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Introduzione
“Solo gli sciocchi non giudicano le persone
dalle apparenze”.
(Oscar Wilde, The Picture of Dorian Gray)
“Su se stesso, sul proprio corpo e sulla
propria mente, l’individuo è sovrano”.
(John Stuart Mill, Saggio sulla libertà,
Introduzione)
Tutti concorderebbero che come ci si sente a casa propria solo se
l’arredamento e la configurazione spaziale ci rispecchiano, così ci si sente in armonia
solo se il proprio corpo rispecchia la propria immagine di sé. Rispecchiare vuol dire
che qualcosa deve mostrarci la nostra identità ri-flettendola: che è come se non
potessimo sentirci un sé se non ci fosse qualcosa di “altro” che ce lo mostra, che ce
lo ri-manda; come se l’auto-intuizione non potesse far altro che passare per qualcosa
di “altro”. Ma se è una necessità e un diritto fare del proprio corpo ciò che si vuole,
al momento dell’applicazione concreta delle varie modificazioni corporee si pongono
una serie di interrogativi come questi: il desiderio auto-poietico è un desiderio di
riconoscimento sociale, un’inconscia consapevolezza che una modificazione
corporea è un segno che comunica qualcosa (che sia pure solo trasgressione fine a se
stessa)? O è più che altro un desiderio di autoriconoscimento, di armonia del corpo
con la psiche ma ugualmente urgente in chi sente di dover rendere il proprio corpo
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simile all’immagine che ha di sé? Quanta parte ha nella questione l’influsso socio-
culturale e quanta invece l’identità individuale?
Alcuni degli interrogativi appena formulati saranno affrontati nel capitolo I,
partendo dall’idea che forgiare il proprio corpo in funzione del benessere psico-fisico
sia un diritto, per sfociare poi negli interrogativi generati dalle rivendicazioni del
transumanesimo circa il progetto dell’umanità ad avere corpi più belli, sani, potenti.
Quindi sono in questione sia la libertà individuale che la libertà come essenza della
specie umana ed entrambe devono fare i conti con il concetto di responsabilità, anche
nei confronti delle future generazioni.
A questo riguardo ritengo utile riportare una pagina del Saggio sulla libertà di
Stuart Mill, che può illustrare le linee guida della nostra riflessione:
se la convinzione che l'uomo sia stato creato da un Essere buono fa
parte integrante della religione, è più coerente con essa pensare che
Egli ha dato agli uomini tutte le loro facoltà perché siano coltivate
e sviluppate, non sradicate e bruciate, e che si compiace ad ogni
passo delle sue creature verso la concezione ideale in esse
incarnata, a ogni aumento di ogni loro capacità di comprensione, di
azione o di gioia. […]. Il fatto di essere vincolati a rigide norme di
giustizia per il bene altrui sviluppa i sentimenti e le capacità che
portano a compierlo. Ma venire repressi in campi che non
riguardano il benessere degli altri, soltanto a causa della loro
disapprovazione, non sviluppa nulla di valido, salvo eventualmente
quella forza di carattere che si esplica nella resistenza alle
costrizioni e che, se prende il sopravvento, intorpidisce e
affievolisce l'intera personalità. Perché la natura di ciascuno abbia
ogni opportunità di esplicarsi, è essenziale che sia consentito a
persone diverse di condurre vite diverse. […]. La maggiore e più
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esplicita lode che si possa fare di uno stato di cose è dire che aiuta
gli uomini a realizzarsi al meglio delle loro possibilità; e affermare
che glielo impedisce o li ostacola è la peggiore condanna
1
.
Nell’ottica liberale di Mill ciascuno ha massima libertà su cosa fare del
proprio corpo, poiché non convivere bene con esso influenza la personalità, gli
atteggiamenti, la condotta, i rapporti sociali e sessuali e provoca anche conseguenze
gravi al livello psicofisico e di percezione dell’identità (in termini statistici e non
deterministici). D’accordo con le considerazioni di Stuart Mill e partendo dalla
premessa della massima libertà sul proprio corpo, vedremo però come in certe
occasioni questo diritto di libertà incontri dei limiti. In questi casi non è tanto il
rispetto dell’altro (dell’etica “a due”) a fare da limite alla libertà individuale, quanto
la responsabilità nei confronti della specie umana nell’applicazione di ogni progresso
tecnologico che riguardi l’uomo, il suo corpo e la sua mente (capp. IV e V). Invece,
nei casi di BIID (Body Identity Integrity Disorder), caso singolare che sarà esaminato
nel capitolo III, il limite riguarda sia l’origine del desiderio di modificare il proprio
corpo (un disagio che si tenta di colmare con un intervento estetico ma che ha una
radice “altra” rispetto al disagio comune) sia il coinvolgimento di un “altro”, il
medico, che, nella scelta riguardo l’amputazione di arti sani, richiesta da un affetto
da BIID, rischia di violare il principio deontologico di non arrecare consapevolmente
un danno di qualsiasi tipo al paziente (sarebbe comunque complice e responsabile di
un intervento la cui ragionevolezza appare discutibile), o, viceversa, di violare la
1
J. Stuart Mill, Saggio sulla libertà, estratto dalla parte III “Dell’individualità come elemento”. Testo
integrale su http://europadeipopoli.org/Old_2009/Libri/Mill/JOHN%20STUART%20MILL.htm
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libertà del “paziente” di modellare il proprio corpo. Risulta necessaria, quindi, una
ridefinizione dei concetti di sanità e patologia, che guardi all’affetto da BIID come
un soggetto che comunque troverebbe la realizzazione della sua possibilità
esistenziale nella eliminazione di una parte di sé che sente come aliena. Le
interpretazioni scientifiche e psicologiche dominanti dovrebbero filosoficamente
guardare alla persona come un intero. Difatti nelle situazioni-limite la riflessione
filosofica si mostra sempre necessaria a compensare lo sguardo riduzionistico delle
scienze specialistiche.
I capitoli II e III discuteranno perciò le modificazioni corporee che mi
sembrano più gravide di spunti di riflessione su quanto si è abbozzato. All’interno
delle varie analisi andranno distinte anche le motivazioni (estetiche, di salute, di
miglioramento e potenziamento, esistenziali) e le implicazioni etiche che ne
derivano. Nei capitoli IV e V si esamineranno quali sono (se ci sono) i limiti e i
rischi del superuomo tecnologico che deve fare i conti con una hybris laica. La strada
è impervia, poiché sarà difficile ritagliare una linea bioetica o in generale filosofica
all’interno di un intreccio che non può non tener conto di riflessioni psicologiche,
sociologiche, politiche, antropologiche, scientifiche ecc. ma cercheremo di cogliere
tutti i suggerimenti analitici provenienti da questi campi mantenendo una direzione
etica che si preoccupi criticamente dell’eventualità e della portata dell’imposizione di
limiti a queste pratiche di modifica corporea, con la consapevolezza che oggi siamo
arrivati a un punto di non-ritorno in cui appare problematico ed evasivo liquidare il
progresso tecnologico sulla base di convinzioni religiose o essenzialismi filosofici.
Le questioni che tratteremo, in particolare, sono le seguenti:
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- la massificazione di certe modificazioni corporee / e la complementare
ossessione dell’individualismo egocentrico che cerca a tutti costi l’originalità
spettacolare.
- la dipendenza da modificazione estetica, la mania da miglioramento fisico,
l’intima convinzione personale che sia necessario essere un corpo bello per essere
felici ed accettati e agire bene (come sembra che solo uno stare bene con se stessi
possa permettere).
- una previsione delle implicazioni possibili delle modificazioni hi-tech che
inseriscono elementi artificiali ed elettronici nel corpo organico.
- le conseguenze etiche che potrebbero derivare dalla nascita di una futura
generazione di cyborg (ibridi tra umano e macchina), qualora l’ibridazione
diventasse una pratica comune.
Saranno presi in considerazione solo i processi autopoietici
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consapevoli e
sarà dato più spazio a tecniche “a maggiore impatto” che meglio pongono
l’interrogativo sui limiti e le potenzialità dell’uomo e sulla legittimità di certe
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Il termine autopoiesi è stato coniato nel 1972 da Humberto Maturana e Francisco Varela in
Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, tr. it. di A. Stragapede, Marsilio, Venezia, 1985.
Il termine è costituito dalle parole auto e pòiesis e quindi letteralmente significa auto-creazione,
autoproduzione e dunque auto-organizzazione. Secondo gli autori un sistema autopoietico è qualsiasi
sistema che ridefinisca continuamente se stesso, mutando le proprie interazioni ed accrescendosi senza
perdere la propria identità: in questo senso quindi è autopoietico ogni sistema vivente e il dominio
topologico delle sue componenti coinciderebbe col suo stesso dominio di esistenza. Nella presente
tesi il concetto di “autopoietico” è utilizzato per indicare la capacità dell’uomo di autodefinirsi
continuamente e modificare il proprio corpo e la propria identità. Dunque autopoiesi sarà da intendersi
etimologicamente come creazione di se stessi, capacità di auto(ri-)creazione ed auto-riparazione
dell’antropomorfologia, da parte dell’uomo stesso. Va da sé che l’essenza poietica ed autopoietica
dell’uomo si lega strettamente alla sua naturale manchevolezza, incompletezza e fragilità (che emerge
dal confronto con l’”armamentario” concesso alle altre specie animali), secondo un meccanismo di
compensazione.
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modificazioni corporee, specie quando la loro realizzazione implica la responsabilità
deontologica di un altro soggetto che interviene. Sicuramente anche la tintura o il
taglio dei capelli, la scelta dell’abbigliamento, la ricostruzione delle unghie
potrebbero rientrare nella tematica, ma se dovessimo soffermarci su tutti questi
elementi, la discussione sarebbe infinita. Potremmo dire che anche le scelte
alimentari disciplinate, l’attività fisica che si sceglie di fare, ecc. sono da enumerare
tra i modi di automodellamento - dall’interno - del corpo. E potremmo aggiungere
dunque anche l’assunzione eventuale di farmaci (se, quali, in che dose) e
l’assunzione di qualsiasi sostanza chimica o sintetica (che va a modificare equilibri,
funzioni, apparenza fisica, ecc., o l’identità psicofisica totale): un integratore
alimentare, un’assunzione regolare di steroidi o della pillola anticoncezionale,
insomma, qualsiasi scelta nello stile di vita e nella gestione del proprio corpo, del suo
metabolismo, della sua salute, della sua bellezza. Tutto questo rientra nell’autopoiesi
quotidiana che ognuno di noi attua più o meno consapevolmente e che rientra
comunque nella nostra responsabilità, e, relativamente, si combina con la nostra
specifica dotazione genetica.
Quindi prescinderemo da queste pratiche diffuse di auto-modellamento, per
dare più spazio ad altre modificazioni autopoietiche più invasive (riguardo le quali i
vari motivi di salute passeranno in secondo piano, poiché il diritto giuridico alla
salute, l’istinto di autoconservazione e l’uso positivo della tecnologia a favore del
benessere psicofisico umano sono qualcosa che daremo per scontato) che mettono in
questione lo statuto dell’essere umano e fanno luce sul diritto a disporre liberamente
del proprio corpo. Poi, come già preannunciato, saranno i casi limite come il BIID, la
modificazione del corpo in campo artistico (cap. IV) e la figura del cyborg (capp. IV-
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V), che metteranno in evidenza il tratto problematico delle tecniche autopoietiche e
la loro tendenza a orientarsi verso il post-umanesimo.
A quest’ultimo riguardo, bisogna tuttavia precisare che:
[…] il tempo del Posthuman non è solo né principalmente il futuro,
bensì il presente: a fare problema non sono solo ipotetiche
rivoluzioni della condizione umana realizzabili in un tempo più o
meno lontano, ma la configurazione della soggettività attuale. E la
condizione dell’uomo di oggi è come sospesa tra il già e il non
ancora: non più soggetto della tradizione umanistica, pienamente
autonomo e padrone di sé, ma neppure del tutto dissolto dalla
disgregazione postmoderna, egli è decisamente avviato verso una
nuova soggettività ibrida e coniugativa. Allora si sta oggi avviando
un’opera di ricostruzione dell’io, non solo in senso metaforico su
un piano esclusivamente teorico, ma in senso reale, plastico e
corporeo, grazie agli sviluppi della tecnologia: l’identità corporea
umana, e con essa quella psicologica e spirituale in senso ampio, è
ormai oggetto di modificazione (cf. chirurgia plastica),
contaminazione, ibridazione, infrazione (cf. trapianti, naturali e
artificiali), cosicché non ha più senso definire in modo autarchico il
soggetto umano, come entità autosufficiente. D’altra parte
quest’opera di modificazione del corpo, che possiamo assumere
come immagine plastica del ripensamento postumano dell’identità,
non è un’invenzione esclusivamente tecnologica e non si limita
solo alle sue applicazioni: si pensi alle pratiche di “modellamento”
corporeo (piercing, tatuaggi), oggi largamente diffusi anche in
modo trasversale rispetto alle diverse fasce d’età, che esprimono il
bisogno contemporaneo di farsi artefici di se stessi e nel contempo
11
di assicurarsi che dentro il “contenitore corpo” ci sia qualcosa o
qualcuno che lo abita
3
.
Dal punto di vista pratico, insomma saremmo già oltre la soglia dell’umano.
Ma ci troviamo a pensare ancora in modo umano, secondo una doppia morale che
mentre giudica pre-tecnicamente, agisce tecnicamente. In quest’ottica si potrebbe
dire, come pensa Sloterdijk in L’offesa delle macchine
4
, che «bisogna diventare
cibernetici per restare degli umanisti».
3
M. Farisco, Ancora l’umano dopo l’uomo?, su Colloquionline, Coscienza e criticità dell’umano,
Museopolis Press, pp. 8-19 in http://www.colloquionline.net/doc/numero_2008_2/numero_02.pdf.
Cit. p. 9.
4
P. Sloterdijk, L’offesa delle macchine. Sul significato epocale della più recente tecnologia medica, in
Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, tr. it. a cura di A. Calligaris e S. Crosara,
Bompiani, Milano, 2004, pp. 289-290.
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Capitolo I
Corpo e società
I. 1. Il superamento del dualismo cartesiano
Michel Foucault ha scritto:
[…] il mio corpo, in effetti, è sempre altrove, è legato a tutti gli
altrove del mondo e, in verità, è altrove rispetto al mondo. È,
infatti, intorno a lui che le cose si dispongono, è rispetto a lui – e
rispetto a lui come rispetto a un sovrano – che ci sono un sopra, un
sotto, una destra, una sinistra, un avanti, un indietro, un vicino, un
lontano. Il corpo è il punto zero del mondo; laddove le vie e gli
spazi si incrociano, il corpo non è da nessuna parte: è al centro del
mondo questo piccolo nucleo utopico a partire dal quale sogno,
parlo, procedo, immagino, percepisco le cose al loro posto e anche
le nego attraverso il potere infinito delle utopie che immagino. Il
mio corpo è come la Città del Sole, non ha luogo, ma è da lui che
nascono e si irradiano tutti i luoghi possibili, reali e utopici
5
.
Il corpo è per eccellenza il luogo dell’individualità, il punto di vista unico
attraverso cui ogni individuo in-siste e sus-siste nel mondo. Ma il passaggio dal
corpo comunitario al corpo individuale più o meno si è d’accordo nel farlo risalire a
Platone e più in generale alla separazione tra anima e corpo-strumento. Prima
dell’era classica, non esistevano neanche termini per riferirsi al corpo separato
5
M. Foucault, Utopie eterotopie, Cronopio, Napoli, 2006, pp. 42-43.