Rachele Gerace
2
RINGRAZIAMENTI
Sento il bisogno di ringraziare quanti, a vario titolo, mi hanno sostenuto in
questo percorso.
La Prof.ssa Antonia Messina, mia tutor, che con tanto affetto mi ha seguito in
questo triennio.
Il Prof. Peris Peris, Maestro di cultura e di vita, che mi ha offerto la possibilità
di approfondire molte tematiche che hanno costituito il substrato scientifico di
questo lavoro.
Mons. Letterio Gulletta, che mi ha supportato con materiale inedito e con i
Suoi preziosi consigli da esperto cultore di questa città e dei suoi beni culturali.
L’architettura religiosa della Messina pre e post-sismica, patrimonio di grande valenza culturale
3
INTRODUZIONE
«Così il poeta fissa sgomento nel paesaggio
terrestre, eterogeneo, tormentato e talora
sublimato dall’uomo, l’anima propria. E sente
di essere tutt’uno con la sua terra. Così è per
ogni uomo che, aperto al mondo, affonda le
radici spirituali nella propria terra e in essa
avvia e sviluppa la propria opera di
consapevole presenza e di attiva e
responsabile fruizione».
(Peris Persi, Il quadrato e il cerchio)
La consapevolezza acquisita negli ultimi anni di come le complesse dinamiche
economiche abbiano eroso gran parte delle specificità, rendendo i paesaggi
storici “illeggibili”, e di come molti segni tradizionali siano stati fagocitati dalla
logica economica ha fatto sì che il concetto di Bene Culturale uscisse dal mero
significato di espressione della memoria storica per allargarsi a quello di
“risorsa”, riconsiderando la centralità che occupa nelle politiche territoriali e il
suo inserimento entro progetti di sviluppo economico.
Di conseguenza, è cresciuto l’apprezzamento per le eredità storiche, ritenute
un elemento importante sia per ricostruire il legame di senso con la tradizione,
ma anche per vivere con equilibrio l’oggi e per poter progettare un futuro
sostenibile.
Ciò diventa ancora più rilevante nel caso di città scomparse a causa di eventi
naturali, come il caso di Messina, dove gli elementi architettonici residuali si
pongono non sono solo come espressione dell’identità culturale e del legame
con il passato, ma possono diventare anche “risorsa” capace di trasformare le
potenzialità culturali in potenzialità economiche.
Nell’ambito delle emergenze architettoniche delle città scomparse, Messina,
teatro di frequenti eventi sismici e in particolare del disastroso terremoto del
1908, é certamente soggetto privilegiato e carico di suggestioni sia per le
residualità del suo patrimonio artistico che per il particolare valore storico-
geografico derivante dalla sua peculiare posizione baricentrica nella regione
mediterranea. La città peloritana è stata, infatti, area di convergenza e di
frontiera di popoli di differenti origini e civiltà che hanno lasciato frammenti
della loro storia, che si pongono oggi come “segni incisi nel territorio”
1
dall’importante valore simbolico.
È sotto gli occhi di tutti a Messina la presenza nei vari quartieri di antiche
chiese e monasteri, o di elementi religiosi residuali, aggrediti dall’espansione
edilizia, una serie di “presenze” che, insieme con le poche antichità di altro
1
Caldo C., Monumento e simbolo. La percezione geografica dei beni culturali nello spazio
vissuto, in Caldo C. e Guarrasi V. (a cura di), Beni culturali e geografia, Bologna, Pàtron, 1994,
p. 17.
Rachele Gerace
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genere – fortezze, monumenti, palazzi, mura – evidenziano in maniera tangibile,
in una compagine sostanzialmente moderna, il legame della città con la propria
storia. Testimoni, spesso scomodi, di un passato che l’evento sismico del 1908 e
soprattutto le discusse (e ancora oggi discutibili) vicende successive della
ricostruzione hanno cercato di celarne il significato, svuotandolo di quella
amplissima parte di storia di cui quegli stessi “ruderi” sono fortemente
impregnati.
Salvare questa preziosa eredità dovrebbe essere impegno di tutti coloro che
appartengono a questi luoghi, certi che il loro futuro deve puntare sulla memoria
come identità e sulla bellezza come orgoglio di un popolo.
Ed è proprio dall’amore per la mia città che nasce questa ricerca. Rivolgendo
l’attenzione all’architettura religiosa di Messina, in particolare a quella risalente
a prima del terremoto del 1908, ho voluto mettere in luce l’importanza di un
patrimonio storico-culturale carico di senso e di memoria, che rappresenta una
ricchezza inalienabile e irripetibile di valori storici, artistici e culturali da
conoscere, proteggere e valorizzare; un “patrimonio” che – spesso sconosciuto o
negletto – rischia di essere travolto e cancellato dai continui processi di
modernizzazione e di espansione urbana e che invece, se adeguatamente
recuperato, valorizzato e collegato con le forme di economia locale, può
divenire una risorsa utile ad innescare nuovi processi di sviluppo economico e
sociale.
Nel contesto territoriale peloritano, gli edifici religiosi trovano una propria
identità, tale da riflettere la loro importanza non solo nel tessuto religioso in cui
sono inseriti (o erano inseriti), ma anche nel più ampio ambito del paesaggio
culturale. In tal senso, l’architettura religiosa è stata da me utilizzata anche
come mezzo di lettura di specifici ambiti territoriali, intesi nel loro significato
evolutivo.
Questi beni culturali, che rendono Messina un unicum irripetibile e che si
pongono come segni depositari di valori stratificati nel tempo dal susseguirsi di
culture e società nel territorio, rivestono un valore simbolico che li recupera nel
processo di uniformizzazione dello spazio urbano, riconoscendo in essi la
qualità di fattori che incidono sull’organizzazione e fruizione del territorio
stesso.
Le linee della mia ricerca hanno riguardato obiettivi:
• di tipo culturale, finalizzati al recupero di valori e specificità che il
tempo e l’emarginazione rischiano di far scomparire, proponendo la
salvaguardia dei beni architettonici religiosi in un contesto di progettualità
territoriale;
• di tipo sociale, al fine di valorizzare Messina che ha subìto un processo
di impoverimento, aumentando e qualificando l’occupazione attraverso
l’integrazione dei fattori di sviluppo e delle risorse locali, in un sistema di
meccanismo autopropulsivo;
• di tipo economico, sviluppando e progettando forme di turismo
sostenibile, basato soprattutto sulla valorizzazione del patrimonio storico-
culturale.
La metodologia del lavoro ha riguardato in una prima fase:
L’architettura religiosa della Messina pre e post-sismica, patrimonio di grande valenza culturale
5
− raccolta e analisi del materiale bibliografico, d’archivio, fotografico e
iconografico;
− localizzazione del bene architettonico nel contesto territoriale;
− documentazione delle destinazioni urbanistiche del bene e dei vincoli;
− identificazione, datazione, destinazione originaria ed eventuali processi
di trasformazione formale e/o funzionale.
Successivamente, si è proceduto alla schedatura degli edifici religiosi,
raggruppati in sei distinte sezioni:
1) edifici religiosi completamente distrutti dal sisma del 1908 [N. 106];
2) edifici religiosi sopravvissuti in parte al sisma del 1908 e non
ristrutturati [N. 4];
3) edifici religiosi danneggiati dal sisma del 1908 e ristrutturati nello stesso
sito [N. 10];
4) edifici religiosi distrutti dal sisma del 1908 e riedificati nello stesso sito
[N. 17];
5) edifici religiosi distrutti dal sisma del 1908 ricostruiti in altro sito, a
volte con altro nome [N. 19];
6) edifici religiosi edificati dopo il 1908 [N. 16].
Ogni scheda riporta il numero progressivo, il nome dell’edificio, la data di
costruzione, l’ubicazione, i riferimenti bibliografici, la ricostruzione storica, le
immagini.
Spero tanto che questo mio lavoro possa essere un piccolo tassello da inserire
nel grande mosaico della conoscenza (essenziale per qualsiasi intervento) dei
“segni religiosi” della Messina presismica e della città ricostruita, segni che
intagliano lo spazio come testimonianze non solo dei legami con il sacro, ma
anche della memoria storica e della identità culturale dei luoghi.
L’amore per il mio territorio, nel quale mi sento profondamente radicata, ha
mosso questa indagine, nella lucida constatazione che ormai da troppo tempo la
nostra città ha abdicato a una delle più importanti funzioni che costituiscono
l’ineludibile corredo di qualunque comunità che voglia crescere e durare nel
tempo: la funzione di potere e sapere vivere la propria storia, la propria
memoria e di riappropriarsi della propria identità smarrita.
Rachele Gerace
6
CAPITOLO PRIMO
Messina nello spazio, nella storia e nella cultura
«Ricca grassa seduta nel posto giusto
quasi un’elvetica mediterranea
teneva banco e cassa.
La povera Messina.
Fu quel suo male un tempo sconosciuto
annidato alla base alle radici
La terra e il mare sommossi
oscillanti incredibili nemici».
(Bartolo Cattafi, L’aria secca del fuoco)
Lo studio del territorio, nei suoi aspetti fisici, storici e culturali, è strumento
fondamentale per la conoscenza della storia di un popolo. L’attenzione, inoltre,
per la configurazione e per le variazioni storiche d’assetto della città è la chiave
fondamentale per fornire gli elementi di conoscenza e gli strumenti di lettura
delle presenze architettoniche e del patrimonio culturale.
1.1 Aspetti fisici dell’area peloritana
Nella cuspide nord-orientale della Sicilia, circondata dai monti Peloritani che,
digradando di collina in collina, culminano nella Punta Faro, si snoda ad
anfiteatro sullo Stretto che porta il suo nome, assottigliandosi in una penisoletta
a forma di falce che chiude il magnifico porto, la caput viarum dei Romani:
Messina.
Uno scenario incomparabile di una città che stringe in un abbraccio
geografico il verde delle sue alture e l’azzurro del fretum Siculum, che si
estende fino a lambire la costa aspromontana.
La catena montuosa dei Peloritani, nell’ambito dell’orografia sicula,
«rappresenta una sub-regione ben individuata non solo per i caratteri fisici del
territorio, ma anche per le strutture socio-economiche, che hanno espresso nel
corso dei secoli un tipo di insediamento umano differenziato da quello
predominante in tutta l’Isola»
2
.
Rispetto alle caratteristiche fisiche, i Peloritani traggono la loro individualità
dalla conformazione geolitologica che li assimila alle propaggini meridionali
dell’Appennino calabro. La loro impalcatura, costituita da rocce cristalline poco
permeabili o impermeabili – graniti, gneiss, micascisto, filladi scistose e
fortemente soggette allo sfaldamento operato dagli agenti esogeni – affiora
largamente in tutto il sistema orografico, sovrastata, soltanto in alcune aree
2
M.T. Alleruzzo Di Maggio, I Peloritani, in La casa rurale nella Sicilia orientale, Firenze,
Olschki, 1973, p. 7.
L’architettura religiosa della Messina pre e post-sismica, patrimonio di grande valenza culturale
7
disseminate, dalla copertura di formazioni calcaree cristalline e da calcari
compatti triassici e liassici
3
.
Allungata sulla cuspide nord-orientale dell’Isola con direzione nord-est sud-
ovest, esile e smilza nella sua parte terminale che spartisce le acque del Tirreno
da quelle ioniche, la catena peloritana si irrobustisce gradatamente a mano a
mano che va innestandosi a occidente con le più robuste masse orografiche
nebrodensi e si accosta a sud-est alle propaggini del vulcano etneo.
Le aree sommitali presentano in genere un crinale ondulato, con poche vette
superiori ai 1000 metri e ravvivato soltanto in presenza dei lembi calcarei per la
minore erodibilità di queste rocce rispetto alle filladi scistose. Nella sezione
settentrionale che si affaccia al Tirreno tra Capo Peloro e capo Rasocolmo, il
rilievo, in alto, si smorza in piani e lievissime ondulazioni (che si riallacciano ai
pianalti aspromontani), dai quali degrada però sulla costa con forme aspre e
fortemente incise da numerose e brevi fiumare.
L’orlo costiero che borda il sistema orografico appare in generale ristretto e
discontinuo, tranne che nella piana di Milazzo e nel tratto compreso tra le
fiumare Annunziata e Larderia, su cui si distende Messina con le sue propaggini
urbane tra Capo Peloro e la fiumara del Faro.
Se il rilievo e il modellamento plastico sono stati elementi induttori di
notevole incidenza per la distribuzione dell’insediamento rurale, orientando la
scelta del sito e lo sviluppo topografico dei borghi di agricoltori lungo le
direttrici assiali dei solchi vallivi in un primo tempo e, successivamente, lungo i
bordi costieri, i caratteri climatici appaiono avere avuto un riflesso più
immediato sulla struttura delle dimore.
1.2 Il paesaggio geologico intorno all’area urbana di Messina
L’Area dello Stretto di Messina offre uno scenario naturale di superba
bellezza per le sue peculiarità e unicità geologiche. Tale area – per caratteri
geografici, morfologici, idrografici, mineralogici, petrografici e strutturali,
frutto di una complessa e affascinante evoluzione geologica la cui memoria
risale ad oltre 1700 milioni di anni – costituisce un sistema di valori di altissimo
pregio scientifico e culturale.
Domina il centro di questa scenica e spettacolare area Messina, che si snoda
lungo le splendide coste, ionica e tirrenica, raggiungendo a nord Capo Peloro e
il Mar Tirreno e, a sud, i piccoli borghi di Mili e Galati.
Al fine di enucleare ed esaltare tutte quelle specificità abiotiche che
permettono di classificare tale lembo di terra come un unicum nel Mediterraneo,
basta delineare ed illustrare nelle varie componenti il suo “paesaggio
geologico”, all’interno del quale la città di Messina in tempi storici si inseriva
come una piccola icona.
Perfettamente integrata nel contesto geologico e morfologico, la città
peloritana si ergeva con le sue splendide strutture architettoniche, dove le
3
Messina A., Somma R., Macaione E., Carbone G., Careri G., Peloritani continental crust
composition (Southern Italy): geological and petrochemical evidence, in «Boll. Soc. Geol.
Ital.», vol. 123, 2004, p. 407.
Rachele Gerace
8
eterogenee, policrome e sfaccettate rocce dei Monti Peloritani facevano da
ornamento, aumentando ancora l’armonia dell’insieme, nelle forme e nei
colori
4
.
La morfologia del territorio è fortemente articolata: al centro è presente un
fondale marino con caratteristiche batimetriche eterogenee; ai lati due fasce
costiere simmetricamente comparabili nei due versanti, calabro e siculo; due
entroterra, da collinari a montuosi, costituiti da basamenti cristallini formati da
metamorfiti e plutoniti ricoperti da sedimenti di diversa età e composizione,
incise da profonde valli nelle quali si articola un’intersecata rete fluviale.
Lo Stretto propriamente detto, elemento di collegamento tra i due Mari Ionio
e Tirreno, ha una lunghezza di circa 40 km e una forma a imbuto, con la parte
più larga a S, fra Capo Sant’Andrea in Sicilia e Capo dell’Armi in Calabria, e
quella più stretta a N, tra Capo Peloro in Sicilia e Porticello in Calabria, dove le
due sponde distano solo 3.250 m.
All’estremità Nord-Occidentale dell’Area, nella costa siciliana, è presente
anche una morfologia lacustre con i Laghi costieri di Ganzirri e di Faro.
La strategica posizione di centralità e di passaggio nel Mediterraneo e la
complessità della stessa struttura geografica hanno permesso a questo territorio,
nelle varie epoche storiche, di godere di grandissimi privilegi, divenendo anche
centro di grandi civiltà.
Questo luogo di collegamento tra l’Europa e il resto dell’Isola, nonostante le
numerose calamità naturali e l’incuria umana nei confronti della natura e delle
sue risorse, preserva ancora numerosi e splendidi habitat marini, collinari e
montani, distinti per peculiari microclimi derivanti dall’azione sinergica di
venti, pioggia, sole, umidità e chimismo del substrato. Tale diversificazione crea
lo sviluppo di numerosi ecosistemi e di un continuo mutevole e pregevole
paesaggio, caratterizzato da una stretta fascia litoranea, da versanti più o meno
scoscesi con creste strette e cime alte e sottili con vette comprese tra i 1000 e i
1300 metri, disposte lungo un crinale ondulato
5
.
L’orografia dell’Area dello Stretto è dominata, sul versante isolano, dai Monti
Peloritani – dal greco pelorios o peloros (gigantesco) – che occupano una
superficie pressoché triangolare, dall’estremo nord-orientale della Sicilia alla
congiungente Taormina-S. Agata di Militello.
L’aspetto morfologico attuale è soprattutto il risultato dell’azione erosiva delle
acque superficiali che, intaccando profondamente i versanti spioventi al Tirreno
e allo Ionio, li hanno differenziati sia in relazione alla diffusione e agli
affioramenti di rocce più o meno friabili, sia in relazione alla distanza dallo
spartiacque.
Sullo Ionio i solchi erosivi sono regolarmente normali al profilo di cresta della
catena, separati da brevi, esili contrafforti che si allineano su tutto il versante,
originando valli che hanno costituito i naturali assi di penetrazione umana del
rilievo. I solchi, stretti e profondamente incisi a monte, si slargano lungo il
4
Messina A.,The Alpine Peloritani Building (Calabria Peloritani Arc), in «Atti 79° Congr.
Naz. Soc. Geol. It.», B, 1998, pp. 565-566 (a).
5
Messina A., Variscan tectono-metamorphic evolution of the Peloritani Mts. (Calabria-
Peloritani Arc), in «Atti 79° Congr. Naz. Soc. Geol. It.», B, 1998, pp. 571-572 (b).
L’architettura religiosa della Messina pre e post-sismica, patrimonio di grande valenza culturale
9
corso medio e finale, assumendo in questi tratti la tipica fisionomia delle
fiumare: larghi letti ingombri di alluvioni, su cui divagano le acque del trimestre
piovoso invernale, acque che si riducono poi in esili venule e si estinguono
totalmente per gran parte dell’anno.
Veduta degli acuti pizzi (1.200-1.400 m di altitudine), degli scoscesi versanti
(composti da rocce cristalline - metamorfiti e plutoniti) e delle profonde valli dei
M. Peloritani. Sullo sfondo il M. Etna fumante (3.350 m). Loc.: versante
idrografico destro della Fiumara di Santa Venera - M. Peloritani Centrali.
Il versante tirrenico si apre, invece, con più larghi squarci dal profilo vario e
talvolta asimmetrico, determinato dai corsi d’acqua più lunghi che, specie ad
occidente, penetrano profondamente il rilievo avvolgendolo alla base con
qualche variazione direzionale e, lambendo ora terreni cristallini ora masse
cenozoiche, movimentano il modellamento plastico.
Il decorso Nord – Nord Est e Sud – Sud Ovest della linea di riva ionica è
pressoché rettilineo, con sporgenze appena accennate in corrispondenza delle
foci dei corsi d’acqua. Procedendo da N verso S, da Capo Peloro alla zona
falcata del Porto di Messina, la fascia costiera è bassa, sabbiosa e di limitata
estensione. Verso S continua ad essere ridotta, sempre con una estensione
inferiore a 20 m, interrotta dagli splendidi promontori di Scaletta Zanclea, Capo
d’Alì, Capo Sant’Alessio, Capo Sant’Andrea e Capo Taormina.
Il profilo costiero ha subìto nel tempo numerose modificazioni legate a fattori
naturali e antropici, che hanno determinato l’esistenza di tratti a diversa
dinamica e tendenza evolutiva. Nella morfologia costiera dell’Area dello Stretto
assumono un ruolo importante, sia dal punto di vista paesaggistico, sia
naturalistico, sia storico, tre punti strategici, quali il Promontorio di Scilla in
Calabria e Capo Peloro e la Zona Falcata in Sicilia.
Capo Peloro corrisponde alla punta estrema Nord-Orientale della Sicilia e
parte finale dello Stretto. Questo piccolo lembo di terra, che si osserva bene dai
terrazzi della costa calabra, tende a protrarsi verso la sponda opposta, in un
ideale tentativo di ricongiungimento con la penisola italiana. La sua posizione
paesaggistica è unica: posto in corrispondenza del limite tra i due Mari, domina
l’imbocco Settentrionale dello Stretto, con il Tirreno mare aperto a Nord e lo
Rachele Gerace
10
Ionio incanalato ad Est e a Sud Est e limitato dalla vicinissima costa calabra, nel
tratto più prospiciente di Scilla-Cannitello, marcato alle spalle dagli alti e
maestosi contrafforti del Massiccio dell’Aspromonte. Capo Peloro, limite tra
Oriente ed Occidente, è il punto terminale dei processi di trasporto tirrenico e
ionico e potenzialmente sede di accumulo.
La Zona Falcata, o Penisola di San Raineri, che racchiude l’attuale Porto di
Messina, è geologicamente costituita da un substrato cristallino su cui poggiano
sedimenti di varia tipologia. La sua struttura falciforme fu l’ispiratrice
dell’antico nome Zancle (falce) che i Siculi diedero alla Città di Messina.
Questa lingua di terra che si protende nello Stretto risulta un punto strategico,
non solo dal punto di vista storico per la difesa della Città, ma anche sotto
l’aspetto naturalistico essendo interessata dalla corrente “scendente”, che
originatasi nel Mar Tirreno, giunge a largo di Punta Pezzo, in Calabria, e poi
avanza verso S, fino alla punta Faro di S. Raineri, dove genera enormi vortici –
Cariddi nella mitologia greca; Garoffalo (garofano) nel gergo locale dei
pescatori – defluendo poi verso il Mar Ionio.
Lo Stretto propriamente detto è interessato da sistemi di faglie normali con
andamento Est – Nord Est e Ovest – Sud Ovest, che creano un abbassamento
dello stesso, il quale assume la funzione di graben, e un sollevamento dei
Peloritani e dell’Aspromonte, che in questo caso assumono la funzione di horst.
Il fondale presenta una soglia sottomarina tra Ganzirri, in Sicilia, e Punta Pezzo,
in Calabria, orientata in senso Nord Ovest – Sud Est, ampia circa 1 km, che
raggiunge profondità medie di 81 m, raggiungendo i 115 m. Essa è definita dalle
rocce cristalline (metamorfiti e plutoniti) che partendo dal Massiccio
dell’Aspromonte proseguono nei Peloritani Settentrionali (Unità
dell’Aspromonte).
La rete idrografica è definita da numerosi e profondi torrenti e fiumare che
incidono il rilievo formando ampie vallate alluvionali e hanno caratteri diversi
sui due versanti: sullo Ionio sono regolarmente perpendicolari al profilo della
cresta, brevi e ripide si aprono in prossimità della stretta fascia litoranea; sul
Tirreno, invece, mostrano maggiore complessità e sviluppo. La dorsale della
Catena costituisce lo spartiacque principale, da cui si dipartono due sistemi di
valli traversali che formano le aste maggiori dei diversi corsi d’acqua, le quali
raggiungono a Nord Ovest il Mar Tirreno, e a Sud Est lo Ionio. Tutto il
materiale solido trasportato dai corsi d’acqua viene trascinato fino a mare.
Questa attività, più intensa in passato, è attualmente ridotta in alcuni corsi a
causa di lavori di arginatura e di parziale copertura degli alvei
6
.
La morfologia lacustre ha subìto alcune variazioni nel tempo. In passato,
lungo il litorale tirrenico esistevano numerosi pantani tipici di ambienti umidi
costieri, scomparsi per prosciugamento o bonifica. Proprio a Capo Peloro erano
presenti in tempi storici, i pantani di Ganzirri, Madonna di Trapani, Margi e
Faro. Di tutti sono rimasti, quali relitti, solo i laghetti di Ganzirri e Faro. La
loro genesi è legata al deposito di materiale alluvionale, trasportato dalle
6
Messina A., Macaione E., Geologia del Cristallino dell’Area dello Stretto di Messina, in «La
Scienza nel Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia», Accademia Nazionale delle Scienze detta dei
XL, 2009, pp. 42-43.
L’architettura religiosa della Messina pre e post-sismica, patrimonio di grande valenza culturale
11
fiumare della zona, che nel corso del tempo, avrebbero creato uno sbarramento
a una certa distanza dalla costa, e la chiusura di un tratto di mare. La salinità dei
pantani è inferiore a quella del mare, a causa dell’apporto d’acqua dolce da
parte dei torrenti e delle falde sotterranee.
Le caratteristiche morfologiche del territorio sono strettamente connesse alla
loro evoluzione geologica, inquadrata nel contesto della geodinamica dell’intera
area del Mediterraneo. Il Massiccio dell’Aspromonte e i Monti Peloritani, dal
punto di vista geologico, costituiscono la parte più meridionale della complessa
struttura tettonica conosciuta come Arco Calabro-Peloritano.
Nell’attuale geografia del Bacino del Mediterraneo, al centro della Catena
Alpina Africa-Adria-vergente, l’Arco Calabro-Peloritano, con la sua peculiare
forma, si estende dalla Calabria Settentrionale fino alla Sicilia nord-orientale
(Linea Taormina), connettendo l’Appennino Meridionale alle Maghrebidi
Siciliane e comprendendo, da N verso S, i domini geografici della Catena
Costiera e dei Massicci della Sila, delle Serre e dell’Aspromonte, in Calabria, e i
Monti Peloritani, in Sicilia.
Detto edificio strutturatosi, quindi, nell’ultima orogenesi, risulta costituito da
una pila di unità tettoniche di Crosta Continentale e da minori di Crosta
Oceanica. Queste ultime rappresentano resti dell’Oceano Tetide, il quale,
formatosi come conseguenza della rottura del Pangea, divideva l’Africa e
l’Europa durante il Giurassico-Cretaceo. Le unità di crosta continentale, che
deriverebbero dal microcontinente “Mesomediterraneo” separante differenti
domini dell’Oceano Tetide, risultano formate da basamenti di metamorfiti e
plutoniti Pre-Paleozoiche e Paleozoiche e da resti di originarie coperture
sedimentarie Meso-Cenozoiche
7
.
È da rilevare che l’Arco Calabro-Peloritano non ha comparazioni compositive
ed evolutive con la parte rimanente della Catena Appenninico-Maghrebide su
cui poggia, ma presenta analogie, a scala Mediterranea, solo con i terreni
dell’Arco Betico-Rifano (Spagna-Marocco) e con le Kabilie (Algeria) anche
essi considerati parti del microcontinente Mesomediterraneo.
Nell’Arco Calabro-Peloritano sono stati distinti due settori, divenuti
cinematicamente indipendenti nel Cretaceo-Paleogene: il Settore Settentrionale
comprende la Catena Costiera, i Massicci della Sila e delle Serre Settentrionali;
il Settore Meridionale è definito dalle Serre Meridionali, dal Massiccio
dell’Aspromonte e dalla Catena dei Peloritani. Nel Settore Meridionale le unità
si sono strutturate, con vergenza Africana, nell’Oligocene Inferiore-
Aquitaniano.
L’Area dello Stretto di Messina risulta costituita da una pila di undici unità di
Crosta Continentale, Africa-vergenti, formate da basamenti di metamorfiti e
plutoniti Erciniche, e anche più antiche, e da lembi di originarie coperture
Meso-Cenozoiche. Da N verso S e dall’alto verso il basso affiorano, nel
Massiccio dell’Aspromonte – le Unità di Stilo, Aspromonte e Cardeto, e nei M.
Peloritani – le Unità dell’Aspromonte, Mela, Piraino, Mandanici, Alì,
7
Messina A., Compagnoni R., Russo S., De Francesco A. M., Giacobbe A., Alpine
metamorphic overprint in the Aspromonte Nappe of northeastern Peloritani Mts. (Calabria-
Peloritani Arc, Southern Italy), in «Boll. Soc. Geol. It.», 109, 1990, pp. 662-664.
Rachele Gerace
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Fondachelli, Longi-Taormina e Capo Sant’Andrea. Solo un elemento tettonico,
quindi, l’Unità dell’Aspromonte, è presente da entrambi i lati dello Stretto di
Messina.
L’Unità dell’Aspromonte che affiora estesamente nella costa e nell’entroterra
calabro dello Stretto, formando le splendide falesie a picco sul mare tra Scilla e
Palmi, racconta la storia più complessa ed affascinante di tutto l’Arco Calabro-
Peloritano: essa risulta essere un antico basamento cristallino Paleo-
Proterozoico (1.700 Ma) interessato da tre Eventi Metamorfici (Pan-Africano,
datato 800-600 Ma; Varisico, 340-315 Ma; Alpino, 24-22 Ma) e tre Eventi
Plutonici (Meso-Proterozoico, 1700-1500 Ma; Tardo-Pan-Africano, 600-540
Ma; Tardo-Varisico, 290 Ma).
Tutte le altre unità sono sequenze sedimentario-vulcaniche Paleozoiche
interessate dal solo Evento Metamorfico varisico, sviluppatosi in maniera
diversa in ogni unità. Nell’Unità del Mela l’evento Varisico è stato poli-stage,
con una fase precoce, eo-varisica, e una varisica. Le Unità di Cardeto e di Alì
mostrano una storia metamorfica aggiuntiva di età Alpina.
Delle originarie coperture sedimentarie Mesozoiche o Meso-Cenozoiche,
prevalentemente di composizione carbonatica, assenti solo nelle Unità del Mela
e dell’Aspromonte in quanto terreni, rispettivamente, di crosta media e
profonda, rimangono solo piccoli lembi; la copertura più potente, in termini di
estensione e spessore, è quella dell’Unità di Longi-Taormina, che
dall’incantevole “perla dello Ionio”, dove costituisce gli spessi corpi rocciosi su
cui si arrocca il centro abitato, prosegue fino alla Fiumara Rosmarino, al limite
dei Peloritani Occidentali, formando la cosiddetta “Catena di bordo”
8
.
La peculiare composizione ed evoluzione riconosciuta in ciascuna unità indica
una non cogenesi degli elementi tettonici costituenti l’Area dello Stretto, nonché
il Settore Meridionale dell’ACP, e quindi la provenienza di ciascun terreno da
domini paleogeografici diversi, prima della loro strutturazione nel tetideo
Mesomediterraneo, insieme alle unità del Settore Settentrionale dell’ACP e ad
elementi tettonici di catene Circum-mediterranee, appartenenti all’Arco Betico-
Rifano (Spagna, Marocco) e alle Kabilidi (Algeria).
Al di sopra di detto edificio Alpino sono presenti numerosissimi depositi
sedimentari post-orogeni di età da Burdigaliano a Recente, di varia genesi e
composizione, alcuni dei quali contenenti fossili di invertebrati marini, che oggi,
affiorano fino ad altezze di oltre 1200 m s.l.m., sottolineando il forte tasso di
sollevamento che detto territorio ha subito in epoca geologica più recente (Plio-
Pleistocene). Tali depositi, così come le unità tettoniche, sono interessati da
numerosi sistemi di faglie, legate alla tettonica distensiva Plio-Pleistocenica e
alla neo-tettonica.
8
Messina A., Somma R., Macaione E., Carbone G., Careri G., Peloritani continental crust
composition (Southern Italy): geological and petrochemical evidence, in «Boll. Soc. Geol.
Ital.»,vol. 123, 2004, pp. 433-335.
L’architettura religiosa della Messina pre e post-sismica, patrimonio di grande valenza culturale
13
Unità dell’Aspromonte (Sicilia): plutonite Meso-
Proterozoica pluri-riequilibrata fino a meta-peridotite
Alpina. Tale roccia (a = struttura mesoscopica; b =
struttura microscopica) racconta la storia evolutiva più
complessa dell’Arco Calabro-Peloritano. Per il suo
particolare colore è stata utilizzata come materiale
ornamentale nelle strutture architettoniche più antiche
dei Monti Peloritani Orientali, come ad esempio nella
facciata (c) del Duomo di Messina. Località di
affioramento: Valle di Badiazza (M. Peloritani Nord-
Orientali).
Il Territorio dello Stretto è un patrimonio culturale, oggi considerato da molti
come “Monumento della Natura”, ovvero come singolarità geologica, non
indirizzata solo a risorsa scientifica ed economica, ma a luogo idoneo alla
conservazione, poiché
elemento rappresentativo di
tappe della storia evolutiva
del Pianeta Terra.
Tra le formazioni
cristalline dei Monti
Peloritani e la costa, corre
una fascia di terreni
attraversata, spesso, dagli
estesi greti delle fiumare
ingombri di ciottolame
vario. Dai greti di queste
fiumare, come da
inesauribili cave, nei tempi,
la città di Messina trasse
copioso e vario pietrame
grezzo, costituito
prevalentemente da rocce di
medio-alto grado (gneiss,
graniti, micascisti,
anfiboliti, marmi) ed anche
calcari arenarie, gessi,
argille, etc. che hanno
trovato il loro impiego
nell’edilizia monumentale
locale.
Acquista un significato di
“unicità” locale, il ricorso
ad anfiboliti negli antichi atti di compravendita per la fabbrica del Duomo,
definite pietre nigre ed ampiamente utilizzate sia per il frontone del Duomo che
per il pavimento della Chiesa di S. Francesco all’Immacolata
9
.
9
Stagno F., Zipelli C., Risorse naturali del territorio messinese utilizzate in passato, nota, 1
Le “Pietre Nere” (Petri Nigri) delle fasce nel prospetto del Duomo di Messina, in «Atti Acc.
Pelor. Pericolanti», Cl. Sc.Mat.Fis.Nat., 63, 1985, pp. 26-28.
Rachele Gerace
14
Dettaglio di Calcare corallifero (Pleistocene medio) utilizzato
nelle bande decorative dell’ordine superiore del prospetto della
Cattedrale di Messina. Tale litotipo è impiegato come
materiale decorativo e architettonico in molti edifici religiosi
della Provincia di Messina, tra cui la Chiesa di San Francesco
all’Immacolata. Località di provenienza: Salice - M. Peloritani
Nord-Orientali.
1.3 Insediamenti storici e organizzazione del territorio
La morfologia dei luoghi ha condizionato l’evoluzione di Messina, che si è
formata e sviluppata in relazione alla presenza del porto naturale a ridosso dei
Monti Peloritani. Il porto falcato, posto su una rotta di fondamentale importanza
già dalla preistoria, ha certamente costituito il presupposto del configurarsi di
una città importante; il centro storico si è formato proprio ai margini del porto e
ivi si è consolidato nel corso dei secoli.
Non è facile tracciare le vicende topografiche di Messina dall’età imperiale
all’età normanna, giacché non esistono né resti archeologici né fonti letterarie
attendibili, né tantomeno documenti cartografici; si può solo ipotizzare, da
alcuni ritrovamenti databili almeno ad età ellenistica e romana, che la città si
estendesse nell’area compresa tra i torrenti Portalegni e Boccetta e che i
fenomeni urbani si siano svolti entro questi ambiti, con caratteri diversi durante
i vari periodi
10
.
Con la dominazione dei Normanni si apre per Messina un periodo rigoglioso
grazie alla sua posizione geografica e la città diverrà importante scalo per le
navi crociate che si dirigono in Terra Santa; la vitalità del porto avrà riflessi
immediati sull’assetto urbanistico. Vengono ricostruite su nuova linea le mura,
che muovono dal Palazzo Reale (situato dove oggi si trova la Dogana), corrono
lungo il litorale fino alla foce del torrente Cannizzaro (l’odierno Boccetta),
salgono costeggiando il letto del torrente e, passando sugli estremi colli della
catena peloritana, chiudono dentro il poggio di Rocca Guelfonia e poi il colle
della Caperrina e, infine, i quartieri sulla riva sinistra del Portalegni. Scendono
poi lungo quest’ultimo torrente e circondano la contrada del Paraporto. Parte di
10
Ioli Gigante A., Messina, Coll. «Le città nella storia d’Italia», Bari, Laterza, 1986, p. 14.
L’architettura religiosa della Messina pre e post-sismica, patrimonio di grande valenza culturale
15
questa contrada, cioè la zona tra il Duomo e il Portalegni, viene occupato dagli
Ebrei; infatti, nelle prime carta a stampa del secolo XVI è ben visibile anche un
ponte della Giudecca, ai margini meridionali del quartiere. I Fiorentini hanno il
loro centro nella zona prospiciente il porto, vicino alla chiesa dei Catalani, dove
si trovava la Chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini
11
. Più verso l’interno troviamo,
nel secolo XIV, una strada abitata da Pisani
12
. Gli Amalfitani avevano dato
anch’essi nome al quartiere dell’Amalfitania, che si trovava nella parte
meridionale della città. Si ha notizia anche del quartiere dei Gentilmeni – Greci
secondo alcuni, secondo altri Armeni
13
, secondo altri ancora abitato da entrambe
le colonie – che si stendeva sulla zona alta della città a ridosso delle ultime
propaggini dei Peloritani, tra il colle della Caperrina e il torrente Portalegni.
La città normanno-sveva aveva, dunque, conosciuto una notevole espansione,
attestata da qualche viaggiatore arabo, dal nucleo della Grecia (ancora
riconoscibile nella carte cinquecentesche) fino a Boccetta (Messana nova), dove
esisteva sicuramente una cortina murata.
Relativamente al rapporto tra la città e i suoi immediati dintorni in questo
periodo si dispone solo di parziali indicazioni; risalgono al Cinquecento notizie
più certe, secondo cui il nuovo tracciato meridionale della cinta inglobava aree
già fittamente abitate (Terranova e Tirone), facendo scempio di antiche chiese.
Il restante perimetro urbano rimane in sostanza inalterato e restano fuori dalle
mura alcuni importanti monasteri medioevali di rito latino. Ricorda il Gallo
14
che dopo la costruzione delle nuove mura ben presto si formarono nuovi borghi
a ridosso della cinta, a carattere marcatamente popolare: Ciaera, Portalegni,
Boccetta, S. Leone, Ringo e altri minori agglomerati erano abitati da pescatori,
vasai e artigiani, ma anche frequentati da aristocratici che vi costruivano case di
villeggiatura, mentre sorgevano chiese di confraternite, monasteri e la prima
parrocchiale fuori le mura.
Per la comprensione dei fattori che hanno storicamente determinato le forme
di insediamento umano della città, si deve far osservare il territorio nelle sue
connotazioni geografiche.
L’abitato era stretto tra il mare e i monti e l’insediamento suburbano doveva
forzatamente svilupparsi lungo i percorsi naturali che, dipartendosi dalle
vicinanze del porto, consentivano di superare l’isolamento causato dalla catena
dei Peloritani verso terra.
L’osservazione del territorio porta facilmente a individuare tali direttrici,
ancora oggi presenti: due importanti strade litoranee (oggi note come via
Consolare Valeria e via Consolare Pompea) conducevano alla città
rispettivamente a Sud e a Nord, collegandola con Scaletta e Capo Peloro e
11
Gallo C.D., Gli annali della città di Messina, Napoli 1755, Messina 1756 – nuova edizione
a cura di Vayola A., Messina 1879, I, p. 122.
12
In una pergamena, n. 39, anno 1931, dell’archivio di S. Francesco di Messina è fatto preciso
riferimento a una casa sita «ruga de Pisis» (cfr. Ciccarelli D., Pergamene dell’archivio di S.
Francesco di Messina nel tabularlo di S. Maria di Malfinò (1320-1615), Messina 1975, p. 35).
13
Giardina C., Capitoli e privilegi di Messina, Palermo, 1937, pp. 3-5.
14
Gallo C.D., Gli annali della città di Messina, Napoli 1755, Messina 1756 – nuova edizione
a cura di Vayola A., Messina 1879, I, p. 124.