6
CAPITOLO PRIMO
Steve McCurry, Jodhpur, India, 2007.
Le Migrazioni: Storia, Definizioni e Statistiche
[…] c’è chi è lieto di fuggire una patria infame;
altri, l’orrore dei propri natali, e alcuni,
astrologhi annegati negli occhi d’una donna,
la Circe tirannica dai subdoli profumi.
Per non esser mutati in bestie, s’inebriano
di spazio e luce e di cieli ardenti come braci;
il gelo che li morde, i soli che li abbronzano,
cancellano lentamente la traccia dei baci.
Ma i veri viaggiatori partono per partire;
cuori leggeri, s’allontanano come palloni,
al loro destino mai cercano di sfuggire,
e, senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo! [...]
Charles Baudelaire, Il Viaggio
7
1.1 Definizioni, Tipologie e Caratteristiche delle Migrazioni
Numerosi sono i movimenti migratori che si sono verificati nel corso dei
millenni; basti pensare alle grandi migrazioni nel Paleolitico, alle Colonie
Greche e Fenicie (550 a.C.), alla Diaspora Ebraica (tra il 70 e il 1497
d.C), alle Crociate (XI sec. d.C.), ecc..
Anche gli Italiani, per alcuni decenni, sono stati un popolo di emigranti,
in particolar modo tra gli anni ’50 e gli anni ’60; negli ultimi anni, però,
l’Italia si è via via andata trasformando da teatro di emigrazione a luogo
di immigrazione.
In Italia, come nel resto d’Europa, si è andata affermando sempre più una
Società Globale, dove il concetto di Stato-nazione viene superato e si
assiste, invece, alla convivenza nello stesso territorio di gruppi e culture
differenti che fino ad allora avevano vissuto separatamente senza
incontrarsi.
Questo fenomeno dà vita a una molteplicità di possibilità culturali che
vanno a influenzare e modificare i fenomeni sociali, tanto a livello macro
e meso delle strutture e delle istituzioni quanto a livello micro delle
relazioni interpersonali (Colella, Grassi; 2007).
Il fenomeno migratorio sta via via assumendo una configurazione di
stabilizzazione della presenza dei migranti ed è in questo contesto che
l’Italia ci appare sempre più come un paese luogo di residenza stabile per
un buon numero di stranieri.
«L’incontro con gli stranieri, soggetti che hanno un bagaglio culturale
importante alle spalle, è sempre un momento di confronto, al quale è
bene essere pronti perché l’incontro risulti effettivamente un’occasione di
arricchimento reciproco, verso una comunicazione interculturale,
effettivamente dialogica» (Colella, Grassi, 2007).
Se parliamo di migrazioni internazionali, incontriamo una prima
difficoltà: non abbiamo delle definizioni e delle concezioni
universalmente accettate.
Le Nazioni Unite, nel 1998, per stabilire un criterio di uniformità sui
quali basare le rilevazioni statistiche a livello internazionale, definirono
Migrante colui «che soggiorna in un paese di cui non è cittadino/a per
almeno 12 mesi» (Nazioni Unite, 1998).
8
Nella Convenzione ONU sulla protezione dei Diritti dei Lavoratori
Migranti e dei Membri delle loro Famiglie, vengono, invece, considerati
lavoratori migranti tutte le «persone che eserciteranno, esercitano o
hanno esercitato un’attività retribuita in uno Stato di cui non sono
cittadini» (Nazioni Unite, 1990).
Le Nazioni Unite, dunque, inseriscono nella definizione di migrante
anche i lavoratori stagionali, ovvero coloro che si recano in un altro paese
per un periodo limitato per motivi di lavoro; non vengono, invece, inclusi
in questa definizione i turisti, coloro che si spostano per brevi periodi per
motivazioni varie e, in generale, tutti coloro che non stabiliscono la
propria residenza nel paese “ospitante” e che non vi restano per lunghi
periodi.
Definito per sommi capi ciò che nel panorama mondiale si intende per
migrante, passiamo a vedere quali sono i tipi di migrazioni possibili.
Innanzitutto, le migrazioni possono essere Temporanee o Permanenti, in
base al tempo di assenza della persona dal proprio paese natio e, quindi,
di residenza nel paese ospitante.
Allo stato attuale, le politiche di molti paesi di arrivo sono disponibili
all’accoglienza nei confronti dei migranti stagionali o temporanei, mentre
oppongono una certa resistenza all’eventuale tentativo di permanere nel
proprio territorio. Un tale atteggiamento è dovuto a diversi fattori, sia di
tipo economico sia di tipo sociale. Una migrazione temporanea, infatti,
ha minori costi economici per lo Stato e comporta, inoltre, minori
conseguenze in relazione ai problemi di integrazione e di accettazione
dello straniero.
Una migrazione, inoltre, si definisce Regolare quando il migrante, nello
spostarsi, si trova nella condizione di totale rispetto delle leggi del
proprio paese d’origine, del paese di destinazione ed, eventualmente, di
tutti i paesi di transito che si trova ad attraversare per giungere alla meta.
Coloro che si muovono illegalmente, ovvero privi di documenti e di
autorizzazioni necessari per risiedere nel paese ospite, sono soggetti a
misure legali quali l’arresto, la detenzione, l’espulsione, la deportazione
e, sempre più spesso, la violazione dei diritti umani.
9
Attualmente, ogni paese ha la propria legislazione in ambito di
migrazione, anche se gli organismi internazionali stanno lavorando
affinché si possa rendere più uniforme la giurisdizione dei vari paesi in
tale ambito.
Una sottile differenza intercorre tra l’Irregolarità e la Clandestinità ed è
importante sottolinearla per evitare confusioni di vario tipo.
Il migrante irregolare è colui che ha ottenuto in maniera legale il visto di
ingresso in un paese straniero ma, a causa di limitazioni legislative, non
può rinnovarlo; il migrante clandestino è, invece, colui che infrange la
legge al momento dell’entrata nel paese straniero, non essendo provvisto
di regolare visto d’ingresso.
Un’ulteriore distinzione, impiegata per descrivere i flussi migratori e che
si rivela di grande importanza, è quella tra migrazioni Volontarie e
migrazioni Forzate.
Le migrazioni volontarie sono soprattutto legate a esigenze lavorative e
possono essere regolari o irregolari, a seconda dei casi.
Secondo Anzera (2007), le cause principali dei fenomeni migratori
volontari sono riconducibili a due condizioni fondamentali: la disparità
dei livelli di guadagno, delle possibilità lavorative e delle condizioni di
vita e le differenze demografiche, in termini di fertilità, mortalità, età
media e popolazione attiva, e i Rapporti fra risorse disponibili e numero
degli abitanti.
Le migrazioni forzate sono, invece, spostamenti non volontari di persone
che fuggono da situazioni di violenza, di guerra, di violazione dei propri
diritti o da disastri ambientali o causati dall’uomo.
Bisogna dire che, dal punto di vista politico, i processi che possono
spingere le popolazioni a spostarsi sono aumentati dopo la fine della
Guerra Fredda, non solo come conseguenza di dinamiche positive, ma
soprattutto in seguito all’affermarsi di conflitti etnici e/o secessionisti in
grado di aumentare il numero di rifugiati per il loro alto tasso di violenza.
Un altro fattore determinante per i processi migratori contemporanei è
determinato dai fenomeni ambientali, quali degrado, siccità, allagamenti
e carestie. Non va poi dimenticato che, un terzo fattore di sostegno per la
10
migrazione, sia volontaria sia forzata, è dato, infine, dalla maggiore
facilità di spostamento.
Spesso le persone che emigrano forzatamente, per le cause viste sopra,
rientrano o nella categoria di Rifugiati o in quella dei Richiedenti Asilo.
Lo Status di Rifugiato è stato definito per la prima volta nel 1951, dopo il
Secondo Conflitto Mondiale, da un’apposita Convenzione delle Nazioni
Unite, per indicare «una persona che, a causa di una legittima paura di
essere perseguitata per ragioni di razza, religione, nazionalità,
appartenenza a un particolare gruppo sociale o a un’opinione politica, si
trovi fuori dal proprio paese d’origine e sia impossibilitata, o non voglia,
affidarsi alla protezione di quello stesso paese» (UNHCR, 2001).
Successivamente, nel 1969, l’Organizzazione dell’Unione Africana (oggi
Unione Africana), ha preferito adottare una definizione più ampia, che si
riferisce a qualsiasi individuo che sia obbligato ad abbandonare la propria
residenza per motivi di aggressione, occupazione, dominazione straniera
o di eventi che disturbino seriamente l’ordine pubblico in una parte o nel
proprio intero paese di origine o di nazionalità.
Nel 1984, ancora, grazie alla Dichiarazione di Cartagena, i paesi
dell’America Latina hanno optato per considerare come rifugiati coloro
che vanno via dal proprio paese perché la loro vita, sicurezza e/o libertà è
minacciata da violenza diffusa, aggressione straniera, conflitti interni,
violazioni su larga scala dei diritti umani o per ogni altra circostanza che
possa disturbare l’ordine pubblico.
Un Richiedente Asilo è, invece, una persona che, pur avendone fatto
richiesta, non ha ancora ricevuto il riconoscimento del proprio status di
rifugiato.
«In entrambi i casi, la Convenzione dell’ONU sui Rifugiati obbliga gli
stati firmatari a rinunciare alla propria sovranità nel decidere chi possa o
meno entrare nei loro territori, proteggendo i migranti dalle persecuzioni
di cui essi sono oggetto in patria, accogliendoli e trattandoli senza alcuna
discriminazione nell’accesso ai benefici sociali e nel godimento dei diritti
umani, senza riguardo alle proprie leggi in materia di immigrazione»
(Anzera, 2007).
11
Dobbiamo, però, precisare che le regole su citate, stabilite dalla
Convenzione sui Rifugiati, non si applicano ai Profughi Interni, ovvero a
coloro che lasciano la propria residenza abituale per gli stessi motivi dei
rifugiati, ma non escono dai confini del proprio paese d’origine.
I profughi non godono di uno status legale universalmente riconosciuto e
rappresentano un gruppo talmente eterogeneo e variegato che ogni tipo di
definizione o classificazione viene meno.
Oltre alle migrazioni forzate sinora viste, vi sono altri tipo di migrazione
caratterizzati da una gestione criminale da parte di individui o
organizzazioni che ne fanno un vero e proprio mercato. Le tipologie di
tale tipo di fenomeno sono due: il Contrabbando di migranti e il Traffico
di esseri umani.
Il contrabbando di migranti comprende tutti quei meccanismi che
permettono l’ingresso illegale nel paese di destinazione in cambio di
denaro o di altri benefici materiali.
Il traffico di esseri umani si riferisce al «reclutamento, trasporto,
protezione o ricezione di persone, ottenuti tramite l’uso della forza o di
altre forme di coercizione, rapimento, frode, detenzione, abuso di potere
nei confronti di chi sia in una posizione di vulnerabilità, o tramite
ricevimento o elargizione di pagamenti o benefici per ottenere il
consenso a che una persona abbia il controllo su un’altra a fini di
sfruttamento» (IOM, 2003).
1.2 Un po’ di Numeri e Statistiche sul Fenomeno in Scala Mondiale
(Dati IOM e UNHCR)
La Divisione Popolazione dell’ONU stima che il numero approssimativo
dei migranti in tutto il mondo sia di quasi 191 milioni, comprendendo in
questo calcolo anche i profughi e i rifugiati, ma non gli irregolari. I
migranti rappresentano dunque circa il 2.9% della popolazione mondiale,
di poco superiore ai 6 miliardi di persone.
L’incidenza delle migrazioni varia notevolmente, tuttavia, nelle diverse
aree del nostro pianeta. Al contrario di quanto il senso comune ci spinga
a pensare, la maggior parte dei migranti si concentra nei cosiddetti paesi
in via di sviluppo e gran parte dei flussi internazionali si muove secondo
12
direttrici Sud-Sud. Quest’ultimo concetto sfata il mito secondo il quale i
flussi migratori si muovano dal Sud del Mondo verso il Nord o da Est
verso Ovest; in realtà, gran parte dei movimenti migratori spinge le
popolazioni a passare anche da un paese in via di sviluppo a un altro.
Secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni (IOM), l’Europa è il continente che
accoglie il maggior numero di migranti, circa un terzo del totale modiale,
seguito da Asia, Nord America e Africa.
Per quanto riguarda i singoli paesi, quelli che hanno il maggior numero di
immigrati sono gli Stati Uniti (38 milioni, pari al 12.9% dei residenti) e la
Russia (12 milioni), seguita da Germania (10.1 milioni), Ucraina (6.9
milioni), Francia e Arabia Saudita (6.4 milioni), Canada (6.1 milioni) e
India (5.7 milioni).
In generale, dagli anni Novanta in poi, sono andati progressivamente
aumentando le migrazioni dall’Asia, dirette soprattutto verso Giappone,
Australia, Canada, Italia e Francia. I maggiori paesi di emigrazione del
continente sono le Filippine e la Cina.
A crescere, dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione del
blocco sovietico, sono stati anche i flussi provenienti dall’Est europeo, in
particolare da Russia e Ucraina, verso i paesi dell’Unione Europea.
Entrambe queste macrotendenze si riferiscono a migrazioni volontarie,
prevalentemente di lavoro, con un’alta percentuale di individui ad alta
scolarizzazione e qualifica professionale.
Quanto al fenomeno dei profughi, le sue dimensioni appaiono
impressionanti: si stima che le persone interessate siano all’incirca 100
milioni, anche se l’indeterminatezza delle definizioni non permette una
misura esatta.
Secondo, invece, i dati diffusi dall’UNHCR, alla fine del 2010 vi erano in
Europa 1.6 milioni di rifugiati; di questi quasi 1.4 milioni si trovavano
nei 27 Paesi dell’Unione Europea (UE) e costituivano meno del 5%
dell’intera popolazione immigrata, stimata in circa 30 milioni di persone.
La distribuzione dei rifugiati nei paesi europei non è omogenea: si passa
da paesi come Germania e Svezia, che ospitano oltre 7 rifugiati ogni
1.000 abitanti, ad altri, come alcuni paesi dell’Europa meridionale -
13
Grecia, Portogallo, Spagna - dove si conta meno di 1 rifugiato ogni 1.000
residenti. In Italia i rifugiati sono circa 56 mila, pari meno di 1 ogni 1.000
abitanti.
Dopo un sensibile aumento proseguito fino ai primi anni duemila, dovuto
principalmente ai conflitti verificatisi nella regione balcanica, il numero
di domande d’asilo inoltrate in paesi europei è diminuito
progressivamente, grazie al miglioramento della situazione in alcune
regioni d’origine dei richiedenti asilo, ma anche a seguito
dell’introduzione di politiche restrittive in molti paesi.
Nel 2010 sono state presentate in Europa 300 mila domande, 240mila
delle quali nei 27 paesi dell’Unione Europea. Il paese europeo che nel
2010 ha ricevuto più domande d’asilo è stato la Francia con 48mila
domande (con un aumento del 14% rispetto all’anno precedente), seguita
dalla Germania (41 mila domande, +49%) dalla Svezia (32 mila, +31%)
e dal Regno Unito (22 mila, -26%). In Italia le domande di asilo si sono
drasticamente ridotte dalle 30 mila del 2008, alle 17 mila del 2009, fino
alle 10 mila del 2010 anche a seguito delle politiche restrittive attuate nel
Canale di Sicilia da Italia e Libia, fra cui la prassi dei respingimenti in
mare.
Dai primi anni dell’ultimo decennio i paesi meridionali dell’Unione
Europea, ed in particolare l’Italia, la Spagna, Malta e, in maniera
crescente, la Grecia e Cipro, hanno visto arrivare sulle proprie coste
migliaia di persone in fuga da guerre e persecuzioni o in cerca di una vita
migliore. Si tratta di flussi migratori cosiddetti “misti”, costituiti cioè sia
da migranti economici sia da potenziali rifugiati.
Il Mar Mediterraneo, in particolare, ha rappresentato in questi anni una
vera e propria via dell’asilo, la principale porta di accesso all’Unione
Europea.
Fra i paesi mediterranei dell’Unione Europea la Grecia è stato negli
ultimi anni quello più debole in termini di garanzie e di assistenza per i
richiedenti asilo. Ma in questo paese, che costituisce uno dei principali
punti d’accesso all’Unione Europea, è in corso una riforma del sistema di
asilo che gli permetterà di allinearsi agli standard europei in un quadro di
reale armonizzazione fra i 27 paesi.
14
1.3 Un po’ di Numeri sull’Italia (Dati Caritas-Migrantes)
Secondo i dati riportati dalla Caritas-Migrantes, nel 21° Rapporto
(Dossier Statistico Immigrazione, 2011) in Italia, al 31 dicembre 2010, su
60.626.442 residenti nel Paese, si registrano 4.570.317 stranieri (per il
51,8% donne), che incidono sulla popolazione per il 7.5%.
Nell’ultimo anno l’aumento, nonostante la crisi, è stato di 335.258 unità,
al netto delle oltre 100mila cancellazioni dall’anagrafe (di cui 33mila per
trasferimento all’estero e 74mila per irreperibilità) e dei 66mila casi di
acquisizione di cittadinanza. Ai residenti, secondo la stima del Dossier,
bisogna aggiungere oltre 400mila persone regolarmente presenti ma non
ancora registrate in anagrafe, per una stima totale di 4.968.000 persone.
La ripartizione territoriale degli immigrati in Italia è la seguente: Nord
Ovest 35,0%; Nord Est 26,3%; Centro 25,2%; Sud e Isole 13,5%.
Nel 2010 sono stati rilasciati 1.543.253 visti per l’ingresso in Italia, ma
sono ben più numerose (40 milioni) le persone venute per almeno un
pernottamento; se ad esse si aggiungono i viaggiatori di un solo giorno,
sono 200mila gli arrivi giornalieri dall’estero, che in un anno assicurano
all’Italia entrate valutarie per oltre 29 miliardi di euro (Banca d’Italia).
È in tale contesto che si inseriscono anche i flussi irregolari. Nel 2010
sono stati registrati 4.201 respingimenti alle frontiere e 16.086 rimpatri
forzati, a fronte di 50.717 persone rintracciate in posizione irregolare;
secondo stime, nell’insieme gli irregolari presenti in Italia sarebbero circa
mezzo milione, 1 ogni 10 in posizione regolare.
Nel 2010 le persone sbarcate sono state 4.406 (contro le 36.951 del 2008
e le 9.573 del 2009), ma gli sbarchi sono ripresi nel 2011 a seguito degli
sconvolgimenti politici della Tunisia, dell’Egitto e della Libia.
Nei costosi Centri di identificazione ed espulsione (Cie), nel 2010 sono
transitati 7.039 immigrati, con una permanenza media di 51 giorni; ma la
possibilità di trattenimento è stata portata a 18 mesi, la stessa durata della
custodia cautelare in carcere prevista per gli indagati per associazione
mafiosa, sequestro di persona, pornografia e violenza sessuale. La
cosiddetta “tolleranza zero” non assicura di per sé l’efficacia auspicata,
per la quale vanno azionate anche altre leve.
15
E’ necessario ricordarsi che, nonostante ciò che si dice in giro, in Italia
l’immigrazione costituisce un rimedio, seppure parziale, al continuo
processo di invecchiamento demografico e al basso tasso di fecondità
(1,29 per le donne italiane rispetto a 2,13 per quelle straniere). Gli
stranieri, la cui età media è di 32 anni (contro 44 degli italiani) si
caratterizzano per la forte incidenza dei minori (21,7%) e delle persone in
età lavorativa (78,8%), mentre gli ultra65enni superano di poco il 2%
(sono invece un quinto tra la popolazione italiana). In altri termini, gli
stranieri sono appena 1 ogni 100 tra gli anziani, ma oltre un decimo dei
minori e dei giovani adulti (18-39 anni).
L’insediamento degli immigrati, oltre a crescere numericamente, diventa
sempre più stabile e diffuso. Sono stati 257.762 i matrimoni misti tra il
1996 e il 2009, anno in cui ai 21.357 casi di unione con un italiano (1
ogni 10 celebrati) si aggiungono 10.702 matrimoni con entrambi i partner
stranieri. I minori figli di stranieri sono quasi 1 milione e aumentano ogni
anno di oltre 100mila unità, tra nati sul posto e figli ricongiunti.
Le “seconde generazioni” (v.par.1.4) hanno superato le 600mila unità e
rappresentano oltre un decimo della popolazione straniera.
L’Italia, essendo il loro paese di appartenenza, è chiamata a non
considerare la cittadinanza come fattore di esclusione e a facilitarne
l’acquisizione in tempi ragionevoli. Nell’anno scolastico 2010/2011 i
709.826 alunni stranieri sono aumentati del 5,4% e hanno inciso per il
7,9% sull’intera popolazione scolastica (ancora di più nelle scuole
materne e in quelle elementari). Il 42,2% di essi è nato in Italia (circa
300mila). Gli universitari stranieri, invece, sono 61.777 (3,6% del totale),
con prevalenza di albanesi, cinesi, romeni, greci, camerunesi e
marocchini. I laureati nell’anno accademico 2010/2011 sono 6.764 (2,3%
del totale).
Come intuibile, sono esposti a maggiori rischi i minori soli, arrivati senza
la propria famiglia: basti ricordare che è di circa un terzo l’incidenza dei
minori stranieri negli istituti penali minorili e nei Centri di prima
accoglienza (Cpa).
I minori non accompagnati, titolari di permesso di soggiorno, a giugno
2011 sono risultati 5.806 (1.152 in più rispetto all’anno precedente), in
16
prevalenza di 16-17 anni. Dall’Africa, a seguito degli sconvolgimenti
politici, ne sono arrivati 2.466. Inoltre, quelli comunitari sono stimabili in
almeno alcune migliaia.
Da varie indagini condotte nel 2010 risulta che la maggior parte degli
immigrati si trova bene o abbastanza bene in Italia, ma questo sentimento
si attenua nel tempo a seguito della delusione mano a mano maturata
rispetto alle proprie aspettative.
Con grande realismo sintetizzano in due termini ciò che li preoccupa:
“permesso di soggiorno” e “razzismo”, cioè la mancata garanzia di un
inserimento stabile e di una solida prospettiva interculturale basata sulle
pari opportunità.
Nel 2010 l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ha registrato
766 segnalazioni, delle quali 540 sono state ritenute pertinenti. Il
principale ambito di discriminazione è stato quello dei mass media, dove
la rete internet, anziché accreditarsi come ambito di partecipazione
democratica, spesso ha favorito la diffusione del razzismo. Le
discriminazioni sono ricorrenti anche nella vita pubblica, nei servizi
pubblici e nel lavoro. È ancora difficile per molti italiani ragionare in
termini di pari opportunità e pensare che, nel futuro, una donna ucraina
possa essere medico o un manovale romeno ingegnere.
1.4 Le Seconde Generazioni
Con il termine Seconda Generazione si identificano i figli di stranieri nati
nel nostro Paese o i ragazzi immigrati che hanno compiuto in Italia
almeno la formazione scolastica primaria.
Secondo la Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 1984, si
considerano migranti della seconda generazione i figli di immigrati:
Nati nel paese nel quale sono emigrati i genitori;
Emigrati insieme con i genitori;
Minori che hanno raggiunto il genitore a seguito del
ricongiungimento familiare o, comunque, in un periodo successivo a
quello di emigrazione di uno o entrambi i genitori.
La stessa Raccomandazione precisa che l’accezione di seconda
generazione deve essere ristretta a quei figli che hanno compiuto nel
17
paese di immigrazione una parte della loro scolarizzazione o della loro
formazione professionale. Ciò che quindi sembra determinare il
passaggio e lo scarto dalla prima alla seconda generazione è l’aver
vissuto parte della socializzazione primaria e secondaria nel paese di
accoglienza.
La seconda generazione è, pertanto, la generazione di coloro che vivono
la prima e fondamentale parte del processo di crescita e di apprendimento
a cavallo di due mondi, quello della famiglia e quello della società, che si
distinguono per valori, norme, tradizioni, pratiche di vita, religione,
lingua.
In Italia la presenza della seconda generazione è divenuta più visibile
nella scuola e nella formazione professionale. Ciò dovrebbe condurci a
un’attenta riflessione sulla prospettiva interculturale da adottare in
ambito educativo, basata sulla reciprocità dello scambio tra culture.
I protagonisti di tale scambio sono proprio i giovani, autoctoni e stranieri,
che dovrebbero vivere positivamente l’incontro con l’Altro, per
arricchirsi vicendevolmente e vivere in modo sereno l’impatto con un
nuovo tipo di organizzazione scolastica e sociale, del quale
l’“immigrato” è parte integrante.
A tal proposito, la legge italiana considera i minori stranieri presenti sul
territorio nazionale come aventi diritto all’istruzione, indipendentemente
dalla loro regolarità, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini
italiani, riconoscendo la possibilità di iscrizione scolastica in qualsiasi
periodo dell’anno.
In particolare, secondo il D. Lgs. 30/07/02 n.189 si specifica che:
«Ai minori stranieri si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di
diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi e di partecipazione
alla vita di comunità scolastica. […] Se privi di documentazione
anagrafica o in possesso di documentazione irregolare o incompleta, [i
minori] sono iscritti con riserva senza per questo pregiudicare il
conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio delle scuole di ogni
ordine e grado. Coloro che hanno un’età compresa entro l’obbligo
scolastico vengono iscritti alla classe corrispondente all’età anagrafica,
18
salvo che il collegio dei docenti deliberi l’iscrizione a una classe
diversa».
In questo modo, lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali vengono chiamati
ad applicare ai minori stranieri in età scolare tutte le garanzie che
riguardano il diritto all’istruzione, l’accesso ai servizi educativi, la
partecipazione alla vita della scuola, a parità di condizioni con gli italiani.
Ci rendiamo, comunque, conto che contraddistinguere dei giovani, che
saranno maschi e femmine, di età diversa, studenti o lavoratori, residenti
in città e regioni diverse, con vari orientamenti religiosi e politici, in base
al paese d’origine loro o addirittura dei genitori, significa isolare un
aspetto della loro multiforme personalità e porlo in primo piano, come
elemento caratterizzante: una caratterizzazione che per loro può essere
secondaria, o sgradita, o addirittura poco comprensibile. Per questa
ragione, alcuni fra loro, specie se nati in Italia e istruiti in scuole e
università italiane, non amano questa etichetta e la respingono.
Possiamo tuttavia sottolineare che, come abbiamo visto nel paragrafo
precedente, parlarne significa far emergere una realtà composta da circa
760.000 minori, di cui 450.000 nati in Italia (Caritas-Migrantes, 2008).
Sotto il profilo dell’integrazione sociale, le seconde generazioni possono
risultare più ingombranti delle prime. Queste possono essere ancora
classificate come estranee, titolari di alcuni diritti legati al soggiorno e
soprattutto al lavoro, ma non cittadine a pieno titolo. Possono essere
mantenute in una posizione che richiama, secondo l’immagine di Walzer
(1983), quella dei meteci dell’antica Atene: stranieri ammessi in quanto
lavoratori produttivi, ma non abilitati a far parte della comunità dei
cittadini. Questa disuguaglianza istituzionalizzata è però sempre più
difficile da mantenere nei confronti di nuove generazioni nate o cresciute
all’interno della nostra società, che non hanno un altro paese al quale fare
ritorno e hanno sviluppato esperienze di vita, legami sociali e
orientamenti culturali all’interno del contesto nel quale sono state
allevate.