1
CAPITOLO I
IL PRINCIPE CARDINALE MAURIZIO DI SAVOIA,
DIPLOMATICO ED ACCADEMICO DESIOSO
1.1 La carriera ecclesiastica tra Roma e Torino
«E poiché i papi non durano molto, convien stabilire anche le cose di Roma con un
Cardinale di questa Casa: e per questo conviene che Maurizio mio figlio quartogenito sia
Cardinale, come presto se ne supplicherà il Papa, per potere in Roma, con la fazione del
cardinale Aldobrandino, che si mostra tanto mio, ed altri signori cardinali miei amici, aver
sempre più gagliarda parte nel pontificato»
1
. Con queste istruzioni il duca Carlo Emanuele
I (1562-1630) getta le basi di una duratura intesa tra il ducato sabaudo e la Roma papale e
favorisce l’ascesa al potere del principe Maurizio (1593-1657) che, consapevole del ruolo
d’eccezione di primo cardinale della dinastia, seppe glorificarne la magnificenza. La
nomina arrivò nel 1607 per volontà di Papa Paolo V Borghese (al secolo Camillo
Borghese, 1552-1621) e da quel momento in poi la presenza di un principe ai vertici della
gerarchia ecclesiastica mutò la fama internazionale dell’intero casato piemontese,
garantendo ai Savoia una fitta rete di alleanze, impossibile da ottenere con la guerra o gli
interventi diplomatici.
I primi anni della sua attività si svolsero tra Roma e Parigi, dove si trovava nel 1619 per
concludere la trattativa per il matrimonio tra suo fratello Vittorio Amedeo (1587-1637),
erede al ducato e Cristina di Francia (1606-1663), sorella del re Luigi XIII. Questo breve
soggiorno, conclusosi nel mese di marzo, si rivelò importante per Maurizio non solo dal
punto di vista politico, ma soprattutto culturale: Parigi era crocevia commerciale di gioielli,
tessuti e arredi, dove confluivano artisti provenienti da tutta Europa, abili trattatisti come
Frans Pourbus il Giovane (1559-1622) al quale il Cardinale si rivolse per un’effigie e si
potevano acquistare quadri fiamminghi.
1
L. RANDI, Il principe cardinale Maurizio di Savoia, Firenze 1901, p. 17.
2
Al contrario Roma era la culla della cultura artistica antiquaria e moderna e il Cardinale vi
entrò trionfalmente il 2 Febbraio del 1621 con un seguito di duecento persone
2
, tra cui il
poeta bolognese Alessandro Tassoni (1565-1635)
3
e l’arcivescovo di Mantova Francesco
Gonzaga (1586-1612); la delegazione sabauda si era infatti trattenuta qualche mese tra
Modena e Mantova presso le sorelle di Maurizio Isabella (1591-1626) e Margherita (1589-
1655), convolate a nozze nel 1608 rispettivamente con Alfonso d’Este (1591-1644) e
Francesco Gonzaga.
Il motivo della partenza era rappresentato dalla morte del Papa e, una volta eletto il suo
successore Alessandro Ludovisi (1554-1623) con il nome di Gregorio XV (1621),
Maurizio venne richiamato in Piemonte per recarsi in Francia a chiedere un aumento alla
pensione che riceveva come protettore della Corona
4
. Il precario stato di salute del nuovo
pontefice lo costrinse però a fare ritorno nella capitale nel febbraio del 1622 in modo da
poter essere presente al conclave qualora Gregorio XV fosse deceduto. In tale eventualità
aveva l’obbligo di escludere il Cardinal Del Monte (1549-1627) dalla candidatura e tenere
una posizione intermedia, né francese, né spagnola
5
. Fermo sostenitore del Papa, in questo
momento Maurizio non aveva ancora una forza politica consolidata, pertanto il suo
atteggiamento nelle dinamiche socio-politiche era all’insegna della prudenza, volto
soprattutto a crearsi un fitta trama di conoscenze accuratamente selezionate all’interno
dell’élite romana.
Tornato provvisoriamente a Torino si occupò di dirigere i lavori di edificazione della sua
Vigna privata in collina (l’attuale Villa della Regina), iniziati nel 1615 e poi interrotti, ma
alla fine di maggio del 1623 la morte del Papa lo riportò a Roma dove aveva il compito di
fare pressioni per l’elezione al soglio pontificio di Maffeo Barberini (1568-1644), futuro
Urbano VIII. Sarà l’età barberiniana a vedere crescere e consolidarsi il suo prestigio.
2
L’ingresso a Roma del Principe Cardinale e del suo corteo è raccontato nei dettagli in una lettera che
Lodovico San Martino d’Agliè, ambasciatore sabaudo nella capitale, scrive al Duca Carlo Emanuele I il 2
Febbraio 1621. Cfr. Archivio di Stato di Torino, Lettere Ministri Roma, mazzo 33. Una parte della missiva è
riportata anche in: M. DI MACCO, «L’ornamento del Principe». Cultura figurativa di Maurizio di Savoia
(1619-1627), in G. ROMANO (a cura di), Le collezioni di Carlo Emanuele I, Torino 1995, p. 350.
3
Per definire la complessa figura di Alessandro Tassoni si veda: V. E. GIANAZZO DI PAMPARATO, Il
Principe Cardinal Maurizio di Savoia mecenate dei letterati e degli artisti, Torino 1981, pp. 81-88. Poeta,
storico e critico, grandemente stimato dal duca Carlo Emanuele I al punto da designarlo segretario personale
del Principe Cardinale, intrattiene con quest’ultimo un rapporto molto difficile. Arruolato dallo stesso Duca
per accompagnare la delegazione sabauda a Roma, viene ripetutamente messo da parte da Maurizio che non
tollera l’astio manifestato pubblicamente dal poeta nei confronti della corona spagnola, per nulla condiviso
dall’ecclesiastico.
4
L. RANDI, Il principe cardinale Maurizio di Savoia…cit., p. 33.
5
Ibid., pp. 37-38.
3
Nel 1623, in attesa di prendere alloggio nel palazzo che Paolo Giordano Orsini duca di
Bracciano affittava a Montegiordano, prese dimora a Caprarola dove ricevette in visita
l’ambasciatore di Francia, diversi cardinali quali Bentivoglio, Aldobrandini, Borghese e
l’Arcivescovo di Bologna Ludovico Ludovisi (1554-1623), nipote del Papa; documentati
sono anche i suoi soggiorni nelle ville di delizia degli Este a Tivoli e dei Ludovisi a
Frascati, dalle quali trasse certamente spunto per la propria in Piemonte
6
.
Dal 1624 si trasferì stabilmente nel palazzo di Montegiordano e si occupò di consolidare i
rapporti con gli Aldobrandini, in particolare con Pietro (1571-1621) che nel 1608 era stato
ospitato a Torino da Carlo Emanuele I e aveva portato con sé Giovan Battista Marino
(1569-1625), con le famiglie Borghese, Ludovisi, Barberini e Borromeo, preoccupandosi
in un primo tempo di tenere a distanza il cardinal Del Monte, al quale era legato tuttavia
dai medesimi gusti collezionistici
7
.
La rapidità con la quale il cardinale Maurizio si impose sulla scena romana come
autorevole promotore della cultura moderna è testimoniata dal ruolo di primo piano che
assunse durante le celebrazioni onorarie per la morte di Giambattista Marino, tenutesi in
Palazzo Mancini il 7 settembre del 1625. La sala grande, sede dell’Accademia degli
Humoristi
8
, era stata appositamente allestita con quadri simbolici delle virtù del poeta
realizzati dai più celebri pittori del tempo: Baglione (1566-1643), Vallesio, Lanfranco
(1582-1647), il Cavalier Pomarancio (1570-1630) e il Cavalier d’Arpino (1568-640). Di
fronte alla cattedra era collocato un quadro di grandi dimensioni entro una cornice dorata,
opera di uno degli artisti prediletti da Maurizio, Gian Giacomo Sementi (1583-1640),
descritta dal Baglione come un’Allegoria dell’Accademia, rappresentata da una donna
seduta con la tromba nella mano destra e ai piedi la lupa con Romolo e Remo
9
. In onore
del Marino vennero recitati orazioni e componimenti poetici in latino e in volgare alla
presenza del principe accademico Carlo Colonna, degli ambasciatori di Spagna e di
6
M. DI MACCO, «L’ornamento del Principe»… cit., pp. 355-356.
7
Ibid., p. 355.
8
Sull’Accademia degli Humoristi si veda: M. GALLO, Orazio Borgianni, l’Accademia di S. Luca e
l’Accademia degli Humoristi: documenti e nuove datazioni, in «Storia dell’Arte», 76, 1992, pp. 296-345.
9
G. BAGLIONE, Le vite de’ pittori, scultori e architetti: dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino à
tempi di Papa Vrbano Ottauo nel 1642, Roma 1642, ed. Roma 1970, pp. 344-345. Ad oggi non è stato
ritrovato il dipinto descritto dal Baglione; va tuttavia sottolineato che nell’ Iconologia di Cesare Ripa
(edizione del 1613), l’Accademia degli Humoristi è rappresentata con la variante di due scimmie al posto
della Lupa capitolina. A questo proposito nella Relazione della pompa funerale fatta dall’Accademia degli
Humoristi di Roma. Per la morte del Caualiere Gio. Battista Marino, scritta da F. Freschi (1621, pp. 8-10) e
riportata in M. DI MACCO, «L’ornamento del Principe»… cit., pp. 359, nota 48, si parla infatti di due
scimmie morte, simbolo forse di due Accademie sorte ad emulazione di quella degli Humoristi e presto
cadute in disgrazia.
4
importanti cavalieri e uomini di Chiesa; ma il vero ospite d’eccezione era il cardinal
Maurizio «vero Mecenate di Virtuosi, il quale volle honorar colui ancor morto, che viuo
infiniti honori riceuuti hauea dalla Serenissima Sua Casa»
10
.
Perfettamente inserito nel milieu dei patronati accademici, nel 1626 fondò in una sala del
Palazzo di Montegiordano l’Accademia dei Desiosi, che assunse un prestigio tale da far
concorrenza alle più importanti istituzioni romane degli Humoristi, dei Virtuosi e degli
Ordinati. Vi entrarono a far parte i personaggi più eccelsi residenti nella capitale, musici,
letterati e poeti quali il cardinale Fabio Chigi (1599-1667), eletto Papa Alessandro VII nel
1655, il cardinal Rospigliosi (1600-1669), Pietro Sforza Pallavicino (1607-1667), lo storico
Agostino Mascardi (1557-1608), l’Aleandri
11
.
Nello stesso anno Maurizio assunse la diaconia di Santa Maria in Via Lata, carica passata
nel giro di pochi anni da Alessandro d’Este (1631-1632) a Carlo Emanuele Pio di Savoia
(1623-1626), che mantenne fino al 1642 anche se già nel 1627 i documenti parlano di un
suo trasferimento in Piemonte con parte della quadreria, forse sistemata nel Palazzo e nella
Vigna torinesi. Gli inventari patrimoniali sono poco generosi nell’indicare il nome degli
artisti collezionati, non è pertanto possibile stabilire con esattezza di quali opere si
trattasse
12
.
Da quel momento i suoi soggiorni a Roma furono sempre di breve durata e fu
l’ambasciatore Lodovico San Martino d’Aglié (1578-1646)
13
a curare gli affari del
Cardinale almeno fino al 1635, quando egli fece ritorno nella sede papale per confermarsi
protagonista della nuova stagione barocca, indirizzando il gusto della sua corte romana
verso un progressivo aumento dello sfarzo, ma riservando a se stesso il ruolo di mecenate
di artisti legati al naturale e al classicismo. I continui contatti con l’ambiente bolognese,
favoriti da un accademico di tutto rispetto quale fu Luigi Manzini
14
che celebrava la
magnificenza dell’ecclesiastico nel suo Caduceo (1635), lo portarono a prediligere una
pittura poetica, meditativa, dichiaratamente classica, incarnata da Guido Reni e dalla sua
scuola.
10
F. FRESCHI, Relazione… cit., p. 20.
11
V. E. GIANAZZO DI PAMPARATO, Il Principe Cardinal Maurizio… cit., p. 15.
12
M. DI MACCO, Quadreria di Palazzo e pittori di corte. Le scelte ducali dal 1630 al 1684, in G.
ROMANO (a cura di), Figure del Barocco in Piemonte. La corte, la città, i cantieri, le province, Torino
1988, p. 44.
13
R. DE FELICE, ad vocem Ludovico San Martino conte d’Aglié, in Dizionario biografico degli Italiani,
Roma 1960, vol. 1, p. 410.
14
Letterato e autore, con altri Bolognesi dell’epoca, del Trionfo del pennello, edito nel 1634 e dedicato a
Guido Reni. Cfr. M. DI MACCO, «L’ornamento del Principe»… cit., p. 374, nota 107.
5
Nel 1630 era morto il Duca Carlo Emanuele I e al suo successore, il figlio primogenito
Vittorio Amedeo, aveva lasciato uno Stato in pessime condizioni: la Savoia era infatti
diventata baluardo francese, in gran parte territorio di scorribande delle soldatesche
spagnole e imperiali. Alla corte di Torino Cristina faceva pressione sul marito affinché
stipulasse un patto di alleanza con la Francia, mentre la posizione dei cognati Maurizio e
Tommaso (1596-1656) era filo-spagnola, vicino all’imperatore d’Austria. Forse a causa di
questi dissidi familiari il Cardinale decise di lasciare Torino alla volta di Roma, con il
pretesto di proteggere gli interessi della Corona di Francia. Le incomprensioni sfociarono,
dopo la morte del Duca Vittorio Amedeo I, in una guerra civile fra “principisti” e
“madamisti” sostenitori di Cristina, Madama Reggente, la quale nel 1639 fu costretta a
fuggire in Francia con il figlio, per tornare in Piemonte l’anno successivo con le truppe
francesi che costrinseroo Torino alla resa. L’armistizio fra la duchessa ed i cognati si
concretizzò solo nel 1642 quando, abbandonata la porpora cardinalizia, Maurizio prese in
sposa la nipote Ludovica Maria (1629-1697), figlia di Cristina.
Fino alla fine della sua esistenza il Principe sabaudo continuò a dedicarsi alla cultura e al
collezionismo: fondò nella sua Villa torinese l’Accademia dei Solinghi, letteraria e
cavalleresca che contvaa tra i suoi membri più illustri il Cardinal Panfili (1574-1655),
futuro Papa Innocenzo X, protettore delle arti a Roma e soprattutto Emanuele Thesauro
(1592-1675), del quale si conserva un discorso tenuto in occasione di un’adunanza nel
1633 che attesta che l’Istituzione era anche chiamata dei Desiosi proprio per sottolineare la
comunanza di intenti con quella sorta nella capitale nel 1626
15
.
Alla sua morte, avvenuta senza eredi nel 1657, lasciò tutti i suoi beni alla moglie Ludovica.
1.2 Principe «Perseverante» dell’Accademia dei Desiosi
Le finalità e l’organizzazione dell’Accademia fondata dal cardinal Maurizio nel 1626 nel
Palazzo di Montegiordano ci sono note grazie a due documenti fondamentali: il Diario
dell’Accademia dei desiosi Eretta dal Serenissimo Prencipe Card. Di Savoia nel suo
Palazzo in Roma l’anno MDCXXVI
16
, ad oggi unica opera manoscritta relativa alle sedute
15
V. E. GIANAZZO DI PAMPARATO, Il Principe Cardinal Maurizio… cit., p. 74.
16
Il manoscritto, riportato in sintesi da V. E. GIANAZZO DI PAMPARATO, Il Principe Cardinal
Maurizio…cit., pp. 65-71, si conserva nella Biblioteca Nazionale di Torino (N. V. 13); scampato al
6
dei Desiosi e una raccolta di saggi accademici compilata dal letterato Agostino Mascardi,
edita nel 1630, importante per la conoscenza di autori e contenuti
17
. L’obiettivo da
raggiungere era l’educazione del «cavaliere» secondo i dettami considerati virtuosi alla
corte sabauda: in questo senso l’indirizzo era prevalentemente politico e non poetico come
nelle Accademie romane contemporanee. L’iniziato si sottoponeva ad una serie di prove
preselettive, superate le quali iniziava il perfezionamento della sua educazione per mezzo
di dissertazioni sulla storia e sulle arti letterali, politico-diplomatiche o militari secondo le
proprie attitudini; al termine delle prove si procedeva con la cerimonia di investitura che
culminava con la consegna dell’anello simbolo delle Corone
18
.
Nel corso delle prime sedute si richiese a ciascun membro di proporre un’impresa da
abbinare all'Accademia e la scelta ricadde ovviamente su quella proposta dal Principe
Cardinale, raffigurante cinque colonne costituite da altrettante piante diverse (quercia,
palma, edera, gramigna e alloro) intrecciate tra loro così come dovevano fare i cavalieri
con le loro virtù; il motto correlato, NON UNI INSISTERE traeva ispirazione da
Sanazzaro
19
. Ogni cavaliere aveva inoltre la propria impresa a partire da quella scelta da
Maurizio, accademico «Perseverante» contrassegnata dall’alloro che è sempre verde e si
riproduce spontaneamente, affiancato dal motto «et sponte et semper».
L’interdisciplinarietà e l’apertura verso ogni manifestazione del sapere che
caratterizzavano l’Accademia emergono con tutta evidenza se si considerano le personalità
che scelsero di farne parte: oltre ai già citati protagonisti del panorama politico romano
dell’inizio del secolo, tra i quali spiccano le figure di Fabio Chigi, Papa nel 1655 e di
Pietro Sforza Pallavicini, si incontrano musici, letterati e poeti; si ricordino a questo
devastante incendio che nel 1904 distrusse molti volumi della Biblioteca, l’opera è stata restaurata ma si
presenta mancante della parte marginale delle pagine, quindi della numerazione.
17
Saggi Accademici dati in Roma Nell’Accademia del Sereniss. Prencipe Cardinal di Savoia Da diversi
nobilissimi ingegni raccolti, e pubblicati da Monsig. Agostino Mascardi Cameriere d’honore di N.S. Urbano
VIII. Dedicati al Molto Illustre, e Reuerendiss. Sig. Don Valeriano Zanucca Scaglia, Abbate di Santa
Francesca in Brescia, Venezia 1630.
Agostino Mascardi è stato uno storico, letterato, e trattatista. Entrato nell'ordine dei Gesuiti nel 1608 ne
venne espulso nove anni dopo e, da Parma e Modena, si trasferì a Roma. Qui fu assunto nel 1620 dal
cardinal Alessandro d'Este come segretario. Dopo essere scappato a Genova in seguito ad incomprensioni
con il suo protettore, tornò in città nel 1624 su invito del poeta Virgilio Cesarini e fu assunto dal cardinal
maurizio di Savoia con il compito di dirigere l'Accademia dei Desiosi. Nel 1628 ottenne dalla Sapienza la
cattedra dell'Eloquenza che tenne fino al 1640 quando, ormai malato, si trasferì a Sarzana dove morì.
18
M. DI MACCO, «L’ornamento del Principe»…cit., p. 357, nota 38.
19
Diario… cit., pp. non numerate. L’idea che le forze del singolo vengano impiegate per il bene della
comunità verrà ribadita anche nell’Accademia dei Solinghi che il Cardinale istituirà anni dopo nella sua
Vigna di Torino dove la scelta del motto ricadrà sulla frase di Ovidio: OMNIS IN UNUM a sottolineare
come ciascun accademico sia di per sé imperfetto, ma capace di raggiungere perfetta forma all’interno della
comunità accademica. Per l’Accademia dei Solinghi cfr. T. VALLAURI, Delle Società letterarie del
Piemonte, Torino 1844, vol. I, pp. 88-99.
7
proposito i nomi di Pier Francesco Paoli (ca. 1585-ca. 1637) e Marcello Giovannetti (1598-
1631)
20
. I due poeti compaiono infatti tra gli autori di saggi rappresentativi dell’attività
accademica nel volume di Mascardi
21
.
Componente essenziale della cultura figurativa del Cardinale era rappresentata dalla
corrispondenza simbolica tra poesia e pittura, delle diverse forme di espressione poetica
con i diversi generi di manifestazione artistica. L’Accademia era sì luogo di presentazione
e discussione degli elaborati concettuali, ma forniva anche la conoscenza delle forme,
necessaria per ogni celebrazione ed apparizione pubblica.
Incontestabile modello di riferimento era Giovan Battista Marino, celebre poeta e stimato
collezionista, nominato da Carlo Emanuele I Cavaliere di san Maurizio e Lazzaro nel 1610
e legato ai figli del Duca, Tommaso e Maurizio, da un profondo rapporto d’amicizia. Nato
nel 1569, figlio di un avvocato della borghesia napoletana, a Roma fu al servizio di molte
corti e divenne celebre con due volumi di versi, Le Rime, editi a Venezia nel 1602. La fama
ottenuta favorì il suo ingresso nelle grazie del cardinal Pietro Aldobrandini che lo scelse
come accompagnatore quando, nel 1605, Papa Paolo V Borghese, succeduto al soglio
papale a suo zio e benefattore Clemente VIII, lo obbligò a trasferirsi nel Belvedere di
Ravenna. L'occasione di sfuggire alla noia del soggiorno ravennate gli venne offerta dalle
nozze a Torino della principessa Margherita di Savoia con Francesco Gonzaga: tra gli
invitati alla cerimonia c'era anche il Cardinale suo protettore e Marino si offrì di
accompagnarlo.
A Carlo Emanuele I lo univano affinità caratteriali quali l'estrosità e l'instabilità, ma
soprattutto l'amore spassionato per l'arte
22
. In questi anni era stato portato a compimento il
lungo braccio che univa il Palazzo Reale all'antica residenza degli Acaja (attuale Palazzo
Madama), decorato da Federico Zuccari (1605-1607) e celebrato dal Cavaliere in un
madrigale dedicato “Al Duca di Savoia per la sua Galleria”. E' probabile che alla base della
nascita di quella che fu la sua più grande fatica e delusione editoriale, la Galeria, ci fosse
proprio l'esperienza maturata nel ducato sabaudo. Ciò che Marino voleva fare, che non fece
mai e che oggi rimpiangiamo non sia stato fatto è una magnifica raccolta in cui i miti più
celebri dell'antichità fossero riprodotti in incisione, dalle pitture e dai disegni degli artisti
più apprezzati e dal poeta descritti e ornati con madrigali, canzonette e sonetti. Per questa
20
M. DI MACCO, «L’ornamento del Principe»… cit., p. 358 e relative note.
21
A. MASCARDI, Saggi Accademici…cit., pp. 102-119.
22
E. B. TOESCA, Il Cavalier Marino collezionista e critico d'arte, in «Nuova Antologia», 455, 1952, p. 56.
8
ragione si mise in contatto con i pittori del tempo e ad ognuno propose un'immagine.
L'opera stampata venne alla luce nel 1619 in una veste definitiva piuttosto diversa da come
l'autore l'aveva immaginata, al punto che non nascose il suo dispiacere nel definirla una
“gonnella rappezzata”
23
.
Le lettere scritte dal Marino e la Galeria sono un ricco repertorio degli artisti del primo
ventennio del Seicento: da Agostino Carracci (1557-1602) a Caravaggio (1571-1610), al
Cigoli (1559-1613) e al Cavalier d'Arpino. Apprezzava in modo particolare Palma il
Giovane (1544-1628), Morazzone (1573-1626) e Tempesta (1555-1630). In campo
artistico si trovò a cavallo tra l'esaurimento del classicismo e del manierismo della sua
formazione (Cavalier d'Arpino e i Carracci) e le novità introdotte dal Merisi. Riuscì a
conciliare con il suo gusto eclettico due correnti così diverse, ma seppe fare un’accurata
selezione e dalle sue scelte emerge tutta la sua cultura: Raffaello (1483-1520), Rubens
(1577-1640), Correggio (1489-1534), Parmigianino (1503-1540), Beccafumi (1486-1551),
Tiziano (1490-1576), i Carracci, Guido Reni (1575-1642) sono maestri che tendono al
fantastico e al favoloso, fuori dal mondo reale pur mantenendone le forme apparenti
24
.
Marino proponeva un'evasione dalla realtà così come faceva nella sua poesia, dove la
natura era l'incontestabile maestra e all’arte spettava il compito di superarla.
Costantemente in bilico tra conformità ai dettami religiosi e blasfemia, gli scritti del
Cavaliere furono un fondamentale punto di riferimento per l’Accademia fondata dal
cardinal Maurizio e lo guidarono con ogni probabilità nella scelta degli artisti a cui
rivolgersi per la realizzazione di opere da collocare nella sua quadreria romana, più tardi
confluita nelle raccolte dei palazzi piemontesi di Rivoli, del Valentino e di Villa della
Regina. La prima delle Dicerie Sacre
25
, dedicate al Duca Carlo Emanuele nel 1614 e
intitolata La Pittura fornisce un esempio di quelle che dovevano essere le iconografie
predilette dal poeta e richieste dallo stesso Cardinale. Nel 1564 il Concilio di Trento aveva
stabilito la condanna definitiva per tutte le interpretazioni allegoriche dell’antica mitologia:
ecco perché al momento di narrare l’ineluttabile storia della contesa tra Parrasio e Zeusi,
Marino scelse di interpretarla come disputa tra il male e Dio.
23
Ibid., p. 60.
24
Ibid., p. 65.
25
I tre Discorsi Sacri del Marino vennero pubblicati nel 1614 con una complessa serie di dediche che
includevano tutte le figure politiche importanti, dal Papa al cardinale locale. Il titolo di ogni discorso
annuncia il concetto sul quale si basa: il primo reca il titolo La Pittura, o la Sacra Sindone, il secondo
Musica, o le sette ultime parole sulla croce, il terzo ed ultimo Paradiso, o la religione dei SS. Maurizio e
Lazzaro (patroni dell’Ordine dei Savoia del quale il poeta era da poco entrato a far parte come cavaliere).