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INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo elaborato è delineare un quadro generale della
multidimensionalità del fenomeno del bilinguismo secondo aspetti psicolinguistici e
sociolinguistici.
L’inspirazione per affrontare l’argomento è del tutto personale e frutto della mia storia
familiare che mi ha condotto alla decisione di fare del bilinguismo una scelta di
educazione per la crescita dei miei figli. Da qui inizia una ricerca, inizialmente
ingenua poi sempre più documentata, riguardo pubblicazioni di studiosi in vari ambiti,
dalla neuropsicologia alla psicoanalisi, dalla letteratura artistica alle pubblicazioni
dell’Unione Europea, riguardanti i modi di vivere e lo sviluppo dei processi del
bilinguismo e più in generale anche del plurilinguismo.
Scoprire i fattori che possono facilitare il processo di apprendimento di una seconda
lingua in tenera età e far luce su una situazione plurilinguistica considerata
nell’opinione comune non così frequente come invece molti dati dimostrano sia, sono
stati importanti passi di questo lavoro. L’interesse maggiore è stato osservare come un
processo così naturale e spontaneo sia oggetto di numerose teorie e argomentazioni
specialmente in letteratura scientifica.
Le diverse discipline interrogate sul fenomeno del bilinguismo hanno infatti
evidenziato la sua struttura complessa, sia al livello organico che teorico, e di come
l’argomento possa essere affrontato su dimensioni individuali e sociali.
Il soggetto bilingue diventa sempre più parte integrante di una società multilingue in
espansione e se fino a qualche decennio fa era considerato un fenomeno raro ad oggi è
possibile affermare, grazie agli osservatori mondiali, che oltre metà di tutta la
popolazione del nostro pianeta è bilingue.
Nel primo capitolo sono state affrontate le doverose definizioni, le caratteristiche
proprie del bilinguismo e l’aspetto culturale del fenomeno. L’obiettivo di questa prima
parte è notare come la capacità di parlare due o più lingue sia comune a molti, al
contrario di quanto ingenuamente sia il pensiero comune in società monolingue, e
quante sfumature ci siano nel tentare di porre dei limiti, necessari alla
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categorizzazione, al fenomeno del bilinguismo.
Il secondo capitolo ripercorre inizialmente la storia delle conoscenze della
psicolinguistica attraverso un panorama degli autori che maggiormente hanno
contribuito a fornire modelli utili alla comprensione dei fattori che determinano lo
sviluppo del linguaggio nella mente umana. Si entra successivamente nello specifico
di questo lavoro con l’esposizione di una delle più accreditate, ma non per questo
scevra da critiche, teorie su quali siano i fattori interni ed esterni che regolano
l’apprendimento di una seconda lingua, ovvero il modello Krashen. Andando avanti si
trovano le teorie che hanno come obiettivo quello di analizzare i bisogni e i motivi che
spingono un soggetto a spendere energia nell’apprendimento di una seconda lingua,
dette appunto teorie motivazionali. Vengono inoltre affrontati gli strumenti utilizzati
per la misurazione dell’attitudine linguistica.
Nel terzo capitolo l’argomento del bilinguismo viene considerato sotto l’aspetto
neuropsicologico, andando ad analizzare le basi classiche nozionistiche e le scoperte
più recenti che cercano di spiegare il funzionamento e la localizzazione cerebrale del
linguaggio e nello specifico della seconda lingua. L’ultima parte di questo capitolo è
rivolta ad alcuni aspetti patologici afasici tramite una breve rassegna di letteratura al
riguardo.
Il quarto capitolo è dedicato alla ricerca dei miti nel mondo antico che offrono una
eziologia alla comparsa dei vari linguaggi nel mondo. Questo è il capitolo dedicato
alla psicoanalisi e alle interpretazioni che alcuni autori suggeriscono al rapporto madre
e lingua madre, dal gusto squisitamente psicoanalitico. Inoltre viene approfondito il
dibattito, attualmente ancora in discussione, sull’uso di una seconda lingua nel setting
terapeutico e su quanto sia necessario o superfluo per un paziente bilingue avere un
terapeuta anch’esso bilingue.
Nell’ultimo capitolo si confrontano alcune teorie contrastanti riguardo l’educazione
bilingue. L’interrogativo espresso in letteratura riguarda la possibile confusione che un
ambiente bilingue può, o meno, creare nello sviluppo del linguaggio nel bambino,
specialmente nel suo periodo critico, oppure se i vantaggi di una maggiore ricchezza
espressiva siano maggiori del rischio di confusione. Si focalizza l’attenzione sulle
difficoltà affrontate come genitori e sulla quotidianità dell’uso di più lingue in uno
stesso contesto familiare.
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Riassumendo e sintetizzando i punti cardinali di questo elaborato si può concludere
che il lavoro svolto cerca di offrire un sintetico excursus della letteratura da un punto
di vista cognitivo, neurobiologico, psicoanalitico e sociale.
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CAP . 1 CHI E' BILINGUE?
1.1 Bilinguismo, bilingualismo e plurilinguismo
L'osservatorio europeo sul plurilinguismo della UE, 2005-2009, ipotizza che almeno
una persona su due si trova esposta ad un ambiente non monolingue, questo
riprenderebbe l'idea di Edwards (2004) secondo cui “everyone is bilingual!”.
Questo eccessivo entusiasmo va sicuramente stemperato. È indubbio però, che la
condizione per cui un soggetto al giorno d'oggi, adulto o bambino, viva in un ambiente
dove si fa uso di più lingue è molto frequente, basti pensare ai mass media, all'uso
delle nuove tecnologie e agli spostamenti non solo per motivi lavorativi.
In Italia, sia gli studi sulle lingue regionali e i dialetti
1
, sia le indagini dell’ISMU
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rivelano una considerevole varietà linguistica.
Se quindi siamo tutti esposti al plurilinguismo è opportuno fare chiarezza sulla
terminologia e su cosa si intende per bilinguismo, bilingualità e plurilinguismo.
Tentare però di definire il fenomeno del bilinguismo
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non è un atto così scontato:
1
Alcuni studi importanti sulle lingue regionali e i dialetti sono: T. De Mauro, Storia
linguistica dell’Italia unita, Laterza, Bari 1963; G. Rohlfs, Studi e ricerche su lingue e
dialetti in Italia, Sansoni, Firenze 1972; M.R. Manzini, M.L. Savoia, I dialetti italiani e
romanci. Morfosintassi generativa, Ediz. Dell’Orso, Alessandria 2005.
2
L’ISMU è un centro studi sull’immigrazione in Italia.
3
Dobbiamo innanzitutto precisare una distinzione. In questo lavoro ci occupiamo di
“bilinguismo individuale” inteso come l’insieme delle competenze di un individuo nei
confronti di più lingue e non di “bilinguismo sociale” (dato dalla compresenza di due
lingue in una società. Il concetto di bilinguismo sociale è ben colto dalla definizione
classica di Aucamp (1926): "Bilinguismo è quella condizione in cui due lingue coesistono
in una nazione una accanto all'altra, ognuna parlata da un gruppo nazionale, rappresentante
una proporzione importante della popolazione." In questo senso, per esempio, il
quadrilinguismo svizzero è un fenomeno soprattutto sociale e solo in secondo luogo, e in
modo parziale, individuale. Una definizione ironica del fenomeno sociale e allo stesso
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secondo il Webster Dictionary (1961) si può considerare bilingue colui che è capace di
usare abitualmente due lingue con un controllo simile a quello di un parlante di madre
lingua. Concordante con questa definizione si trova anche il comune uso popolare del
termine e cioè essere bilingue equivale all’individuo che parla due lingue
perfettamente; quest'ultimo era anche il parere di Bloomfield (1935). Sulla base di
questa accezione, il biliguismo in senso stretto, meglio definito equilinguismo o
ambilinguismo, sarebbe proprio soprattutto dei bambini allevati in contesti
caratterizzati dall'uso simultaneo di due lingue, o comunque di individui che non
hanno la necessità di tradurre giacché possiedono due sistemi linguistici indipendenti e
paralleli che controllano contemporaneamente. Al contrario, Macnamara3 (1967)
sostiene che è bilingue chiunque possieda un minimo di competenza in ognuna delle
seguenti quattro abilità linguistiche: comprensione auditiva, abilità orale, lettura e
scrittura in una lingua diversa dalla propria madre lingua. Fra queste due posizioni
estreme si collocano altri Autori, che meglio rispecchiano la posizione qui sostenuta,
tra cui Titone per il quale "il bilinguismo consiste nella capacità di un individuo di
esprimersi in una seconda lingua aderendo fedelmente ai concetti e alle strutture che a
tale lingua sono propri, anziché parafrasando la lingua nativa" .
Circa un secolo fa, linguisti come Bloomfield (1935), usavano descrivere il
bilinguismo come il possesso di due lingue e di essere in grado di parlarle entrambe
bene come un monolingue. Nel linguaggio comune questa definizione è quella rimasta
in voga anche se risulta non chiaro cosa significhi possedere una lingua e soprattutto
quanto effettivamente sia possibile avere la stessa identica competenza in entrambe le
lingue, nei vari bisogni specifici, nelle varie situazioni e a contatto con il rispettivo
ambiente socioculturale.
Una definizione successiva (Haugen, 1953) usa il termine bilingue per denotare tutte le
tempo critica per la non completa equità di importanza e di conoscenza delle lingue in
Svizzera è stata fatta dal linguista Giovanni Rovere (1982) che formula:"In Svizzera si
parlano quattro lingue: il tedesco". Altrettanto provocatoria, è quella del giornalista
romando José Ribeaud (1998) che ha scritto che la Svizzera ha quattro lingue ma se ne
parlano solo due: inglese e Zürich-deutsch. Ovviamente la componente sociale e quella
individuale tendono ad influenzarsi reciprocamente ed entrambe vanno considerate. Qui ci
interesseremo più della seconda, tenendo però presente che il bilinguismo in famiglia è una
specie di 'micro-società' e che la famiglia a sua volta è inserita nella società vera e propria,
con le sue credenze, le proprie aspettative e i suoi sistemi di valori.
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situazioni in cui una persona usa due lingue, indipendentemente dal livello di
padronanza.
Grosjean (1989, 1997) non identifica esclusivamente il bilingue come la persona che
parla due lingue, bensì come il soggetto che possiede capacità verbali e comunicative,
ovvero colui che è in grado di comunicare a diversi livelli, parlare, leggere, ascoltare,
frutto di esposizione diretta alle lingue in questione. In più, introduce la nozione di
“squilibrio” (1992), ovvero ribalta la concezione di perfezione di competenza,
considerata quasi utopistica e ammette alla definizione di bilinguismo anche la
competenza incompleta. Osserva infatti Grojean, che, se si dovessero considerare
bilingui soltanto coloro che possiedono tutte le competenze delle due (o più) lingue, la
maggior parte delle persone che utilizzano quotidianamente un’altra lingua oltre alla
propria, non potrebbe definirsi tale. E’ raro un bilinguismo equilibrato, per la semplice
ragione che, in una società monolingue, non è possible trovare occasioni per utilizzare
indifferentemente l’una lingua o l’altra, in tutte le situazioni della vita quotidiana.
Converrebbe quindi avvicinarsi alla questione del bilinguismo non tramite la misura
della perfezione di competenze ma piuttosto, la capacità comunicativa nella vita di
tutti i giorni (Grosjean, 1992).
“Bilingue” nell'uso comune del linguaggio non è un termine univoco, rinvia infatti a
numerose definizioni: si usa per descrivere un individuo che conosce le lingue; alla
sezione di una scuola dove si insegnano due lingue straniere; è usato anche nelle
regioni a statuto speciale con riferimento alla produzione di documenti ufficiali nelle
due lingue; a volte è perfino usato al posto di diglossia
4
per esempio chi affianca l'uso
di un dialetto all'italiano.
In letteratura invece, Hamers e Blanc (1989) sono i primi a differenziare il bilinguismo
dalla bilingualità; questo diventerà un concetto chiave nella ricerca per differenziare la
complessità di comunicazione e comprensione del soggetto parlante due lingue.
La bilingualità è intesa come uno stato psicologico complesso dell'individuo, come
4
Il termine diglossia si deve a Charles Ferguson, che nel suo omonimo articolo del 1959
[Diglossia in “Word”, 15: 325-340] così definisce questo concetto:
A ‘diglossic’ situation exists in a society when it has two distinct codes which show clear
functional separation; that is, one code is employed in one set of circumstances and the
other in an entirely different set. (op.cit.:87)
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una dimensione multifattoriale di competenze necessarie alla comunicazione in una
realtà linguistica. Non è solo parlare e conoscere le regole sintattiche di un'altra lingua
bensì comprendere l'universo linguistico e sociale al quale le lingue appartengono. Il
bilinguale fa parte della società e fa proprie le rappresentazioni della stessa. Le
conoscenze sono anche non verbali e si fondono la grammatica e la sintassi, con
l'aspetto collettivo e sociale della lingua (Butler, Hakuta, 2004).
Si possono considerare le definizioni riferite al bilinguismo come un continuum nel
quale ad un polo c'è l'assoluta indipendenza dei sistemi linguistici e, all'altro estremo,
la stretta dipendenza delle due lingue a contatto l'una con l'altra nella mente del
soggetto.
Non solo la psicologia si è interessata all'argomento. Per esempio, i sociologi hanno
trattato il bilinguismo come elemento di conflitto o coesione tra culture,
concentrandosi sulle conseguenze dell'eterogeneità linguistica come fenomeno sociale
(Romaine, 1995). I pedagogisti, invece, hanno considerato il bilinguismo in relazione
alla scelta educativa e ai processi informativi, ne sono prova le numerose scuole
internazionali.
Renzo Titone nel suo libro “Bilinguismo precoce ed educazione bilingue” ritiene che il
bilinguismo sia un concetto relativo e che quindi non ci si debba mai porre la domanda
“Questa persona è bilingue?” ma piuttosto in che modo questa persona è bilingue.
Anche Mackey (1965) descrive un certo numero di tipologie di bilinguismo:
- individui che parlano due lingue correntemente, ma la cui lingua materna
continua ad esercitare un'influenza manifesta sull'uso e la pronuncia della
seconda lingua;
- individui che parlano due lingue ma nessuna delle due come un autoctono;
- individui che possiedono struttura e vocabolario di due lingue ma che ne
pronunciano solo una come un autoctono;
- individui che padroneggiano un vocabolario ugualmente esteso nelle due
lingue ma in differenti campi di applicazione.
A questo proposito vorrei citare la frase di Kirwood Halliday, docente di Linguistica
presso le università di Londra, Sidney e Chicago “Nel mondo ci sono senza dubbio
milioni di persone che hanno l'inglese come seconda lingua e che hanno raggiunto un
grado elevato di bilinguismo, ma che non potrebbero né fare l'amore, né lavare i piatti
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in inglese, non più di quanto siano capaci di discutere di medicina o di aereonautica
nella loro lingua materna”.
1.2 Caratteristiche del bilinguismo
Molti linguisti hanno ritenuto utile distinguere tipi diversi di bilinguismo, per
sottolineare il fatto che i parlanti pur competenti nelle proprie lingue, lo possono
essere in maniera differente e con diversi gradi di bilinguismo (Grosjean, 1982).
Una prima differenziazione può essere fatta da un punto di vista cognitivo.
Al livello del rapporto tra sviluppo cognitivo e sviluppo linguistico, emergono tre
tipologie di bilinguismo: composito, subordinato e coordinato e corrispondono alle tre
diverse organizzazioni cognitive.
Nel primo caso, nel bilinguismo composito, i due sistemi di segni linguistici vengono
associati ad un solo sistema di significati, ovvero, il soggetto pur possedendo diversi
schemi linguistici tende a ricondurli alla stessa funzione di significato. Si ha questo
tipo di bilinguismo quando l’individuo ha appreso le due lingue contemporaneamente
prima dei sei anni, perché esse in genere erano parlate indifferentemente dalla madre o
dal padre.
Il controllo distinto delle due strutture linguistiche in possesso, apprese in modo
indipendente l’una dall’altra è invece definito come bilinguismo coordinato. In questo
caso il soggetto è in grado di scegliere, valutare e attuare le strategie comunicative che
ritiene maggiormente adeguate avendo libero accesso ai due schemi linguistici. La
seconda lingua, in questo caso, è stata appresa perfettamente prima della pubertà ma
comunque in un ambiente che non è la famiglia, ad esempio perché il bambino si è
trasferito con la famiglia in un altro paese.
La tipologia di bilinguismo subordinato avviene quando l’accesso al sistema della
seconda lingua è mediato da quello della prima lingua. E’ questo il caso in cui una
delle due lingue rimane la lingua base e la seconda viene adoperata utilizzando sempre
come intermediaria la prima lingua. In questo tipo di bilinguismo, il soggetto prima
pensa a cosa vuole esprimere nella prima lingua, quindi lo traduce nella seconda
lingua.