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CAPITOLO 1
IL PROTETTORATO MAROCCHINO.
TRATTATI DEL 1904, 1906, 1912
La situazione africana
All’alba del ventesimo secolo, l’Impero del Marocco restava, insieme ad
Etiopia e Liberia, il solo stato indipendente del continente africano,
oggetto di spartizione da parte delle maggiori potenze coloniali europee
durante il cosiddetto “Scramble for Africa” seguito alla conferenza di
Berlino del 1885. Tale situazione di (almeno formale) indipendenza,
tuttavia, non era destinata a durare a lungo. L’ ”Entente Cordiale” siglata
l’8 aprile 1904 da Francia e Regno Unito garantì infatti la definitiva
sistemazione delle controversie coloniali tra i due Paesi ed, in modo
particolare, il “disinteresse” britannico per il Marocco, compensato da un
identico atteggiamento francese nei confronti dell’Egitto: la Francia
aveva così (o riteneva di avere) mano libera nei suoi piani di
occupazione dell’Impero maghrebino. Tale disegno, contrastato
vanamente dalla Germania (incidenti di Tangeri, 1905 ed Agadir, 1911)
fu infine portato a compimento tramite il Trattato di Fès (30 marzo1912)
ed il successivo accordo franco-spagnolo del 27 novembre dello stesso
anno: il Marocco diventava ufficialmente un protettorato francese, fatta
salva la sua estrema propaggine settentrionale, la cui amministrazione
venne delegata a Madrid (il Regno Unito non vedeva infatti di buon
occhio la presenza francese sulla costa antistante Gibilterra e manovrò in
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maniera tale da destinare tale area così strategicamente importante ad un
Paese debole e “cliente” come la Spagna), nonché la città ed il territorio
di Tangeri, convertiti in Zona Internazionale (formalmente istituita
tuttavia solo nel 1923).
L’Entente Cordiale e le sue conseguenze
Preoccupato per la crescente aggressività tedesca, conseguenza del boom
produttivo del Reich e del suo desiderio di conquista dei mercati
mondiali, il Regno Unito decise di abbandonare la “splendid isolation”
che aveva contraddistinto la sua politica estera in epoca vittoriana. La
Francia, da parte sua, avendo dovuto abbandonare ogni residua pretesa
sull’Egitto in seguito all’ incidente di Fachoda, era ansiosa di assicurarsi
una compensazione mettendo le mani sulle ricchezze marocchine; essa,
inoltre, vedeva in un accordo con la maggiore potenza navale dell’epoca
il mezzo per porre definitivamente fine al proprio lungo isolamento
diplomatico, già indebolito attraverso l’alleanza formale con la Russia
(1892) e gli accordi segreti con l’Italia (1900-1902). Questa convergenza
di interessi tra i due maggiori imperi coloniali dell’epoca sfociò nella
cosiddetta Intesa Cordiale, stipulata a Londra l’8 aprile 1904 dal ministro
degli Esteri britannico Lansdowne e dall’Ambasciatore francese presso il
Regno Unito Paul Cambon. Tale convenzione si componeva di nove
articoli “ufficiali” e cinque articoli segreti, tutti concernenti il
regolamento di questioni territoriali nelle aree Nord-atlantica
(Terranova), africana (Egitto, Marocco, Isole di Los, lago Tchad,
Madagascar), asiatica (Siam) e pacifica (Nuove Ebridi). Ci si limiterà in
questa sede all’esame delle parti riguardanti direttamente la questione
oggetto di trattazione del presente lavoro, di seguito riportate
integralmente:
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ARTICOLO 7 (ufficiale): “Al fine di assicurare il libero passaggio degli
Stretti di Gibilterra, i due Governi concordano di non permettere
l’erezione di fortificazioni o opere strategiche sulla porzione di costa del
Marocco compresa tra, ma non includente, Melilla e le alture che
dominano la riva destra del fiume Sebou.
Questa condizione in ogni caso non si applica ai luoghi attualmente
occupati dalla Spagna sulla costa moresca del Mediterraneo”.
ARTICOLO 8 (ufficiale): “I due Governi, ispirati da sentimenti di
sincera amicizia per la Spagna, prendono in speciale considerazione gli
interessi che a quel Paese derivano dalla sua posizione geografica e dai
suoi possedimenti territoriali sulla costa moresca del Mediterraneo.
Riguardo a questi interessi il Governo francese verrà ad un accordo con
il Governo spagnolo. L’accordo che Francia e Spagna raggiungeranno in
materia dovrà essere comunicato al Governo di Sua Maestà Britannica”.
ARTICOLO 3 (segreto): “I due Governi concordano che una certa
estensione di territorio moresco adiacente a Melilla, Ceuta, ed altri
presidi dovrà, nel caso in cui il Sultano cessasse di esercitare sovranità
su di esso, entrare a far parte della sfera di influenza della Spagna, e che
l’amministrazione della costa da Melilla fino a, ma non includente, le
alture sulla riva destra del Sebou sarà affidata alla Spagna.
Cionondimeno, la Spagna dovrebbe preventivamente dare il proprio
formale assenso alle clausole degli articoli 4 e 7 della Dichiarazione della
data di oggi, ed impegnarsi ad rispettarle.
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Essa dovrebbe anche impegnarsi a non alienare l’interezza, o una parte,
dei territori posti sotto la sua autorità o nella sua sfera di influenza”.
ARTICOLO 4 (segreto): “Se la Spagna, quando invitata ad assentire
alle clausole del precedente articolo, dovesse ritenere necessario
declinare, l’accomodamento tra Francia e Gran Bretagna, come incluso
nella Dichiarazione della data di oggi, sarebbe nondimeno subito
applicabile”.
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Risulta evidente da quanto sopra riportato la tradizionale esigenza
britannica di garantire la massima protezione alla rocca di Gibilterra: ciò
si evince in maniera particolare dal punto 7, che proibisce espressamente
l’erezione di fortificazioni lungo tutta la costa settentrionale del
Marocco; nonché dal fondamentale passaggio, contenuto nell’articolo 8,
in cui si afferma che il necessario trattato tra Francia e Spagna per la
delimitazione delle rispettive sfere di influenza in territorio marocchino
dovrà essere comunicato al governo britannico. Il Regno Unito, cioè, era
fermamente deciso ad impedire l’installazione di una grande potenza
potenzialmente rivale come la Francia sulla sponda meridionale dello
stretto, e si premunì contro eventuali colpi di mano francesi al momento
delle negoziazioni tra questi e la debole Spagna subordinando
l’approvazione di tali accordi al consenso del governo di sua maestà.
L’assegnazione di tale area particolarmente sensibile ad una potenza “di
settimo rango” (Ruano)
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fu inoltre vincolata da un’ulteriore garanzia per
gli interessi britannici, ovvero il divieto per la stessa Spagna di erigervi
qualsiasi opera di fortificazione esterna agli antichi presidi di Ceuta e
Melilla.
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Alla prova dei fatti, si potrebbe affermare che l’instaurazione del
protettorato iberico sul settore settentrionale dell’Impero sceriffiano fu
legata più ad esigenze diplomatiche britanniche che non ad una propria
autonoma capacità espansiva; ed alle stesse esigenze si dovette
l’attribuzione di tale protettorato ai due Paesi latini in un piano di parità
solo formale.
Da Tangeri ad Algeciras
Forte del recente accordo con la Gran Bretagna, il governo francese
ritenne di avere mano libera: il 21 febbraio 1905 esso presentò formale
richiesta al Sultano Abdelaziz affinché l’addestramento delle truppe
imperiali e l’esazione dei dazi doganali della Monarchia sceriffiana
fossero posti sotto il diretto controllo di ufficiali e funzionari francesi.
Tale iniziativa violava apertamente il Trattato di Madrid del 1880 (il
quale concedeva a tutti i paesi firmatari, tra i quali la Germania, uguali
diritti in territorio marocchino): il Sultano ne diede pertanto pronta
comunicazione a Berlino, dove, nelle parole del Cancelliere Bulow, si
ritenne necessario “ricordare a Parigi l’esistenza dell’Impero Tedesco”
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.
Il 31 marzo 1905 il Kaiser Guglielmo II sbarcò a Tangeri, salutando il
Sultano come sovrano di una nazione indipendente ed appoggiando la
richiesta di una conferenza internazionale che decidesse il destino del
Marocco. L’incidente diplomatico fu molto grave: la Francia, ed in
particolare il ministro degli Esteri Theophile Delcassé, regista dell’intera
operazione, tentò inizialmente di tenere duro, ma in seguito i rischi
connessi ad un eventuale attacco militare tedesco, nonché la relativa
debolezza militare del suo principale alleato, la Russia (appena sconfitta
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dai Giapponesi nella battaglia di Tsu-Shima) spinsero il governo a più
miti consigli: Delcassé fu costretto alle dimissioni e l’idea della
conferenza venne accettata.
Tale incontro diplomatico si svolse nella cittadina spagnola dei Algeciras
dal 15 gennaio al 6 giugno 1906; esso vide la partecipazione di 12 Stati:
Germania, Austria-Ungheria, Belgio, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna,
Italia, Marocco, Paesi bassi, Portogallo, Russia, Spagna e Svezia. La
Germania, potenza che più di ogni altra si era spesa affinché la
conferenza avesse luogo, si ritrovò in una posizione di crescente
isolamento diplomatico, appoggiata soltanto dall’Austria e, ovviamente,
dal Marocco. Fece da contraltare la rivincita della Francia, forte
dell’aperto sostegno britannico nonché di quello, più dissimulato, di
Italia (nonostante questo paese fosse formalmente legato agli imperi
austriaco e tedesco in virtù della Triplice Alleanza) e Stati Uniti . Il
successo diplomatico transalpino fu pressoché totale: essa ottenne, in
coabitazione con la Spagna, il controllo della polizia marocchina nei sei
principali porti del Paese; il protettorato iniziava così a prendere forma.
La crisi di Agadir ed i trattati del 1912
Il 9 febbraio 1909 la Francia ed il Reich sottoscrissero un accordo
coloniale che vedeva riconosciuta la supremazia francese nell’Impero
sceriffiano, in cambio del rispetto degli interessi economici tedeschi
nell’area. Forte di questo patto, nel maggio del 1911 l’esercito della
Terza Repubblica procedette all’occupazione delle città di Rabat,
Meknès, Casablanca e Fès, ufficialmente al fine di ristabilire l’ordine e le
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prerogative del nuovo Sultano Abdelhafid, minacciato da una rivolta. La
Germania, tuttavia, anche in questo caso reagì con durezza, ordinando
alla cannoniera Panther di gettare le ancore nel porto di Agadir (1 luglio
1911), con chiari intenti intimidatori. La provocazione provocò
un’immediata risposta britannica, che per bocca del cancelliere dello
Scacchiere David Lloyd George giunse apertamente a minacciare la
Germania di guerra. Dopo mesi di trattative, i Tedeschi furono ancora
una volta costretti a cedere, abbandonando interamente ogni pretesa sul
Marocco in cambio di compensazioni coloniali ai danni dell’Africa
Equatoriale Francese (Neukamerun); il Panther lasciò la rada di Agadir il
28 novembre 1911.
La Francia aveva ormai partita vinta: essa provvide in breve tempo a
stipulare con il Marocco il Trattato di Fès (30 marzo 1912), che sancì
ufficialmente la creazione del protettorato francese sull’ultimo stato
indipendente del continente africano (ad eccezione delle già ricordate
Etiopia e Liberia); il potere e la sovranità del Sultano furono
formalmente mantenuti, ma il generale Lyautey divenne Residente
Generale, ovvero governatore del Paese.
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A tale atto fece seguito
l’accordo franco-spagnolo del 27 novembre dello stesso anno: in
ottemperanza alle clausole dell’Entente Cordiale, i due paesi
negoziarono la creazione ed i limiti territoriali della zona di influenza
spagnola. La ridotta estensione e l’estrema scarsezza di risorse delle aree
assegnate alla Monarchia iberica (Rif, Jebala, Gomara, Sidi Ifni, regione
a Sud del fiume Draa) riflettevano la debolezza, economica e politica
prima ancora che diplomatica, della Spagna.
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Ufficialmente, quest’ultima era coprotettrice del Marocco, ma in pratica
si ritrovava totalmente subordinata alla Francia, dato che, per i termini
stessi del Trattato, le negoziazioni con il governo marocchino si
realizzavano esclusivamente attraverso le autorità francesi. La struttura
amministrativa coloniale nella Zona Nord era apparentemente
complementare al Majzen, tuttavia il potere reale era detenuto da
Madrid: il rappresentante del governo imperiale era infatti un Khalifa
(vicario) nominato dal Sultano, che aveva il solo potere di sceglierlo tra
due candidati preventivamente selezionati dall’Alto Comando spagnolo;
di modo che, se da una parte era assicurata la collaborazione del
“Califfo” e dei suoi amministratori con le autorità occupanti, dall’altra
nessuno di essi possedeva alcuna reale autorità sul popolo marocchino.
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CAPITOLO 2
ABD EL-KRIM E L’AFRICANISMO
Le ambizioni spagnole e le carenze dell’esercito
Per la Spagna, il compito di sottomettere la sua misera porzione
(all’incirca il 5% del totale) di territorio marocchino si rivelò da subito
oltremodo difficile. Il problema principale, vista la necessità di lanciare
una campagna militare di invasione, era ovviamente l’esercito:
l’implacabile macchina bellica del siglo de oro era ormai un lontano
ricordo, e gli ultimi 300 anni avevano visto un susseguirsi di sconfitte e
la perdita, nel primo quarto dell’ ‘800, di quasi tutto l’impero coloniale
su cui un tempo “il sole non tramontava mai”.
Il dominio spagnolo sui residui possedimenti d’oltremare era stato
spazzato via dalla breve e cruenta guerra ispano-americana del 1898. Fu
proprio quel conflitto a svelare al mondo lo stato miserevole in cui
versavano le forze armate iberiche, i cui soldati risultarono quasi del
tutto privi del più elementare equipaggiamento a causa dell’abituale
pratica da parte degli ufficiali di saccheggiare e vendere tutto ciò che
ricevevano dalla madrepatria. La resistenza fu strenua ma senza
speranza, a causa dell’enorme potenziale bellico degli Stati Uniti, la cui
marina distrusse le flotte spagnole dell’Atlantico e del Pacifico senza
quasi registrare perdite; di conseguenza, la guerra durò meno di quattro
mesi (dal 23 aprile al 12 agosto 1898) e si concluse con il Trattato di
Parigi, siglato a dicembre dello steso anno, che comportò la cessione agli
USA di Puerto Rico, Guam e Filippine, mentre a Cuba fu concessa una
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formale indipendenza sotto la ferrea tutela di Washington. Un anno
dopo, con la vendita degli ormai indifendibili arcipelaghi delle Caroline,
Marianne e Palau all’Impero tedesco, la Spagna tornava mestamente ai
confini del 1492.
La terribile disfatta (da quel momento in poi identificata con
l’appellativo di Desastre) non servì tuttavia in alcun modo a scuotere dal
suo torpore secolare l’antiquata struttura sociale del Paese, né tantomeno
quella politica, incentrata dopo la restaurazione monarchica del 1974 su
un “liberalismo” tale soltanto di nome, caratterizzato com’era da
un’alternanza pilotata al governo (definita “turno de partidos”) dei due
maggiori raggruppamenti politici nazionali attraverso elezioni
manipolate per mezzo di un sistema denominato “caciquismo”, ideato
dal politico conservatore (assurto a simbolo dell’epoca in questione)
Antonio Cànovas del Castillo.
All’immobilismo delle istituzioni si affiancava quello dell’esercito,
all’interno del quale, nonostante i gravissimi scandali emersi
pubblicamente durante e dopo il conflitto, non venne intrapresa alcuna
seria riforma. Le forze armate spagnole si presentavano dunque, agli
albori del XX secolo, nella seguente situazione: i 110926 soldati che ne
rappresentavano la forza combattiva erano integrati da un ipertrofico
corpo ufficiali formato da 23767 uomini, a cui si aggiungeva la cifra
assolutamente ridicola di 529 generali;
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in pratica, vi era un ufficiale
ogni sette soldati, ed un generale ogni 340. La metà delle spese militari
erano così destinate al pagamento degli stipendi e, di conseguenza,
l’equipaggiamento delle truppe versava in uno stato deplorevole;
ugualmente insufficiente era la dotazione di armi moderne, così come
l’addestramento, dato che la maggior parte del tempo ad esso dedicato
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era impiegato in inutili marce all’interno delle numerosissime caserme
sparse per la Penisola.
L’effetto principale del Desastre era invece stato di alimentare il
revanscismo della casta militare, ora alla ricerca di nuovi lidi in cui
recuperare l’onore perduto ed edificare un nuovo impero. In un’epoca in
cui anche nazioni giovani ed arretrate come l’Italia si lanciavano in
avventure di conquista sulla sponda meridionale del Mediterraneo, gli
appetiti spagnoli non potevano che indirizzarsi in direzione del
continente africano, oggetto in quegli anni di una spartizione pressoché
totale. In questa direzione spingevano anche le reminiscenze dell’antica
Reconquista, alimentate dalla rievocazione del testamento di Isabella la
cattolica, che spronava la nazione a proseguire la lotta contro i moros
dall’altro lato dello Stretto di Gibilterra.
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In realtà, il testo in questione
conteneva anche l’obbligo di non cedere mai la sovranità sul Penon,
particolare questo che all’epoca venne a quanto pare ritenuto
trascurabile, data la condizione di evidente subordinazione della Spagna
nei confronti del Regno Unito, da cui come già visto dipendevano in
sostanza le speranze di Madrid di ottenere dalla Francia una sia pur
minima fetta del bottino marocchino.
Sin dal 1497, data della conquista di Melilla, il regno iberico era presente
in Africa; le conquiste vennero via via ampliate durante i regni di Carlo
V e Filippo IV (che nel 1640 approfittò dello scoppio della rivolta
indipendentista portoghese per incamerare la città di Ceuta, sino ad
allora possedimento lusitano). All’indebolimento economico e militare
del Paese, evidente dopo il passaggio dalla dinastia asburgica ai
Borbone, corrispose la reazione del mondo musulmano, iniziata già con
la conquista ottomana di Tunisi nel 1574; tale fase si protrasse sino al
1792 quando, con la caduta di Orano, i domini spagnoli si ridussero alle
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due exclaves costiere su cui ancora oggi Madrid esercita la propria
sovranità.
Il Marocco settentrionale doveva quindi apparire un boccone prelibato
agli occhi delle alte sfere militari, ansiose di coniugare lo sfruttamento
economico di nuovi territori alla ricerca di quella gloria sui campi di
battaglia che era ormai un lontano ricordo. L’occasione venne offerta
dagli accordi di Algeciras e dal conseguente stato di sempre crescente
anarchia in cui versava l’Impero sceriffiano, ostaggio delle rivolte dei
vari signorotti locali nei confronti di un Sultano ormai universalmente
percepito (non senza ragione) come una semplice marionetta delle
potenze europee, privo quindi di qualsiasi legittimità agli occhi della
popolazione locale. Fu proprio la situazione di ingovernabilità da esse
stesse creata ad essere utilizzata dalle nazioni “protettrici” come pretesto
per giustificare l’intervento armato nel Paese, al fine di “ristabilire
l’ordine” ed evitare la dissoluzione dello Stato (ricalcando uno schema
utilizzato fino alla nausea dall’Occidente in epoca coloniale e non).
La Francia, tuttavia, per quanto da anni in relativo declino, era pur
sempre una potenza di prim’ordine, dotata di un esercito numeroso e ben
armato; essa pertanto non tardò molto ad assolvere il compito che si era
attribuita, sottomettendo senza pietà il Paese attraverso la violenta
conquista delle sue città principali. Per la sua cugina latina, invece, il
discorso era ben diverso, dato che il mix esplosivo tra sogni di gloria,
estrema scarsità di risorse ed incompetenza militare non poteva che
essere foriero di terribili sventure.
Un disastro annunciato
Le operazioni iniziarono nel 1908, con l’occupazione della cittadina di
Restinga, attuata con il tacito accordo dello charif locale, El Rogui. Ben
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presto, però, si manifestarono le prime difficoltà, dovute al compattarsi
della resistenza all’invasione, favorita anche dalla conformazione
geografica del territorio; il Marocco settentrionale è infatti un’area
estremamente arida e montagnosa, con versanti scoscesi e cime che
arrivano ai 2500 metri di altezza; in un paesaggio di questo tipo non
desta sorpresa l’assenza quasi totale di vie di comunicazione, tanto che
molti luoghi erano all’inizio dello scorso secolo raggiungibili soltanto
via mare. L’asprezza della natura si rifletteva per così dire nel carattere
degli abitanti, da secoli abituati a sopravvivere in condizioni avverse e
dediti ad una forma di combattimento che al giorno d’oggi si definirebbe
“guerriglia”, assolutamente micidiale se accompagnata ad una perfetta
conoscenza del terreno ed impiegata contro un esercito tradizionale e
privo dei moderni metodi per contrastarla.
Le forze armate spagnole erano infatti composte, a causa
dell’obbligatorietà del servizio militare (obbligatorietà peraltro molto
teorica), in massima parte da giovani reclute, del tutto prive
dell’addestramento e dell’esperienza necessarie ad affrontare una
popolazione ostile e dalle indubbie qualità belliche. I primi rovesci si
ebbero già nel 1909, quando presso il cosiddetto “Barranco del Lobo” i
soldati, lanciati in un attacco insensato in pieno giorno, vennero
massacrati dal preciso fuoco dei guerrieri marocchini appostati sui
fianchi della montagna. Malgrado questo ed altri episodi, l’occupazione
della Zona Nord procedette lentamente durante tutto il periodo del primo
conflitto mondiale, dal quale la Spagna si tenne prudentemente fuori. In
questi anni emersero numerose figure di leaders locali antispagnoli, fra i
quali si mise particolarmente in luce lo charif El Raisuni, paradigma del
valore e dell’ambiguità che contraddistingueva il comportamento delle
autorità “non ufficiali” marocchine nei loro rapporti con la potenza
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protettrice. El Rasuni fu infatti un maestro nell’alternare periodi di
collaborazione con l’Alto Commissariato a momenti di aperta ostilità,
che giunsero addirittura alla proclamazione della Jihad contro l’invasore,
senza che ciò comportasse in alcun momento la totale interruzione dei
rapporti. In questo modo lo charif riuscì ad ottenere consistenti somme
di denaro e donativi di ogni genere dalle munifiche autorità di Tétouan
(eretta a capitale del Protettorato), ed addirittura aiuto militare contro i
propri nemici interni, tanto da accarezzare per un certo periodo l’idea di
essere nominato Khalifa (cioè vicario del Sultano) della Zona Nord;
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dall’altro, le periodiche scorribande in difesa della patria e della religione
gli consentirono di accreditarsi come campione della resistenza
anticoloniale.
Di ben altra pasta era fatto colui che assurgerà a simbolo stesso
dell’epopea del Rif indipendente, Mohammed Abd el-Krim el Khattabi.
Proveniente da un’importante famiglia appartenente all’esteso clan dei
Beni Urriaguel, Abd el-Krim aveva in passato intrattenuto proficui
rapporti di collaborazione con Madrid (era stato anche redattore del
quotidiano di Melilla “el Telegrama del Rif”), arricchendosi mediante la
concessione ad imprese spagnole dello sfruttamento minerario dei terreni
di sua proprietà. Pessime erano invece le sue relazioni con la Francia,
che non gli perdonava le simpatie filotedesche manifestate nel corso
della Grande Guerra.
Quando nel 1920 la strategia spagnola di penetrazione si fece più
aggressiva, l’atteggiamento conciliante dell’ex cadì (giudice islamico) di
Melilla si convertì in aperta ostilità. Le alte sfere militari, spalleggiate
dal Re Alfonso XIII, intendevano farla finita una volta per tutte con la
resistenza, attraverso un’offensiva in grande stile che portasse alla
completa conquista della zona orientale del Protettorato, dominata dal