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CAPITOLO 1
IL LAVORO SOCIALE NELLA
SOCIETÁ POST-MODERNA
1.1 Lavoro sociale e benessere collettivo
Esistono molteplici orientamenti sulla possibile definizione del
lavoro sociale, ma in tutti è possibile osservare una generale convergenza
nel definire come oggetto ed obiettivo di questo il “benessere sociale delle
persone”.
Il concetto di benessere sociale è un concetto ampio e sfaccettato,
che non può essere ridotto al possesso di risorse e mezzi di natura
economica, ma che comprende in sé una pluralità di sensi e di forme,
implica un’attenzione alla soggettività e all’intersoggettività, in cui dunque
confluiscono dimensioni materiali, psicologiche, culturali e sociali
1
.
La dimensione sociale del benessere fa di esso un concetto mutevole
che cambia e si trasforma in maniera complessa così come va
trasformandosi la società: se nell’epoca pre-moderna la concezione di
benessere era legata essenzialmente al possesso di risorse materiali
necessarie a soddisfare i bisogni essenziali (alimentazione, salute,…), con
la modernità esso viene definito essenzialmente in termini negativi, cioè
come “assenza di malessere”. Da qui la risposta “pre-confezionata” a
“bisogni standardizzati” tipica del Welfare tradizionale (categorie di utenti,
molteplicità di enti, erogazione standard, sostanziale passività dell’utente
nel processo di aiuto). L’esito è stato il sovradimensionamento dell’offerta
fino a fare della sua sovrabbondanza un problema, soprattutto perché le
1
DONATI, Teoria relazionale della società, Franco Angeli, Milano, 2000
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risorse erano erogate esclusivamente dal settore pubblico. Secondo
Mastropasqua
2
la crisi del Welfare State coincide con la caduta di almeno
tre grandi convinzioni:
1. La convinzione quantitativa, che riteneva possibile e auspicabile
produrre un problema per ogni servizio;
2. La convinzione riduzionista, secondo cui per affrontare un
problema complesso è necessario suddividerlo in piccoli segmenti;
3. La convinzione illuministica, che riteneva che l’applicazione di
una razionalità scientifica agli interventi sociali potesse garantirne il
successo.
Il welfare italiano di quei tempi era così caratterizzato da:
- una profonda frammentazione istituzionale, assenza di un quadro
normativo unitario, mancanza di coordinamento tra una pluralità di enti
che produceva interventi poco efficienti;
- lentezza e debolezza della prestazione erogata a fronte di un grande
investimento di risorse finanziare spesso sprecate a causa della poca
attenzione alla valutazione degli interventi e dell’impiego delle risorse.
Il superamento di tale crisi del Welfare è orientato oggi verso un recupero
delle competenze sociali di territori e comunità, provando ad accettare ed
affrontare la complessità delle problematiche sociali piuttosto che
scomporla scientificamente, riformulando il benessere come un concetto in
costante costruzione. “Nei sistemi tradizionali di Welfare i problemi socio-
assistenziali sono concepiti come “problemi interi” in genere collocati in
capo ad una persona fisica detta “utente” a cui una particolare
organizzazione deve fornire una risposta e una soluzione”
3
. La situazione
idealtipica è quella in cui l’utente sulla base di una diagnosi fatta da un
esperto viene ricoverato per la cura in un’apposita struttura residenziale o
2
MASTROPASQUA, Architettura delle reti sociali, Carocci Faber 2004
3
RAINERI, Il Metodo di rete in Pratica, Erikson Trento 2004
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semi–residenziale gestita dall’ente pubblico, nella quale riceve tutto ciò di
cui ha bisogno per il suo problema.
Le rapide trasformazioni sociali degli ultimi anni hanno ancora una
volta modificato e reso più complesso il concetto di benessere sociale. Si
ritiene opportuno approfondire, in questo primo capitolo, alcuni elementi
del contesto sociale attuale. Si tenterà di analizzare dimensioni
caratteristiche della società post-moderna nella convinzione che, per
comprendere i bisogni sociali e sviluppare strategie di intervento adeguate,
l’operatore sociale debba sapersi orientare nella complessità della realtà
sociale nella quale opera.
Si tenterà di mantenere un’ottica centrata sull’individuo in quanto
persona unica e soggetto di diritti, per comprendere l’effetto che le grandi
trasformazioni che caratterizzano l’epoca moderna hanno sull’identità
personale e quindi anche sulla percezione del benessere sociale.
1.2 La società post-moderna
Il semplice fatto che per definire l’epoca attuale i maggiori studiosi,
anche se di diversi orientamenti, utilizzino il temine “post-moderna”, è
sintomo della complessità e della difficoltà di determinare in maniera
univoca le tendenze che caratterizzano la società dei nostri giorni.
Il prefisso “post” fa comprendere come l’epoca attuale sia figlia della
modernità di cui mantiene caratteristiche essenziali, ma nello stesso tempo
si distingua da essa anche in maniera rilevante. Uno dei concetti filosofici
utili a definire questo rapporto tra modernità e post-modernità è quello di
Aufhebung : “superare conservando”. La società attuale si costruisce su
quelle precedenti, per cui in qualche modo le conserva, ma da queste si
distingue attuando quindi un superamento dell’epoca precedente.
“Aufhebung evidenzia un superamento, un oltrepassamento, una
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8
successione, una nuova direzione succedutasi a quella precedente; esso
indica che la postmodernità trascende la modernità, se la lascia alle spalle
senza per questo eliminarla, rimuoverla, prescinderne ma anzi
assumendosi il compito di riformularne criticamente le istanze (il soggetto,
la ragione, la scienza, ecc.) dopo averle de-assolutizzate e
ricontestualizzate; essa rappresenterebbe perciò un cambiamento
profondo, un ripensamento complessivo della modernità ma nel segno
della continuità ai suoi tratti caratterizzanti”
4
.
Per comprendere la società postmoderna è quindi necessario analizzarne i
cambiamenti, le trasformazioni che la distinguono dalla società moderna.
La società attuale è caratterizzata da una complessità sempre
crescente, le trasformazioni economiche, politiche, culturali sono continue,
le distanze si sono ridotte: il mondo non è mai stato così piccolo. Il
“villaggio globale” di McLuhan
5
appare ormai una realtà consolidata.
1.2.1 I cambiamenti in campo economico e
le ripercussioni sul sociale: la Globalizzazione
Pur non volendo adottare un’ottica di tipo strutturalista (tipica ad
esempio della visione marxista della società), che vede nella divisione del
lavoro e nei meccanismi economici l’unica ragione dei cambiamenti
sociali, è impossibile comprendere appieno la società attuale senza fare una
breve analisi di uno dei fenomeni, prevalentemente economici, più discussi
e controversi della nostra epoca: la globalizzazione.
L’enciclopedia Wikipedia definisce la globalizzazione come “il
fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi di diverso
tipo a livello mondiale in diversi ambiti osservato a partire dalla fine del
4
DE CHIRICO, Modernità e post-modernità, 1997 articolo in STUDI DI TEOLOGIA IX
(1997/1)
5
MCLUHAN , Gli strumenti del comunicare" NET Bologna 2002
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XX secolo. Sebbene con questo termine ci si riferisca prevalentemente agli
aspetti economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende, il fenomeno
va inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e
politici, e delle complesse interazioni su scala mondiale che, soprattutto a
partire dagli anni 80, in questi ambiti hanno subito una sensibile
accelerazione.”
6
Elementi caratteristici ed universali della globalizzazione sono:
L’intensificarsi del commercio internazionale;
La connessione mondiale dei mercati finanziari;
La costituzione di potenti multinazionali;
La costante rivoluzione delle tecnologie e della comunicazione;
I flussi di immagine dell’industria culturale e globale, che fanno
della globalizzazione, non solo un fenomeno economico ma anche
culturale;
La permeabilità dei mercati del lavoro ed i conseguenti flussi del
lavoro.
Queste caratteristiche hanno permesso uno sviluppo economico e di
benessere mai conosciuto prima. Gli uomini più ricchi che la storia abbia
mai conosciuto vivono nella nostra epoca. Nei paesi del nord del mondo il
reddito medio pro-capite è ben al di sopra della soglia di sussistenza. La
fortissima concorrenza sul mercato internazionale ha spinto le grandi
imprese ad investire sulla ricerca, e ciò ha permesso un eccezionale
sviluppo tecnologico in diversi campi (si pensi alle tecnologie
informatiche, alla robotica, all’automazione quasi totale delle moderne
industrie).
6
www.wikipedia.org
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Questi processi hanno permesso anche l’emancipazione, pur travagliata,
di vaste aree del mondo. La Cina e altri paesi asiatici – la Corea,
l’Indonesia, la Malesia, la Thailandia – stanno conoscendo ritmi di crescita
economica senza precedenti e attraggono flussi immensi di capitali.
L’aumento delle relazioni internazionali ha consentito anche una
relativa diffusione della cultura e della conoscenza dei diritti su scala
mondiale (si pensi ad esempio alla molteplicità di documenti e
dichiarazioni internazionali dei diritti che vedono la partecipazione della
maggioranza dei paesi mondiali) sebbene l’attuazione di tali diritti sia in
certe zone del globo lungi dall’essere attuata.
La nuova era, l’era della globalizzazione, può essere racchiusa
nell’immagine di Walter Wriston, il passato presidente di Citicorp, la più
potente istituzione finanziaria americana: “un mondo unito assieme in un
solo mercato elettronico che si muove alla velocità della luce”.
Le fantastiche innovazioni e i cambiamenti della condizione umana che
in questi decenni di globalizzazione si sono realizzati, da un lato esercitano
fascino e diffusa attrattiva, dall’altro però alimentano un senso di
impotenza rispetto alla possibilità stessa di apporre correzioni alle
componenti critiche o dannose di un corso che appare travolgente. La
globalizzazione, infatti, porta con sé rischi e problematiche che hanno
appunto una dimensione globale:
I problemi di povertà;
Disuguaglianza nell’accesso alle risorse (non solo materiali ma
anche di informazione e conoscenza);
Disuguaglianze nel godimento dei diritti (si pensi alle politiche di
restrizione che riguardano le migrazioni)
I danni ambientali;
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La debolezza dei governi e delle stesse istituzioni internazioni
rispetto alle pressioni delle grandi lobbies multinazionali;
La disoccupazione legata alla delocalizzazione delle industrie.
I movimenti critici della globalizzazione, pur nella varietà delle loro
posizioni, hanno posto l’accento sul processo di globalizzazione imperniato
su politiche neoliberiste, e sul crescente potere delle imprese
multinazionali, che ha accentuato le ineguaglianze sia su scala mondiale,
che all’interno delle nazioni.
Così come l’introduzione delle economie capitaliste nella metà del XIX-
XX secolo ha costretto i governi nazionali ad affrontare con regole ed
interventi pubblici l’evidente fallimento del mercato sulla questione
sociale, oggi il mercato mondializzato evidenzia la sua impotenza ed anzi
pericolosità a fronte della nuova questione sociale e ambientale che la
globalizzazione propone. E così come allora la soluzione non consistette in
un rifiuto totale dei processi di modernizzazione, ma nello sviluppo di
politiche sociali in grado di porre un correttivo alle conseguenze nefaste del
capitalismo industriale, ovvero il Welfare State, con l’obiettivo di garantire
sicurezza sociale per tutti i cittadini, oggi diventa prioritario adottare delle
strategie globali per realizzare innanzitutto una “globalizzazione dei
diritti”.
1.2.2 La globalizzazione: gli effetti sulle persone
Se le trasformazioni economiche, ambientali e politiche globali sono
sotto gli occhi di tutti, meno visibili ma altrettanto importanti sono gli
effetti che questo fenomeno produce sulle persone. Infatti, non bisogna mai
dimenticare che le grandi trasformazioni sociali producono cambiamenti
nelle persone, ma nello stesso tempo ne sono anche il prodotto: la società
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che cambia siamo noi. E per tale ragione si vuole qui riportare il contenuto
di alcuni grandi pensatori della nostra epoca che a tale argomento si sono
dedicati.
Uno dei capisaldi della globalizzazione è la flessibilità; nelle
economie di mercato occidentali già da qualche anno si parla di
“capitalismo flessibile” per indicare un superamento della rigida
organizzazione burocratica, della routine delle vecchie aziende. La
produzione viene decentralizzata attraverso l’outsourcing, le procedure
costantemente rinnovate, i percorsi di produzione non seguono più rigide
routine. Le aziende che vogliono essere competitive sul mercato, scelgono
di attivare complessi e costosi processi di reengineering (ristrutturazione),
il cui effetto più rilevante è sicuramente il downsizing, ossia la riduzione
del personale. Come fa notare Richard Senneth nella sua acuta opera
“L’uomo Flessibile”
7
, in cui analizza gli effetti del capitalismo flessibile
sulla vita personale dei lavoratori, si va verso una progressiva scomparsa
delle “carriere” intese come percorso verso cui un individuo incanalava i
propri sforzi in campo economico, una direzione che veniva seguita per
tutta la vita.
Se in passato un soggetto poteva affermare di essere un pasticcere,
un autista, un impiegato di banca, con la relativa certezza che avrebbe
potuto esserlo per tutta la vita (la scelta dipendeva in gran parte dalla sua
volontà) oggi a tale certezza bisogna rinunciare in nome della flessibilità,
della mobilità, del cambiamento. Se un giovane in passato intraprendeva un
corso di studi con la relativa certezza che questo gli avrebbe consentito di
intraprendere una professione dopo la laurea, oggi paradossalmente l’unica
certezza è il precariato. Lavorare significa oggi fornire quotidianamente
7
SENNETT, L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale,
Milano, Feltrinelli,1999
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prova della propria capacità e dedizione, ma non esistono meriti sufficienti
a garantire stabilità per il futuro. Se in passato il lavoro era saldamente
incastonato in una routine che richiedeva capacità ed esperienza, che faceva
del lavoro una missione di vita, l’asse intorno al quale si programmavano
gli svaghi, oggi quest’asse è stato spezzato. “Anziché flessibile come gli
araldi del bel mondo vorrebbero che fosse percepito, è diventato fragile e
friabile”
8
.
Inevitabilmente tale flessibilità produce delle conseguenze nella
personalità, nel carattere degli individui. Sennet parla di “corrosione” del
carattere. “Il carattere indica soprattutto i tratti permanenti della nostra
esperienza emotiva e si esprime attraverso la fedeltà e l’impegno
reciproco, o nel tentativo di raggiungere obiettivi a lungo termine[…]Tra
la moltitudine di sentimenti cui tutti noi ci ritroviamo costantemente
immersi, siamo sempre impegnati nel tentativo di salvarne e rafforzarne
qualcuno […]. Ma com’è possibile perseguire obiettivi a lungo termine in
una società che ruota attorno al breve periodo? Com’è possibile
mantenere fedeltà ed impegni reciproci all’interno di aziende che vengono
continuamente fatte a pezzi e ristrutturate”
9
. Sebbene le nuove generazioni
di lavoratori vengono addestrate ad affrontare il rischio e taluni si adattano
bene alle nuove condizioni di lavoro, è innegabile che la flessibilità è
foriera di incertezza, di insicurezza e mina alla base l’integrità dell’Io.
Anche Bauman analizza da un punto di vista antropologico le
conseguenze della globalizzazione sugli individui. Egli inizia il suo saggio
“Dentro la Globalizzazione: gli effetti sulle persone”
10
affermando che :
8
BAUMAN, Voglia di comunità, Laterza, Bari2003
9
Ibidem nota 4
10
BAUMAN, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza ,Bari 2001
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14
“La parola globalizzazione è sulla bocca di tutti; è un mito, un'idea
fascinosa, una sorta di chiave con la quale si vogliono aprire i misteri del
presente e del futuro; pronunciarla è diventato di gran moda" .
In particolare Bauman sviluppa nel saggio il binomio
globalizzazione/localizzazione, che può essere considerato l'idea forza, la
categoria più utile a rintracciare gli effetti più significativi che tale
fenomeno produce nella vita delle persone, condizionandone le scelte e
modificando radicalmente i valori di riferimento. L'essere globali, o il
dover essere globali si contrappone all'essere locali, condizione poco
piacevole e poco sopportabile nella misura in cui sono i globali, come
scrive Bauman, a dare il là ed a fissare le regole del gioco. Nel processo in
atto, infatti, se l'economia, la finanza, il commercio e l'informazione per un
verso uniformano il globo, per un altro verso promuovono parallelamente
un altro processo, che presenta caratteri opposti, all'interno del quale si
differenziano le condizioni materiali di vita di intere popolazioni.
Il globalismo, quindi presenta un doppio aspetto, nel momento stesso
in cui unisce, omogeneizza, segnala nuove libertà, divide, discrimina,
localizza, segrega, annulla le possibilità di azione di larghi strati sociali.
Bauman nel saggio va oltre, identificando la mobilità, che all'inizio del
secolo scorso era soltanto uno dei fattori della stratificazione, come il
valore più importante della post-modernità. La mobilità, che si rafforza
producendo differenziazioni sempre più articolate, diventa un fattore di
prestigio, espressione del movimento individuale e collettivo che coinvolge
tutti, anche coloro che lavorano nelle reti informatiche non spostandosi
dalle loro abitazioni, rimanendo fisicamente immobili.
Mobilità e flessibilità sono quindi i capisaldi del nuovo sistema
economico ma questa situazione di continua trasformazione di rifiuto della
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stabilità e delle routine, ha degli innegabili effetti nell’identità del soggetto:
“la psiche si trova in uno stato di infinita trasformazione e l’identità non
finisce mai: in queste condizioni non può esserci un racconto coerente
della propria vita.”
11
L’incertezza è uno dei sentimenti con cui l’uomo post-moderno deve
più spesso confrontarsi. Un’incertezza che deriva dal continuo mutamento
delle condizioni esterne, e che produce degli effetti profondi nell’Identità
del soggetto. Un’ incertezza di fronte alla quale l’uomo si sente impotente
perché le ragioni delle trasformazioni sono indipendenti dalla propria
volontà dei soggetti. Un’ incertezza di fronte alla quale ci si sente soli.
1.2.3 I cambiamenti etici e culturali
Accanto alle trasformazioni economiche la post-modernità vede una
profonda trasformazione dei valori etici e culturali. Nella convinzione che
il sistema di valori dominante influenza necessariamente le scelte degli
individui, sembra doveroso soffermarsi ad analizzare brevemente questi
cambiamenti.
Postmodernità è un termine impostosi negli ultimi decenni tanto da
diventare una parola usata con una certa, forse troppa, libertà, una parola
alla moda. Pur essendo stato impiegato per la prima volta nel 1917 dal
filosofo tedesco Rudolf Pannwitz in riferimento al tema nietchzsceano del
nichilismo, è dagli anni ‘50/’60 che pervade praticamente tutti gli ambiti
della cultura occidentale. Il postmodernismo da un punto di vista etico, ha
oggi tantissimi canali di diffusione per qualsiasi fascia d’età e per tutte le
classi di appartenenza. Lo share dei suoi spettacoli multimediali segna
picchi elevatissimi e la sua infiltrazione nella società ha già raggiunto
11
Ibidem nota 4
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16
livelli prossimi alla saturazione. I capisaldi del sistema di valori post-
moderno, caratterizzato da un forte relativismo etico sono diffusi a tutti i
livelli sociali, dall’uomo colto all’uomo di strada. Per dirla con De
Chirico
12
: Forse l’uomo della strada non avrà letto Derrida ma si riempie
la bocca nel dire che “non c’è la verità, ma molte verità”; forse non avrà
mai sentito parlare delle “grandi narrazioni” ma dice convinto che
“ognuno ha la sua idea e non deve essere imposta agli altri”; forse
l’anarchia epistemologica gli risulterà un’espressione del tutto priva di
senso ma difende il principio secondo il quale “ognuno può fare ciò che
vuole”; forse non immaginerà cosa sia il metodo genealogico ma sostiene
convinto che “è il potere a muovere tutto”.
La sensibilità postmoderna testimonia in primo luogo il profondo
disagio che l’uomo contemporaneo avverte di fronte alle conseguenze
storiche del progetto della modernità, così come si presentano alla fine del
ventesimo secolo.
Come un rapporto tra madre e figlia, anche quello tra modernità e
postmodernità è estremamente critico; tuttavia nessuno mette in questione
che la postmodernità possa definirsi figlia legittima, anche se forse
indesiderata o degenerata, della modernità. Il contrasto tra le due non è di
poco conto, nè di carattere meramente speculativo; al contrario, la posta in
gioco riguarda l’orientamento di fondo della concezione del mondo della
cultura occidentale.
Comportando una svolta culturale imponente rispetto all’età antica e
al medioevo, i tratti caratteristici della modernità sono stati, tra gli altri,
il capitalismo, il razionalismo, l’individualismo, il progresso scientifico e
tecnologico, la secolarizzazione.
12
DE CHIRICO, Modernità e post-modernità, 1997 articolo in STUDI DI TEOLOGIA IX
(1997/1)
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Diverse sono state le teorie della modernità elaborate nello svolgersi
della modernità stessa. Tra le varie proposte avanzate, essa è stata
considerata la risultante della transizione dalla società militare a quella
industriale (Saint-Simon), dallo stadio religioso dell’evoluzione sociale a
quello scientifico positivo (Comte), dalla Gemeinschaft alla Geselleschaft
(Tonnies), dalla solidarietà meccanica a quella organica (Durkheim), dalla
tradizione alla razionalità strumentale (Weber).
Per capire la post-modernità è quindi necessario comprendere e analizzare
brevemente i valori principali su cui la modernità si fondava.
1. Il primato della ragione. La modernità rinvigorisce il principio
dell’autonomia umana, attribuendole carattere costitutivo dell’identità
dell’uomo. Egli è un soggetto autonomo. Anche se autonomia può
significare pretesa di indipendenza dall’autorità, dalla tradizione, dalle
istituzioni e dalla religione, essa non implica assenza di leggi o licenza
assoluta di azione. Nell’accezione propria della modernità, autonomia non
è sinonimo di anarchia o di anomia; al contrario, essa è rifiuto da parte del
soggetto di riconoscere altra autorità che non sia quella della ragione. Il
rigetto avviene in nome dell’autorità che il soggetto autonomo pone quale
criterio unico, ultimo e normativo: la ragione. Alle autorità ricevute dal
passato si contrappone quella della ragione che è stabilita autonomamente.
La ragione è lo strumento critico per distruggere tutto ciò che si
fonda su altre fonti di autorità e, nello stesso tempo, lo strumento di
costruzione della visione moderna del mondo.
2. La cultura tecnico-scientifica. Nella modernità si assiste ad una
trasformazione radicale della concezione della natura e del modo di
rapportarsi ad essa. Le metafore di riferimento cambiano; se per Calvino il
mondo era “il teatro della gloria di Dio”, per Newton esso è “una grande
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18
macchina”. L’universo viene paragonato ad una macchina funzionante le
cui leggi sono immanenti e universali, i movimenti regolari, le risorse
sfruttabili. Da Bacon a Galilei, da Keplero a Tycho Brahe, da Copernico a
Newton, la modernità viene caratterizzandosi nel segno di una nuova
fondazione della scienza e dell’impiego di una nuova metodologia
d’indagine scientifica.
Se la ragione è il criterio fondamentale della modernità, la scienza ne
è il sapere per eccellenza; infatti, è dalla scienza che pervengono
proposizioni vere sul mondo ed è alla scienza che ci si deve rivolgere per
ottenere risposte oggettive e universali
3. L’idea di progresso. Come si è visto, la modernità è fortemente intrisa di
fiducia nella ragione umana e nelle prospettive di felicità che potrebbe
presentare un mondo in cui vige il primato della ragione. La modernità è
l’impianto dei valori della borghesia in ascesa che si impegna e lavora per
migliorare le proprie condizioni e quelle della società.
Un ottimismo fatalista ne pervade la concezione della storia;
giudicando i secoli precedenti come dominati da superstizioni, da tirannie e
da riflussi involutivi della cultura, il progetto della modernità ritiene di
incarnare una fase nuova della storia dell’umanità in cui il progresso della
civiltà e l’emancipazione dell’uomo sono gli approdi inevitabili e necessari
del cammino segnato dal trionfo della ragione. Esprimendo sia una fiducia
incondizionata nel rinnovamento del mondo, che un impegno a perseguirlo,
Voltaire poteva dire: “Un giorno tutto andrà meglio, ecco la nostra
speranza”. Infatti, se la ragione è universale, anche il progresso deve
seguire la direzione dell’universalità.
Tale idea ottimistica di centralità della ragione, di autonomia
dell’uomo, di liberazione dalle tradizioni e di progresso senza fine si
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frantuma tragicamente nel XX secolo. Gli orrori delle Guerre Mondiali, lo
sterminio di ebrei, la distruzione atomica, portano l’uomo a mettere in
dubbio la base ideologica della modernità.
Nella “Dialettica dell’illuminismo”
13
Horkheimer e Adorno hanno
offerto un’analisi devastante della società tecnologica alla luce
dell’esperienza della Germania di Hitler e della Russia di Stalin.
L’illuminismo quale tragitto volto a razionalizzare il mondo va incontro
all’autodistruzione e all’ulteriore alienazione dell’uomo; il progetto che
ricercava l’emancipazione dell’uomo si ritorce contro se stesso e produce
un sistema di oppressione universale.
Questa celebre tesi della Scuola di Francoforte ha avuto profonde
ripercussioni sulla formazione della critica postmoderna. Secondo questa
visione, la modernità ha essenzialmente prodotto effetti nefasti: tra gli altri,
la violenza contro la natura (es.: il buco di ozono e lo sfruttamento
sconsiderato delle risorse) e contro l’umanità (es.: Auschwitz e Hiroshima);
le catastrofi della civiltà tecnico-scientifica (es.: Chernobyl); la sete di
dominio estesa su scala mondiale (es.: colonialismo, guerre mondiali); non
solo la mancata emancipazione dei poveri e dei deboli ma la resa ancor più
strutturale delle ingiustizie sociali (es.:allargamento della forbice
Nord/Sud).
Per Lyotard la postmodernità nasce dal fatto che il progetto della
modernità è stato “distrutto”, “liquidato”, senza alcuna possibilità di essere
ripetuto, rielaborato o riproposto.
13
ADORNO E HORKHEIMERM, Dialettica dell'illuminismo , Biblioteca Einaudi (1947)1997
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