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CAP. I
INQUADRAMENTO DEL FENOMENO
1. Il bambino nella società
Prima di introdurre la questione dei bambini soldato nel mondo, è bene fare una panoramica
di come, nel corso della storia, il bambino è stato considerato all’interno della società. Gli
studi sociologici, fino agli anni ’80 del secolo scorso, hanno dimostrato scarso interesse per il
bambino come essere a sé stante, facendo coincidere per lungo tempo il discorso sull’infanzia
con l’analisi del processo di socializzazione.
Il bambino è sempre stato visto come un adulto
in prospettiva e l’infanzia in generale rimaneva sottovalutata come categoria sociale.
La
prospettiva diversa di analisi sociologica, che si è andata affermando negli ultimi anni però
(Bachelloni, 1989), valuta l’infanzia come fatto contemporaneamente individuale e sociale,
ossia, sposta l’attenzione dal divenire, dallo sviluppo del futuro adulto, all’essere. In tal modo
l’infanzia può assumere le caratteristiche di una categoria, strettamente collegata al sociale,
suscettibile di vari tipi di interpretazioni e oggetto di diverse rappresentazioni sociali.
Infatti, il
bambino viene definito in modo differenziato secondo le esigenze normative dei diversi
gruppi; sono quindi importantissimi, i processi di socializzazione ai quali il bambino è
sottoposto. Lo esplica in modo chiaro il sociologo Durkheim, definendo l’individuo, prima di
tutto individuo sociale. La socializzazione si realizza attraverso l’interiorizzazione delle
norme, ovvero del modello normativo che detta le forme della solidarietà tra gli individui.
Ecco perché questa “ragione sociale” prevale su qualsiasi “ragione individuale”, così come,
l’adulto prevale sul bambino, creandone, con l’educazione, un individuo “ultrasocializzato”,
pienamente consenziente alle regole del patto sociale e strettamente controllato dalla società.
Secondo l’approccio struttural-funzionalista parsoniano, il bambino, nel momento circoscritto
alla nascita, è incapace di relazione sociale ma è caratterizzato da capacità di apprendere, da
sensibilità e da dipendenza. L’infante, in quanto oggetto fisico manipolabile, si presenta
debole, indifeso e dipendente dagli adulti per la propria sussistenza.
La socializzazione per
Parsons è quindi un’interazione complementare di due soggetti. L’infante, è consapevole di
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dipendere completamente dagli altri per quanto riguarda i suoi bisogni e cerca approvazione e
gratificazioni per evitare punizioni e privazioni.
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Secondo Mead, rifacendosi al pragmatismo e al comportamentismo di origine americana, il
bambino è partner totalmente attivo nel processo di socializzazione quando è capace di usare
il gesto quale simbolo significante, primo tra tutti il linguaggio. Con il suo allievo Blumer, la
rappresentazione dell’infanzia come un tutto unico indifferenziato che va modellato secondo
il dettato normativo della società, lascia il posto ad una visione del bambino segmentato che
procede nel suo sviluppo secondo delle fasi ben determinate.
Nell’approccio psicanalitico
freudiano, il mondo infantile è il momento privilegiato nel quale ricercare l’origine degli
aspetti problematici o direttamente patologici dell’individuo adulto. In poche parole è come se
questo approccio dicesse: “il bambino di oggi sarà anche l’adulto del domani”. Vi sono cioè
delle interconnessioni fra gli adulti che siamo oggi e i bambini che eravamo ieri. I traumi
infantili vengono prima o poi riproposti nell’età adulta. Con la teoria costruttivista di Piaget, il
bambino comincia ad essere analizzato per se stesso nelle sua interazioni sociali e ambientali;
individuo dotato di intelligenza, attraverso la quale supera il conflitto tra natura e cultura. Si
rovescia il meccanismo del bambino spiegato attraverso l’adulto che dovrà essere. A volte,
anzi, la spiegazione della struttura della personalità del bambino serve a descrivere i
meccanismi degli adulti. Bowlby considera la parte emotiva del bambino fondamentale per la
formazione della sua personalità e accentua l’importanza del rapporto con la madre.
Considera, infatti, la precoce separazione del bambino dalla madre, un limite nei processi di
socializzazione che conduce quasi sempre a comportamenti devianti. Nella fenomenologia
sociale il bambino viene collocato in un contesto di totale libertà e di parità con l’adulto: non
è posto all’interno di una società stabilita e a priori, ma è lui che, con la sua coscienza, si
rivela come totalità organizzatrice della propria esistenza. Come si può notare da questi
approcci, le visioni del bambino e dell’infanzia in generale sono differenti e anche soggetti a
diverse critiche. Si denota che la nascita del sentimento dell’infanzia è comunque da
interpretare come il sintomo di una profonda modificazione nelle credenze e nella struttura del
pensiero perché è il segno di un rivolgimento nella concezione e nella coscienza della vita e
del corpo.
2
Si pensi per esempio, alla concezione di infanzia del XVI secolo; il bambino appariva come
1
CENSI A. (1995), La costruzione sociale dell’infanzia, Franco Angeli, Milano, p. 19-27.
2
ivi p. 39-46.
5
essere corrotto, macchiato dal peccato originale ma allo stesso tempo essere puro, perché con
un’anima innocente. Oppure si può citare l’idea di una mente come “tabula rasa”, formulata
da Locke (fine 1600), sulla quale l’esperienza può contribuire a formare l’individuo. Quindi
l’immagine di bambino che ne deriva è come essere da plasmare. Si pensi inoltre all’idea di
Rousseau (1700), secondo la quale il bambino esce dalle mani della natura come buono, ma è
la società la causa della sua eventuale corruzione. Perché non citare inoltre il concetto
montessoriano (inizi 1900): il bambino, oltre ad essere mente assorbente, è definito “padre
dell’uomo”, ossia un modello di bambino costruito su basi di serietà e di costruttività che farà
l’uomo del domani. Per ultimo, ma non meno importante contributo, è quello delle sorelle
Agazzi (1900), che danno risalto non solo alla dimensione dell’affettività ma anche a quella
dell’ordine. Il disordine letterale è causa di deplorevoli conseguenze tra le quali la
trascuratezza e il decadimento della morale stesso. Quindi l’ordine fisico corrisponde di
riflesso all’ordine interno morale. In epoca fascista l’infanzia è esaltata come l’età eroica
perché costituisce il contenitore del guerriero futuro. In ultima analisi si possono considerare
gli anni ’60 -’70 del secolo scorso, anni di grande mutamento sociale che hanno attribuito al
bambino competenza, diritto di scelta e autodeterminazione, al pari dell’adulto. L’adulto però,
non essendo stato in grado di fornire risposte adeguate alle richieste infantili ha provocato una
“strumentalizzazione affettiva del bambino”: il bambino subisce una fondamentale
estraneazione da se stesso e dai suoi veri bisogni e viene così trasformato in un individuo
consumista e integrato nella logica di produzione tipicamente adulta. Che dire di Oggi?
L’infanzia continua ad essere un oggetto investito di atteggiamenti ambivalenti: viene
considerata come categoria sociale portatrice di diritti specifici e nello stesso tempo viene
confinata in un ambito circoscritto di tutele particolari. Cioè, da una parte, si tende a
responsabilizzare il minore, mentre dall’altra a deresponsabilizzarlo. Ad ogni modo, i diritti
del bambino acquistano una particolare significanza e un più rilevante valore alla luce dei
diritti riconosciuti ad ogni uomo.
È vero che ogni cultura e ogni società ha il suo modo di
vedere l’infanzia, ma non per questo essa deve essere esente da riconoscerne i diritti. Ogni
società dovrebbe avere il coraggio di ascoltare coloro che “non parlano”, i minorenni, coloro
che sono definiti incapaci di intendere e di volere ma non per questo non bisognosi di ascolto
e di aiuto.
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3
CENSI A. (1995), La costruzione sociale dell’infanzia, Franco Angeli, Milano, p. 87- 172.
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2. Situazione mondiale dei bambini soldato nei conflitti contemporanei
Uno dei peccati originali dell’umanità è la sua incapacità di vivere in pace. Il mondo che oggi
conosciamo è stato in larga misura modellato dalla violenza della lotta armata.
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Tuttavia, pur sotto il dominio della più terribile violenza societaria, sono andate sviluppandosi
alcune regole di comportamento. Tra queste, vi era una speciale immunità per determinati
gruppi: anziani, malati, donne, e, quel che più conta, bambini. Sebbene non fosse sempre
osservata, questa “legge degli innocenti” è stata una delle più durevoli norme di guerra, forse
il punto cardine di ciò che i teorici del diritto hanno definito jus bello (diritto di guerra).
Sembra tuttavia, che nel caos e cinismo spietato delle guerre, queste legge sia venuta meno.
5
Infatti, mai come negli ultimi anni, sono stati usati nei conflitti armati bambini.
Nel XXI secolo è emersa una prassi bellica di tipo nuovo che prescrive i metodi e le
condizioni di impiego dei bambini in combattimento. Oggi un numero rilevante di bambini è
coinvolto come combattenti effettivi in oltre tre quarti dei conflitti armati del mondo.
In genere si definisce “bambino soldato” (in base al diritto internazionale e alle consuetudini)
una persona di età inferiore ai diciotto anni, che sia impegnata in combattimenti all’interno di
un esercito o di un gruppo armato.
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Fatto degno di nota è che nella definizione non è precisato che molti, o meglio, la maggior
parte dei bambini reclutati hanno solo 10 anni o addirittura 6 anni e che il termine “bambini”
non è riferito solamente al sesso maschile ma anche al sesso femminile.
Mentre i maschi combattono, le femmine hanno più compiti: aiuto nel combattimento,
domestiche e peggio ancora sono vittime di abusi sessuali.
Durante uno degli incontri che si sono svolti nell’ambito della Sessione speciale sull’infanzia
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite svoltasi nel maggio 2007, uno dei relatori ha
evidenziato che se i bambini soldato nel mondo sono stimati approssimativamente intorno ai
300 mila, il numero dei bambini che hanno subito conseguenze fisiche e psicologiche a causa
dei conflitti armati potrebbe facilmente raggiungere i 300 milioni.
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4
KEEGAN J. (1993), La grande storia della guerra, Mondadori, Milano, 1996.
5
SINGER P. W., I signori delle mosche. L’uso dei militare dei bambini nei conflitti contemporanei,
Feltrinelli, Milano, 2006, pag. 15.
6
ivi pag. 18.
7
CITTADINI IN CRESCITA; Rivista del Centro nazionale di documentazione e analisi per
l’infanzia e l’adolescenza, n. 3/2003, Istituto degli Innocenti, Firenze.
7
Paradossalmente, a discapito di questi innocenti, l’impiego dei bambini soldato è
probabilmente la forma di violenza sui minori meno riconosciuta al mondo.
8
Dai dati appena citati si può notare quanto sia palese l’enorme cambiamento della natura del
conflitto armato nel mondo odierno. Il caso della Sierra Leone, fa capire quanto sopra
affermato sia drammaticamente vero. Questo piccolo paese africano, è stato al centro del
dibattito sulla questione dei bambini soldato, non soltanto perché è stato attraversato da una
terribile guerra civile durata dal 1991 al 2001, ma anche per il ruolo di primo piano avuto dai
bambini in combattimento (nonostante non sia il paese con il maggior numero di bambini
soldato reclutati nel mondo – vedi grafico p. 43: il grafico mostra infatti che la Sierra Leone
non è il paese con il maggior numero di bambini smobilitati se ne deduce quindi che non sia
neppure il paese con il maggior numero di bambini reclutati).
Non solo l’utilizzo di minorenni era comune nel RUF (Revolutionary United Front – Fronte
Rivoluzionario Unito), ma lo stesso governo e gli alleati della sua milizia tribale reclutavano
bambini per mandarli a combattere. Il totale complessivo dei bambini soldato ingaggiati
dall’una e dall’altra parte ammonta a circa 10 mila, il che significa che costituivano la
maggioranza dei combattenti impegnati nel conflitto.
Tutte le “colpe” non sono però da infliggere esclusivamente alla Sierra Leone, perché anche la
situazione nel resto del mondo non è delle più rosee.
Nelle americhe, a partire dagli anni novanta del secolo scorso, i bambini soldati sono stati
impegnati in combattimento in Colombia, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Messico,
Nicaragua, Paraguay e Perù. Le cifre più rilevanti riguardano la Colombia, dove più di 11
mila bambini sono utilizzati come soldati, il che significa che su ogni quattro combattenti
irregolari uno è minorenne. Ciò che più allarma è che due terzi di questi bambini combattenti
hanno meno di undici anni, e le reclute più giovani sette.
9
In Europa, ragazzi sotto i diciotto anni hanno prestato servizio tanto nell’esercito britannico
quanto nei gruppi di opposizione nell’Irlanda del Nord e su entrambi i fronti del conflitto
bosniaco. Questo è alquanto bizzarro e ancora più deplorevole pensando che ciò di cui si
prova tanto ribrezzo e abominio viene praticato anche da quelle nazioni che si definiscono
all’avanguardia e non fanno parte del Terzo Mondo.
8
(Senza autore), Stopping the Use of Child Soldiers, in “The New York Times”, 22 aprile 2002.
9
SINGER P. W. (2006), I signori delle mosche. L’uso dei militare dei bambini nei conflitti
contemporanei, Feltrinelli, Milano, pag. 27.
8
È in Turchia, però, che si trova il maggior numero di bambini soldati d’Europa. Nel 1998 si è
saputo che il Partito curdo dei lavoratori aveva nei suoi ranghi tremila minori, e che il suo
combattente più giovane era un bambino di sette anni.
L’Africa è sempre stata considerata l’epicentro del fenomeno dei bambini soldati, ma non
solo il caso della Sierra Leone è ritenuto il più istruttivo. Per esempio, un’indagine svolta in
Angola ha rilevato che il 36 per cento dei bambini angolani ha prestato servizio come soldato
o seguito le truppe in combattimento. Anche la Liberia ha un modello simile; i gruppi ribelli
hanno a loro volta usato bambini soldati. Le Nazioni Unite stimano che nella guerra della
Liberia abbiano combattuto approssimativamente ventimila bambini, circa il 70 per cento dei
soldati attivi nelle varie fazioni. Nel continente africano è particolarmente degno di nota il
LRA (Lord’s Resistance Army – Esercito di resistenza del Signore), famigerato per essere
costituito al cento per cento da bambini soldato. Il LRA ha rapito oltre quattordicimila
bambini per farne dei soldati e detiene ora l’ignobile primato di avere nelle proprie file il
combattente armato forse più giovane al mondo: un bambino di cinque anni.
10
Per citare altri paesi: in Somalia, ragazzi tra quattordici e diciotto anni combattono
regolarmente nelle milizie dei signori della guerra. In Ruanda si calcola che i minorenni
partecipanti ai conflitti ammontino a migliaia; in Burundi a quattordicimila; in Costa d’Avorio
a tremila; nella Repubblica democratica del Congo a circa cinquantamila.
Il Medio Oriente è un’altra area dove i bambini soldato sono diventati parte integrante del
conflitto.
Attualmente i bambini sono coinvolti nei combattimenti in Algeria, Azerbaijan, Egitto, Iran
(nei gruppi ribelli attualmente in lotto contro il regime), Iraq, Libano, Sudan, Tagikistan e
Yemen. Il primo utilizzo moderno di bambini sodato nella regione è avvenuto negli anni
ottanta del secolo scorso durante la guerra tra Iran e Iraq. La legge iraniana, che si basa sulla
sharia coranica, proibiva l’arruolamento nelle forze armate di ragazzi al di sotto dei sedici
anni. Tuttavia, dopo qualche anno di guerra, il regime cominciò a trovarsi in difficoltà nel
conflitto con il vicino, l’Iraq di Saddam Hussein. Decise dunque di ignorare le sue stesse leggi
e, nel 1984, il presidente iraniano Rafsanjani dichiarò che “tutti gli iraniani, dai dodici ai
settant’anni, avrebbero dovuto arruolarsi volontari per la Guerra Santa”. Migliaia di bambini
10
SINGER P. W. (2006), I signori delle mosche. L’uso dei militare dei bambini nei conflitti
contemporanei, Feltrinelli, Milano, pag. 30-31.
9
vennero ritirati dalle scuole e indottrinati per bene, per poi essere mandati allo sbaraglio nelle
prime file. La cosa che ogni lettore definirebbe più disgustante è che l’ayatollah Khomeini,
capo spirituale dell’Iran, gioiva al sacrificio dei bambini e magnificava che, grazie a loro,
l’Iran stesse raggiungendo “una situazione che non si può descrivere in altro modo se non
dicendo che il nostro è un paese divino”.
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L’Iraq, nel corso del conflitto, arruolò a sua volta bambini soldati e fu messo in piedi un
intero apparato concepito per coinvolgere i più giovani nel conflitto. Esso includeva i famosi
Ashbal Saddam (“Leoncini di Saddam”), una forza paramilitare di bambini tra i dieci e i
quindici anni. Nel corso della recente guerra che ha posto fine al regime di Saddam Hussein,
le forze americane si sono trovate ad affrontare i bambini soldato iracheni in almeno tre città
(Baghdad, Nassirya, Kerbala). Ciò va ad aggiungersi ai molti casi di bambini usati come scudi
umani dai fedelissimi di Saddam durante i combattimenti.
Molti inoltre, sono stati gli incidenti tra unità statunitensi e bambini iracheni armati, tanto che
le informative dell’intelligence militare statunitense hanno cominciato a mettere in luce il
ruolo dei bambini iracheni come attaccanti e ricognitori delle imboscate.
Anche il Afghanistan la presenza di bambini soldati ha giocato un ruolo importante.
I dati dimostrano infatti che circa il 30 per cento dei bambini afghani ha, a un certo punto
della propria infanzia, preso parte ad attività militari.
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Una volta arrivato al potere il Mullah Omar (capo dei talebani), dichiarò (attenendosi alle
dottrine precoraniche dei talebani) che i discepoli troppo giovani per farsi crescere la barba
non avrebbero potuto partecipare alla guerra. Tale decreto fu ampiamente ignorato, poiché lo
si considerava nient’altro che uno specchietto per le allodole a uso della comunità
internazionale. Le stime, ancora del 2003, erano che in Afghanistan continuassero ad essere
attivi circa ottomila bambini soldati, impegnati nella guerra tra governo afghano e ciò che
restava dei talebani e di al Qaeda.
Un combattente talebano ha giustificato tale pratica, dicendo: “I bambini sono innocenti,
dunque sono gli strumenti migliori per combattere le forze del male”.
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SINGER P. W. (2006), I signori delle mosche. L’uso dei militare dei bambini nei conflitti
contemporanei, Feltrinelli, Milano, p. 33.
12
THE COALITION TO STOP THE USE OF CHILDREN SOLDIERS, Action Appeal: Afghanistan,
in “Child Soldiers Newsletter”, dicembre 2001.
13
BEECH FARKHAR H., The Child Soldiers, in “Time”, 7 novembre 2001.