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Premessa
“PerchØ ridiamo?” Questa è stata la domanda dalla quale ho ricavato lo spunto per
l’elaborazione di questo studio. AllorchØ ha cominciato a delinearsi sempre piø l’idea che il
comico sarebbe stato la tematica generale, si sono susseguite tutta una serie di domande
riguardo la vera natura di un battuta o di una barzelletta e, soprattutto, i meccanismi che
scandiscono la comprensione della frase o dell’evento comico, la cui espressione massima è la
risata. Anche senza basi adatte, è possibile immaginare che la risata non è solo frutto di un
processo meccanico dell’organismo umano come risposta ad uno stimolo, ma è anche segno
di un qualcosa che probabilmente (anzi, con certezza!) appartiene solo all’uomo.
Da questo piccolo spunto di riflessione, è stato possibile ricavare un buon argomento
di approfondimento: “buono” perchØ adeguato non solo come completamento di una carriera
universitaria per la vastità di aspetti e sfumature ad esso connessi, ma anche come argomento
che potesse interessare chiunque… insomma, a chi non piace ridere? Così mi sono lasciata
guidare dalla consapevolezza che nel parlare del comico avrei suscitato curiosità.
Colta da un inarrestabile desiderio di conoscenza, mi sono cimentata nella ricerca di
testi che potessero dare risposte non solo alle mie domande, ma anche a quelle di un probabile
lettore, spinto dalla curiosità di scoprire il significato del titolo di questa tesi.
Arrivati a questo punto, è opportuno partire proprio dal titolo al fine di offrire una
visione – seppur generale – del contenuto dell’elaborato: dal titolo, infatti, è possibile
comprendere che l’analisi della comicità non è fine a stessa, ma proiettata in un’area come la
letteratura - in particolare quella inglese – riguardante lo scrittore vittoriano Charles Dickens
e due delle sue opere piø famose: Pickwick Papers e Great Expectations.
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L’elaborato presenta una suddivisione in tre capitoli, suddivisione che procede in
maniera graduale: il termine “graduale” si riferisce al fatto che l’organizzazione è stata
pensata al fine di fornire al lettore gli strumenti necessari per un adeguato approccio al tema.
Nel primo capitolo, infatti, si introduce l’argomento tramite una serie di considerazioni
sul significato di “comico”: innanzitutto, si ripercorrono, in modo conciso ed essenziale, le
tappe che hanno segnato la storia dell’analisi della comicità, considerando quelle variabili che
incidono su di essa (come la cultura e la soggettività) e che non permettono una precisa e
schematica definizione di comico (nonostante i dizionari della lingua italiana ne abbiano
offerte alcune, tuttavia troppo riduttive). La stessa difficoltà di definizione interessa anche la
letteratura, che considera il “comico” come una tendenza piuttosto che un vero e proprio
genere letterario, a causa anche dell’usuale associazione di “comico” con qualcosa di inferiore
in un ipotetica gerarchia di valori letterari.
A questa primissima parte introduttiva farà seguito una sezione teorica dove si spiega,
da un punto di vista psicologico, cosa accade nella mente umana quando si è di fronte ad un
elemento o evento comico; cosa, insomma, conduce l’uomo alla risata ed il significato, da
alcuni definito “liberatorio”, che essa assume.
Un importante contribuito, a tal proposito, è offerto dall’analisi condotta da Gian Piero
Calasso nel libro Ipotesi sulla natura del comico, il quale individua alla base del comico una
sorta di processo di difesa contro le minacce esterne che mettono in crisi il pensiero razionale.
La sua ipotesi muove dall’individuazione di quattro punti fondamentali attraverso i quali può
essere analizzato un evento o una frase comica: congruità apparente, incongruità sostanziale,
allarme/minaccia, pensiero tranquillizzante.
Fondamentale è stata anche la teoria sul motto di spirito di Freud illustrata nel saggio
del 1905 “Il Motto di Spirito e la sua Relazione con l’Inconscio”, al quale è dedicato un intero
paragrafo. Dal suddetto testo sono state ricavate una serie di valutazioni sulla risata intesa
come apice di un principio di piacere successivo al cosiddetto risparmio di dispendio
8
psichico: in presenza di un motto di spirito, viene impegnata un quantità indeterminata di
energia psichica al fine di conservare le inibizioni interne all’essere umano, e qualora non
impegnata interamente devia il suo normale percorso scaricandosi nella risata.
Diversa è la posizione di Henri Bergson il quale, con Il Riso sottolinea la meccanicità
che spesso è alla base di determinati atteggiamenti umani ed è tale da indurre l’uomo in
situazioni comiche dove la risata assume un’importante funzione di “correttore sociale”.
Così, si giunge all’individuazione della risata anche come segno di superiorità di un
uomo rispetto ad altri o, al contrario, di inferiorità, laddove si considera la risata come segno
di debolezza.
A completamento del primo capitolo, viene proposta un’analisi del comico prima da
un prospettiva pratica, in riferimento al linguaggio comico e alle tecniche che lo
caratterizzano; in seguito, è offerta una panoramica sulla differenza tra la comicità causale e
quella intenzionale, quest’ultima costituita da proiezioni come ironia, sarcasmo, satira e
umorismo.
Si giunge così al secondo capitolo che offre un primissimo sguardo sulla comicità
nella letteratura inglese, in particolare attraverso la figura di Charles Dickens ed il suo
prezioso contributo letterario: a partire dal contesto storico dell’Inghilterra vittoriana e da una
presentazione della vita, delle opere e della poetica dell’autore, buona parte del capitolo
concentra l’attenzione su un aspetto specifico del Dickens uomo e romanziere, costituito da
quell’umorismo così presente nella produzione letteraria dell’età vittoriana - dal giornalismo
fino al teatro - che accompagna molte delle sue opere, nonostante alcuni critici tendano a
distinguere l’umorismo dickensiano degli anni giovanili da quello della fase piø matura della
sua produzione letteraria, quest’ultima caratterizzata da un deciso affievolimento o da una
quasi completa scomparsa dell’essenza umoristica.
Nel mettere in dubbio la veridicità di quanto affermato dai critici, nel terzo ed ultimo
capitolo sono state analizzate le suddette opere dickensiane, cronologicamente distanti tra loro
9
in quanto sono circa venti gli anni che separano i Pickwick Papers da Great Expectations,
opere che, pertanto, possono essere associate rispettivamente alla fase giovanile dell’autore e
a quella piø matura: la scelta di queste due opere non è poi così casuale come potrebbe
sembrare all’apparenza, poichØ entrambe presentano in sØ diverse tipologie di comicità, a
partire dall’ironia percepibile finanche da una singola parola posta in un contesto differente
dal solito, fino alla satira, tesa a ridicolizzare e sminuire tutto ciò a cui si riferisce.
Insomma, è la cosiddetta “rhetoric of laughter”, come suggerisce J. K. Kincaid, che
Dickens adotta come espediente letterario, integrando la nostra risposta al suo umorismo
all’intera opera. Dickens offre degli input che lo stesso lettore dovrà captare, come un sasso
che cade nell’acqua provocando molti cerchi concentrici: Dickens è quel sasso ed il
movimento dell’acqua da esso provocato amplifica la portata umoristica dei testi dickensiani
come accade in pochi scrittori. Non a caso, lui è “The Inimitable”.
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CAPITOLO 1
Il comico e le sue sfaccettature
Un uomo entra in un CafØ…splash!
Probabilmente, si saranno impiegati pochi millesimi di secondo per leggere questa
frase e, con altrettanta probabilità, un ipotetico fruitore – come, per esempio, il lettore stesso
di questo studio – sarà scoppiato a ridere poichØ consapevole che non si tratta di una semplice
“affermazione”, ma di una spiritosaggine, o addirittura di una “mini-barzelletta”, che si è
conclusa ancor prima di cominciare.
Una cosa è sicura: ci vuole davvero poco per ridere! Ma ciò che è “poco” è solo il
tempo che trascorre dalla fruizione della spiritosaggine all’apprezzamento della stessa. Non si
può dire lo stesso nel momento in cui si vuole andare piø in fondo alla questione: se Freud si
fosse trovato di fronte ad una spiritosaggine di questo genere, avrebbe scritto pagine e pagine
per spiegarne non solo il significato, ma avrebbe sicuramente trovato diversi modi per
precisare di che tipo di spiritosaggine si tratta – senza contare il fatto che il termine piø esatto
da utilizzare è quello di “motto di spirito”.
Tra le varie “tecniche argute” individuate da Freud, se ne potrebbero considerare
almeno tre necessarie per collocare questa spiritosaggine nello schema da lui stesso indicato
nel saggio del 1905 dal titolo “Il Motto di Spirito e la sua Relazione con l’Inconscio”:
sicuramente la spiritosaggine riportata sopra si presenta come un buon esempio di “giuoco di
parole”, di “equivocità” ed infine di “tecnica dello spostamento”. A questo punto risulta
indispensabile fare qualche passo indietro e scoprire il tutto un po’ alla volta.
11
1. Definire il comico?
Parlare del comico e delle sue numerose
e varie espressioni equivale a parlare dell’uomo stesso;
sia perchØ l’uomo sembra essere l’unico animale capace di ridere,
sia perchØ l’area della espressione comica si estende
in parallelo all’area del tragico, cui fa da contrappunto,
e le due cose insieme caratterizzano di nuovo
il fenomeno dell’umano preso nelle sue piø profonde
e caratteristiche modalità espressive.
(Sini, Il comico)
Si comincerà da una definizione riportata nel dizionario. Alla voce “comico”, infatti, si
legge: “Che è proprio della commedia. Che provoca divertimento, ilarità.”
1
Fosse davvero
così semplice riuscire a definire con così poche parole il comico! Mark Eastman, a tal
propostito, scrive: “All attempts to explain humor have failed, and they all look pretty foolish
to hilarious people, because they take humor seriously. They try to explain it, I mean, and
show what its value is, as part of serious life. Humor is play. Humor is being in fun. It has no
general value except the values possessed by play.”
2
In base a ciò, risulterebbe, quindi, inutile cercare definizioni piø precise: tuttavia, si
dedicherà parte di questo paragrafo alle teorie sul comico e alle sue caratteristiche principali,
senza aver la presunzione di poterne dare una definizione.
¨ risaputo che una notevole quantità di studi sono stati dedicati al comico, a partire
dall’antichità fino ai giorni nostri. Già nel pensiero greco classico, si ritrovano delle prime
illustrazioni sul concetto di comico e sui motivi che conducono l’uomo alla risata: come è
possibile immaginare, la considerazione dei filosofi greci sul comico non poteva che essere
negativa, in quanto valutato come una forza turbatrice dell’ordine costituito che scatenava
nell’uomo reazioni strambe e incontrollate. Non a caso, infatti, nella Poetica Aristotele
sottolinea questa negatività della commedia - maggior rappresentazione teatrale del comico -
affermando che “la differenza fra tragedia e commedia consiste nel fatto che quest’ultima
vuol rappresentare gli uomini inferiori, la prima superiori alla realtà”
3
.
Un ulteriore riferimento all’inferiorità, citata da Aristotele, è possibile ritrovarla anche
in Baudelaire, in particolare collegata all’idea che il riso – espressione del comico – sia la
conseguenza di una degradazione sia del dominio razionale che della morale: ed è per questo
che poteri assoluti e perfetti, come per esempio le figure divine, non conoscono il comico
1
Cfr. N. Zingarelli, Lo Zingarelli 2007. Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2006.
2
M. Eastman, Enjoyment of Laughter, Transactions Publishers, New Brunswick, 2009, p. 15.
3
G.P.Calasso, Ipotesi sulla natura del comico, La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Firenze), 1992, p. 177.
12
perchØ estranei alla vulnerabilità dell’essere umano. In contrapposizione, allora, il comico può
essere interpretato come manifestazione demoniaca e satanica “con riferimento specifico alla
caduta, cioè al passaggio da quello stato di perfezione in cui il comico è inconcepibile, a
quello di vulnerabilità.”
4
Nonostante le diverse formulazioni, la nozione di comico resta comunque un’area
tematica dai confini incerti, la cui maggior peculiarità (se di peculiarità si può parlare) resta
proprio l’indefinitezza che, allo stesso tempo, rivela “la sua natura eminentemente filosofica,
vale a dire inesauribile, in quanto connessa agli interrogativi di fondo che concernono l’essere
umano e il senso ultimo della sua esistenza”
5
(precisamente, volendo offrire un’analogia di
tipo cromatico, quello del comico è un mondo fatto di spazi grigi, all’interno dei quali tutte le
sfumature, dal grigio chiaro al grigio scuro, regalano rilevanti “giochi di colori”). Tale
vaghezza può “fornire invece il pretesto per chiederci se non sia fondamentalmente
improduttiva una qualsiasi ricerca sulle essenze e se non convenga, per ragioni di fecondità
nei risultati, ma soprattutto di opportunità metodologica, definire il comico nei termini delle
sue condizioni d’uso.”
6
Effettivamente, tra le “condizioni d’uso” rientra un elemento importante che rende il
comico sempre nuovo e – potremmo dire – moderno: il comico, infatti, è legato ai diversi
modelli sociali e culturali che, per definizione, sono dinamici e soggetti alla variabilità piø
radicale, e ciò rende impossibile rinchiuderlo in definizioni rigide come le sbarre di una
prigione.
Allo scopo di rimarcare questo concetto, è possibile un confronto con il tragico, il
quale
“può essere paragonato […] ad un firmamento di stelle fisse, vivificato da una “luce” che
prende forza dalla sua stessa sostanza, lo stile sublime. Il tragico è il regno della “fissità”,
esprime valori “generali”, indipendenti dalle circostanza storiche che lo hanno motivato,
potenzialmente scissi dai riferimenti socio-culturali e geografico-antropologici in cui esso si è
determinato. Dappertutto, sotto qualsiasi cielo, si piange allo stesso modo, si soffre secondo
una medesima gamma di intensità
7
4
Idem., p. 187.
5
Idem., p. 13.
6
E. Banfi, Sei lezioni sul linguaggio comico, Labirinti, Trento, 1995, p. 19.
7
Idem., p. 22.
13
Un buono spunto di riflessione nell’analisi del concetto di comico – che si ricollega
all’idea espressa sopra – è offerto anche da Jean Sareil, il quale dice: “si l’on demande ce que
c’est le comique, la seule rØponse à la quelle je puisse entièrement souscrire est ce qui me fait
rire.”
8
In verità, Sareil non ha poi espresso un’opinione così inadeguata: al contrario, si
comprende - ancora di piø – come entri in scena un altro elemento nel discorso
dell’indeterminatezza teorica del comico, vale a dire la “soggettività”; infatti,
l’apprezzamento di un evento comico resta comunque individuale, variabile – ovviamente –
da fruitore a fruitore: e quale altro concetto, piø della soggettività, è parente
all’indeterminatezza?
9
Ciò nonostante, il comico presenta anche una variabile piø statica, costituita
dall’insieme delle strategie linguistiche: nonostante la loro fissità, sembrano comunque unire
– e non imprigionare, sia ben chiaro! – le differenti manifestazioni comiche. Difatti, le
tecniche linguistiche utilizzate nel comico “are universal, although they may not be as
extensively defined as the numerous structural processes in language.”
10
Ancora, Mark Eastman parla di “leggi” che sembrano delle costanti e che, quindi,
rientrano tra i caratteri “statici” del comico. Egli dice, infatti:
All comic experiences obeys these laws […].
First: It is necessary to be, or become playful in order to perceive anything whatever as funny.
Second: In everything that we do perceive as funny there is an element which, if we were
serious and sufficiently sensitive, and sufficiently concerned, would be unpleasant.
11
Sembra, quindi, che un altro elemento costante sia lo stesso fruitore del comico, il
quale, ovviamente, si presenta come elemento determinante: la buona riuscita di una
spiritosaggine o di una situazione comica dipende dalla sua disposizione psichica.
L’impossibilità di dare del comico una definizione precisa emerge anche nella
letteratura: non a caso, infatti, la critica letteraria tende a non definire il comico come un
genere – letterario, appunto – ma, piuttosto, come una tendenza che improvvisamente può
emergere in altri generi:
8
J. Sareil, L’Øcriture comique, Presses Universitaires de France, Paris, 1984, p. 5.
9
A tal proposito, Banfi sottolinea: “[…] ciò che fa ridere a Londra o ad Atene non necessariamente ha lo stesso
esito a Parigi o a Milano; ciò che faceva ridere i nostri nonni a noi pare talvolta francamente peregrino: le
coordinate socio-culturali entro cui si manifesta il comico, prima ancora della sua concreta realizzazione
linguistica, ne segnano la (tendenziale) peculiarità “localistica” e “temporale”.” E. Banfi, op. cit., p. 23.
10
M. L. Apte, Humor and Laughter. An Anthropological Approach, Cornell University Press, Ithaca and New
York, 1985, pp. 178-179.
11
M. Eastman, Enjoyment of Laughter, cit., p. 21.
14
Il comico è “dentro” i tre generi [l’epico, il lirico e il drammatico] e (aristotelicamente) li
“degrada”: tale “degradazione” va ovviamente intesa non come diminuzione del quoziente
estetico del testo quanto, piuttosto, come allontanamento, all’interno di una nuova testualità,
dai parametri della norma canonica […]
12
E ancora, anche Borsellino rimarca lo stesso concetto: “generalmente la voce comico
nei dizionari classici, dal Forcelli alla Crusca al Tommaseo Bellini, rimanda alla nozione di
commedia in opposizione a tragedia e epica, il lemma “comico” non rimanda quindi a una
categoria autonoma, ma a un carattere attribuibile a forme già date”.
13
Non è ancora stato considerato il fatto che, in passato, al comico veniva spesso
attribuita una valenza negativa, in quanto connesso ad una cultura emarginata, come poteva
essere, per esempio, quella popolare. Si era venuta a creare una distinzione tra due culture
che, seppur diverse, viaggiavano parallelamente: vale a dire una cultura alta, quella
aristocratica, ed una bassa, quella popolare.
L’esistenza del comico, sia esso positivo o negativo, descrivibile tramite definizioni o
no, resta, tuttavia, un dato di fatto, un fenomeno universalmente riconoscibile: come si diceva
in precedenza, è impossibile non riconoscere una situazione comica o una spiritosaggine della
quale non ridere.
In conclusione, volendo maggiormente sottolineare questo punto, ricordiamo la
definizione che McDougall ha dato di istinto, ossia “an inherited or innate psychophysical
disposition”
14
: l’istinto, insomma, è un impulso di origine psichica che non scaturisce nØ da
fasi di apprendimento nØ dipende da una scelta personale. Il passo per giungere a paragonare
il comico all’istinto è davvero molto piccolo e le motivazioni di tale accostamento saranno
ben percepibili nelle pagine successive: in riferimento al comico, “there is no other subject, as
we reflect upon it, besides God and laughter, toward which scientific mind has ever advocated
so explicit and particular a humility.”
15
12
E. Banfi, op. cit., p. 28.
13
N. Borsellino, La tradizione del comico. Letteratura e Teatro da Dante a Belli, Garzanti, Milano, 1989, p. 16.
14
W. McDougall, An Introduction to Social Psychology, Batoche Books, Kitchener, 2001, p. 33. Disponibile
online all’indirizzo http://socserv.mcmaster.ca/~econ/ugcm/3ll3/mcdougall/socialpsych.pdf (accesso effettuato il
07/10/2008).
15
M. Eastman, The Sense of Humor, Scribner Publisher, New York, 1921, p. 134.
15
2. PerchØ si ride? I motivi scatenanti del comico
In questo paragrafo verranno illustrate delle ipotesi in riferimento ai motivi che
spingono l’uomo alla risata, con le relative spiegazioni, supportate (laddove possibile) da
esempi moderni, ovvero rintracciabili anche nella vita di tutti i giorni o presi da sketch e
programmi televisivi.
2.1. La psicodinamica comica di Gian Pietro Calasso
¨ facile immaginare che con il termine “psicodinamica” si ponga particolare accento
alla natura psicologica del comico e che, in questo caso, secondo Calasso, assumerebbe le
sembianze di un processo difensivo.
Tutti conoscono il ruolo fondamentale del pensiero razionale nella reputazione
dell’essere umano come figura superiore agli animali di cui pure condivide un insieme di
pulsioni ed istinti: esso conduce così la specie umana al primo posto nel dominio ambientale.
Ed è proprio dalla conservazione del pensiero razionale, in quanto elemento di vitale
importanza per la sua supremazia, che scaturiscono meccanismi di difesa contro qualsiasi
forma di minaccia che sia tale da mettere in crisi il pensiero razionale.
Tra le minacce che possono intaccare il normale andamento del pensiero umano
rientrano proprio i fenomeni comici, nei quali il meccanismo di difesa ha il compito di
“esorcizzare l’allarme scatenato nella psiche da ogni minaccia simbolicamente e
potenzialmente capace di attivare la crisi di cui sopra”.
16
L’ipotesi dell’esistenza di un meccanismo di difesa all’origine del comico si basa
principalmente sull’opposizione di due concetti: quello di sostanziale incongruità e apparente
congruità, i quali, una volta posti a confronto, scatenano un segnale di allarme che – come
già detto – metterebbe in discussione la razionalità umana, o meglio ancora il principio di
causalità, secondo il quale i fenomeni si susseguano unicamente in un processo di causa-
effetto e tutto ciò che non risponde a questa legge è dovuto al caso (anche se in modo forzato,
lo si potrebbe paragonare al terzo principio della dinamica secondo cui “ad ogni azione
corrisponde una reazione uguale e contraria”).
16
G.P.Calasso, op. cit., p. 2.