1.DISABILITA' e UNIVERSITA'
“Il giudizio sulla anormalità o normalità psichica è un giudizio storico.
La norma e la deviazione dalla norma, il contatto con la realtà o la perdita di questo contatto,
comportano in chi giudica una valutazione della storia dell’individuo,
una conoscenza del mondo sociale e culturale in cui è inserito.
Solo così è possibile penetrare il comportamento vissuto”
E. DE MARTINO,
La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali (1977)
1.1 Disabilità: vocaboli e definizioni
Per iniziare a parlare di disabilità è essenziale effettuare un'analisi del vocabolario
che riguarda questo mondo.
La Legge Quadro sulla disabilità del 1992 definisce “persona handicappata colui che
presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che
è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa, e tale
da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”
1
. Tale
definizione, la prima in un documento di una certa rilevanza a livello nazionale, è
ormai quasi del tutto superata. Uno strumento più recente su cui basarsi per fare
chiarezza in merito al linguaggio appropriato è la Classificazione Internazionale delle
Funzionalità (ICF), definita nell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001. La
Classificazione Internazionale delle Funzionalità non vuole essere una
classificazione delle conseguenze delle malattie, come era l'ICIDH
2
, ma delle
componenti della salute. Questo sistema di classificazione, nato dall'esigenza di
avere un approccio più globale al mondo della disabilità, si pone tra i numerosi
intenti quello di standardizzare un linguaggio condivisibile tra gli operatori dei
diversi settori per facilitarne la comunicazione; inoltre fornisce una base per la
1 Art. 3, comm. 1, legge 104 del 5 febbraio 1992
2 International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH), classificazione
del 1980 che si basava su un modello sequenziale di base che distingueva fra menomazione,
disabilità ed handicap, causata da un malattia.
7
comprensione della salute e delle sue condizioni. La distinzione tra menomazione,
disabilità e handicap era presente già nell'International Classification of
Impairments, Disabilities and Handicaps del 1980. Con il primo termine si indicava
la mancanza o l'anormalità di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o
anatomiche; con la parola disabilità si intendeva ogni limitazione o perdita della
capacità di compiere un'attività nelle modalità considerate normali per un individuo.
L'utilizzo invece del termine handicap si riferisce alla condizione di svantaggio
conseguente a una menomazione o a una disabilità che limita il ruolo considerato
normale di un soggetto
3
. E' soprattutto la parola disabilità che viene vista con una
nuova accezione nella nuova classificazione: si vuole infatti far emergere l'influenza
di un approccio diverso, quello biopsicosociale, che ritiene che la disabilità sia la
conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di
un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui
egli vive
4
. Con questa concezione del termine si sposta l'attenzione dalla misurazione
del deficit, quindi dalla mancanza, al concetto di salute comprendendo così l'intera
popolazione, quindi le rispettive competenze attive e gli stati individuali di qualsiasi
individuo.
Se invece si volge lo sguardo alla letteratura concernente la disabilità, che si sviluppa
in modo più veloce rispetto ai documenti formali, si può trovare una prospettiva
innovativa con i termini diversamente abile o diversabile . Promossi da Claudio
Imprudente, questi spostano l'attenzione dal deficit, dalla carenza, alle capacità di cui
dispone una persona con disabilità. “Claudio Imprudente, presidente del Centro
Documentazione Handicap di Bologna, dice spesso che i termini utilizzati per
indicare chi ha un deficit hanno poco a che fare con la fiducia (in-valido, dis- abile..).
[…] iniziare a usarlo [diversabile] possa aiutare a vedere le persone con decifit in una
prospettiva nuova, meno immersa nella constatazione del deficit, meno medica, più
attenta a una storia, a un cammino acquisitivo di abilità.”. (Canevaro e Ianes 2002,
pag.7)
In altri scritti si trovano opinioni importanti che si differenziano dalla precedente su
3 www.polaris.itd.cnr.it
4 www.handicapincifre.it
8
alcuni aspetti.
Andrea Canevaro
5
ritiene il termine disabilità un progetto e una sfida, una
provocazione. Una sfida non può essere un regalo: non posso permettermi di
attribuire diversa abilità a tutti
6
questo modo evidenzia la possibile sofferenza di chi
può faticare a scoprire la propria diversa-abilità.
Così come Canevaro ritiene l'espressione portatore di handicap confusiva, vedendo
nell'handicap uno svantaggio da ridurre, anche Albrogoni nell'abstract del Convegno
Internazionale sull'Educazione Inclusiva del 2009 sottolinea il superamento del
termine in-abile (che rimane però tuttora presente sulle certificazioni di invalidità
rilasciate dall'ASL di competenza con l'espressione inabile al lavoro), e evidenzia
che l'handicappato ha una difficoltà in più, ma deve avere la possibilità di
raggiungere il traguardo attraverso lo stesso percorso partendo dallo stesso punto di
partenza degli altri; segnala poi anche il superamento del vocabolo dis-abile,
ritenendolo sempre inferiorizzante e stigmatizzante, e indica come termine corrente
diversamente abile. (Albrigoni, 2009)
Prestare attenzione alle parole rimane essenziale per veder rispecchiata in esse la
propria prospettiva, contribuendo a facilitare l'accettazione del deficit da parte delle
persone e superarlo.
Superare il deficit, oltre a cercare i mezzi fisici ed informatici per riuscire a
raggiungere gli obiettivi preposti, vuol dire andare oltre all'apparenza e superare
l'immagine fisiologica e lo stereotipo prevalenti nel panorama collettivo
sull'handicap. Come spiega Charles Gardou, la visione dell'handicap è determinata
dalle produzioni culturali di ogni civiltà, un sistema di rappresentazioni trasmesse e
interiorizzate inconsciamente dagli individui. Questo quadro d'insieme ingloba il
modo di pensare la normalità e l'anormalità, le ideologie, le credenze sull'handicap e
i valori messi in gioco
(Gardou, 2010). L'handicap in ogni parte del mondo
rappresenta le paure più profonde dell'uomo, perché rompe le immagini fantasiose di
perfezione e ne consegue una forma di alienazione, un'identità negativa,
5 Pedagogista e docente dell' Università degli Studi di Bologna
6 http://www.ipbz-corsi.it/riforma/blog/wp-content/uploads/2006/03/canevaro.pdf
9
stigmatizzata (Goffman, 1983).
Gardou e Canevaro sottolineano come in Italia, oltre alla grande influenza della
Chiesa Cattolica sul modo di rappresentare il disabile e il suo ruolo, non ci sia in
realtà un pensiero uniforme, ma una notevole diversità tra il Nord e il Sud: nel
meridione infatti, nonostante la globalizzazione, certe concezioni delle
malformazioni rivelano la permanenza del pensiero magico. Sempre Gardou e
Canevaro concordano nel dire che il dibattito semantico è fondamentale perché
riflette le concezioni. Per quanto riguarda le “scelte” dell'Italia, trapela che si sta
progressivamente sostituendo la parola integrazione, caratterizzata dalla presunzione
di una realtà “principale”, con quella di inclusione che presuppone invece la
coesistenza di differenti modi di essere (Gardou e Canevaro, 2011).
1.2 L'università e la disabilità
Parlare di università e disabilità non è semplice. Come già precedentemente
sostenuto, la ricerca del materiale collegato a questo argomento è particolarmente
articolata. I dati reperibili non sono sempre aggiornati all'Anno Accademico in corso
e a livello bibliografico si trovano soprattutto articoli, relazioni di convegni,
interviste; infatti nei testi pedagogici sull'integrazione e sull'educazione speciale, lo
spazio dedicato all'istruzione universitaria, se esiste, è minimo, in quanto ci si
concentra maggiormente sulla scuola dell'obbligo.
A mio avviso la scarsa attenzione dedicata all'argomento è dovuta al fatto che mentre
di integrazione nella scuola primaria se ne parla dagli inizi degli anni '70, la presa in
considerazione dell'integrazione a livello universitario è invece piuttosto “recente”.
1.2.1 Le leggi
V olgendo in primis lo sguardo ai testi legislativi, si trova un accenno riguardante il
diritto allo studio universitario nell'articolo 28 della Legge 30 del 1971: “sarà
facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie
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superiori ed universitarie”. Con l'emanazione della legge quadro, la 104 del 1992,
Legge “per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.”
nell'articolo 12, comma 2 si garantisce “il diritto all'educazione e all'istruzione della
persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle
istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie.”.
Decisamente più rilevante e soprattutto più concreta una modifica apportata alla
legge quadro che è stata poi introdotta come singola legge l'anno successivo (legge
17 del 28 gennaio 1999). Nel 1998 all'articolo 13, sull'integrazione scolastica si
aggiunge il seguente comma: “6 - bis. Agli studenti handicappati iscritti
all'università sono garantiti sussidi tecnici e didattici specifici, realizzati anche
attraverso le convenzioni di cui alla lettera b) del comma 1, nonché il supporto di
appositi servizi di tutorato specializzato, istituiti dalle università nei limiti del
proprio bilancio e delle risorse destinate alla copertura degli oneri di cui al presente
comma”. Sempre con la stessa modifica si sostituisce il comma 5 dell'articolo 16
affermando: "Il trattamento individualizzato previsto dai commi 3 e 4 in favore degli
studenti handicappati è consentito per il superamento degli esami universitari previa
intesa con il docente della materia e con l'ausilio del servizio di tutorato di cui
all'articolo 13, comma 6 -bis . É consentito, altresì, sia l'impiego di specifici mezzi
tecnici in relazione alla tipologia di handicap , sia la possibilità di svolgere prove
equipollenti su proposta del servizio di tutorato specializzato" e si aggiunge il 5 bis:
“Le università, con proprie disposizioni, istituiscono un docente delegato dal rettore
con funzioni di coordinamento, monitoraggio e supporto di tutte le iniziative
concernenti l'integrazione nell'ambito dell'ateneo". Nel 2001 un decreto del
Presidente del Consiglio stabilisce che gli studenti con una percentuale di disabilità
pari o superiore al 66% sono esenti dalla tassa di iscrizione e dai contributi
universitari, lasciando le università statali libere di scegliere se estendere o meno
l'esonero, totale o parziale, agli studenti con una percentuale inferiore al 66%. Oltre a
queste norme, bisogna tenere conto che dal 1971 esistono norme riguardo
all'abbattimento delle barrire architettoniche
7
nelle strutture pubbliche, ma allo stato
7 Per barriere architettoniche si intendono: a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro
che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b) gli ostacoli che limitano o
impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti; c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni
che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque ed in particolare per i non vedenti, per gli
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attuale ancora molte delle sedi o dei dipartimenti universitari risultano inaccessibili o
accessibili attraverso un percorso ad ostacoli. Spesso questo si verifica a causa della
collocazione di quest'ultimi in palazzi storici, in cui intervenire è ancora più
complicato oltre che più costoso. “Se si cerca di capire i motivi della mancata,
scarsa o insufficiente applicazione della normativa tecnica sull’accessibilità
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all’interno delle strutture universitarie, spesso purtroppo si osserva che c’è solo un
formale adeguamento normativo, e che molte realizzazioni, pur essendo “a norma”
(soprattutto sotto il profilo delle dimensioni o delle “quantità” richieste), risultano
non essere (pienamente e in modo soddisfacente) accessibili.” [Censimento barriere
architettoniche, Università degli Studi di Torino, 2008].
1.2.2 La Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità
La legge sopracitata , la 17 del 1999, porta le università a istituire un Delegato del
Rettore per la disabilità che coordini i servizi erogati dall'ateneo. I delegati,
ritrovandosi in più occasioni, hanno deciso autonomamente di costituirsi in una
Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità.
La Conferenza, nata nel 2001, ha tra gli scopi fondanti quelli di rappresentare la
politica delle università italiane, portare voce alle problematiche connesse alla
disabilità, consentire lo scambio di informazioni, esperienze e procedure tra i diversi
atenei, al fine di stimolarli ad applicare al meglio la normativa per riuscire a
rispondere in modo adeguato, efficace ed efficiente alle esigenze degli studenti con
disabilità nel loro percorso formativo universitario. I principi della conferenza si
ispirano all’uguaglianza, all’integrazione e all’autonomia degli studenti, dando
importanza alla vita universitaria. L'attenzione è rivolta parallelamente ai bisogni
relazionali, a quelli legati alle strutture e all'inserimento lavorativo. Da questo
organismo sono nate delle linee guida che vale la pena citare per dare idea
dell'immenso raggio di azione a cui si deve fare fronte.
ipovedenti e per i sordi.” [Censimento barriere architettoniche, Università degli Studi di Torino, 2008]
8 “Per accessibilità si intende la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio e
le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e
autonomia.” [Censimento barriere architettoniche, Università degli Studi di Torino, 2008]
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