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Introduzione
Quando si pensa alla globalizzazione viene subito in mente una visione
prettamente economica, la globalizzazione dei mercati quella in cui, merci, capitali ed
essere umani circolano e si muovono liberamente. La facilità e l’immediatezza con cui
questi tre elementi vengono spostati e interconnettono tra di loro costituisce due linee
fondamentali del tratto globalizzante: il libero accesso di tutti alle informazioni e la
facilità di spostamento comprimendo, in alcuni casi anche annullando, lo spazio (si
pensi alla comunicazione digitale) e minimizzando il tempo. Oggi tutto è globalizzato,
un fenomeno che ha radici molto antiche spesso relazionato alle scoperte geografiche
del XVI secolo, a proposito dice il filosofo Sloterdijk “dal momento in cui l’uomo
decide di espandere le proprie conoscenze, conquistare nuovi territori, partire per
esperienze uniche e sensazionali, che può essere considerato globale”
1
; oppure il
geografo Farinelli dice “dopo la condanna di Momo si aprono le porte all’epoca
moderna, che proprio in quanto fondata sulla sostituzione della logica della mappa a
quella di globo riconosce in Colombo l’ultimo degli antichi e insieme il primo dei suoi
rappresentanti: che per un verso pensa ancora in termini globali ed è anzi l’unico a
farlo propriamente, per l’altro trasforma l’intera terra in una gigantesca tavola, in
uno spazio enorme, in uno sterminato campo per l’esercizio della volontà.”
2
Il primo capitolo è intitolato La Globalizzazione perché analizza il fenomeno
sotto un punto di vista sociale e culturale mettendolo in relazione con l’immigrazione e
la città.
La globalizzazione è riuscita a legarsi con la società in cui viviamo in maniera
“esemplare”.
La globalizzazione economica ha esaudito, in un certo senso, i desideri delle
società occidentali, basate su un modello democratico – liberale, che l’hanno vista
come l’unico processo in grado di modellare una società incentrata sul benessere (da
raggiungere a tutti i costi) e sulla ricchezza, di aver allontanato (ma non sconfitto) i
1
P.Sloterdijk, L’Ultima sfera, Breve storia filosofica della globalizzazione, Carocci, Roma, 2008, pag.10.
2
F. Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Einaudi, Torino, 2009, pag. 146.
8
“mali” della società che hanno caratterizzato la prima parte del XX secolo (milioni di
vittime civili delle guerre mondiali e il dramma dell’Olocausto), credere di aver esteso
i diritti umani a livello universale, quindi globale (nel 1948 viene pubblicata la
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo), riguardo il rapporto tra i diritti umani
e il “fare cittadinanza”, il sociologo Pierpaolo Donati dice “fare cittadinanza diventa
un diritto umano fondamentale che assume il carattere (e segue il destino) dei diritti
umani nell’epoca della globalizzazione: vengono riconosciuti solo là dove vengono
violati,,
3
.
Sempre riguardo i diritti umani, nell’opera Sguardo Cosmopolita, Beck afferma
“i diritti umani costituiscono una fonte europea di conflitti e devono essere garantiti al
di là dei confini delle sovranità nazionali, anche all’interno dei singoli stati, se
necessario contro la loro opposizione..”
4
Il carattere imperante assunto dal fenomeno si è trasformato in totalizzante e
inclusivo, come sia avvenuto questo passaggio da possibilità a imprescindibilità in
molti continuano a chiederselo e pochi sono in grado di rispondere, a proposito
argomenta il sociologo polacco Z. Bauman definendo “la globalizzazione (come)
l’ineluttabile destino del mondo, un processo irreversibile, che ci coinvolge tutti alla
stessa misura e allo stesso modo
5
.
La frattura sempre più profonda e agli occhi di tutti è tangibile, la parte ricca del
mondo (quella occidentale) sperimenta, realizza e pubblicizza il modello, non a caso
quella capitalista a stampo imperialista (delle multinazionali) distaccata da una
asimmetrica rappresentazione di un mondo contrapposto che può seguire le orme di
sfruttamento capitalista (Cina e India). Riguardo lo sfruttamento M. Hardt e A. Negri
definiscono come “la questione dello sfruttamento e della situazione di disuguaglianza
creata dalla globalizzazione che anziché unificare la popolazione crea fratture sempre
più profonde […] oggi vediamo una separazione ancora più estrema tra una piccola
minoranza che controlla un’enorme ricchezza e moltitudini che vivono in povertà ai
limiti dell’impotenza. Le linee geografiche e razziali dell’oppressione e dello
3
P.Donati, Oltre il multiculturalismo, la ragione relazionale per un mondo comune, Ed. Laterza, Bari, 2008,
pag. 48.
4
U.Beck, Lo sguardo cosmopolita, Carocci, Roma, 2005..
5
Z.Baumann, Dentro la globalizzazione, Le conseguenze sulle persone, trad. Oliviero Pesce, Ed. Laterza, Bari,
2007, pag.3.
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sfruttamento tracciate nell’era dell’imperialismo, per molti aspetti, non si sono per
nulla dissolte anzi, si sono moltiplicate in termini esponenziali.”
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L’altra parte del mondo, quella afflitta da continue guerre (molte finanziate
dagli arsenali occidentali) e incapace di salvaguardare nemmeno i bisogni basilari che
tutti gli individui del nostro pianeta dovrebbero avere (diritto all’esistenza, al nutrirsi,
ad essere curati, ad avere un’istruzione e a praticare liberamente la propria religione), è
ormai destinata a restare povero.
Oggetto d’inchiesta e di interrogativi sono il totale fallimento del sistema
capitalistico colpevole di essere stato considerato portavoce della globalizzazione
(“globale” a livello finanziario ma non a livello umanitario, essendo stati lasciati
indietro miriadi di stati che giornalmente si affannano per tentare di realizzare nella
parte più infinitesimale il progetto capitalista); di aver attribuito alla globalizzazione
tutte le colpe della società attuale (immigrazione, rivendicazioni di regionalismi,
accentuazione dei localismi); di non essere stati in grado di risolvere i vecchi problemi
(estensione a livello globale dei diritti umani, soluzione della fame nel mondo, della
povertà e dello sfruttamento minorile) e di averne creati di nuovi (crisi dello stato
sociale, disoccupazione, degrado ambientale, guerre etniche sanguinosissime).
La globalizzazione è un fenomeno che colpisce tutti, ha la capacità di attribuire
un ruolo di controllo e di potere nelle mani dell’uomo che lo definisce come elemento
fondamentale , conditio sine qua non dipendono tutti gli avvenimenti.
L’individuo è così caricato di attributi che cerca di estendere in maniera
uniforme e incondizionata la propria visione di controllo, diventando portavoce di una
forma di universalità, dove tutti sono uguali (non tra di loro ma rispetto al modello che
è stato pubblicizzato). Nel modello creato si definisce un livellamento di pensiero,
uguagliamento dei soggetti che si adattano alla società creata che pensa allo stesso
modo, si veste allo stesso modo, si nutre allo stesso modo (Mc Donald’s) e “deve”
parlare la stessa lingua per poter comunicare (l’imperialismo della lingua anglofona).
Tutti hanno la stessa importanza e gli stessi diritti ma il modello a cui tutti
devono adattarsi, pena l’esclusione, allontana coloro i quali non rispecchiano i canoni
imposti. La società vista da quest’ottica di inclusione-esclusione potrebbe essere
6
M. Hardt, A. Negri, Impero, il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano, 2002, pag.55.
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definita come un modus vivendi nel quale tutti si adattano ad un uguale standard di
vita, si sentono parte della stessa comunità, godono degli stessi diritti, ma per far ciò
sono costretti a perdere parte della loro originalità e cultura.
La realtà sociale che emerge da questo contesto appare come un modello che
rasenta la perfezione, da imitare a tutti i costi, sempre M. Hardt e A. Negri parlano di
una vera e propria “società del controllo (che si sviluppa agli estremi limiti della
modernità), in cui i meccanismi di comando divengono sempre più democratici,
sempre più immanenti al sociale, e vengono distribuiti attraverso i cervelli e i corpi
degli individui. In questa società, il potere si esercita con le macchine che colonizzano
direttamente i cervelli (nei sistemi della comunicazione, nelle reti informatiche ecc.) e
i corpi (nei sistemi del Welfare, nel monitoraggio delle attività ecc.),,.
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L’idea del “bello neoclassico” è riadattato dalla nostra società che lo associa
all’idea del benessere e della eterna giovinezza, la società è ossessionata da questi due
concetti ideali che devono essere perseguiti e devono materializzarsi sia in una
dimensione teorica ma soprattutto in maniera pratica e tangibile. Questo stile di vita è
diventato, anche grazie alla globalizzazione, il “migliore”, quello più giusto e corretto.
La realtà è modellata in modo tale da bandire ogni forma di negatività e
imperfezione, nessuna forma di deviazione è tollerata, i criteri preponderanti sono la
perfezione, l’ordine, la felicità, in pratica la società così mitizzata diventa ideale. Nella
stessa società mitizzata si sviluppa una forma di pensiero costituita da tutto quello che
dovrebbe essere corretto e da perseguire. Da ciò si definisce un mondo contrapposto,
nel quale avvengono episodi da cui si cerca una distanza (pensiamo alle
rappresentazioni del terzo mondo), siamo fortunati nel “non esserci capitati
all’interno” e produciamo un’ipocrita speranza colmata dalle maratone di raccolta
fondi affinché migliorino le “loro” condizioni di vita.
La società postmoderna vive quotidianamente di paradossi (obesità e fame nel
mondo) assiste all’esaltazione del modello corretto e giusto che marca la negatività,
determinando la non accettazione di quello che non rispetta i canoni e
conseguentemente respingendo ciò che è diverso, l’Altro e il “non conforme”.
7
M.Hardt, A.Negri, Impero, Op.Cit., pag.39.
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L’immigrazione è sempre esistita ma oggi ha assunto caratteristiche inaudite
spesso causando gravi problemi nei paesi che accolgono gli immigrati, causate dal
numero eccessivo degli individui e dei paesi coinvolti.
Gli immigrati sono l’oggetto di una campagna mediatica che li vede
protagonisti indiscriminatamente di situazioni che portano paura, insicurezza,
colpevoli della crisi del welfare statale avendo sottratto quei pochi posti di lavoro
risparmiati dalla delocalizzazione delle imprese (si tralascia il ruolo fondamentale
rivestito da questi ultimi nel bilancio sociale, essendo molti impiegati in lavori che
molti nazionali non vogliono più fare come colf, badanti, collaboratori domestici,
addetti al settore primario).
La situazione drammatica è caratterizzata dall’incapacità dimostrata nel gestire
le problematiche legate all’immigrazione di massa, e conseguenza di ciò, situazioni
paradossali di incomprensione così ottusa da mettere sullo stesso piano gli immigrati
senza rappresentanza, i “clandestini” o i profughi, e gli immigrati di seconda
generazione, ormai connazionali.
Il clima teso e intriso di paura e sospetto determina una forma di chiusura e di
barricamento che impedisce ogni forma di dialogo e di scambio reciproco. Qualsiasi
possibilità di dialogo, di comunicazione e di confronto è interdetta e impedita.
Cercando di definire il “ruolo dello straniero”, a proposito Z. Bauman afferma, “lo
straniero è, per definizione, uno che agisce spinto da intenzioni che tutt’al più si può
tentare di indovinare, ma che nessuno potrebbe mai dire di conoscere con certezza. Lo
straniero è la variabile ignota nel calcolo delle equazioni, quando si prendono
decisioni sul da farsi; così, anche se gli stranieri non vengono apertamente aggrediti e
offesi, la loro presenza nel nostro campo d’azione causa pur sempre disagio, e diventa
un’ardua impresa prevedere gli effetti di un’azione e le sue probabilità di successo o
di insuccesso. La vicinanza agli stranieri è il loro destino, un modus vivendi di cui
devono fare esperienza, che devono fiduciosamente provare e infine trovare, se
vogliono rendere gradevole la convivenza e vivibile la vita.”
8
Accade sempre più spesso che emergono episodi di intolleranza, forme di neo-
razzismo (accoltellamenti, assassini) che si sviluppano e aumentano, spesso
8
Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, Bruno Mondadori, Milano, 2005, pag.24.
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“giustificati” dalla somma tra la paura di essere assediati ed aggrediti che porta ad
aggredire, e un clima teso che è basato sulla protezione del posto di lavoro dalla
presenza degli extracomunitari nelle fabbriche, il tutto favorito da un clima
caratterizzato da alti tassi di disoccupazione.
In un periodo come quello attuale caratterizzato da una forte crisi economica e
una disoccupazione dilagante, soprattutto giovanile, l’intolleranza trova terreno fertile
e di conseguenza prevale una forma di odio che “naturalmente” si riversa sulle
popolazioni immigrate.
L’impossibilità e la difficoltà della generazione attuale di fronteggiare il
problema dell’immigrazione deve essere ricercato nel trasferimento della negatività
dall’individuo allo straniero. Un passaggio molto complesso che denota, ancora una
volta, come il fenomeno immigrazione non è negativo (anzi è normale conseguenza
del fenomeno della globalizzazione) ma monopolizzato dalla società capitalistica nel
momento in cui gioca sulla dialettica mobilità globale, criterio chiave dell’era della
globalizzazione, e l’innalzamento di frontiere sempre più rigide (leggi
sull’immigrazione) che negano la realizzazione dello stesso fenomeno e impediscono
agli individui di muoversi liberamente.
Il ruolo giocato dalla violenza impedisce al locale e allo straniero di interagire e
cercare un mutuo riconoscimento. L’incomprensione definisce una sorta di barriera
impedendo o rallentando i tempi per la realizzazione e la trasformazione delle città
multietniche in città cosmopolite, un limite che non permette la comunicazione e che
mina i propositi propri di una comunità multietnica.
La difficoltà di sperimentare i progetti culturali nella vita comune definisce un
limite in realtà civiche dove migliaia di immigrati appartenenti a decine di comunità
presenti nelle nostre città realizzano una comunità cosmopolita ma non multiculturale,
dove quest’ultima potrebbe presentare dei limiti, infatti riguardo i limiti del
multiculturalismo il sociologo Beck dice “il multiculturalismo celebra ed enfatizza
entusiasticamente l’approccio sociale alla pluralità, ma gli manca il realismo
cosmopolita”
9
.
9
U.Beck, Lo sguardo cosmopolita,tr.ita. a cura di Carlo Sandrelli, Carocci, Roma, 2005, pag. 92.
13
Quando una parte della comunità locale mostra difficoltà all’integrazione e
all’accettazione bisogna ricercare le cause anche nella cattiva strumentalizzazione
mediatica dello stesso fenomeno dell’immigrazione. L’utilizzo della violenza è il
risultato di una sbagliata pubblicizzazione del fenomeno, “unico” mezzo a
disposizione capace di proteggersi dall’ “invasione” degli stranieri.
Oggi è facile apprendere da un telegiornale, leggere su un quotidiano o
navigando in rete quanto siano denigratori i diversi appellativi usati verso molte
comunità presenti sul nostro territorio, notizie capaci di creare stereotipi che
naturalmente vengono “adattati” sulla comunità oggetto della cattiva pubblicizzazione
(se un romeno stupra, tutti i romeni stuprano (vedi ad esempio il caso dello stupro
della Caffarella), se un rom ruba, tutti i rom rubano, se un albanese spaccia droga, tutti
gli albanesi spacciano.)
Questa trasformazione in negativo deriva dall’incontro tra due comunità, quella
ospitante e quella accolta e dall’erronea attribuzione di valori propositivi derivati dal
fenomeno globalizzante che difficilmente si realizzano nella realtà. Si additano al
fenomeno totalizzante le colpe di cattiva gestione dell’immigrazione, non capendo che
l’incomprensione e l’atteggiamento di mancanza di volontà di cooperazione e di
impegnarsi attivamente è da imputare all’ottusità della comunità locale che ha bisogno
in primis di essere preparata al cambiamento.
Riguardo il ruolo dei locali, così afferma Z. Bauman, “tutto ricade sulla
popolazione locale, sulla città, sul quartiere. In definitiva, imponendo la rapida
modernizzazione di luoghi molto lontani, il grande mondo del libero scambio, della
circolazione finanziaria, ha creato una gran quantità di gente superflua, che ha
perduto ogni mezzo di sostentamento e non può continuare a vivere come i suoi
antenati; individui costretti a spostarsi, a lasciare quei luoghi in cui ormai non sono
che dei profughi, per diventare dei migranti economici.”
10
Quindi non il fenomeno globalizzante ma soggetti della nostra società
“sfruttano” un sistema di informazione così capillare che si è diffuso con una forza tale
da essere immediatamente ricevuto, legato ad un processo di invio-ricezione di
messaggi, che trasferiti velocemente vengono “incondizionatamente metabolizzati”. Il
10
Z.Bauman, Fiducia e paura nella città,Op.Cit., pag.70.
14
ruolo della comunicazione digitale e di Internet è conosciuto universalmente, secondo
Farinelli la tecnologia crea spazi di fattibilità per la pratica sociale e Internet
ristruttura il discorso pubblico in maniere che danno agli individui una capacità
d’interlocuzione nei confronti del potere molto più grande di quella mai assicurata, in
precedenza, dai mezzi d’informazione di massa. Internet è la prima moderna forma di
comunicazione che espande il proprio raggio decentralizzando la struttura essenziale
di produzione e distribuzione di informazione, cultura e conoscenza..
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Gli individui-destinatari di questa miriade infinita di messaggi risultano
paralizzati (si pensi ad Internet, alla posta elettronica, ai social networks), fine di tutto
ciò è cercare di immobilizzare il pensiero che, non potendo reagire, finisce per cadere
nella trappola tanto da attribuire tratti di immanenza al fenomeno globalizzante. La
comunicazione ha un ruolo fondamentale, M. Hardt e A. Negri esprimono il loro
pensiero affermando come “la comunicazione non solo esprime, ma soprattutto
organizza il movimento della globalizzazione. Lo organizza moltiplicandolo e
strutturando delle interconnessioni attraverso reti. Esprime il movimento e controlla
sia il senso sia la direzione dell’immaginario che corre lungo queste connessioni
comunicative.”
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L’ analisi di percezione dello stesso fenomeno fa notare come ogni strato della
società importa questo modello, nel modo in cui viene accettato ed universalmente
condiviso.
I soggetti che dovrebbero essere attori decidendo strategie a favore della
cooperazione e dell’integrazione tra i popoli e le culture diverse, diventano semplici
oggetti, impassibili ai cambiamenti, solo capaci di assorbire passivamente ciò che è
imposto loro dall’alto, riguardo la soggettività il filosofo Danilo Zolo dice: “il senso
della soggettività e della contingenza dei valori sembra caratterizzare
irreversibilmente l’universo moderno nel quale la privatizzazione delle credenze
morali fa ormai di ogni etica pubblica una sorta di sopravvivenza larvale di vecchi
meccanismi di legittimazione dell’ordine sociale”
13
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11
F. Farinelli, La crisi della ragione, Op.Cit., pp. 200-201.
12
M.Hardt, A.Negri, Impero, Op.Cit., pag.47.
13
D. Zolo, Cosmopolis, la nuova prospettiva del governo mondiale, Feltrinelli, Milano, 2008, pag.87.