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Premessa
Nel momento in cui ho scelto l'istituto del classamento come oggetto da trattare non credevo
che tale argomento potesse vantare un numero così vasto di espressioni in dottrina e
giurisprudenza. Così, approfondendo giorno dopo giorno la conoscenza in merito, presto mi
son reso conto che avrei dovuto porre dei limiti alla ricerca per evitare che potesse assumere
dimensioni proibitive.
In ordine a ciò, una prima decisione è stata quella di riservare un'analisi al solo concordato
preventivo, evitando di portare avanti un confronto in parallelo con quello fallimentare. Il
motivo è semplice: nonostante ci siano molte analogie fra i due concordati, la mancanza
dell'eadem ratio alla loro base può portare a riflessioni diametralmente opposte.
Talvolta, anche chi partecipa ad uno dei due tipi di concordato si trova a compiere azioni
diverse da quelle che avrebbe messo in atto nell'altro. Ad esempio, in un primo caso, perché
può pensare di continuare il rapporto fornitore/cliente con un soggetto in fase di ripristino
aziendale (in un ipotetico concordato preventivo con tale finalità), viceversa, perché,
trovandosi all'interno di una procedura più vincolante quale il concordato fallimentare, ha
come scopo individuale la mera soddisfazione economica.
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Tutte queste differenze avrebbero colliso con la finalità, da me perseguita, di affrontare il tema
della trattazione da un punto di vista dei principi e dei risvolti pratici, anziché condurre una
tecnica elencazione di norme e metodologie di applicazione. C'è da considerare in aggiunta che
in quest'ipotesi la scorrevolezza di questo elaborato ne avrebbe pagato le conseguenze,
appesantendo oltremodo la lettura.
Il notevole interesse che ha suscitato l'innovazione del classamento nella nuova strutturazione
concordataria è testimoniato da una recente indagine multi-disciplinare compiuta da Ferro-
Ruggiero-Di Carlo in Concordato preventivo, concordato fallimentare e accordi di
ristrutturazione dei debiti - Analisi giuridica ed aziendalistica sulla composizione giudiziaria
della crisi di impresa nelle prassi dei tribunali italiani dopo la riforma: i risultati di un'indagine,
pagine 70-73.
Nel periodo considerato (dal marzo 2005 sino al 31 ottobre 2008) è emerso che circa i tre
quarti dei ricorsi per concordato preventivo (74,5%) hanno previsto la suddivisione in classi.
All'interno di quest'ipotesi, in quasi sei casi su dieci (58,7%) le classi sono state determinate
secondo il criterio congiunto dell'art.160, I comma, lett. c), l.fall, della posizione giuridica e
interessi economici omogenei, mentre, nei restanti, il 26,1% ha previsto una divisione solo per
posizione giuridica e il 15,2% solo per interessi economici.
Altri dati critici dell'indagine sono: la presenza di una percentuale seppur minima (6,8%) di
ricorsi in cui sono stati previsti all'interno di una stessa classe sia privilegiati che chirografari; il
70,6% dei giudici che ha ritenuto un classamento obbligatorio in presenza di privilegiati non
integralmente soddisfatti; il 63% dei giudici che ha ammesso la possibilità, prima dell'udienza
dell'art.162, II comma, di convocare il debitore per avere chiarimenti ed integrazioni
documentali; e ancora il 50% che ha ammesso che il tribunale possa entrare nel merito della
proposta, valutando e motivando sulla veridicità della contabilità e sulla fattibilità del piano,
anche riguardo il corretto classamento dei creditori (17%).
Ciò che si evince da quest'indagine, e che spero si possa cogliere anche nel mio elaborato, è il
totale clima di incertezza in cui versano i giudici, costretti ad operare quotidianamente delle
scelte che rischiano di scontentare in ogni caso una delle parti in questione.
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Capitolo 1
L'introduzione della disciplina sul ‘‘classamento’’: dal dissesto
Parmalat alla riforma del diritto fallimentare
1.1 - Le origini dell'istituto: cenni di diritto comparato e la L.347/2003
Tra le novità normative di maggior rilievo nella riforma fallimentare, che insieme a quella
societaria del 2003 rappresenta una significativa svolta all’insegna della maggiore flessibilità
del diritto, vi è senza dubbio l’introduzione del “classamento” dei creditori; ovvero la
possibilità di suddividere, all’interno di singole classi, degli insiemi omogenei di crediti al fine di
un più corretto raggiungimento della maggioranza.
L’istituto recepito dal nostro ordinamento si ispira allo statunitense Chapter 11 del Bankruptcy
Code (che ha sostituito il Chandler Act presente fin dal 1938), nel quale è stata riconosciuta la
possibilità al proponente del piano di ripartire i creditori per classi omogenee in relazione al
tipo di credito
(1)
.
Come meglio si vedrà più avanti, il nostro sistema presenta forti analogie con quello americano
(per quanto riguarda l’approvazione del giudice pur nel dissenso di più classi c.d. cram down,
ove sia ritenuto fair and equitable il trattamento ricevuto in relazione a quello potenzialmente
ottenibile da una liquidazione fallimentare successiva) e con quello dell’Insolvenzordung
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tedesca
(2)
, dove non è necessaria la maggioranza in ogni classe bensì il consenso del maggior
numero delle classi partecipanti; al contrario però di regolamenti più longevi, la nostra legge
fallimentare fresca di novellazione palesa tutt’oggi evidenti lacune ed eccessive incertezze
ermeneutiche che possono essere utilizzate, a seconda dei casi, con fini strumentali.
L’istituto delle classi dei creditori è stato introdotto per la prima volta nell'ordinamento con la
nota procedura di amministrazione straordinaria (nuova versione) in occasione del dissesto
“Parmalat” (art. 4bis L. n. 347/2003).
Successivamente, è stato "riproposto" negli interventi legislativi che hanno completato la
riforma fallimentare. L’introduzione di questo istituto in un contesto incredibilmente
complesso (quale può essere un’azienda di tali considerevoli dimensioni), si lasciò apprezzare
per il contributo che diede ad un rapido ripristino aziendale avvenuto grazie alla celerità nella
formazione delle maggioranze in seno alla collettività dei creditori, che altrimenti avrebbe
comportato una enorme dilatazione dei tempi d’accordo
(3)
.
Dopo questo importante banco di prova si è inteso accordare sul piano legislativo la possibilità
di ricorrere al “classamento” anche nei concordati. In particolare per quanto riguarda il
concordato preventivo l’art. 160 lett. c) l.fall. statuisce che:
<<L’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo
sulla base di un piano che può prevedere: […]
c) la suddivisione in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei>>.
Da ciò si evince che la suddivisione dei creditori in classi sia stata inserita in un atto negoziale di
natura unilaterale, privo di forma, in modo tale che il debitore possa caratterizzarne
liberamente il contenuto. La suddetta completa autonomia si esplicherebbe soprattutto nella
scelta della previsione, o della non previsione, del “classamento” nella proposta di concordato.
Su questa facoltà si è acceso il dibattito in dottrina e giurisprudenza: il problema è se, al di là
del dato letterale, sia possibile prospettarne un utilizzo obbligatorio.
Altra problematica riguarda la caratterizzazione richiesta per le classi: infatti, <<sebbene il
concetto di omogeneità giuridica sembri riservare minori spunti di criticità, attenendo al
tradizionale e più generale ordine di graduazione dei crediti (ad esempio in prededuzione,
privilegiati, chirografari, postergati), la suddivisione per ‘interessi economici omogenei’ apre
uno scenario potenzialmente caotico. Il legislatore non ha fornito nessuna indicazione al
riguardo, nonostante la nozione di omogeneità economica sia più sfuggente di quella giuridica
e, per così dire, trasversale>>
(4)
.
7
Quindi non ci si può stupire se nella prassi si trovino spesso soluzioni molto creative,
legittimate da carenze normative ed incertezze interpretative. La domanda che sorge
spontanea
(5)
è quella di individuare quale sia il reale scopo della suddivisione in classi così
come è stata concepita nel nostro ordinamento. Occorre - per intendersi - chiarire se
l'interesse consista nel dare a ciascuno “ciò che si merita” migliorando il meccanismo di
formazione della decisione e rimandando tutte le questioni all’autonomia privata, oppure nel
creare uno strumento idoneo a superare la resistenza opportunistica di alcuni creditori.
Note:
(1) A.C. Marollo, Le classi dei creditori nel concordato
preventivo alla luce del D.Lgs. 12 settembre 2007
n.169, cit., 1460; L.G. Picone, La reorganization
nel diritto fallimentare statunitense, in Quaderni
giurisprudenza commerciale n.147, Milano, 1993,
1 ss.; D. Galletti, La formazione di classi nel
concordato preventivo: ipotesi applicative,
www.ilcaso.it, II, 52/2007, 1 ss.
(2) L. Guglielmucci, La legge tedesca sull’insolvenza
(Insolvenzordung), in Quaderni giurisprudenza
commerciale n.204, Milano, 2000, 23 ss.
(3) G. Lo Cascio, Concordati, classi di creditori ed
incertezze interpretative, in Fallimento, 2009,
1129ss.
(4) Sulla problematicità della nozione di interesse
economico così si esprime M. Ferro, Classi di
creditori, in M. Ferro, Le insinuazioni al passivo,
Padova, 2005, 143;
(5) Così si interroga G. Minutoli ne Il controllo
giudiziale sul mancato o insufficiente
‘classamento’ dei creditori: il punto nella prassi e
nella dottrina, in Fallimento, 2010, 48 ss.