini ci avrebbe seguito qualche tempo dopo,
quando riuscì a vincere la sua ansiosa timidezza.
24
Inoltre, grazie a Vittorini, Vasco pubblica, nell'ottobre 1938, sulla rivista «Letteratura»
(diretta da Alessandro Bonsanti) il racconto Prima vita di Sapienza.
Dal punto di vista politico, come già accennato da Bilenchi nel passo riportato sopra,
Vittorini influenza Pratolini nel suo distacco dal fascismo
25
. L'occasione che apre
definitivamente gli occhi a tutti i giovani che si dichiarano appartenenti alla sinistra
fascista è la Guerra di Spagna e l'appoggio militare del regime italiano alla Falange di
Franco:
24 Amici è raccolto in R. Bilenchi, Opere complete, Rizzoli, Milano 2009, pp. 843-844.
25 Asor Rosa spiega l'illusione rivoluzionaria che spinse inizialmente i giovani Pratolini, Bilenchi e
Vittorini (e molti altri esponenti della sinistra fascista) ad appoggiare la dittatura di Mussolini, e la loro
conseguente ripudia: «Pratolini […] è così vicino a quegli ambienti della sinistra giovanile fascista (cui del
resto appartenevano tutte le sue prime amicizie), che impugnano come bandiera l'esigenza di rivoluzione
integrale e di giustizia sociale, che il fascismo ufficiale si era ben guardato dal realizzare. Vittorini e Bilenchi,
con tutto il loro antifascismo, escono proprio da questi ambienti: è l'opposizione interna al regime, che
troverà altrove manifestazioni sempre più clamorose e radicali […] E tale atteggiamento – l'illusione di dare
un contenuto rivoluzionario e progressista a una dittatura ferocemente conservatrice – testimonia certo in
questi giovani una buona dose di ingenuità politica e di immaturità ideale; ma anche, un grande entusiasmo, e
il desiderio sempre più vivo, se pure ancora inconsapevole, di uscire ad ogni costo dal cerchio chiuso della
letteratura e di riprendere contatto con i grandi problemi della storia» (A. Asor Rosa, cit., p. 17).
13
Tutti i nostri equivoci caddero: Avevamo sempre attribuito al fascismo idee e intenzioni che non aveva.
Ad essere fascisti di sinistra come noi, s'era nell'imbroglio. La Spagna chiarì che eravamo contro gli
operai e la cultura, ci percosse come una realtà fisica. Non fu la via di Damasco, ma la controprova dei
nostri dubbi.
26
Nel 1938 Pratolini fonda, insieme ad Alfonso Gatto, «Campo di Marte», un quindicinale di
ispirazione ermetica edito da Vallecchi che, accusato di eccessiva indipendenza, viene
soppresso un anno dopo (l'ultimo numero è quello del 1° agosto 1939) dal regime fascista
27.
Le prime opere e la Resistenza
Nel 1939, terminata l'esperienza di «Campo di Marte» e la collaborazione con «Il
Bargello»
28
, si trasferisce a Roma, dove lavora presso il Ministero dell'Educazione
Nazionale, alla Direzione generale delle belle Arti, occupandosi della rivista ministeriale
«Le Arti» e del progetto di un archivio per l'Arte contemporanea. Nel frattempo collabora a
molte riviste e periodici, come «Il Ventuno-Domani», «Primato», «Incontro»,
26 Il nipote di Metello, intervista ad Andrea Barbato, «L'Espresso», 2 dicembre 1962. Ricavo la
citazione da V . Pratolini, Romanzi, vol. 1, cit., p. XLIX.
27 La vena critica della rivista fu evidente fin dal primo numero (1 agosto 1938), dove Pratolini,
nell’articolo Calendario, esponeva gli obiettivi del quindicinale: «Il Campo di Marte per noi fiorentini fu un
gran prato alla periferia dove si alzavano i vecchi Caproni e dove, da adolescenti, nel dopoguerra, giocavamo
interminabili partite di calcio; più tardi ci s'è portato le ragazze, nei dopocena, al largo dei margini dove
bivaccavano, d'estate, le famiglie. Poi ci hanno costruito lo Stadio e le cilindrate, e siamo diventati uomini col
coraggio di dire che tutta la fanciullezza fu un tempo precario. Amici intelligenti son venuti ad insegnarci
qualcosa. Con essi dedicheremo a questo foglio quello che rimarrà di noi, al di fuori del mestiere, allato della
vanità che ci farà compromettere nel tempo. Impegneremo così il nostro coraggio nella cronaca. Come
letterati non potremo dimenticare di fidarci dell'intelletto, da uomini cercheremo di dire qualcosa che non sia
soltanto un aggiogarsi al commento della mezzanotte. Non siamo al servizio di nessuno, e non avendo
interessi nessun interesse difenderemo [...] Ci sembra di attraversare un periodo di revisione di tutte le nostre
ragioni, che sono molte e non sempre ortodosse. Dedicheremo il nostro lavoro a documentarci, a precisare
ciò che la fede ci ha portato a credere, ci sforzeremo di chiarire il nostro giudizio su fatti e idee della nostra
generazione, alla quale negheremo sciovinismo e internazionalismo, faciloneria e pedanteria. Una rivoluzione
non ha “carattere” se non presume degli uomini in ordine colla propria morale. Agli studenti domanderemo -
fuori dalla palestra oratoria – cosa pensano e cosa interessa loro delle sorgenti spirituali dell'Italia
contemporanea; agli operai domanderemo cosa può loro interessare, dopo lo sconcerto materialistico, della
storia che essi impegnano giorno per giorno. Poiché il nostro torto è di non essere né studenti né operai, e di
essere allo stesso tempo l'uno e l'altro insieme, vorremmo ricercare i difetti per valutare le qualità originali su
cui l'avvenire può contare. Questo potrà accadere soltanto traverso un lavoro quotidiano d'eliminazione al
quale anche la borghesia, come fattore negativo, è invitata a collaborare. E siccome minuto per minuto non è
mai dato giudicare noi stessi, questo foglio sarà sempre in debito di un consuntivo» (F. P. Memmo, Pratolini,
cit., p. 27).
28 «Io ero a Firenze e facevo la fame più nera perché avevo dovuto lasciare il Bargello dove non si
poteva più scrivere, perché avevo preso certe coscienze che mi impedivano di continuare a scriverci, e non è
poi che si guadagnasse da vivere» (L. Luisi, Viaggio nella memoria, cit., p. 50).
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«Rivoluzione», «La Ruota», «L'Ambrosiano», «Il Popolo di Roma», «Il Mattino» e traduce
dal francese Choses vues di Victor Hugo, Le voleur d'enfants di Jules Supervielle e Bubu
de Montparnasse di Charles-Louis Philippe.
Nel 1941 sposa l'attrice napoletana Cecilia Punzo e pubblica per Vallecchi il primo volume
di racconti (scritti tra il 1935 e il 1940), Il tappeto verde, che contiene le prime tracce della
sua “poetica della memoria”:
La mamma dovette dire un giorno: - È tempo che il bambino vada a scuola. - Ma il Tempo sa che la
mamma era morta.
Il bambino rammenta di quella scuola il nero delle vesti. Non i compagni, non le prime letture, non me
stesso vivo, ricordo; ma il nero delle vesti, il freddo di quegli anni senza la mamma, senza fuoco nella
casa e nella scuola: il freddo di cui erano fatte le cose allora; e la mia figura rivedo sul frontespizio
dell'Incompreso.
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Nel 1942 si trasferisce brevemente prima a Torino e poi a Modena come insegnante di
Arte. Cura, per Bompiani, la riedizione dell'Eredità e delle Memorie del mio amico
Tristano di Mario Pratesi e pubblica il romanzo breve Via de' Magazzini
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, che contiene
molti ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza:
E noi ragazzi più non eravamo, una precoce inquietudine ci assaliva, pubertà dicono, una stagione felice
alitava in noi, gli zigomi si indurivano sulla mia faccia, la prima peluria mi scialbava le tibie e il pube,
gli angoli delle labbra, e negli occhi di Olga la pupilla era ogni giorno più luminosa.
Capimmo di non essere ormai più dei ragazzi, qualcosa si andava cancellando in noi di fatuo e di
caparbio con le membra che lentamente si riposavano dalla fatica della corsa, qualcosa che ci
29 V . Pratolini, Il tappeto verde, Editori Riuniti, Roma 1981, p. 40. Edito per la prima volta a Firenze
da Vallecchi nel 1941 in 750 esemplari presto esauriti, rappresentò per il giovane scrittore «un'investitura, un
taglio di nastro, un “vai, fidati” pronunciato da più voci» (intervista a Francesco Paolo Memmo, in V .
Pratolini, Il tappeto verde, cit., p. 10).
30 V . Pratolini, Via de' Magazzini, Vallecchi, Firenze 1942. Il breve romanzo fu recensito il 30 luglio
1942 sulla rivista «Tempo» da Montale, attento ad evidenziare la capacità evocativa di Pratolini: «Il suo
racconto è costituito dai ricordi di un bimbo povero: pochi anni, che giungono appena alla vigilia della
pubertà. La tecnica è quella di un naturalismo aggiornato: vuol tenersi terra a terra e dir tutto, ma con
discrezione. La prosa non procede per allineamento né, in apparenza, per scelta. Pratolini introduce tutti i
suoi oggetti nel sacco, poi dà uno scossone e lascia che essi si sistemino da sé. È il suo mezzo, se tutto va
bene, di portare in luce con maggiore evidenza il particolare. Tecnica che imita la vita, la quale ci impone una
scelta già fatta e per noi assolutamente casuale. E la memoria avviluppa la narrazione, gradua le sue patine e
scopre gli oggetti in una parte più e meno altrove, com'è proprio appunto della memoria umana. Alla fine del
breve racconto alcuni anni di vita e di scoperta del mondo sono passati davvero» (Desumo la citazione da L.
Luisi, Vasco Pratolini, cit., p. 145).
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allontanava dalle creature alle quali avevamo creduto, nelle quali avevamo sofferto e goduto
irresponsabilmente
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.
Nell'aprile dell'anno successivo esce la raccolta di racconti Le Amiche
32
, nella quale è
sempre preponderante l'elemento autobiografico:
Fra quegli uomini, nelle strade, appariva il padre a volte (la casa non ha voce, ed il padre ha solo i suoi
occhi celesti, sta muto sulle sue pene): un padre forte, stupito di essere tanto forte da non crollare sotto
la fatica delle pene, ma contento della sua fatica. Sorrideva al suo figliolo libero,...Era orgoglioso di
quel suo figliolo che si faceva con le proprie mani, gli diceva: «Forse è un momento duro. Passerà»
(Questo era il mio babbo)
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.
Durante il soggiorno a Fermo (aprile-luglio 1943) presso una sorella della moglie Cecilia,
comincia a scrivere Il Quartiere e una prima stesura di Cronache di poveri amanti.
Nel 1943 torna a Roma e partecipa alla Resistenza con il nome Rodolfo Casati (il cognome
della madre) come caposettore del Partito Comunista Italiano per la zona Flaminio-Ponte
Milvio.
La volontà di Pratolini di mettere in atto l'impegno politico e civile e il bisogno di
partecipare attivamente a un evento storico come la Resistenza, è testimoniata da una
lettera del 16 dicembre 1943 inviata all'amico Parronchi, in cui si fa riferimento anche alla
giovanile adesione al fascismo:
i fatti dovrebbero restituirci vivi, soprattutto nello spirito, permettendoci di fornire alla società il buono
che è pure in noi e che chi più chi meno, involontariamente e a ragion veduta, tradimmo per inerzia o
per vanità, ugualmente condannabili. Non penso di tirar un frego sul passato, non sarebbe giusto e non
sarebbe possibile (io personalmente, tu personalmente non abbiamo nulla da rifiutare come colpa
originale) – penso che il momento è scoccato in cui negare una fiducia totale, un razionale dispendio di
tutte le nostre forze alla società e per la società secondo un “bene” che non può non apparirci preciso e
lampante, significherebbe destituire la nostra coscienza, la nostra intelligenza anche, di ogni valore. La
nostra letteratura mancava di un “intervento”, di una verità che ogni scrittore in quanto uomo fra gli
uomini, non può non scontare fisicamente, umanamente. Questo è il momento, e chi adesso ne è fuori
31 Via de' Magazzini, cit., p. 102.
32 V . Pratolini, Le Amiche, Vallecchi, Firenze 1943. Il libro confluisce nel 1956 in Diario
sentimentale.
33 V . Pratolini, Romanzi, vol. 1, cit., p. 191.
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