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Introduzione
Nel I Rapporto mondiale sulla disabilità (OMS, 2011), si afferma che l'inclusione
sociale delle persone con disabilità è possibile solo attraverso modifiche strutturali della
società. Non si ragiona più sulla necessità di far diventare “normale” il disabile, ma di
rendere l'ambiente e le relazioni sociali accessibili anche alle persone con disabilità.
La disabilità è una realtà complessa, la cui comparsa dipende dall'interazione negativa
tra i fattori personali (biologici, e psicologici) con i fattori ambientali (del fisico-
costruito e delle relazioni sociali).
La definizione di disabilità è sempre stata influenzata dalle correnti di pensiero
dominanti di ogni epoca.
Il modello medico della salute ha determinato un approccio alla disabilità che
focalizzava l'attenzione sui fattori biologici. Questo approccio definiva la disabilità
come risultato di una menomazione fisica o mentale della persona.
Il modello sociale sposta l'attenzione dal “corpo” alle attività della persona disabile, e
definisce la disabilità come limitazione nelle attività e partecipazione. Tale visione ha il
merito di introdurre la variabile sociale, ma vede la limitazione sempre come risultato di
una menomazione.
Nel 2001, l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) introduce un nuovo
paradigma/classificazione per la misurazione della salute e disabilità, l'International
Classification of functioning Disability and Health (ICF), il quale assume un approccio
bio-psico-sociale.
Nel 2011 l'OMS e la Banca Mondiale pubblicano il Primo rapporto mondiale sulla
disabilità, il quale adotta l'approccio dell'ICF per mettere in risalto, da una prospettiva
multidimensionale, i bisogni ed i problemi che la disabilità comporta. Si afferma che la
disabilità è il risultato delle barriere fisiche e attitudinali (discriminazione) prodotte
dalle società stesse, che comportano alle persone impedimenti nella realizzazione dei
loro diritti umani fondamentali. Perciò diventa necessario affrontare i problemi che
comporta la disabilità con un approccio dei diritti umani. Come risposta nel 2006 l'ONU
ha adottato una Convenzione tra i paesi per i diritti umani delle persone con disabilità
(CRPD).
La disabilità è anche un problema da affrontare con l'approccio dello sviluppo umano, in
quanto si trova in relazione con una condizione di maggiore povertà, di carenza di
istruzione, mancato accesso alla salute e servizi, e disoccupazione. Amartya Sen
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propone un concetto di sviluppo umano in cui al centro troviamo i bisogni delle persone
e le capabilities umane, ovvero la disponibilità di opportunità concrete che offre la
società ad ogni persona. L'approccio delle capabilities umane ci offre una prospettiva
della disabilità concettualmente diversa da tutte le altre, in quanto pone al centro del
discorso ciò che il contesto permette effettivamente di fare a tutti gli individui, e non più
le performance individuali.
Martha Nussbaum utilizza l'approccio delle capabilities per costruire una teoria della
giustizia sociale, che comprenda il bisogno alla cura delle persone che non sono
indipendenti. Lo scopo è quello di teorizzare una concezione di un minimo sociale che
sia in grado di garantire lo sviluppo delle facoltà umane.
All'interno di un quadro globale, lo sviluppo umano è supportato e promosso da una
serie di soggetti eterogenei. Le organizzazioni inter-governamentali hanno avuto un
ruolo importante nella sua diffusione. Negli ultimi anni anche altri soggetti sono
diventati importanti, quali le organizzazioni internazionali non profit o altri privati, per
il finanziamento di programmi per lo sviluppo umano.
Il tema della salute e disabilità è da alcuni anni affrontato da una prospettiva globale,
determinando diversi livelli di responsabilità. In questo quadro variegato di soggetti
pubblici e privati, emerge la necessità di trovare dei regolamenti comuni, a cui il diritto
internazionale con l'uso di trattati o convenzioni sta dando risposta. La disabilità è uno
degli ambiti di cui si occupa il Diritto sanitario internazionale.
Si propone per l'intervento sociale l'approccio dello sviluppo umano, il quale prevede la
promozione dei diritti umani e dell'uguaglianza sociale. Si analizza come a livello
preventivo e riabilitativo, l'intervento sociale di sviluppo nella disabilità individua le
abilità, piuttosto che i deficit degli individui, per costruire e rafforzare le risorse
personali e le prestazioni.
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Cap. I
Il I Rapporto mondiale sulla disabilità
1.1. Che cos'è la disabilità?
Il World report on disability (WRD, 2011), pubblicato dall'Organizzazione mondiale
della Sanità (OMS), definisce la disabilità come parte della condizione umana, in quanto
tutti abbiamo sperimentato determinati periodi di tempo con difficoltà nel
funzionamento e stati di disabilità. Questi eventi ci restringono nell'autonomia
rendendoci temporalmente disabili, si pensi a quando siamo costretti a letto a causa di
un'influenza o dopo un intervento di appendicite, o a chi arriva ad età avanzate e di
conseguenza vede aumentare le sue difficoltà nel funzionamento.
La disabilità è un fenomeno complesso ed implica aspetti multidimensionali. Le sue
definizioni sono state sempre fortemente intrecciate allo sviluppo etico, medico e
politico della società.
Negli ultimi trent'anni del 900 i movimenti delle persone con disabilità e altri gruppi di
minoranze, hanno iniziato a rivendicare il proprio diritto alla diversità facendo una lotta
per essere riconosciuti nelle proprie differenze (49). Questi movimenti avevano lo scopo
di contrastare la tendenza alla istituzionalizzazione delle persone che avevano delle
limitazioni funzionali e l'ampia tendenza alla loro emarginazione. Il modello medico
applicato in generale alla disabilità enfatizzava soltanto la menomazione, ignorando la
relazione tra la disabilità e la dimensione personale e sociale esistente. Parallelamente si
inizia un dibattito concettuale sul significato di salute, dovuto alla messa in discussione
dei paradigmi della medicina fino ad allora accettati. Questi paradigmi avevano una
visione strettamente scientifica della salute e dell'intervento medico, basata sull'uso di
metodi quantitativi statistici per l'interpretazione dei risultati in termini di media.
Determinavano una misurazione della normalità o la salute, in base ai valori più
frequenti presenti in una determinata popolazione, mentre i valori che si discostavano da
questa media, ossia i deficit o gli eccessi, definivano la patologia (6).
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Il nuovo paradigma, proposto concettualmente da Canguilhem, afferma che non esiste
una barriera tra la normalità e la patologia. La salute e la normalità, essendo
caratteristiche funzionali a tutto l'organismo, sono soggettive e qualitative, quindi
definibili da qualunque essere umano vivente. La novità di questo approccio concettuale
alla salute e alla medicina consiste nello spostamento dell'attenzione dalle funzionalità
biologiche e statistiche, all'importanza del contesto, come fattore determinante per la
salute o la patologia (17).
Negli anni 70 (Conferenza di Alma Ata 1978) la Sanità pubblica inizia ad occuparsi di
promozione ed equità in salute, cercando di garantire la giusta distribuzione delle
opportunità per il conseguimento del benessere. Allora i concetti di normalizzazione e
d'integrazione diventano importanti nella cura delle persone con disabilità (94). Per
normalizzazione si intende un azione di sostegno nella quale le persone con disabilità
partecipano nei contesti educativi, sociali e culturali della vita quotidiana, con le proprie
capacità o limitazioni.
Il contesto mutato conduce verso il cambiamento nella definizione di disabilità,
passando da una basata sul “modello medico” (basato su una prospettiva individuale
delle condizioni patologiche o menomazioni fisiche o psichiche presenti), a una
improntata sul “modello sociale” (attribuendo una parte importante di responsabilità ai
fattori ambientali) (87). La trattazione dell'International classification of impairments,
disabilities and handicaps (ICIDH) sarà ispirata su tali principi, ma aver indicato la
limitazione come “derivante da una menomazione o disabilità”, introdusse un legame
tra la malattia (quindi il corpo) e la limitazione e partecipazione della persona. Questo
legame, valse la netta opposizione dei movimenti di self-advocacy e dei gruppi di
attivisti, che videro nel modello la base per un’ulteriore discriminazione delle persone
che avevano delle menomazioni.
Il 22 maggio 2001, vent'anni dopo l'ICIDH, per dare risposta alla complessità
caratterizzante la disabilità, l'OMS durante la 54^Assemblea mondiale della salute,
pubblica l'International Classification of functioning Disability and Health (ICF).
1.1.1. Il modello dell'International Classification of Functioning, Disability and Health
(ICF)
L'ICF sposta l'accento dalla misurazione delle menomazioni presente nell'ICIDH a
quella del funzionamento delle strutture e funzioni dell'organismo, e anche della
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partecipazione e le attività svolte dalle persone adulte. Tale classificazione vuole essere
uno strumento universale, di tassonomia del funzionamento umano, e di tutte le componenti
(determinanti, fattori e conseguenze) delle condizioni di salute. Si introduce una nuova definizione
di disabilità profondamente diversa da quelle precedenti: alle persone con disabilità ora
viene riconosciuto di avere gradi di capacità variabili misurati lungo un continuum
multidimensionale di aspetti organici, personali e sociali (51). L'ICF è sia una
classificazione che un modello di funzionamento della salute, ovvero uno dei modelli
health related functionig (HRF) elaborati dall'OMS (36). L'ICF propone un
cambiamento di paradigma della disabilità nel quale il modello medico e il modello
sociale non sono dicotomici o si escludono a vicenda. Si ipotizza la complessità della
disabilità in un concetto multidimensionale, di natura dinamica, che coinvolge sia le
caratteristiche intrinseche della fisiologia umana e il suo funzionamento, sia le
caratteristiche del fisico e umano-costruito, che l'ambiente sociale e attitudinale (90). Ad
una estremità del continuum, troviamo il funzionamento, il quale risulta dall’interazione
tra l’individuo (con le sue condizioni di salute fisiche e motivazionali) e l’ambiente (sia
quello fisico costruito che quello delle relazioni sociali) in termini positivi, mentre
nell'estremità opposta, troviamo la disabilità che è il risultato in termini negativi di
quest'interazione. Il funzionamento e la disabilità, rappresentano i due stati
complementari della salute, come due poli asimmetrici. La valutazione del
funzionamento e della disabilità è fondamentale per capire la relazione tra l'individuo e
la malattia (67).
Per l'ICF i problemi di salute riguardano l'insieme di malattie acute e croniche, disturbi,
danni e traumi, ma anche altre circostanze quali le gravidanze, l’invecchiamento, lo
stress, le anomalie congenite o le predisposizioni genetiche.
La presenza di una o tutte le seguenti condizioni, porta ad uno stato di disabilità: (fig.1)
menomazioni, cioè alterazioni delle strutture e delle funzioni corporee (riduzione
o perdita) tali da compromettere il movimento, la muscolatura, oltre che
comportare sofferenza e fatica (per esempio la sordità);
limitazione nelle attività, difficoltà che un individuo può avere nell’esecuzione
di attività, per esempio nel mangiare da solo o camminare;
restrizione nella partecipazione, problemi che un individuo può esperire nel
coinvolgimento in situazioni di vita (97); per esempio nel non riuscire a trovare
lavoro a causa dello stigma .