INTRODUZIONE I flussi migratori sempre più in crescendo verso l’Italia, i
cambiamenti demografici e le influenze culturali che essi apportano
di conseguenza nel tessuto sociale, sono osservabili ogni giorno
nelle nostre città. All’aumentare del numero di persone straniere
presenti sul territorio, si vedono aumentare inesorabilmente anche
le situazioni problematiche che i servizi si trovano ad affrontare.
La tesi è rivolta ad approfondire in quale modo gli operatori dei
servizi socio–sanitari genovesi, attraverso lo strumento dell’affido
omoculturale, abbiano sperimentato una forma innovativa
nell’intervento di supporto alla genitorialità rivolta alle famiglie
migranti con figli minori in situazione di difficoltà, residenti sul
territorio genovese. Per affido omoculturale s’intende l’esperienza
di accoglienza o di affidamento familiare di un minore straniero in
una famiglia che condivida la sua stessa cultura di provenienza.
Le famiglie straniere che hanno affrontato un percorso di
integrazione positivo nel nostro Paese rappresentano una risorsa
preziosa per le famiglie della stessa cultura che stiano attraversando
un momento di difficoltà. Esse infatti sono a conoscenza sia delle
aspettative di un migrante sia del sistema culturale italiano, dunque,
possono fornire un sostegno e facilitare il processo di integrazione.
L’affido omoculturale è stato sperimentato con lo scopo di dare un
appoggio alla famiglia di origine nella gestione e nella crescita dei
figli. Si tratta di una forma peculiare di affidamento familiare a
tempo parziale ed è regolata dalla normativa vigente in materia di
affidamento.
Per una maggiore comprensione dell’intervento e delle modalità di
attuazione, è necessario procedere in primo luogo con
l’inquadramento normativo dell’affidamento familiare in Italia,
soffermandosi sulla sua funzione, sui rapporti che intercorrono fra
le famiglie, sul ruolo dei servizi e sul suo lavoro per il
3
reinserimento del minore nel nucleo familiare di origine, nonché
sulle problematiche riscontrate durante la sua attivazione.
La disciplina dell’affidamento familiare è contenuta nella legge
184/83, modificata con la novella del 2001 n. 149, la quale ha
introdotto la definizione del diritto del minore <<di crescere ed
essere educato nell’ambito della propria famiglia>>. L’intento della
legge è diretto all’esclusiva tutela dei minori al fine di ridurre i casi
di abbandono e limitare l’utilizzo dell’intervento dell’adozione 1 .
Per garantire e assicurare il diritto del minore alla propria famiglia
il legislatore ha stabilito che le condizioni di indigenza dei genitori
o del genitore esercente la potestà non possano essere di ostacolo
all’esercizio di tale diritto, per questo nell’ambito delle proprie
competenze lo Stato, le regioni e gli enti locali sono legittimati a
sostenere con idonei interventi i nuclei familiari a rischio al fine di
prevenire l’abbandono del minore. Il diritto del minore a vivere,
crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato
senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e
nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in
contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento, quindi, sia i
minori stranieri figli di immigrati stabilmente e regolarmente
residenti sul territorio sia i minori stranieri non accompagnati o in
stato di abbandono sono tutelati dall’ordinamento giuridico
italiano.
Nel caso in cui la famiglia di origine non riesca a provvedere alla
crescita e all’educazione del minore, la legge prevede che vengano
attivati interventi idonei per garantire il diritto alla famiglia, sempre
nell’esclusivo interesse del minore, primo fra tutti l’affidamento
familiare.
Si prevede che il minore <<temporaneamente privo di un ambiente
familiare idoneo>> venga affidato <<ad una famiglia,
preferibilmente con figli minori o ad una persona singola in grado
di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le
1
P. Vercellone, L’affidamento – L’allontanamento del minore da un ambiente
familiare non idoneo , in P. Zatti, Trattato di diritto di famiglia , VI, Giuffrè
Editore, Milano, 2002, pp. 145-146.
4
relazioni affettive di cui ha bisogno>>. L’affidamento familiare è
considerato la modalità di accoglienza privilegiata 2 e solo ove non
sia possibile applicarlo si può procedere con l’inserimento del
minore in una comunità di tipo familiare.
La legge indica quali siano i soggetti legittimati a disporre
l’affidamento familiare e quali siano i contenuti del provvedimento
per l’attivazione dell’intervento. Esistono due tipi di affidamento
familiare, quello consensuale e quello giudiziale. L’affidamento
familiare consensuale è disposto dal servizio sociale locale quando
l’allontanamento del minore dal suo ambiente familiare avviene
previo consenso <<manifestato>> dei genitori (devono
necessariamente acconsentire entrambi) o del genitore esercente la
potestà o del tutore, quando cioè d’accordo con il servizio,
ammettono l’intervento, comprendendone l’utilità per superare la
situazione di difficoltà ed il rischio per il benessere del minore. Per
rendere effettivo l’affidamento le volontà rilevanti sono tre: quella
dell’ente locale che eroga il servizio, quella dei genitori e quella
degli affidatari 3 . Gli accordi da stipulare sono invece due: il primo è
di tipo formale tra il Comune e i genitori, che è anche il
presupposto per il provvedimento amministrativo e il secondo tra
Comune e affidatario, che assume carattere di presupposto di fatto.
Il provvedimento è reso esecutivo dal decreto del giudice tutelare,
il quale compie una funzione di controllo giudiziario. Ove manchi
il consenso degli esercenti la potestà si parla di affidamento
giudiziale, poiché l’organo legittimato a disporre l’intervento è il
tribunale per i minorenni. In questa situazione significa che il
servizio sociale locale, pur ritenendo necessario un affidamento
familiare, non riesce ad ottenere il consenso della famiglia di
origine del minore 4 , quindi si richiama l’intervento del pubblico
ministero. Il pubblico ministero assume la funzione di filtro, infatti
ha il compito di stabilire se il mancato consenso dei genitori sia in
concreto pregiudizievole all’interesse del minore e di procedere con
2
Ibidem , p. 146.
3
Ibidem , p. 153.
4
Ibidem , p.160.
5
la richiesta di attivazione del provvedimento di affidamento
familiare al tribunale per i minorenni.
Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate
specificatamente le motivazioni dell’allontanamento del minore dal
proprio ambiente familiare, i tempi e i modi dell’esercizio dei
poteri in capo all’affidatario, nonché le modalità con cui i genitori e
gli altri componenti del nucleo familiare di origine possono
mantenere i rapporti con il minore. La novella del 2001 si rivela più
rigida sull’aspetto della temporaneità dell’intervento, stabilendone
un termine legale 5 : la sua durata non può essere superiore a
ventiquattro mesi, tuttavia è ammessa proroga del tribunale per i
minorenni <<qualora la sospensione dell’affidamento rechi
pregiudizio al minore>>. Al servizio sociale locale, da un lato, è
attribuita la responsabilità di elaborare un programma di assistenza,
che coinvolga i vari soggetti protagonisti dell’intervento e,
dall’altro, ha l’obbligo di presentare una relazione semestrale
sull’andamento del programma, nonché a vigilare durante
l’affidamento, riferendo <<senza indugio>> al giudice tutelare o al
giudice del tribunale per i minorenni il luogo in cui si trova il
minore.
Dal punto di vista del profilo funzionale, la legge 184/83 prevede
come unico scopo dell’affidamento familiare quello di sopperire
transitoriamente alle carenze presentate dalla famiglia biologica 6 ,
assicurando al minore non solo il mantenimento, l’educazione e
l’istruzione, ma anche le relazioni affettive tipiche della famiglia,
fondamentali per una sana crescita evolutiva, mirando al successivo
pieno reinserimento nel nucleo di origine 7 . L’obiettivo è quello di
proteggere e supportare il minore, permettendo alla sua famiglia di
origine di superare adeguatamente la condizione di disagio.
5
P. Marozzo della Rocca,, L’adozione dei minori. Presupposti ed effetti – Gli
affidi familiari , in Ferrando, G., diretto da Il nuovo diritto di famiglia , Trattato
III, Zanichelli Editore, Torino, 2007, p. 619.
6
Ibidem , p. 620.
7
Ibidem , p.621.
6
Per perseguire tale finalità è necessario che l’intervento di affido
sia dotato di qualche duttilità in modo da poterlo modellare in base
alle esigenze del singolo caso.
Si individuano a questo proposito due tipologie di affidamento
familiare: l’affidamento familiare tipico cd. residenziale e
l’affidamento familiare a tempo parziale cd. “diurno” 8 .
La forma “tipica” dell’affidamento è quella cd. residenziale;
soprattutto negli affidi familiari giudiziali, la cui attivazione
avviene sovente in seguito alla limitazione della potestà da parte
dell’autorità giudiziaria, contro la volontà dei genitori, lo scopo è
quello allontanare necessariamente il minore dall’ambiente che gli
rechi pregiudizio, per questo egli viene accolto stabilmente
nell’abitazione della famiglia affidataria per tutto il periodo di
durata dell’intervento.
L’affidamento inoltre a seconda della famiglia affidataria può
essere extrafamiliare o intrafamiliare 9 .
Il primo si attua quando il minore viene inserito temporaneamente
in una nuova famiglia che deve favorire, secondo le modalità
stabilite nel provvedimento di attivazione dell’affido, il
mantenimento dei rapporti fra il minore e la famiglia di origine.
Nel secondo, quello intrafamiliare, il minore viene affidato a
parenti entro il quarto grado; esso presenta aspetti positivi legati al
fatto che risulta più semplice l’accettazione dell’intervento da parte
della famiglia di origine e l’allontanamento per il minore è meno
traumatico, poiché non viene totalmente sradicato dalla propria rete
parentale. Tuttavia esistono dei rischi: se i parenti sono fisicamente
vicini al nucleo familiare biologico (es. vicini di casa) possono
influenzare la buona riuscita dell’affido creando situazioni di
conflitto familiari e complicazioni nell’esercizio della potestà 10 . Il
8
P. Vercellone, L’affidamento – L’allontanamento del minore da un ambiente
familiare non idoneo , in P. Zatti, Trattato di diritto di famiglia , VI, Giuffrè
Editore, Milano, 2002, pp. 163-164.
9
Terminologia usata da:
L. Burlando, a cura di, L’affido familiare in Italia: quadro normativo, processo
di attuazione e nuove modalità di affidamento , in AA.VV, L’affido omoculturale
in Italia , Sinnos, Roma, 2009, pp. 52.
10
P. Vercellone, L’affidamento – La funzione dell’affidamento. Diverse ipotesi di
affidamento , cit., p.164.
7
servizio sociale locale ha il compito di monitorare tali situazioni,
tenendo aggiornati gli organi giudiziari di controllo.
L’affidamento intrafamiliare è considerato “anomalo”, come
l’affidamento a tempo parziale o cd. diurno 11 .
Questa tipologia di affido non è prevista dalla legge 184/83, in
quanto l’affidatario non accoglie stabilmente il minore presso di sé,
quindi non prevede una convivenza notturna, ma può ritenersi un
intervento di <<promozione del diritto dell’nfanzia e
dell’adolescenza>> introdotto dalla legge 285/97.
La funzione dell’affido a tempo parziale è diretta al sostegno del
minorenne e della sua famiglia attraverso un intervento basato su
un allontanamento limitato ad alcune ore del giorno. Esso si
diversifica da quello tipico residenziale nella modalità di
attuazione, traducendosi in un appoggio nelle attività educative e
scolastiche, ad esempio durante le ore di impegno lavorativo dei
genitori, che permette al minore, pur rimanendo residente in casa
propria, di sperimentare esperienze integrative positive per il suo
sviluppo psicofisico al di fuori dell’ambiente casalingo e alla
famiglia di origine di acquisire nuovamente autonomia 12 .
Tale considerazione si è rivelata cruciale nella mia ricerca poiché in
essa trovano legittimazione le nuove forme di affidamento
familiare, tra cui quella dell’affido omoculturale, sperimentate dal
Servizio Affido Familiare del comune di Genova nell’ultimo
decennio.
Per quanto concerne la figura dell’affidatario, si stabilisce che il
minore venga affidato <<ad una famiglia, preferibilmente con figli
minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il
mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di
cui ha bisogno>>. Con il termine “famiglia” si fa riferimento non
11
Ibidem , p.164.
12
Ibidem, p.167. Vercellone fa riferimento alla delibera della giunta comunale di
Torino del 17 giugno 1986 in materia di affidamento familiare parziale che
definisce <<l’affidamento a volontari senza convivenza notturna come una
tipologia di intervento per il sostegno oltre che del minorenne anche della
famiglia di origine e identifica l’area di applicazione in appoggio: - ai minorenni
nelle attività educative/scolastiche; - agli adolescenti che si trovano in situazione
di rischio e di emarginazione che rifiutano l’affido residenziale; - alla famiglia
perché sia in grado di giungere ad una sua autonomia.>>
8
solo ai coniugi ma anche alle coppie di genitori non legate in
matrimonio 13 . La normativa pone singoli e coppie sullo stesso
piano; l’elemento di preferenza è caratterizzato dalla presenza di
figli minori nel nucleo familiare, che fa presumere una migliore
adeguatezza degli affidatari nel soddisfare le esigenze affettive
dell’affidato, avendo già affrontato l’esperienza genitoriale con i
propri figli.
Sotto il profilo dei diritti e doveri dell’affidatario e dei rapporti con
la famiglia di origine, la legge ha eliminato l’obbligo per
l’affidatario di agevolare il rapporto tra il minore e i suoi genitori al
fine di favorirne un sereno reinserimento all’interno della famiglia
di origine. Con la modifica viene stabilito che il servizio sociale
<<su disposizione del giudice o secondo le necessità del caso,
agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro del
minore nella stessa secondo le modalità più idonee, avvalendosi
anche delle competenze professionali delle altre strutture territoriali
e dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indicate
dagli affidatari>> e rappresenta quindi l’organo intermediario fra
affidatari e genitori che opera nell’esclusivo interesse del minore.
Pare ovvio che gli obblighi e i diritti degli affidatari nei confronti
del minore e della famiglia di origine differiscano a seconda del
singolo caso e della tipologia di affido (residenziale o diurno) e
delle prescrizioni stabilite dall’autorità affidante 14 ; in linea generale
si può affermare che l’affidatario esercita i poteri inerenti alla
potestà in relazione agli ordinari rapporti con l’istituzione
scolastica e con le autorità sanitarie seguendo le prescrizioni
dell’autorità affidante, sia in caso di decadenza sia in caso di
limitazione della potestà dei genitori. Agli affidatari non è tenuto di
rivolgersi direttamente ai genitori, ma si richiede prima il confronto
con il servizio che segue il caso e si occupa del controllo
sull’intervento.
13
P. Vercellone, L’affidamento – La funzione dell’affidamento. Diverse ipotesi di
affidamento , cit., p.167.
14
P. Vercellone, L’affidamento – L’affidatario , cit., p.169.
9
Anche la scelta dei volontari e la valutazione della loro idoneità
spetta al servizio sociale locale che si occupa di gestire il percorso
di formazione e preparazione delle persone interessate all’affido
congiuntamente agli psicologi dell’ASL, i quali sono addetti alla
selezione e all’abbinamento dei minori con gli affidatari, nonché
alle associazioni familiari.
Nel comune di Genova la commissione centrale affidi dispone
appositi elenchi di persone già motivate e formate ai quali fare
riferimento nel caso di richiesta di attivazione dell’intervento da
parte dei vari servizi sociali territoriali.
Riassumendo i compiti del servizio sociale in ambito
dell’affidamento familiare sono:
- disporre l’affidamento consensuale e proporre, in caso di
dissenso dei genitori del minore, al pubblico ministero presso il
tribunale per i minorenni di procedere;
- redigere il programma di assistenza;
- vigilare durante l’affidamento con obbligo di aggiornare per
mezzo di relazione il giudice tutelare o il giudice del tribunale
per i minorenni circa l’andamento dell’affido e la situazione del
minore;
- agevolare i rapporti fra le due famiglie e sostenere a livello
educativo e psicologico il minore e le famiglie;
- gestire il percorso di formazione, preparazione e selezione delle
persone volontarie, in rete con i servizi dell’ASL e le
associazioni.
La cessazione dell’affidamento familiare, che per legge è un
intervento temporaneo con una durata stabilita, avviene tramite
provvedimento dell’autorità che lo ha disposto nel caso in cui
venga meno la situazione di difficoltà della famiglia di origine o
alla scadenza del termine prestabilito, ove una eventuale
prosecuzione rechi pregiudizio per il minore. La tutela
dell’interesse del minore è dunque sempre al centro della decisione
del servizio sociale e dell’autorità giudiziaria. Nella norma non è
previsto che l’intervento cessi per il cambiamento di opinione dei
10
genitori o dell’affidatario 15 , tuttavia il servizio deve tenere conto di
eventuali problemi legati al venir meno del consenso dei genitori o
della disponibilità degli affidatari e, valutato l’interesse
dell’affidato, procedere nel modo più idoneo per non creare danno
al minore, cessando l’affido o tentando di superare il momento di
crisi 16 .
Non poche sono state le problematiche nelle modalità di impiego
degli affidamenti familiari, dalla legge del 2001 di modifica della
disciplina ad oggi. Nell’ambito degli affidi svolti con le famiglie
italiane gli aspetti problematici più significativi si riferiscono
all’applicazione di alcune disposizioni contenute nella normativa 17 ,
che riassumo brevemente. In primis la volontà del legislatore di
porre l’affidamento familiare come modalità preferenziale di
intervento per la tutela e la protezione del minore, privo
temporaneamente di un ambiente familiare idoneo alla sua crescita,
ha creato difficoltà agli operatori, soprattutto nei casi in cui i
genitori esercenti la potestà non fossero favorevoli a quel tipo di
sostegno. L’apposizione poi del termine legale di ventiquattro mesi,
seppur prorogabile nell’interesse esclusivo del minore, ha irrigidito
lo svolgimento dell’intervento, in quanto per una famiglia di
origine con una situazione ad alto livello di criticità, raramente in
due anni i servizi sociali territoriali riescono a far recuperare ai
genitori l’idoneità affettiva necessaria al reinserimento del
minore 18 . L’affido familiare diventa dunque oggetto di una
inevitabile dissonanza fra il suo scopo teorico, quello
dell’allontanamento provvisorio del minore dal suo nucleo
familiare in vista del suo reinserimento, e la sua attuazione pratica
che in concreto prevede statisticamente numerose proroghe
19 .
15
P. Vercellone, L’affidamento – La cessazione dell’affidamento , cit., p.172.
16
Ibidem, p.172.
17
P. Marozzo della Rocca, Sussidiarietà e residualità dell’adozione – Gli affidi
familiari , cit. p. 616.
18
Ibidem , p.620, con riferimento a: COORDINAMENTO NAZIONALE
SERVIZI AFFIDI (CNSA), La legge 149/01: riflessioni del Coordinamento
Servizi Affidi , in Quaderni del centro di documentazione e analisi per l’infanzia
e l’adolescenza , 2002, 2, p.101 e ss.
19
P. Marozzo della Rocca, Sussidiarietà e residualità dell’adozione – Gli affidi
familiari , cit. p. 621.
11