11
Introduzione
Lo
scopo
di
questa
tesi
è
fornire
una
panoramica
quanto
più
possibile
completa
sulla
regolamentazione
finanziaria,
che
fornisca
gli
strumenti
per
capirne
le
motivazioni
teoriche
e
gli
strumenti
utilizzati
per
me tterla
in
pratica.
Il
presente
lavoro
si
configura
quindi
come
un
“ survey
article ”,
termine
che
indica
un
testo
di
sintesi
più
che
una
ricerca
ex
novo ,
e
che
ha
come
principale
obiettivo
quello
di
presentare
un
argomento
(in
questo
caso
la
“ financial
regul ation ”)
in
tutti
i
progressi
compiuti
dalla
ricerca
in
materia.
In
questo
senso,
il
titolo
della
tesi
riassume
efficacemente
la
visione
ampia
che
si
intende
dare
allo
studio :
come
prima
cosa
viene
affrontato
l’aspetto
teorico
che
giustifica
la
regolamenta zione
di
un
mercato,
utilizzando
strumenti
tipic i
della
teoria
economica
e
della
“ economics
of
regulation ”.
Successivamente
viene
fornita
un’analisi
storica
(seppur
inevitabilmente
parziale)
dei
diversi
approcci
utilizzati
dagli
Stati
nei
confronti
di
banc he,
mercati
azionari
e
banche
centrali
negli
ultimi
secoli.
Nel
terzo
capitolo
si
individuano
gli
impianti
istituzionali
creati
dai
governi,
nonché
gli
studi
accademici
innovativi,
sviluppati
e
messi
in
atto
negli
ultimi
anni
per
fronteggiare
la
crisi
fina nziaria
e
rinnovare
l’approccio
a lla
regolamentazione.
Infine,
gli
ultimi
due
capitoli
analizzano
nello
specifico
le
legislazioni
in
materia
di
regolamentazione
finanziaria
di
Stati
Uniti
e
Unione
Europea,
entrambe
recentemente
rinnovate.
Lo
spettro
d’in dagine
è
quindi
molto
vasto
e
si
prefigge
di
colmare
un
vuoto
nella
produzione
di
studi
riguardanti
la
regolamentazione
finanziaria:
la
bibliografia
studiata
nella
redazione
della
tesi
si
caratterizza
infatti
per
una
speci ficità
molto
12
marcata
su
singol e
pr oblematiche
e
per
la
mancanza
di
una
visione
complessiva
del
fenomeno.
L’obiettivo
è
perciò
quello
di
creare
un
testo
che
riesca
a
presentare
l’argomento
in
tutti
i
suoi
aspetti
più
rilevanti.
Inoltre,
visto
il
dominio
sostanzialmente
totale
dell’inglese
n elle
scienze
economiche,
il
presente
lavoro
ha
anche
il
fine
di
configurarsi
come
sintesi
in
lingua
italiana
della
letteratura
in
materia.
Come
accennato,
la
tesi
è
divisa
in
cinque
capitoli
principali,
a
loro
volta
suddivisi
in
paragrafi
tematici.
Di
s eguito
si
fornisce
un
breve
sommario
degli
argomenti
trattati
nelle
varie
parti
della
tesi.
Nel
Capitolo
1
viene
illustrata
la
razionalità
economica
della
regolamentazione
in
ambito
finanziario
e
bancario.
Partendo
dalle
ipotesi
di
efficienza
dei
mercati
sviluppati
dall’economia
neoclassica
si
passa no
ad
analizzare
i
diversi
fallimenti
di
mercato
che
giustificano
un
intervento
del
policymakers
e
delle
autorità
internazionali,
cioè
le
esternalità
legate
all’assunzione
di
rischio,
particolarmente
rilevanti
n el
settore
del
credito
e
del
mercato
azionario,
e
l’informazione
asimmetrica
fra
clienti
e
istituzioni
finanziarie.
Vengono
poi
illustrati
i
ben
noti
fenomeni
di
selezione
avversa
e
azzardo
morale,
che
diminuiscono
l’efficienza
complessiva
a
causa
di
compo rtamenti
opportunistici
di
una
delle
parti.
Si
enfatizza
inoltre
l’esigenza
fondamentale
di
tutela
del
consumatore,
visto
come
elemento
“debole”
del
sistema,
nonché
di
rafforzamento
della
concorrenza,
particolarmente
ridotta
nel
settore
bancario.
Sono
poi
spiegate
le
ragioni
che
differenziano
la
finanza
da
altri
settori
economici,
rendendo
necessaria
più
stabilità
e
un
maggior
livello
di
controllo
rispetto
ad
alt ri
settori
meno
interconnessi
ed
essenziali
per
il
funzionamento
dell’economia.
Infine,
sono
bre vemente
illustrati
in
modo
generale
gli
strumenti
“classici”
utilizzati
dalle
autorità
per
intervenire
a
limitare
le
storture
del
sistema
finanziario .
Il
Capitolo
2
fornisce
una
panoramica
storica
della
regolamentazione
finanziaria,
in
particolare
in
rife rimento
agli
Stati
Uniti
visto
il
loro
ruolo
di
principale
piazza
13
mondiale.
Partendo
dalla
Guerra
d’Indipendenza
si
attraversano
i
primi
e
complicati
tentativi
di
creazione
di
una
banca
centrale
federale,
il
cui
fallimento
porta
ad
oltre
70
anni
dominati
p rima
dal
“ free
banking”
e
poi
dalla
frammentazione
del
sistema
monetario
a
livello
statale,
fino
ad
arrivare
alla
creazione
della
Federal
Reserve
all’inizio
del
secolo
scorso.
Da
qui
si
affronta
il
periodo
di
collasso
del
sistema
finanziario,
iniziato
con
la
crisi
del
’29
e
proseguito
con
la
Grande
Depressione,
fino
al
graduale
ritorno
alla
normalità
nel
periodo
successivo
alla
Seconda
Guerra
Mondiale.
Infine,
si
illustra
il
percorso
di
deregulation
iniziato
negli
anni
’70
e
culminato
alla
fine
del
secolo
c on
il
boom
della
nuova
globalizzazione
finanziaria,
fino
ad
arrivare
all’improvvisa
crisi
del
2008
e
alle
sue
conseguenze
sul
sistema
attuale.
Successivamente
viene
fatto
un
confronto
fra
il
sistema
finanziario
e
bancario
anglosassone
e
quello
europeo.
Se nza
entrare
nello
spe cifico
della
storia
europea
(la
cui
narrazione
in
questa
sede,
vista
la
frammentazione
del
continente
in
singoli
stati
nazionali ,
sarebbe
stata
inevitabilmente
poco
approfondita )
si
p referisce
seguire
la
strada
della
comparazione
de i
s istemi
economici
e
delle
differenze
socio -‐
culturali
delle
due
entità.
Nel
far e
ciò
viene
brevemente
illustrata
la
storia
del
Banco
Pubblico
Genovese
come
primo
tentativo
di
dare
un
“ordine”
a l
sistema
monetario
e
bancario
( arrivando
a
configurare
il
Banco
come
precursore
delle
moderne
banche
centrali),
e
si
illustra
la
tradizione
del
“ relationship
banking ”
europeo
contrapposto
al
sistema
“ maret -‐oriented”
americano.
Nel
Capitolo
3
si
entra
nello
specifico
dei
sistemi
di
regolamentazione
e
supervisione,
con
un
riferimento
particolare
alle
conclusioni
sviluppate
dopo
la
crisi.
Vengono
mostrati
tre
livelli
di
approccio
(dal
più
astratto
al
più
pragmatico)
che
i
diversi
paesi
adottano
nei
confronti
della
regolamentazione:
al
primo
livello
la
scelta
è
fra
un
sist ema
basato
su
regole
fisse,
difficilmente
aggirabili
ma
poco
flessibili,
e
un
sistema
basato
su
principi
cardine
che
lascia
maggiore
spazio
all’azione
dei
supervisori,
più
adatto
per
fronteggiare
le
innovazioni
ma
più
a
rischio
di
incompetenza
o
disonestà
dei
controllori.
Al
secondo
livello
la
scelta
è
fra
un
approccio
prudenziale
e
uno
sistemico,
con
il
primo
focalizzato
sulla
“salute”
delle
singole
istituzioni
e
il
secondo
basato
su
una
visuale
più
ampia
che
14
comprenda
tutto
il
sistema
economico
e
le
inter connessioni
fra
gli
agenti.
Al
terzo
livello
si
pone
il
problema
della
struttura
istituzionale
del
regolatore,
e
ci
si
chiede
se
è
preferibile
un
soggetto
unico
che
si
occupi
delle
sue
diverse
forme
(sistemica
e
prudenziale)
e
business
(banche,
mercati
e
a ssicurazioni),
o
se
è
meglio
avere
diverse
agenzie
fortemente
integrate
e
in
cooperazione
l’una
con
l’altra.
Viene
infine
presentata
una
sintesi
di
quello
che
sembra
essere
uscito
dagli
studi
dell’ultima
crisi
riguardo
alla
forma
di
regolamentazione
ottima le,
e
nel
far
questo
si
utilizza
la
“matrice
di
regolamentazione”
per
identificare
le
soluzioni
possibili.
Nel
successivo
paragrafo
sono
illustrati
i
principali
nodi
irris olti
e
le
innovazioni
tecniche
sviluppate
dopo
la
crisi:
dal
problema
delle
“reti
di
sicurezza”
che
creano
azzardo
morale
(rappresentate
dalle
assicurazioni
sui
depositi,
dal
lato
dei
clienti,
e
dai
bailout
delle
“ too -‐big -‐to -‐fail ” ,
dal
lato
delle
banche),
alla
natura
del
rischio
sistemico
e
ai
modi
di
affrontarlo,
fino
alle
varie
proposte
di
regolamentazione
anticiclica
che
hanno
l’obiettivo
di
“tirare
il
freno”
automaticamente
agli
eccessi
del
mercato
nei
periodi
di
boom .
Nell’ultimo
paragrafo
si
presentano
infine
gli
Accordi
di
Basilea,
identificati
come
esempio
più
compiuto
del
tentati vo
di
creare
un
“corpus”
internazionale
di
regole
per
gestire
il
rischio
e
fronteggiare
le
crisi.
Viene
dato
particolare
risalto
alla
recente
evoluzione
degli
accordi
rappresentata
da
“Basilea
III”,
le
cui
norme
prendono
esplicitamente
le
basi
dai
fallimen ti
riscontrati
nella
recente
crisi.
Il
Capitolo
4
è
dedicato
agli
Stati
Uniti
e
alla
recente
riforma
del
sistema
finanziario,
conosciuta
come
“Dodd -‐ Frank
Act”.
Viene
fornita
una
panoramica
completa
del
corposissimo
testo
di
legge,
ritenuto
da
molti
la
pi ù
rilevante
riforma
delle
regole
della
f inanza
dal
“Glass -‐ Steagall
Act”
del
1933 .
Le
principali
disposizioni
della
legge,
articolata
in
sedici
titoli,
riguardano
sostanzialmente
ogni
settore
e
ogni
problema
della
finanza
moderna.
Il
primo
titolo
riguarda
l a
gestione
del
rischio
sistemico
e
la
creazione
di
un
organismo
chiamato
Financial
Stability
Oversight
Council
per
supervisionarlo.
Vengono
poi
introdotte
nuove
regole
per
il
fallimento
delle
grandi
istituzioni
finanziarie,
con
l’obiettivo
di
evitare
i
“ bailout ”
con
soldi
pubblici.
Sono
emanate
nuove
norme
per
controllare
più
effi cacemente
i
fondi
d’investimento
e
i
consulenti
finanziari,
mentre
allo
stesso
tempo
si
cerca
di
15
mettere
sotto
controllo
alcuni
mercati
“ over-‐the -‐counter”
particolarmente
rilevanti
per
la
stabilità
finanziaria.
La
c.d.
“ Volcker
Rule”
proibisce
il
trading
proprietario
delle
banche,
e
allo
stesso
tempo
viene
rafforzato
l’obiettivo
di
protezione
dei
consumatori,
attraverso
la
creazione
di
un
organo
apposito.
Si
riflette
infine
sulla
portata
effettiva
della
riforma,
sui
suoi
limiti
e
sulle
norme
attuative
che
sono
tuttora
in
fase
di
implementazione
da
parte
del le
singole
agenzie
governative,
e
che
dimostreranno
in
futuro
se
la
riforma
è
effettivamente
efficace
o
se
rappresenta
invece
un’ occasione
mancata.
Nel
Capitolo
5
ci
si
sposta
s ull’altra
sponda
dell’Atlantico
per
analizzare
le
recenti
modifiche
alla
struttura
della
regolamentazione
dell’Unione
Europea.
Nel
primo
paragrafo
si
illustrano
le
diverse
tappe
che
hanno
portato
all’integ razione
finanziaria
europea,
sia
dal
punto
di
vista
della
circolazione
dei
capitali
che
da
quello
della
creazione
di
un
sistema
di
regolamentazione
e
vigilanza
comune:
il
percorso
parte
dalla
nascita
del
F inancial
Services
Action
Plan,
per
passare
dal
Proc esso
Lamfalussy
e
arrivare
al
Rapporto
De
Larosière ,
finalizzato
a
trovare
nuove
risposte
alla
crisi
finanziaria
del
2008.
Proprio
dal
Rapporto
sono
tratti
gli
spunti
per
la
creazione
di
un
nuovo
sistema
fortemente
integrato
e
con
maggiori
responsabilità
a
livello
comunitario.
L’European
System
of
Financial
Supervision
è
formato
da
un
organo
di
vigilanza
sistemica,
chiamato
European
Systemic
Risk
Board,
e
da
tre
authority
di
vigilanza
prudenziale,
ognuna
responsabile
di
uno
specifico
settore
finanziario
(b anche,
mercati
e
assicurazioni).
Sono
illustrate
le
competenze
e
le
(ancora
poco
numerose)
azioni
intraprese
dalle
nuove
entità,
nonché
il
rapporto
di
complementarietà
e
controllo
che
le
lega
agli
organismi
nazionali.
Successivamente
viene
fatta
una
panora mica
delle
principali
disposizioni
comunitarie
in
materia
di
regolamentazione
finanziaria,
dalle
direttive
riguardanti
i
requisiti
di
capitale
bancario
a
quelle
che
istituiscono
il
“passaporto
unico”
per
operare
in
tutti
gli
stati
dell’Unione.
Le
principal i
direttive
riguardano
inoltre
i
fondi
d’investimento
(sia
classici
che
alternativi),
la
trasparenza
e
la
protezione
del
consumatore
nell’acquisto
di
titoli,
il
controllo
delle
agenzie
di
rating,
le
garanzie
sui
depositi
e
gli
standard
contabili.
Viene
inf ine
di scussa
l’anomalia
europea
di
una
sovranità
limitata
e
di
una
governance
poco
efficace,
che
16
a
causa
dei
particolarismi
nazionali
rallentano
l’integrazione
e
fanno
nascere
un
calo
di
fiducia
nei
confronti
delle
istituzioni
comunitarie.
Completa
la
te si
un’ampia
bibliografia,
contenente
molti
dei
principali
articoli
in
materia
di
regolamentazione
finanziaria
(sia
di
impostazione
prettamente
teorica
che
di
indirizzo
esplicito
di
policy),
e
una
sezione
di
fonti
legislative
e
governative
che
comprende
tutte
le
principali
disposizioni
di
legge
statunitensi
ed
europee
in
materia.
17
1
I
fondamenti
teorici
della
regolamentazione
finanziaria
In
un
lavoro
che
si
propone
di
fornire
uno
sguardo
d’insieme
sulla
regolamentazione
finanziaria
è
im prescindibile
partire
dall’analisi
delle
motivazioni
teoriche
che
ne
stanno
alla
base.
Il
motivo
è
semplice:
la
regolamentazione
è
un
azione
legislativa
che
interviene
a
limitare
l’azione
delle
parti
coinvolte
e
comporta
perciò
una
serie
di
costi
e
di
bene fici.
Uno
dei
principi
dell’economia
di
mercato
afferma
che
il
meccanismo
concorrenziale
è
la
soluzione
allocativa
più
efficiente,
in
quanto
concorre
alla
formazione
di
prezzi
che
rispecchiano
l’incontro
di
domanda
ed
offerta.
A
causa
di
ciò,
in
una
situa zione
(puramente
teorica)
di
concorrenza
perfetta,
lo
Stato
non
ha
motivo
di
intervenire
in
quanto
le
regole
della
concorrenza
sono
sufficienti
a
garantire
la
migliore
allocazione
possibile
delle
risorse.
Le
autorità
sono
chiamate
a
intervenire
nel
momento
in
cui
la
sola
struttura
di
mercato
non
sia
in
grado
di
dare
i
risultati
attesi,
per
una
serie
di
motivi
ben
noti
e
a
lungo
studiati
(concorrenza
falsata,
presenza
di
esternalità,
fallimenti
di
mercato,
beni
pubblici,
monopoli
naturali,
ecc.).
Se
si
acc etta
questo
presupposto
teo rico
dell’economia
neoclassica
diventa
fondamentale
il
ruolo
della
scienza
economica
nel l’analizzare
a
fondo
il
sistema
18
per
scoprirne
le
criticità
maggiori.
L’obiettivo
ultimo
dell’analisi
dovrebbe
essere
quello
di
trovare
un
“pu nto
di
efficienza”
che
indichi
il
giusto
livello
di
intervento
del
regolatore,
che
non
sia
troppo
invasivo
per
il
rischio
di
ingessare
il
sistema
economico
ma
nemmeno
tropo
lassista,
per
evitare
che
i
problemi
del
mercato
degenerino
fino
ad
arrivare
a
situ azioni
sub -‐ ottimali
e
non
desiderabili
dal
punto
di
vista
sociale.
Visto
il
discorso
appena
fatto,
ritengo
utile
partire
dall’ipotesi
dell’efficienza
di
mercato,
in
quanto
punto
di
partenza
privilegiato
di
diversi
studi
riguardanti
i
principi
teorici
dell a
regolamentazione.
1
1.1. La
Teoria
dei
Mercati
Efficienti
Come
accennato,
la
teoria
economica
neoclassica
afferma
che
un
mercato
libero
e
in
perfetta
competizione
è
il
sistema
economico
più
efficiente
in
senso
paretiano,
intendendo
con
ciò
che
produzione
e
consumo
non
possono
essere
riallocati
aumentando
l’utilità
di
uno
o
più
individui
senza
che
venga
diminuita
l’utilità
di
altri.
Applicando
questo
concetto
ai
mercati
finanziari
si
ottiene
l’ipotesi
dei
mercati
efficienti,
sviluppata
oltre
quarant’anni
fa
da
Eugene
Fama
nel
suo
noto
lavoro
sui
mercati
dei
capitali.
2
Fama
teorizza
tre
diversi
livelli
di
efficienza
nei
mercati:
1. Efficienza
in
forma
debole ,
che
si
ottiene
qualora
i
prezz i
osservati
sul
mercato
rifletta no
tutta
l'informazione
contenuta
nella
se rie
storica
dei
prezzi
stessi.
1
Si
vedano
Llewellyn,
D.,
The
Economic
Rationale
of
Financial
Regulation ,
“Occasional
Paper”
No.
1,
Financial
Se rvices
Authority,
1999,
pp
1 -‐ 57,
e
Dodd,
R.,
The
Economic
Rationale
of
Financial
Market
Regulation ,
“Special
Policy
Report”
No.
12,
Der ivatives
Study
Center,
2002,
pp.
1 -‐ 26.
2
Fama,
E.,
Efficient
Capital
Markets:
A
Review
Of
Theory
And
Empirical
Work ,
“Journal
of
Finance”
Vol.
25(2),
1970,
pp.
383 -‐ 417.
19
2. Efficienza
in
forma
semi-‐forte ,
quando
i
prezzi
di
mercato
riflettono
tutta
l'informazione
contenuta
nella
serie
storica
dei
prezzi,
più
qualunque
altra
informazione
pubblica .
3. Efficienza
in
forma
forte ,
qual ora
i
prezzi
di
me rcato
rifletta no
l'informazione
contenuta
nella
serie
storica
dei
prezzi
stessi,
qualunque
altra
informazione
pubblica,
nonché
qualunque
informazione
privata .
Le
conseguenze
di
queste
affermazioni
sono
diverse
e
molto
importanti
dal
punto
di
vista
teorico .
Prima
di
tutto,
se
ogni
informazione
rilevante
è
contenuta
nel
prezzo
di
un’azione,
allora
l’andamento
dei
prezzi
segue
un
percorso
casuale
(“ random
walk ” ),
in
cui
le
variazioni
sono
determinate
da
disturbi
di
tipo
“ white
noise ” .
Da
questa
prima
constata zione
segue
che
per
un
investitore
è
impossibile
guadagnare
sistematicamente
nei
confronti
del
mercato:
infatti,
se
tutte
le
informazioni
rilevanti,
riferite
sia
al la
situazione
presente
che
alle
previsioni
future,
sono
utilizzate
per
determinare
il
prezzo
attuale ,
ogni
variazione
futura
del
prezzo
non
è
in
alcun
modo
prevedibile.
Non
ci
sono
elementi
“estranei”
che
possano
far
propendere
l’investitore
per
un
aumento
o
una
diminuzione
del
valore,
poiché
il
prezzo
sconta
già
ogni
valutazione
e
ipotesi
possib ile
riguardo
al
prodotto
finanziario
in
questione.
La
teoria
dei
mercati
efficienti
ha
implicazioni
di
policy
molto
rilevanti,
in
quanto
potrebbe
giustificare
un
lasseiz -‐ faire
finanziario
sostan zialmente
totale.
Che
motivo
potrebbe
esserci
per
regolamenta re
un
mercato,
se
il
meccanismo
dei
prezzi
funziona
in
modo
efficiente
e
permette
un
incontro
perfetto
fra
domanda
e
offerta,
senza
che
nessuna
delle
parti
abbia
la
possibilità
di
comportarsi
in
modo
opportunistico?
Effettivamente
diversi
economisti
mains tream
sono
sempre
stati
scettici
riguardo
ai
benefici
della
regolamentazione,
basandosi
sull’idea
che
i
fallimenti
del
mercato
sono
in
realtà
minimi,
e
che
anche
ipotizzandone
l’esistenza
la
regolamentazione
20
non
è
in
grado
di
risolverli
se
non
imponendo
al la
collettività
una
serie
di
costi
che
superano
i
costi
del
problema
originale.
3
1.2.
Le
inefficienze
dei
mercati
finanziari
In
realtà,
l’idea
che
il
mercato
concorrenziale
non
regolamentato
conduca
all’ “ outcome”
più
efficiente
è
valida
solo
se
si
prend ono
per
vere
una
serie
di
assunzioni
molto
stringenti
riguardo
alla
struttura
del
mercato.
Le
ipotesi
in
questione
sono
le
seguenti:
4
• Concorrenza
perfetta
e
atomistica,
in
cui
nessun
individuo
o
impresa
pu ò
esercitare
potere
di
mercato
e
quindi
influenzar e
la
determinazione
dei
pre zzi .
• Assenza
di
esternalità,
così
che
il
prezzo
di
mercato
rifletta
tutti
i
costi
e
i
benefici
privati
e
sociali.
• Informazio ne
priva
di
costi,
di
modo
che
gli
investitori
abbiano
tutte
le
informazioni
di
mercato
rilevanti
e
possa no
così
agire
in
perfetta
razionalità.
• Assenza
di
fallimenti
e
imperfezioni
di
mercato
(come
ad
esempio
la
selezione
avversa
e
l’azzardo
morale),
che
portano
alla
formazione
di
mercati
non -‐ competitivi
e
mercati
incompleti.
Analizzando
queste
assunzioni
appare
chiaro
come
esse
siano
sostanzialmente
impossibili
da
ritrovare
nella
realtà.
Dal
punto
di
vista
teorico
il
fulcro
del
problema
è
quindi
il
mancato
rispetto
di
queste
ipotesi
centrali
della
teoria
microeconomica:
a
causa
di
questo
i
meccanismi
di
mer cato
non
possono
funzionare
in
modo
completamente
efficiente
e
si
rende
necessario
un
certo
grado
3
Si
vedano
Benston,
G.
J.,
Regulating
Financial
Markets:
A
Critique
and
Some
Proposals ,
“Hobart
Paper”
No.
135,
Institute
of
Economic
Affairs,
1998,
e
Dowd,
K.,
The
case
for
financial
laissez -‐faire,
“The
Economic
Journal”
Vol.
106(436),
1996,
pp.
679 -‐ 687.
4
Dodd,
op.
cit.
21
(variabile)
di
intervento
esterno.
Nelle
loro
analisi
Llewellyn
e
Dodd
seguono
lo
stesso
principio,
prendendo
in
esame
una
dopo
l’altra
tutte
le
assunzioni
ne oclassiche
e
identificandone
le
criticità.
Allo
stesso
modo
ritengo
utile
raggruppare
i
problemi
di
mercato
nelle
seguenti
macro -‐ categorie:
1. Esternalità
negative
legate
all’assunzione
di
rischio.
2. Esternalità
negative
legate
alle
asimmetrie
informative.
3. Problema
della
selezione
avversa.
4. Problema
dell’azzardo
morale.
5. Esigenza
di
protezione
dei
consumatori.
6. Ruolo
della
concorrenza.
Ognuna
delle
problematiche
menzionate
ha
un’influenza
decisiva
nel
funzionamento
dei
mercati
finanziari
e
merita
quindi
di
essere
analizzata
a
fondo.
1.2. 1.
Esternalità
legate
al
rischio
La
teoria
del
CAPM
( “ Capital
Asset
Pricing
Model ” )
insegna
che
i
titoli
sono
prezzati
efficientemente
dal
mercato
tenendo
conto
anche
del
loro
livello
di
rischio.
Per
questo
motivo,
prendendo
due
azioni
con
lo
stesso
rendimento
atteso,
quella
con
la
varianza
maggiore
avrà
il
prezzo
più
basso.
In
questo
modo
il
mercato
assegna
al le
attività
meno
rischiose
un
prezzo
maggiore
(il
costo
della
maggiore
sicurezza
dell’investimento)
mentre
quelle
più
ris chiose
hanno
un
rendimento
atteso
più
alto
(necessario
per
compensar n e
il
rischio).
Ma
questo
procedimento
è
valido
solo
nell’ipotesi
di
concorrenza
perfetta,
in
cui
valgono
le
assunzioni
microeconomiche
classiche
( v.
supra ).
Rilassando
queste
ipotesi,
u no
dei
fattori
che
rende
i
mercati
inefficienti
è
la
c.d.
“esternalità”,
un
fenomeno
per
il
quale
l'attività
di
un
soggetto
influenza,
negativamente
o
positivamente,
il
benessere
di
un
altro
soggetto,
senza
che
quest’ultimo
riceva
una
22
compensazione
(in
cas o
di
esternalità
negativa)
o
paghi
un
prezzo
(in
caso
di
esternalità
positiva)
pari
al
costo/beneficio
supportato/ricevuto.
5
Nel
caso
in
questione
le
esternalità
si
presentano
poiché
l’assunzione
di
rischio
da
parte
delle
istituzioni
finanziarie
non
ha
so lo
costi
privati
(che
quindi
verrebbero
incorporati
nel
prezzo
con
il
metodo
illustrato
sopra)
ma
anche
costi
sociali.
L’esternalità
nasce
dal
fatto
che
questi
potenziali
costi
esterni,
che
hanno
un
impatto
su
individui
e
imprese
non
facenti
parte
dello
st esso
mercato,
non
vengono
considerati
in
quanto
non
incidono
direttamente
sull’impresa.
Le
istituzioni
finanziarie,
considerando
nel
loro
agire
solo
i
costi
privati
e
non
quelli
esterni,
sono
quindi
indotte
a
tenere
comportamenti
più
rischiosi
di
quelli
ch e
seguirebbero
se
tutti
i
rischi
fossero
rispecchiati
nei
prezzi
delle
attività.
Un
esempio
più
classico
e
facilmente
comprensibile
delle
esternalità
negative
riguarda
l’inquinamento:
nella
propria
attività
produttiva
le
imprese
non
tengono
in
consideraz ione
le
emissioni
di
anidride
carbonica
o
gli
scarichi
dei
propri
macchinari,
poiché
l’aria
o
l’acqua
non
hanno
un
“proprietario”
e
non
c’è
quindi
nessuno
che
richieda
una
compensazione
per
il
danno
subito.
Ma
queste
esternalità
hanno
un
impatto
ambientale
rilevante,
che
considerato
nel
complesso
del
sistema
industriale
comporta
una
perdita
netta
per
la
comunità.
Il
comportamento
dei
singoli
può
essere
considerato
economicamente
razionale,
da
un
punto
di
vista
prettamente
individualistico,
ma
è
sub -‐ ottimale
se
si
guarda
al
benessero
complessivo
della
società .
E’
per
questo
che
il
ruolo
dello
Stato
diventa
fondamentale
nel
limitare
i
comportamenti
individuali
delle
imprese
che
possono
danneggiare
la
collettività,
ad
esempio
attraverso
appositi
sistemi
di
tass azione
o
con
quote
di
emissione.
5
Si
vedano
Bator,
F.,
The
Anatomy
of
Market
Failure ,
“Quarterly
Jour nal
of
Economics” ,
Vol.
72,
pp.351-‐ 79 ,
e
Arrow,
K.
J.,
The
Organization
of
Economic
Activity:
Issues
Pertinent
to
the
Choice
of
Market
versus
Non -‐market
Allocations ,
“Analysis
and
Evaluation
of
Public
Expenditures:
The
PPP
System”,
Vol.
1,
1969,
pp.
47 – 64.
23
Pensando
al
sistema
finanziario,
il
rischio
delle
banche
o
degli
operatori
segue
un
meccanismo
molto
simile.
Le
istituzioni
finanziarie
possono
tenere
conto
in
modo
attento
del
rischio
assunto
basandosi
sull’impatto
che
es so
ha
sulla
situazione
patrimoniale
ed
economica
dell’impresa,
e
quindi
comportandosi
in
modo
formalmente
ineccepibile.
Ma
per
una
serie
di
operazioni
e
interconnessioni
tipiche
delle
banche
esse
sono
molto
influenza te
anche
dal
rischio
delle
concorrenti ,
al
punto
che
le
difficoltà
delle
altre
banche
possono
creare
seri
problemi
ai
conti
della
propria.
Questi
costi
sono
difficilmente
identificabili
(e
quantificabil i)
e
non
sono
quindi
incorporati
nei
prezzi
delle
attività
e
nei
meccanismi
decisionali,
se
no n
in
minima
parte,
creando
un
esternalità
negativa
paragonabile
a
quella
dell’inquinamento.
Questa
tipologia
di
esternalità
è
particolarmente
presente
nelle
banche
(che
per
questa
ragione
sono
sempre
state
al
centro
della
regolamentazione),
e
dipende
da
quattro
fattori
intrinsechi
alla
specificità
delle
stesse:
1. Le
banche
hanno
una
posizione
centrale
nel
sistema
finanziario.
Esse
sono
infatti
le
principali
fonti
di
credito
per
una
larga
parte
di
utenti
e
gestiscono
il
sistema
di
pagamento
delle
transazion i,
perciò
il
loro
fallimento
crea
una
serie
di
problemi
generalmente
più
gravi
che
in
altri
settori.
Il
fallimento
di
una
fabbrica
di
automobili,
ad
esempio,
non
comporta
perdite
dirette
per
chi
ha
acquistato
un
prodotto,
mentre
il
fallimento
di
una
banca
comporta
danni
ingenti
per
i
clienti.
Inoltre,
un
consumatore
di
beni
di
consumo
può
in
genere
rivolgersi
rapidamente
ad
un
altro
produttore,
mentre
nel
caso
delle
banche
il
passaggio
è
più
complesso
e
di
norma
costoso.
2. La
corse
agli
sportelli
generano
u na
reazione
a
catena.
In
momenti
di
crisi
e
incertezza,
i
correntisti
delle
banche
possono
esser
indotti,
in
quanto
avversi
al
rischio,
a
ritirare
i
propri
soldi
per
trovarvi
una
sistemazione
ritenuta
più
sicura.
Facendo
questo,
la
banca
rischia
di
t rovars i
in
crisi
di
liquidità
con
i
rimborsi,
fino
ad
arrivare
ad
una
vera
e
propria
insolvenza.
Il
fallimento
di
una
banca
può
mettere
in
apprensione
i
clienti
di
altre
banche,
spingendoli
a