5
Premessa:
La scelta dell’argomento del presente lavoro di tesi è stata fatta durante una sera di fine
maggio del 2009, alla conclusione del mio percorso Erasmus a Siviglia, a seguito di una
discussione riguardante il tema dell’ecologia del fuoco. Un ingegnere ambientale mi
stava raccontando della sua esperienza in Australia di osservazione di applicazioni di
quemas prescritas
1
al fine di mantenere la biodiversità di territori specifici e prevenire
gli incendi estivi. Al contrario di un incendio (che per definizione è un fuoco
incontrollato), si tratta dell’applicazione consapevole del fuoco al combustibile naturale
in determinate condizioni meteorologiche, di umidità del suolo e di combustibile, in una
zona prestabilita in modo che presenti una intensità ed una velocità di propagazione
tali da permettere di raggiungere determinati obiettivi prefissati in sede di
pianificazione.
2
Una tecnica dunque, di gestione ambientale che consiste nella
utilizzazione del fuoco al fine di ridurre la porzione di biomassa presente (che non
coincide mai con la biomassa totale). Notizie sicure dell’uso di tecniche simili si
ritrovano in Portogallo e nella Francia nel XIX secolo,
3
mentre in Australia sono da
tempo di dominio delle tribù aborigene, attualmente applicate dagli enti locali del
luogo.
4
Negli Stati Uniti dal 1943, quella del fuoco prescritto è una pratica autorizzata
dal Servizio Forestale,
5
oggi largamente applicata anche in diversi Paesi europei. In
Italia la tecnica è considerata con diffidenza per paura che il fuoco possa sfuggire al
controllo e trasformarsi in incendio; anche se viene permesso in quanto regolamentato
da Leggi Regionali
6
in Piemonte, Liguria e Basilicata, nonché dai regolamenti forestali
1
Traduzione: bruciature prescritte. L’aggettivo prescritto si riferisce ai valori e alle modalità applicative
legate alle condizioni di temperatura, umidità, velocità del vento in cui operare che devono essere appunto
“prescritte”. Tale approccio vede nel fuoco uno strumento di gestione e non di distruzione ma è cruciale
la conoscenza del suo comportamento e dei diversi effetti sui diversi tipi di habitat e in quali condizioni.
Questa tecnica a volte viene chiamata fuoco controllato, anche se è un aggettivo più riduttivo rispetto al
tipo e alla profondità delle conoscenze implicate nel “prescritto”.
2
http://www.incendiboschiviconsulenze.com/ApplicazioneFuoco.html.
3
Si vedano i paragrafi Tecniche agricole e fuoco, Importanza del termine della prima parte e il primo
capitolo Piante e fuoco della terza parte del presente lavoro.
4
Si veda il paragrafo il discorso sul fuoco in Australia, secondo capitolo della terza parte del presente
lavoro.
5
Si veda il paragrafo il discorso sul fuoco in U.S.A., secondo capitolo della terza parte del presente
lavoro.
6
http://www.incendiboschiviconsulenze.com/ApplicazioneFuoco.html.
6
della Toscana e della Campania. In Sardegna è in corso la sperimentazione a cura del
Corpo Forestale Vigilanza Ambientale nelle pinete di Is Arenas.
7
Si tratta comunque di
tecniche a rischio d’incedere in sanzioni per chi vi ricorre.
Il tema dell’applicazione di fuochi su un determinato territorio a fini di tutela
dell’ambiente mi riportava ad un capitolo del testo I Respiri della Palude
8
di Nadia
Breda, professoressa di antropologia dell’ambiente dell’Università di Firenze, sulle
tecniche di manutenzione della palude del Busatello, ora considerate illegali. Nel testo
viene spiegato che a causa delle interdizioni post-industriali di pratiche di cura
tradizionali (che prevedono una bruciatura annuale delle stoppie), la palude sia andata
incontro ad un sempre maggiore interramento. Cercare di capire come mai tecniche
riconosciute come ecologicamente corrette ed economiche, legate a saperi estremamente
complessi e radicati sul territorio, vengano valorizzate o screditate in contesti diversi nel
tempo e nello spazio, mi è sembrato un argomento estremamente interessante. Avevo
affrontato tematiche riguardanti l’antropologia dell’ambiente in occasione della tesi
triennale in antropologia delle religioni sui Nuovi Movimenti Neopagani,
9
in relazione
all’esigenza odierna di riappropriarsi di concezioni antiche o lontane nei confronti della
Natura. Attirava quindi la mia attenzione un approfondimento delle tematiche
riguardanti le categorie mentali culturalmente dominanti nelle dinamiche natura-cultura
implicanti il fuoco.
10
Discusso dell’argomento con la professoressa Breda e dopo diverse letture
fondamentali,
11
decisi di ripartire per Siviglia. Il confronto con il contesto spagnolo
dove avevo avuto l’idea del progetto di tesi, mi sembrava importante; a Siviglia inoltre
avrei avuto modo di parlare con Rufino Costa Narangio,
12
anche lui professore di
antropologia ambientale. Grazie al professor Costa Narangio sono venuta in contatto
con due ecologi dell’Università di Biologia di Siviglia, la professoressa Rocio
Fernandez Ale e il professor Angel Martin Vincente i quali, dopo aver ascoltato la
7
Si vedano i paragrafi dedicati al Paradosso del fuoco della terza parte del presente lavoro.
8
N.Breda, I respiri della palude, CISU, Roma, 2001. Si veda anche il capitolo Il Busatello, la palude che
brucia, nella quarta parte del presente lavoro.
9
E.Razzoli, Neostregoneria nell’Orizzonte dei Nuovi Movimenti Religiosi, il caso della Wicca, Università
degli Studi di Firenze, corso di laurea in Formatore delle Risorse Umane e l’Interculturalità, anno
accademico 2006/2007.
10
Si vedano i capitoli della prima parte Fuoco tra natura e cultura, del presente lavoro.
11
Si veda la bibliografia.
12
Rufino Acosta Naranjo, Departamento de Antropología Social, Universidad de Sevilla.
7
situazione della palude del Busatello, mi hanno fornito la documentazione di un loro
studio con caratteristiche similari riguardante la laguna del parco di Doñana.
13
Intanto
avevo ricevuto l’invito da parte del professor Domingo Molina dell’Università di
Ingegneria Forestale di Lleida e Berkeley
14
a seguire dei corsi d’ingegneria forestale e a
partecipare a un viaggio studio sull’utilizzo delle bruciature prescritte, che doveva
svolgersi prima in Esquel, Patagonia, (Argentina), poi in California e alla fine in Florida
e a Idaho (USA). Viaggio che, dopo vari tentativi di conciliare il tutto, non ho potuto
effettuare per impegni in Francia. Ho avuto comunque modo di intervistare alcuni
partecipanti al progetto e il professore, a Lleida durante un soggiorno a Barcellona.
Informandomi invece sulla situazione italiana, ho contattato per prima cosa i
rappresentanti degli enti ambientali coinvolti nella discussione sulla Palude del
Busatello: Lipu e WWF (però in tutte le rappresentazioni regionali, almeno per quanto
riguarda le persone che hanno avuto il tempo o la gentilezza di rispondere alle mie
domande). In un secondo momento mi sono rivolta anche al Corpo Forestale dello
Stato, sempre in quanto istituzione coinvolta in queste dinamiche. Dalle interviste
effettuate ricevevo spesso altrettanti contatti per ulteriori interviste di cui ho potuto dare
nota nel presente lavoro. Inoltre, essendo toscana e trattando appunto delle attività
tradizionali e professionali legate alla manipolazione del paesaggio attraverso il fuoco,
non potevo non parlare della gestione attuale di quella che è la zona umida più
importante a me vicina, il Padule di Fucecchio;
15
e del cliché negativo del paludismo
legato alla Maremma toscana.
16
Di questi due aspetti ho voluto riportare in
confronto/contrapposizione alla situazione del Busatello.
13
L.Menanteau, A.M.Vincente, Biomas productivity and succession in the scrub of Doñana Biological
Reserve in Southwest Spain, in S.N.Margaris y A.H.Mooney, eds, Component of Productivity of
Mediterranean Climate Regions: Basic and Applied Aspects.DR. Junk Publishers. La Haya, Boston,
Londres, 1981. Si veda anche il secondo capitolo Doñana la palude che secca, della quarta parte del
presente lavoro; M.G.Corona, Causas histόricas de la estructuraciόn de los economistas del Parque
Nacional de Doñana, Tesis Doctoral, Universidad de Sevilla, 1986; M.C.Granados, A.M.Vicente,
F.G.Novo, Evolucion conjunta del paisaje y su gestion. El caso del Parqe Nacional de Doñana, Estudios
Territoriakles, 24, 1987; M.C.Granados, A.M.Vicente, F.G.Novo, El Papel del Fuego en los ecosistemas
de Doñana, Departemento de Ecologia, Facultad de Biologia, Universidad de Sevilla, 1987.
14
Dr.Domingo M.Molina professore/ricercatore all’Università di Lleida Department of Crop and Forest
Sciences.
15
Si veda il sottoparagrafo dedicato al tema all’interno del primo capitolo della quarta parte del presente
lavoro.
16
Si veda il paragrafo Il cliché negativo del paludismo nel primo capitolo della quarta parte del presente
lavoro.
8
Non dimenticando di approfondire il caso segnalatomi dagli ecologi spagnoli e vinta
una borsa per un Progetto Leonardo organizzato dalla Provincia di Arezzo in Andalusia,
ho scelto Genatur,
17
ente di Jerez de la Frontera che organizza escursioni di educazione
ambientale nei luoghi protetti dell’Andalusia tra cui Doñana, per studiare da dentro la
situazione su cui mi era stata richiamata l’attenzione. Ho lavorato quindi come guida
ambientale per i mesi che vanno dalla metà di marzo all’inizio di giugno 2010.
Intanto Molina mi informava sul Progetto Europeo Fire Paradox conclusosi a febbraio,
cui aveva partecipato insieme ad un’antropologa francese con la quale mi chiedeva se
volevo mettermi in contatto. Così ho conosciuto Nadine Ribet, ricercatrice associata al
Centre Edgar Morin, nell’equipe Interdisciplinaire d'Anthropologie du Contemporain. La
Ribet ha cominciato a lavorare sul fuoco nel 1996 con una tesi di antropologia sociale e
etnologia.
18
Durante i quattro anni del Fire Paradox Project (2006-2010) ha prodotto due
film documentari
19
e contribuito alla realizzazione di una delle numerose riviste
riguardanti il progetto.
20
Attualmente sta collaborando a diversi corsi e seminari
sull’ecologia del fuoco, a uno dei quali, il 21 e 22 ottobre 2010 ho avuto occasione di
partecipare, sul tema Les plantes et le feu.
21
Dal 2001, il Museo etnobotanico di Salagon
infatti, organizza un seminario annuale che, non a caso nel 2010 (anno dedicato alla
biodiversità), ha riguardato il fuoco. Prima di conoscere Nadine Ribet di persona,
17
http://www.genatur.com/
18
N.Ribet, Les parcours du feu. Technique de brûlage à feu courant et socialisation de la nature dans les
Monts d'Auvergne et les Pyrénées centrales, 2009; autrice anche di un fascicolo iconografico con testo
annesso, ed. l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi
19
Les Maîtres Feu (2008) e Fogo na terra fria (2010), riscontrabili sul sito Eufirelab > E-library >
RIBET, (http://www.eufirelab.org/).
20
Info DFC, Bullettin du centre de documentation “forêt méditerranéenne et incendie”, Cemagref,
groupement d’Aix-en-Provence, juin 2008-n°60.
21
Seminario organizzato dal Musée départemental ethnologique de Haute-Provence Prieuré de Salagon,
04300 Mane, En partenariat avec la Mission à l’Ethnologie (Ministère de la Culture), le CRIA : Centro en
Rede de Investigação em Antropologia (Centre en Réseau de Recherche en Anthropologie), Portugal et le
Conseil Général des Alpes de Haute-Provence.Neuvième séminaire annuel d'ethnobotanique du domaine
européen, Les plantes et le feu, al quale erano presenti, oltre a Nadine Ribet; Danielle Musset, ethnologa e
direttrice del Museo di Salagon; Michel Thinon, ricercatore in phytoécologie nel CNRS, Facultà Saint-
Jérôme Instituto Mediterraneo d'Ecologia e di Paleoecologia; Pierre Lieutaghi, Etnobotamico e scrittore,
Pascal Luccioni, Insegnante di lingue antiche greche, Paul Simonpoli, Etnologo, conservatore del
Patrimonio del Parco Naturale Regionale corso, Jean-Yves Durand, CRIA/UM (Portugal e IDEMEC
(Aix-en-Provence), direttore del Museo di Terra de Miranda; Anne Caufriez, Etnomusicologa, direttrice
del Museo di Ricerca al Musée des Instruments de Musique di Bruxelles; Jacques Joubert, autore
portavoce del cinema delle Alte Alpi; Richard Dumez, Etnoecologo, gestore delle conferenze del
Muséum National d'Histoire Naturelle; Clara Saraiva, Antropologa IICT (Institutot de Investigaçâo
Cientifica Tropical) et CRIA (Centro em Rede de Investigaçâo em Anthropologia), Lisbonne, Portugal,
9
parlandole via e-mail del mio progetto di tesi, avevamo discusso a proposito di luoghi
umidi, de Le Marais Poitevin, parte del dipartimento des Deux-Sèvres, luogo citato
anche nel testo della professoressa Breda,
22
per una eventuale comparazione
interessante.
23
La scelta del terzo luogo è stata dovuta anche al fatto che, introdotta nella
parte Naturale del Parco di Doñana (in quanto guida turistica dell’ente Genatur), mi
sono vista però negare l’accesso alla laguna di Ollala che mi interessava, perché parte
della riserva biologica Nazionale non accessibile se non tramite invito da parte del
Consejo Superior de Investigaciones Científicas a fini di ricerca biologica. Le
informazioni che ho di questa laguna dunque, mi sono state riportate dagli ecologi sopra
citati che vi avevano avuto accesso. Volendo approfondire il tema delle zone umide, mi
sono dunque concentrata sulle Marais Potevin dove mi sono recata ospite della famiglia
Luquet per quelle che dovevano essere solo poche settimane (in attesa di un’altra
collocazione) e poi sono diventati cinque mesi. Sono però partita per la regione Poitou-
Charentes solo dopo aver ricercato una buona base per studiare il luogo da un punto di
vista ambientale. Allo stesso modo che per Doñana ho ricercato un progetto e un ente
che organizzasse escursioni turistiche nella palude per effettuare una pratica
formativa.
24
Attraverso l’invito della signora Sèverine Lambert,
25
proprietaria
dell’Hotel Flores environnemental, in associazione con l'embarcadère Bardet-Huttiers di
Arçais, (ente che organizza escursioni turistiche in barca d’interesse ambientale
all’interno della palude), ho potuto vivere questa esperienza che si è svolta dal 15 di
agosto ai primi di gennaio 2011. Accompagnando le guide e i turisti all’interno della
palude, ho potuto raccogliere testimonianze sulla storia e la tutela del luogo; ma è solo
attraverso la famiglia Luquet che sono stata introdotta anche socialmente nelle Marais, a
interlocutori importanti per la loro posizione emica, forte del sapere tradizionale e non
più soltanto professionale. Senza questo accesso peculiare non avrei potuto accedere in
così poco tempo alle uniche fonti realmente locali/tradizionali che ho potuto riportare.
La differenza sostanziale tra le testimonianze professionali e le tradizionali, come si
vedrà, è appunto l’abbondanza di informazioni anche nozionistiche dei primi, rispetto
Laurence Pourchez, Antropologo al mcf HDR, Département d'Études créoles, Université de la Réunion;
Claude Marco, Presidente dell'associazione Les écologistes de l'Euzière.
22
N.Breda, op. cit.
23
Si veda il terzo capitolo Le Marais Poitevin, il fuoco sull’acqua, della quarta parte del presente lavoro.
24
Progetto da me presentato alla Provincia di Pistoia e finanziato sottoforma di Carta ILA.
10
alla difficoltà del dover riportare le proprie esperienze e conoscenze dei secondi. Non
essendo più un sapere culturalmente diffuso, informazioni sulla manipolazione
dell’ambiente attraverso il fuoco si possono ottenere all’interno dei vari enti
specializzati, o nelle generazioni più anziane delle comunità rurali. Questi ultimi spesso
mantengono però, nei confronti di tali pratiche, una conoscenza di tipo pragmatico,
difficilmente esplicabile verbalmente. Tale difficoltà è inoltre accentuata dalla
percezione dell’illegalità di tali pratiche. Perciò ottenere informazioni di tale tipo non è
semplice. Ho trovato dunque l’indagine su come si è passati da questo tipo di sapere al
sapere professionale, attraverso la conoscenza di ciò che si dice negli enti tutori
dell’ordine in relazione al fuoco, necessaria per comprendere tali dinamiche. La
maggioranza delle testimonianze raccolte dunque, riguardano i personaggi direttamente
“visibili” sulla scena dell’“incendio” ovvero enti, associazioni, forze dell’ordine,
professori, ingegneri; proprio perché la mia intenzione era di valutare i discorsi e le
conoscenze ufficiali sulle applicazioni dei fuochi prescritti al fine di costatare quanto e
dove il sapere emico, parte di un tipo di economia connesso alla cura dell’ambiente,
fosse recepito da chi detiene e detta la cultura ufficiale. Le trascrizioni delle interviste
frutto di questi incontri, come si vedrà, sono dunque risultate piuttosto lunghe ma, a mio
avviso, estremamente interessanti. Questo perché illuminati sulle differenze tra il tipo di
sapere pratico, autonomo, delle pratiche tradizionali e il sapere giustificativo, tecnico o
svalutante (nei confronti della presunta arcaicità delle conoscenze tradizionali), dei
nuovi addetti ai lavori.
Trattando di tematiche legate al fuoco e il paesaggio, l’incendio devastante iniziato il 6
febbraio 2011 nel Parco Nazionale delle Dolomiti bellunesi e conclusosi solo tre giorni
dopo, non poteva rimanermi indifferente. Tale incendio infatti risulta successivo
all’ultimo piano di regolamentazione antincendio stipulato recentemente. La situazione
dunque è da considerarsi grave, in relazione anche alle filosofie di tutela dei luoghi
protetti. Della riflessione su tale caso ho dato nota in appendice.
Il mio percorso si è concluso da quello che è stato per me il punto di partenza, ovvero la
palude del Busatello, dove mi sono recata qualche giorno per poter valutare eventuali
evoluzioni delle tensioni descritte nel testo di Breda.
25
http://www.marais-arcais.com/
11
Il materiale recuperato nei quasi due anni di ricerca è stato suddiviso in quattro parti
riguardanti differenti ruoli attribuiti al fuoco, importanti in relazione alla manipolazione
dell’ambiente: all’interno dell’immaginario umano, in quanto incendiante o arma, in
quanto strumento e in quanto strumento all’interno dell’analisi di casi specifici in
relazione alla tutela dell’acqua. Nelle conclusioni generali mi sono riallacciata ai vari
concetti esposti riprendendo e analizzando le diverse definizioni e concettualizzazioni di
fuoco, per un’analisi finale delle diverse tematiche affrontate.
Da questo percorso di ricerca-studio sull’ecologia del fuoco ha preso forma il seguente
lavoro, la cui intenzione va dunque nella direzione di un’analisi dell’uso sociale
dell’elemento, all’interno della natura antropogena del clima mediteranno. Questo
ponendo attenzione ai differenti discorsi ufficiali relativi al fuoco e all’impatto politico,
ambientale e culturale che tali punti di vista instaurano.
12
13
Parte Prima
Il fuoco. Tra natura e cultura
Capitolo 1. Natura, un concetto culturale
In occidente intorno al sedicesimo secolo, l’idea di cultura si è opposta a quella di
natura.
26
La definizione di ciò che è ritenuto naturale infatti, co-evolve e cambia con la
definizione di ciò che è ritenuto culturale tramite un processo di cosificazione attraverso
il linguaggio.
27
La modalità di descrizione di qualcosa informa dunque, riguardo le
categorie mentali culturalmente dominanti. Così avviene che equivocate descrizioni
culturali di ciò che è ritenuto natura, vengono utilizzate in modo funzionale per
classificare, ordinare, semplificare, comprendere, ciò che ci circonda. Le scienze
analitiche stesse non sono esenti da questo tipo di ragionamento.
28
Natura e cultura
però, non rappresentano di per sé un’opposizione; sono piuttosto i modelli cognitivi
emici ad essere spesso in opposizione con quelli etici.
29
Studiare le concezioni culturali
legate al fuoco, ad esempio, svela questo tipo di ragionamenti.
L’utilizzo del fuoco rappresenta un fattore ecologico che dipende da decisioni di tipo
sociologico.
30
Storicamente è stato utilizzato per il pascolo e l’approvvigionamento
agricolo dello spazio, ed ha avuto grande influenza sulla vegetazione, selezionando
specie con diverso tipo di resistenza. L’uso regolarizzato del fuoco da parte dell’uomo
è abbondantemente documentato dalle diverse disposizioni legali dei diversi luoghi.
Cause naturali come lampi o eruzioni vulcaniche, possono considerarsi irrilevanti
26
R.Ellen e K. Fukui, Redefining Nature, Ecology, Culture and Domestication, Berg, Oxford, 1996, pp.
1-4.
27
Ivi., pp. 4-7.
28
Ivi., pp. 9-17.
29
Vayda Rapport, 1968, R.Ellen op.cit. p.19.
30
R.Folch, Socioecologia dels incendis forestals, in Ecologia del folc, Proa, Barcellona, 1996, pp.255-
256.
14
rispetto all’azione umana diretta (volontaria o involontaria) nel causare incendi,
nonostante il clima mediterraneo presenti caratteristiche di secchezza estiva che possono
durare fino a sei mesi, e che ne accentuano in modo importante il rischio.
31
Una delle
forme fondamentali di prevenzione degli incendi estivi è costituita dalla cura dei campi
e dei boschi attraverso tecniche di pulizia della necromassa. Con l’industrializzazione,
in Europa, sono andate pian piano perdute queste tecniche, con la conseguenza che sono
circa 200.000 ettari di bosco ad ardere annualmente all’interno della conca
mediterranea.
32
Come si può notare a livello massmediatico e legislativo, l’accanimento
negativo nei confronti dell’elemento fuoco si è conseguentemente accentuato
notevolmente. La concezione culturale dell’elemento fuoco, di per sé naturale, si presta
dunque a interessanti analisi psicologiche che ne svelano le radici inconsce collettive
culturalmente interiorizzate, che rivelano un’ambivalenza peculiare di odio/amore con
questo particolare elemento.
Il fuoco è un processo di combustione che può auto-generarsi palesandosi in luce e
calore, la cui azione è, nell’immediato, distruttiva rispetto le strutture organiche che
riduce in fumo e cenere in modo irreversibile. La capacità di maneggiarlo è una
competenza esclusivamente umana, più del linguaggio e dell’uso di strumenti, ed è
universale.
33
E’ impossibile concepire l’umanità senza il fuoco. Sono innumerevoli i
miti sulla sua origine e le tradizioni dell’antichità classica che vi si riferiscono. Questa
grande varietà implica però, una peculiare unità di pensiero sottointesa. Lévi-Strauss
34
ha affermato che un elemento comune a tutti i miti sul fuoco è l’idea che
impossessandosene gli uomini siano diventati veramente umani. Frazer,
35
nel noto
saggio sulla magia e sulla religione documenta la diffusa usanza di accendere fuochi in
occasione di festività estive, fine autunnali o invernali, in analogia con pratiche anteriori
alla diffusione del cristianesimo. La prova più antica della loro esistenza per quanto
31
L.Trabaud, Etude du comportement du feu dans la garrigue de Chêne kermes à partir des temperature
set des vitesses de propagation, Ann. Sci. Forest., 36, 1979, pp.13-38.
32
N.H. Le Houerou, Plant Sociology and Ecology Applied toGgrazing Lands Research Survey and
Management in the Mediterranean Basin, in W.Krause ed. Handbook of vegetation science part.13.
Application of vegetation science to grassland husbandry. Junk The Hague, 1977, pp. 211-274.
33
J.Goudsblom, Fire and Civilization,1992, trasd. Di A. Merlino, Fuoco e Civiltà, dalla preistoria ad
oggi, Donzelli Editore, Roma, 1996.
34
Lévi-Strauss 1992, 1982, J.Goudsblom op.cit. p. VII.
35
J.G.Frazer, The Golden Bough (1922), trad. Di N.Rosati Bizzotto, Il ramo d’oro, Newton &Compton
editori, 2006, pp. 675-706.
15
riguarda l’Europa settentrionale proviene, infatti, dai tentativi dei sinodi cristiani del
VIII secolo, di abolire tali pratiche come retaggi del paganesimo. La stigmatizzazione di
tali pratiche ha contribuito a determinare le attuali concezioni negative relative
all’elemento. Per Lanternari
36
infatti, il rapporto tra religione e ecologia si identifica con
le manifestazioni religiose che hanno accompagnato le origini della cultura nelle diverse
società in riferimento ai comportamenti ed orientamenti mentali espressi verso la natura.
Come ho avuto modo di approfondire nella tesi precedente,
37
con l’avvento
dell’“iperindustrializzazione”, l’inquinamento e i rovinosi danni procurati all’ambiente,
si avverte una sorta di bisogno di ritorno alle religioni pagane, di guardare alle
concezioni considerate “tradizionali” o alle religioni orientali che legano il destino
umano individuale alla totalità cosmica. Qui l’idea di natura è direttamente e
implicitamente investita di un’aura sacrale comportante obblighi devozionali specifici, a
differenza delle grandi religioni monoteiste dove la natura è percepita come “dono” di
Dio all’uomo. In occidente è quasi esclusivamente nel mondo dell’agricoltura che si è
mantenuta la percezione della rivelazione del mistero della rigenerazione vegetale.
38
Con la tecnica agricola l’uomo interviene infatti, direttamente, attraverso una sorta di
cerimoniale, nella vita vegetale che non appare più qualcosa di esterno ma diviene
qualcosa di manipolabile, controllabile.
36
V.Lanternari, Ecoantropologia, Edizioni Dedalo, Bari, 2003, pp. 351-354.
37
E.Razzoli, Neostregoneria nell’Orizzonte dei Nuovi Movimenti Religiosi. Il caso della Wicca,
Università degli studi di Firenze, anno accademico 2006/2007.
38
M.Eliade, Traité d’histoire des religions, Payot, Paris, 1948, trad. Italiana di V. Vacca, Trattato di
storia delle religioni, prima ed. nell’Universale scientifica Borghieri, 1976, prima ed. nei Saggi, 1999,
2004, pp. 301, 302.
16
1.1. Il fuoco nell’immaginario umano
Nel saggio La psicoanalisi del fuoco,
39
Bachelard afferma che il problema psicologico
delle convinzioni culturali relative al fuoco, inficerebbe la realizzazione concreta di un
atteggiamento completamente oggettivo nei confronti di questo elemento. Alla domanda
“che cos’è il fuoco?” si aprirebbe una zona oggettiva impura, in cui le intuizioni
personali si confonderebbero con le esperienze scientifiche. Una pesante tara
graverebbe quindi su queste intuizioni, inducendoci a convinzioni immediate in
relazione a un problema che richiederebbe invece esperienza e misura. Ciò che indaga
Bachelard è la permanenza di una certa idolatria del fuoco,
40
anche nell’ambito
scientifico di cui fa parte.
41
Per l’uomo il fuoco è un essere sociale prima che
naturale.
42
Rappresenta uno dei primi oggetti di divieto generale dell’infanzia per la
pericolosità che presenta. La primissima conoscenza generale che se ne ha, è quella del
divieto sociale. Crescendo, il fenomeno naturale viene inserito in una serie di
conoscenze sociali complesse e confuse che vanno dal pericolo d’incendio alle
leggende sui fuochi celesti e che non lasciano posto alla conoscenza ingenua (ovvero
indipendente) del fenomeno. Bachelard parla di complesso di Prometeo
43
per la
conoscenza del fenomeno attraverso una furba disobbedienza con la quale il bambino
vuole impadronirsi dei saperi osservati nell’adulto. Secondo l’autore è per questo
motivo che si dice che l’incendiario è il più simulatore dei criminali
44
e che, un
incendio determina un incendiario quasi con la stessa fatalità per cui un incendiario
provoca un incendio. Problema, secondo l’autore, solo in parte relativo alla storia della
scienza in quanto la scienza appare adulterata dalle influenze culturali. L’autore
definisce le intuizioni del fuoco ostacoli epistemologici tanto più difficili da rovesciare
quanto più chiari psicologicamente.
45
Nessuna delle pratiche fondate sull’attrito per
39
G.Bachelard, La Psicoanalisi del Fuoco, Edizioni Dedalo, 1993, p.125.
40
Ivi., p.128.
41
Bachelard è stato insegnante di Fisica e Scienze Naturali nella secondaria del collegio di Bar-sur-Aube,
prima di diventare docente universitario in Filosofia alla Facoltà di Lettere di Digione nel 1930. Concluse
la propria carriera alla Sorbona, dove venne chiamato nel 1940 per una cattedra in Storia e Filosofia della
Scienza.
42
G.Bachelard op. cit. p. 134.
43
Ivi., pp. 135, 136.
44
Ivi., p. 137.
45
Ivi., p. 183.