8
Introduzione
Il peso dell‘autenticità nella popular music
Abbiamo scritto belle canzoni, perché non sapevamo
scrivere canzoni.
Gino Paoli.
In qualsiasi momento vi sia divisione del lavoro musicale
emerge la questione della risposta alla produzione da
parte di coloro che sono collocati nella parte inferiore
della catena di produzione (che siano diffusori, interpreti,
ri-creatori, partecipanti o ascoltatori): sarà
appropriazione, accettazione, tolleranza, apatia o rifiuto?
In presenza di una stratificazione sociale, e quindi di
musiche alternative, la questione diventa più pressante:
da dovunque provenga questa musica, la faccio mia, la
rifiuto come qualcosa di estraneo, o la consumo con più o
meno entusiasmo? La musica veramente autentica è la
musica di cui si appropria, la musica che viene integrata
in una pratica sociale soggettivamente motivata.
R. Middleton.
Esistono nel linguaggio umano alcune parole che sembrano possedere di una sorta di
potere magico; esse rimandano di solito a concetti che sono dotati di una forza evocativa
tale da proiettare la loro luce il significato che la semantica può aver attribuito loro in
secoli di storia. Uno di questi concetti è quello dell‘autenticità.
Prossimo, talora sinonimo, dei concetti di fedeltà e coerenza, ―autentico‖ è un vocabolo
che si presta tanto a descrivere una qualità dell‘animo quanto una virtù del fare umano.
Il concetto di ―integrità‖, ad esso altrettanto vicino, rende ancora più trasparente la forte
valenza etica dell‘autenticità: da un punto di vista puramente descrittivo, si dice
solitamente che ―integro‖ sta ad indicare un oggetto o soggetto le cui parti si trovano in
una comunione tale da conferirgli unità e coerenza - tanto che nel secondo caso usiamo
il termine in-dividuo; dall‘altro lato, con spirito invece normativo, si afferma poi che
9
tutto questo è un bene. Una simile idea – la cui origine si perde nella notte dei tempi
1
- è
allo stesso tempo una teoria estetica e un‘etica; anzi, sarebbe forse più corretto dire che
esse convivono fino a fondersi e confondersi, cosicché risulta del tutto naturale la catena
logica per cui ciò che è armoniosamente unito nelle sue parti – integro, appunto – è
―bello‖: dunque è ―buono‖. La filosofia del kalos kai agathos ha, tra le altre cose,
spianato così la strada alla valorizzazione alla nozione di origine, che nel discorso
sull‘autenticità è sorella di quella di originalità
2
: la premessa fondamentale è quella
secondo la quale un oggetto culturale, per essere ―buono‖, debba necessariamente
mantenere un qualche legame col suo luogo d‘origine. Questo luogo può essere iscritto
nello spazio fisico, ma può anche trovarsi nella mente dell‘artista che riproduce
l‘atmosfera ―tipica‖ di una tradizione magari perduta nel tempo; l‘importante è che il
legame con l‘origine non venga mai reciso, pena la perdita di legittimità dell‘opera, o
nei casi più estremi, l‘esclusione della stessa dall‘universo artistico e la retrocessione
allo status di anonimo prodotto industriale, commerciale, o di frutto nocivo generato da
una cultura imbastardita che ha rinnegato le sue origini mischiandole con altre.
―Integro‖ e ―originario‖ rimandano qui allo stesso principio: a dover rimanere integra,
ad ogni costo, è esattamente l‘origine della cosa; o almeno la sua apparenza. Questo
culto romantico delle origini è sempre pronto tramutarsi in un interesse feticistico per
quelli che si suppone essere gli attributi distintivi dell‘―oggetto autentico‖. Così ad
esempio ci troviamo a considerare ―autentica‖ l‘esibizione di quattro signori corpulenti,
vestiti per l‘occasione con ―abiti tradizionali‖ tirolesi che magari nella vita di tutti i
giorni fanno, chi il rappresentante di articoli sportivi, chi l‘idraulico, chi il manager, e a
considerare, invece, ―inautentica‖ quella cultura che non corrisponda a particolari
requisiti di ―tipicità‖.
La tipizzazione stessa è un‘operazione molto meno innocente di quanto comunemente si
pensi: dal momento che la cultura è costantemente soggetta ai rivolgimenti e ai
rimescolamenti cui sono soggetti i suoi portatori, ossia gli esseri umani – guerre,
conquiste, migrazioni e deportazioni di massa ne sono gli esempi più evidenti –
affermare la ―tipicità‖ di un certo elemento culturale implica o spesso il riferimento a
1
Anche se possiamo trovare un primo riferimento sicuro perlomeno a partire dal principio di kosmos
elaborato nell‘antica Grecia.
2
R. Krauss, L‟originalità dell‟avanguardia e altri miti modernisti, Fazi, Roma 2006.
10
una particolare epoca, o la dimenticanza, più o meno deliberata, della vera origine di
tale elemento. Infatti, ciò che rende smisuratamente impervia la ricerca dell‟autenticità
è il fatto che molto spesso l‘origine dalla quale un certo elemento culturale ricava il
proprio status di ―autentico‖ viene essa stessa, come si è già detto, trasfigurata attraverso
un processo di idealizzazione. Una particolare località geografica, un popolo, uno slang;
ogni oggetto e contesto culturale può incarnare l‘idea dell‟origine. In tali casi, ciò a cui
assistiamo è nientemeno che al congelamento della storia: una volta identificato il
momento che si suppone fondativo per una determinata tradizione artistica, avremo allo
stesso tempo individuato il modello da cui ogni esperienza dovrà prendere le mosse.
Particolari forme e varianti storiche si cristallizzano in luoghi comuni e acquistano
valore universale, finiscono per incarnare un concetto, un‘―idea‖ platonica capace di
piegare a sé tutte le successive forme che si origineranno. In campo musicale, le
massime espressioni dell‘―autentico‖ sono probabilmente la tradizione folk – che negli
U.S.A. si declina nel country – e la tradizione blues. L‘una di matrice bianca, l‘altra di
origine nera, esse esprimono due mondi sociali diversi, per lungo tempo perfino
contrapposti, ma hanno caratteristiche tali da renderle in qualche modo simili, se non per
l‘aspetto strettamente musicale – nel quale esistono importanti differenze – sicuramente
nel fatto di rappresentare l‘ideale di “musica autentica”: esse rappresentano la verginità
di un mondo rurale ormai minacciato – nella sua integrità culturale, per l‘appunto – dalla
modernità. Se l‘industrializzazione e l‘urbanizzazione hanno già reso, a livello sociale,
la modernità una realtà ormai affermata, anzi colta con l‘entusiasmo di un popolo che
dell‘adattamento a contesti diversi ha fatto la propria forza e che è abituato a vedere
ogni cambiamento storico come un‘opportunità, quando si entra nel discorso sulla
cultura le cose possono cambiare, anche sensibilmente.
Perciò quando, negli anni Sessanta, la ―modernizzazione‖ della musica americana si sarà
concretizzata nelle forme di una musica sempre più ―elettrica‖, il pubblico rock sarà
costretto a dividersi: fra coloro che sposeranno il nuovo status quo accorrendo in massa
ai concerti di Jimi Hendrix, grande domatore di quel un nuovo mostro fatto di legno,
trasduttori e cavi di rame, che è la chitarra elettrica, e fra coloro che, invece,
preferiranno il suono grezzo e ―genuino‖ della chitarra acustica di Woodie Guthrie.
Questa dicotomia sarà credibile finché Bob Dylan, folksinger di razza ―allevato‖ al
Greenwich Village, spiazzerà tutti i nostalgici del folk presentandosi con una Fender
Stratocaster e un amplificatore.
11
Tutte le problematiche appena descritte sono essenzialmente riconducibili al fatto che, a
differenza della nozione di ―natura‖, quello di ―cultura‖ è un concetto riflessivo; esso
impone cioè una riflessione sui valori che la compongono e le forniscono un particolare
insieme di significati piuttosto che altri, e dunque dei discorsi su tali concetti. Come
vedremo, infatti, il tratto distintivo dei processi culturali e il loro essere pratiche
significanti, ovvero pratiche sociali soggette a un interpretazione
3
: ed è proprio per
questa possibilità di dare un interpretazione che sorgono dei conflitti simbolici attorno
alla definizione di una particolare nozione. Come sostiene Lotman, l‘evoluzione
culturale, si differenzia dall‘evoluzione naturale:
[…] per il ruolo che vi giocano le autodescrizioni e le rappresentazioni
che vengono date di una cultura (ivi, p. 152). Un rappresentante, un
membro di una cultura, si sente tale perché avverte la presenza di un
sistema di valori che egli assume e assieme determina
4
.
Lotman osserva che, «data la natura ―chiusa‖ del concetto di cultura, quest‘ultima
presuppone l‘esistenza di qualcosa che le sia in netta opposizione: una non-cultura o
qualcosa rispetto alla quale essa in ogni caso si contrapponga»
5
. E‘ per tale ragione che
anche tutto il discorso estetico e sociologico attorno alla nozione di ―autentico‖ ha
assunto da subito i toni della disputa ideologica: l‘―autenticità‖ è divenuta la posta in
gioco su cui si sono articolate molte delle successive fratture verificatesi all‘interno del
campo culturale. Dopo la guerra simbolica tra Romanticismo e Modernismo, tra il
primato dell‘originarietà e quello dell‘originalità, il conflitto non ha cessato di esistere,
ma anzi continua tuttora trovando una concrezione nelle sottoculture giovanili, le quali
si autodefiniscono – o per dirla con Lotman, si «autodescrivono» - proprio opponendo le
proprie caratteristiche di ―autenticità‖ rispetto alle altre. Lo stesso dicasi per la
cosiddetta ―canzone d‘autore‖, un ―genere‖ sorto in Italia nella seconda metà del
Novecento connotandosi da subito come genere d‘opposizione all‘allora dominante
tradizione melodica della ―musica leggera‖. Anche in questo caso, il riconoscimento di
3
M. Santoro, La leggerezza insostenibile. Genesi del campo della canzone d‘autore, Rassegna italiana di
Sociologia a. XLI, n. 2, aprile-giugno 2000.
4
L. Spaziante, Hit, beat, cool. Culture musicali giovanili e sistemi di valore, in E/C, n. 1, 2007, p. 77.
5
Ibid.
12
una posizione autonoma all‘interno del ―campo della canzone italiana‖ è avvenuto dopo
un lungo processo di costruzione simbolica che ha investito, prima la figura del
―cantautore‖ – definitasi attorno al mito dell‘―artista‖-bohèmien-outsider - poi attraverso
la rappresentazione della ―canzone d‘autore‖ come canzone ―autentica‖ per il fatto che,
per la prima volta, è l‘autore stesso che ―parla‖ direttamente col suo pubblico,
eliminando così la mediazione dell‘interprete – oltre al riconoscimento di una qualità
poetica di un certo rilievo che la pone a cavallo tra cultura ―popolare‖ e cultura ―alta‖,
creando qualche imbarazzo al discorso strutturato su tale suddivisione della cultura.
Il problema dell‟autenticità è un problema che nasce sostanzialmente con l‘era
moderna
6
, ovvero quando si innescano e arrivano a compimento una serie di
macroeventi che coinvolgono la sfera sociale, quella economica e quella culturale,
accentuando il contrasto tra natura e cultura. Contrasto che si riverbera all‘interno della
nozione stessa di ―cultura‖, dove troviamo una concezione della stessa come patrimonio
di arte e costumi ereditati dal passato – e quindi una sorta di “seconda natura” – e
un‘altra che invece la considera l‘elemento caratterizzante dell‘animale-uomo, il portato
più significativo delle sue facoltà razionali e, in ultima analisi, della sua capacità di
modellare la natura.
Se fino all‘avvento della modernità i processi di cambiamento sociale avevano tempi
relativamente molto lunghi e la Tradizione esplicava tutta la sua potenza informando
regole comportamentali e gusti culturali all‘insegna della continuità, da un certo
momento in poi l‘umanità si trova a disporre di una serie di conoscenze e tecnologie che
hanno l‘effetto immediato di accorciare esponenzialmente i cicli del cambiamento
storico: la scienza completa il suo percorso di collocazione all‘interno del sapere umano
attraverso l‗istituzionalizzazione in una disciplina accademica – tramutandosi poi in una
―ideologia del Progresso‖, quale il Positivismo -; i Futuristi sono folgorati dal fascino
della ―macchina‖ e della ―velocità‖, i due miti per eccellenza della modernità.
Dunque, la storia delle civiltà occidentali si consolida in una forma mentis totalmente
votata al futuro, che prende ora le forme della rivoluzione scientifica, ora quelle della
rivoluzione industriale, infine quelle della rivoluzione politica francese e americana. In
ambito artistico l‟ideale di “autenticità” comincia a distaccarsi sempre più dalla
nozione di originarietà per associarsi invece a quella di originalità. Al culto del passato
6
L. Marconi, Il Rock‟n‟roll, in Storia della civiltà europea, Il Novecento vol. 18.
13
il modernismo sostituisce il primato dell‘originalità, del gesto che dell‘artista che, come
dice Rosalind Krauss, fa nascere l‘arte dal nulla:
L‘artista d‘avanguardia ha assunto molti volti durante il primo secolo
della sua esistenza: rivoluzionario, dandy, anarchico, esteta,
tecnologico, mistico. Ha intonato una quantità di credo molto diversi.
Vi fu un‘unica variante, sembra, nei discorsi dell‘avanguardia: il tema
dell‘originalità. Per originalità intendo più di quella sorta di rivolta
contro la tradizione che traspare dal «Make it new» di Ezra Pound o
delle esortazioni dei futuristi italiani a distruggere i musei che coprono
l‘Italia come «cimiteri innumerevoli». Più di un rigetto o una
dissoluzione del passato, l‘originalità avanguardista è concepita come
origine in senso proprio, un inizio a partire da niente, una nascita
7
.
In realtà, nell‘artista descritto da Krauss come «rivoluzionario, dandy, anarchico, esteta,
tecnologico, mistico», insomma il bohèmien, incorpora ancora una concezione di
autenticità di tipo romantico, anzi, si potrebbe addirittura affermare che se la sua ricerca
di originalità contribuiscono a sedimentare un‘idea dell‘arte e dell‘―artista‖ moderno
come ―genio assoluto che crea dal nulla‖, il suo stile di vita isolato e anticonvenzionale
ha un duplice significato: da un lato rappresenta, coerentemente con il suo ideale
artistico, la rottura con le regole sociali del passato, ma dall‘altro, esprime una critica
della società industrializzata e una nostalgia romantica per l‘autenticità dell‘epoca pre-
industriale.
Tuttavia, già con l‘artista ―d‘avanguardia‖, modernista in senso proprio – che formerà
cioè in seno all‘avanguardia una vera e propria corrente ―modernista‖ – l‘attività
artistica acquisisce una valenza spiccatamente ―culturale‖: la pittura, ad esempio,
richiamata dai dettami di Clement Greenberg a reclamare un proprio spazio autonomo
non solo rispetto alle altre discipline artistiche, ma soprattutto verso la raffigurazione
della natura
8
, si concentrerà nel mettere in evidenza la sua origine artificiale
diversamente da quanto avevano fatto i Maestri classici, la cui arte era sempre stata
improntata sul principio ―arts est celare artem”
9
. Nella concezione modernista, l‘arte
7
R. Krauss cit. in Alle origini dell‟opera d‟arte contemporanea, a cura di G. Di Giacomo-G. Zambianchi,
Laterza, Bari 2008, p. 157.
8
C. Greenberg, Modernist painting, in V oice of America forum lectures, V ol. 14: Visual arts.
9
Per una trattazione esauriente del tema dell‘artificio nell‘arte si rimanda a P. D'Angelo, Ars est celare
artem. Da Aristotele a Duchamp, Quodlibet, Macerata 2005.
14
può essere considerata “autentica” nella misura in cui risponde alle esigenze espressive
del suo autore, ovvero, senza che tra questi e la sua opera vi siano interferenze esterne.
Dunque, il problema dell‘autenticità non si pone nel modernismo in termini di
―naturalezza‖, ―genuinità‖, ―spontaneità‖, ecc.. ma, all‘opposto, l‟“autenticità” consiste
nella fedeltà dell‟artista alla propria idea: una fedeltà che non accetta né mediazioni
con la natura, né compromessi con esigenze extra-artistiche.
E‘ esattamente seguendo questa concezione di autenticità che alcuni filoni, come quello
psichedelico e poi quello progressive, intenderanno riformare il rock. Essi
assumeranno atteggiamenti vagamente ―avanguardisti‖, trovando nella costante
sperimentazione di nuove forme e nuovi suoni la strada più idonea per riportare la
musica a quelle pretese di artisticità che aveva abbandonato assumendo una
connotazione popular e ―commerciale‖. In contrasto col coevo ―folk revival‖ si
avvarranno delle più moderne tecnologie come oscillatori, sintetizzatori ed effettistica
varia, al tempo stesso riprenderanno molti elementi della tradizione ―colta‖,
contaminando il rock con influenze barocche o jazz
10
.
Quello della cosiddetta popular music è dunque un contesto che si complica a vista
d‘occhio, dal momento che questi diversi modi di concepire l‘autenticità non si
sostituiscono, ma si affiancano, si combattono – come avverrà alla fine degli anni
Sessanta fra l‘emergente autenticità modernista del rock psichedelico e quella romantica
e conservatrice delle forme classiche del rock
11
- e talvolta persino si sovrappongono.
E‘ il caso, come si diceva, della figura dell‘artista bohèmien, che rimarrà l‘archetipo
prevalente dell‘artista contemporaneo. Con il suo rifiuto della ―commercializzazione
dell‘arte‖ egli continua ad incarnare il mito, romantico e modernista allo stesso tempo,
dell‘arte come attività ―disinteressata‖. Il rocker, o il ―cantautore‖ sono eroi della
contemporaneità che assumono su di sé il peso della costruzione di una cultura
alternativa a quella ―commerciale‖ e ―disimpegnata‖ del mainstream, giudicata ―non
autentica‖. Spesso, lo fanno in nome della tradizione popolare, ma, quasi sempre,
rivendicano per sé un ruolo attivo nella ricontestualizzazione di tale tradizione,
rifiutandosi di agire come meri strumenti di diffusione.
10
Anche quando gli Area si cimenteranno in un progetto quasi etnomusicologico di recupero delle
sonorità mediterranee, questo risulterà però scevro di qualsiasi intento celebrativo di tipo ―revivalistico‖,
rappresentando invece l‘ennesima occasione di sperimentazione.
11
L. Marconi, Autenticità e artisticità rock, in Storia della civiltà europea. Il Novecento vol. 18
15
Col passare dei decenni si viene a creare nella scena musicale un tale sovraffollamento
di stili diversi che ne vengono a risentire gli confini di ―genere‖
12
. Categorie create sia
dalla classificazione commerciale sia dal copioso discorso sviluppatosi attorno alla
popular music, il ―genere‖ diventa col passare del tempo uno strumento sempre meno
affidabile nel distinguere sounds e tendenze musicali sempre più spurie. In questo senso,
fenomeni tipicamente postmoderni come l‘ibridazione dei generi musicali o i collage di
stili diversi rappresentano quanto di più lontano ci possa essere dall‘ideale di
―autenticità‖ che il pensiero romantico ha tramandato sino ai giorni nostri. Essi trovano
la propria cifra ―autentica‖ esattamente in quelle pratiche culturali che l‘altro aborre:
mentre l‘uno si forma dalla contaminazione culturale, l‘altro si preoccupa della
preservazione dei ―tipi‖.
Esemplare è il caso del punk:
Nella seconda metà degli anni settanta una svolta cruciale è costituita
dall‘avvento del punk, movimento che accusa di inautenticità gran
parte del rock coevo, considerandolo asservito alle major (le grandi
case discografiche), troppo mastodontico, con un eccessivo distacco
dal pubblico. La nuova autenticità del punk è all‘insegna del ―do your
self‖, ovvero dischi a basso costo realizzati in presa diretta per piccole
etichette indipendenti, e concerti effettuati in spazi raccolti con stretta
interazione tra esecutori e ascoltatori. […] Tali fenomeni sono
strettamente legati alla coeva crisi della concezione modernista
dell‘artisticità d‘avanguardia (e dell‘autenticità corrispondente) e
all‘insorgere di un‘estetica alternativa a questa, di tipo postmoderno
[…]
13
.
Nella logica simbolica del ―travestitismo‖ punk e glam, l‘artista postmoderno gioca a
fare il ―trickster‖: ben lontano dall‘aspirare all‘autenticità tradizionale, egli si diverte a
indossare innumerevoli maschere, e in questo modo reinventa il concetto stesso di
autenticità: questa «non è più vista come incompatibile con l‘artificiosità»
14
, ma al
12
F. Fabbri, Ricostruire una storia della popular music e dei suoi generi: problemi epistemologici e
valutazione delle fonti. Relazione presentata al convegno ―La divulgazione musicale in Italia oggi‖,
Parma, 5 novembre 2004.
13
L. Marconi, Autenticità e artisticità rock, op. cit., p. 263.
14
Ibid.
16
contrario essa è considerata come una sorta di via di fuga dalla realtà; in questo, si può
dire che egli conservi un frammento di ideologia modernista. Attraverso il travestimento
il ―trickster‖ prende le distanze da ciò che lo circonda e si inventa un mondo tutto suo –
tanto che Bowie si inventa addirittura un personaggio che funge da suo alter ego, Ziggy
Stardust : è per tale ragione che anche i punk, a dispetto della loro aria minacciosa, non
sono mai stati considerati una seria minaccia per l‘ordine pubblico, per il semplice
motivo che il loro nichilismo, la loro profonda mancanza di fiducia nel futuro, li pone
lontano da qualsiasi progetto eversivo che vada oltre un vagheggiamento idealistico
dell‘anarchia - e in ciò mostrano i segni della postmodernità.
E‘ il loro stile stesso ad esprimere un certo relativismo culturale. Il look composto da
paccottiglia varia, magari rimediata casualmente in un mercatino dell‘usato, sembra
apparentemente frutto di incuria, quando invece fa parte di una strategia comunicativa
che pone deliberatamente ogni materiale tratto del tessuto urbano sullo stesso piano;
esattamente come in un collage.
Se questo è il complesso intreccio costituito dai vari ideali di autenticità succedutisi e
affiancatisi nella storia dell‘arte moderna e contemporanea, ciò può rendere l‘idea di
quanto sia impervio lo studio della popular music.
Innanzitutto possiamo affermare che la discussione sulla popular music ha
necessariamente come contesto di riferimento quello delle società contemporanee
occidentali: se la popular music americana e quella inglese sono divenute di gran lunga
le più diffuse a livello planetario, tanto da rappresentarne il modello esemplare - nonché
dominante sotto il profilo dell‘influenza sugli altri modelli -, ciò è stato possibile per una
serie di macrofattori economici, sociali e culturali che possono essere sintetizzati nel
ruolo dei media ―di massa‖; in quello del mercati – con la nascita di un‘industria
discografica; quello del nuovo protagonismo giovanile emerso a partire dal secondo
dopoguerra. E‘ evidente da subito che questi tre fattori siano una peculiarità delle società
moderne occidentali, e ciò non vuole indicare tanto una sorta di ruolo di ―guida
culturale‖ di cui sarebbe detentore l‘Occidente – che, come dice Frith, porterebbe ad
interpretare improvvidamente la popular music come ―musica occidentale‖ che invade il
mondo come la Coca Cola
15
. Essa è, piuttosto, un insieme eterogeneo di generi musicali
accomunati da un modello di produzione, di promozione e di diffusione che, nel bene e
15
S. Frith, Il rock è finito, E. D. T., Torino 1990.
17
nel male, sono divenuti la norma, estendendosi anche ai settori più ―colti‖ e ―alti‖ della
musica.
Oggigiorno qualsiasi musica aspiri a raggiungere un‘affermazione anche solo a livello
nazionale ha in mente un preciso percorso da seguire: la registrazione dei brani
composti; la sua promozione nei diversi canali mediatici; la distribuzione nei mercati.
Tuttavia, questo meccanismo si inserisce in un contesto più ampio nel quale si ha a che
fare necessariamente con un pubblico. Per quanto possa sembrare paradossale, la
maggioranza delle critiche più feroci della popular music - come quella di Adorno,
divenuta ormai un classico della letteratura ―apocalittica‖ - tralasciano di analizzare
proprio una delle condizioni essenziali ad ogni tipo di comunicazione, ovvero l‘esistenza
di un‘audience: questa è data per scontata, e così le si attribuisce un ruolo
esclusivamente passivo, residuale. Rispetto alle forze titaniche che si confrontano nel
campo economico e in quello mediatico – essi stessi intrecciati tra di loro - l‘individuo
massificato è solo e inerme. Egli acquista peso solo in relazione agli altri; ma è un peso
illusorio, giusto quello di un grande numero di individui che si suppone ―atomizzati‖.
Egli non ha un proprio peso specifico, e non ha autonomia di pensiero poiché non ha i
mezzi culturali per potersi opporre all‘ondata di ―suggerimenti‖ che gli vengono dati
dall‘alto.
Lo schema di relazioni comunicative che si ha in mente in questi casi è quello
trasmissivo, nel quale un'unica sorgente irradia il suo potentissimo messaggio a una
moltitudine (massa) di punti isolati; il flusso informativo è unidirezionale perché non c‘è
alcun feedback da parte di chi lo riceve. Quindi in realtà non si tratta neanche di
comunicazione, visto che tra i due capi del filo si mette in comune ben poco e i ruoli di
trasmittente e ricevente sono stabiliti rigidamente a priori, senza alcuna possibilità di
interscambio.
Afferma Richard Middleton:
Adorno insiste sul ruolo prioritario della produzione nel definire il
linguaggio musicale, nel determinare il significato e far progredire la
storia della musica. Tutto ciò può avere un senso se applicato alla
tradizione ―colta‖ borghese (anche se non così tanto come pensa
Adorno), ma è molto meno adatto laddove gli elementi dell‘intero
18
processo musicale di produzione-consumo diventano più unificati e
interdipendenti, e più ―socializzati‖
16
.
Oppure, se le cose stessero davvero così, il rock sarebbe stato una delle tante mode
passeggere che si esauriscono nello spazio di un‘estate o tutt‘al più di pochi anni,
quando il gusto per la novità e la spinta del marketing scemano per permettere a un
nuovo ―ciclo del prodotto‖ di avere inizio.
Invece, prosegue Middleton:
Alla metà del XX secolo, la circolazione di messaggi musicali
assomiglia molto di più a un processo continuo di coproduzione
alimentato in punti diversi. E, contrariamente a ciò che sostiene
Adorno, più il prodotto è apparentemente omogeneo, più è importante
e potenzialmente produttivo il ruolo della ricezione e delle mediazioni
che si interpongono fra prodotto e ricezione (deejay, opinione di
gruppo, appropriazioni sottoculturali, situazioni di fruizione, e così
via)
17
.
Lo studio della popular music trova le sue maggiori difficoltà in due degli aspetti che
più caratterizzano l‘oggetto della sua ricerca. Il primo è senz‘altro costituito dalla sua
natura composita e ambivalente, in cui rientrano ―generi‖ e―stili‖ che da sempre sono al
centro di lotte simboliche per la definizione del carattere di ―autenticità‖ a causa del loro
essere necessariamente terra di confine tra l‘universo artistico e l‘interesse
commerciale
18
. In secondo luogo, abbiamo a che fare con l‘opacità sociale di un
fenomeno la cui familiarità, - il cui livello di ―socializzazione‖ - impedisce spesso di
soppesare in modo sufficientemente analitico i fattori che vi sono implicati, e che si
trova spesso al centro di discorsi impostati a priori secondo le ideologie rispettive di
riferimento:
Abbiamo dunque vari processi che si sovrappongono: l‘urbanizzazione
e la commercializzazione, la ridefinizione di una tradizione orale
16
R. Middleton, Studiare la popular music, Feltrinelli, Milano 1994.
17
Ibid.
18
Si chiede in tal caso Castaldo «Ha senso domandarsi se il rock è arte o consumo? O meglio, ha senso
chiederlo per un prodotto dei nostri tempi? » (G. Castaldo, , La terra promessa, Feltrinelli, Milano 1994).
19
(sostenuta, dai primi del Novecento, dalla fissazione su disco delle
voci degli emuli di El Fillo), l‘interazione con la musica colta e il
mondo intellettuale, l‘inserimento nel mercato discografico globale e
nei miti mediatici (il Camarón, morto per un‘overdose, viene
paragonato agli eroi sfortunati del rock, e qualche anno dopo Joaquín
Cortés diventa un‘icona del fashion internazionale). Se si parte dalla
musica, dai testi musicali, e si identifica lo sfondo di funzioni
molteplici, di teorie, di interazioni con altre forme di espressione, con
altre culture musicali, sulla base di una concezione elastica e –
appunto – storica della popular music, allora forse si riesce a
ricostruire il senso di queste manifestazioni apparentemente
contraddittorie. Altrimenti, se si immagina di poter ricostruire una
storia della ―musica di consumo‖, il flamenco non vi apparirà mai (e
nemmeno il blues, il fado, il tango, il rebetico, e perché mai il rhythm
and blues o il rock ‗n‘ roll o la bossa nova) e alla fine si scoprirà che i
teorici della ―musica di consumo‖ hanno in mente una cosa sola, il
Festival di Sanremo
19
.
La storia della popular music non è, dunque, soltanto la storia della ―canzonetta‖ o del
plugging adorniano, ma è anche la storia di tradizioni talora centenarie che nel corso dei
secoli e dei decenni si sono trovate sovente al centro di molteplici flussi e influenze
esterne, come quelle identificabili nello «sfondo di funzioni molteplici, di teorie, di
interazioni con altre forme di espressione, con altre culture musicali».
La netta separazione tra musica ―popolare‖ e musica ―di consumo‖ è andata in cocci
nell‘istante stesso in cui il primo il bluesman è entrato in uno studio di registrazione, o
nel momento in cui il flamenco, è entrato a far parte del circuito commerciale e di quello
mediatico. Sostenere oggi che il flamenco sia semplicemente ―musica popolare‖
significa non soltanto ignorare le vere origini di questo genere di musica – che come
ricorda Fabbri, si afferma in piena epoca commerciale – ma vuol dire trascurare anche
tutte le ulteriori operazioni commerciale o mediatica che hanno avuto esso come
soggetto. Significherebbe altresì conservare nell‘Iperuranio privato un‘idea romantica
del flamenco come musica ―autentica‖ che non ha mai avuto corrispettivi nel mondo
reale
20
.
19
F. Fabbri, Ricostruire una storia della popular music e dei suoi generi: problemi epistemologici e
valutazione delle fonti, op. cit., p. 7-8.
20
Naturalmente le distinzioni sono d‘obbligo, e con questi argomenti non si intende certo dire che non
esitano forme musicali definibili come ―popolari‖; e neppure si vuole negare che queste possano uscire da
20
Quello dell‘―autenticità‖, nella popular music, è un problema che probabilmente non
potrà mai scomparire, viste le inestinguibili contraddizioni insite nel soggetto e nella
società contemporanea stessa. Per questa ragione, è logico prevedere che non cesserà
neppure la lotta per la conquista di tale bene, anzi, dando uno sguardo allo scenario degli
ultimi vent‘anni non si può che constatare come le pretese di autenticità si siano
moltiplicate in ragione della proliferazione di stili musicali e sociali che hanno reso il
campo della musica molto più complesso rispetto ai tempi in cui il rock e le varie
musiche ―popolari‖ potevano vantare l‘esclusivo possesso dello ―stigma
dell‘autenticità‖. Nel frattempo il rock ha pian piano perso la sua credibilità come
―genere autentico‖ per eccellenza, man mano che procedeva verso la sua
l‘―estetizzazione‖ e spettacolarizzazione a o ogni costo. Così, alle soglie degli anni
Ottanta – decennio in cui entrambi i processi proseguiranno raggiungendo il loro
culmine - il punk sferrava l‘attacco proponendo come alternativa una concezione di
autenticità che si basava in sostanza su un re-imbarbarimento della popular music: i Sex
Pistols stavano alla Pop art e al Dadaismo come i Deep Purple stavano al modernismo:
mentre questi si preoccupavano di preservare la loro ―arte‖ in uno stato di purezza
assoluta - sebbene procedendo per vie opposte
21
- i primi l‘avrebbero macchiata con
qualsiasi tinta maleodorante avessero trovato per le vie di Cadmen Town.
Poco più di otto anni fa Lawrence Grossberg fotografava così l‘attuale scenario della
popular music, suddividendolo in quattro apparati, all‘interno dei quali si articola
l‘ideale di autenticità: l‘apparato del ―rock classico‖, l‘apparato ―neo-eclettico‖,
l‘apparato ―dance‖ e quello delle ―scene locali‖.
A lungo dominante nella storia della popular music, il primo apparato, quello del
cosiddetto ―rock classico‖, è da sempre connesso a un‘ideale di autenticità riconducibile,
come abbiamo avuto modo di vedere, alla concezione romantica di ―autentico‖: in esso
un contesto locale legato alle tradizioni originarie, per arrivare a lambire i confini del territorio ―popular‖
o addirittura giungere al suo cuore pulsante, il mainstream, conservando la propria forma ―originaria‖: per
esempio, la recente attenzione del pubblico ―di massa‖ verso musiche come la taranta o la tammuriata, e
la conseguente invasione di turisti nelle zone del Salento testimoniano un passaggio abbastanza diretto
della taranta stessa da un circuito ―popolare‖ – ―folk‖, ―tradizionale‖, o qualsivoglia – a quello popular.
21
Se per i modernisti l‘essenza dell‘arte pittorica doveva essere espressa attraverso un minimalismo che
mettesse in evidenza le forme – Formalismo – per l‘art rock l‘essenza della musica consisteva invece
nell‘esibire un repertorio di suoni e tecniche che fosse il più vasto possibile, tanto da connotarli come
―musicisti veri‖, ―artisti‖.
21
«la performance live costituisce sia l‘originario evento immaginato sia il luogo dove la
tensione dell‘autenticità viene autenticata»
22
. Nonostante la sua progressiva
emarginazione dal mainstream. Questo apparato ha ancora una certa influenza nel
discorso sull‘autenticità – attraverso gli scritti accademici e un certo giornalismo
musicale
23
.
Se, come afferma Grossberg, l‘apparato del ―rock classico‖ sta diventando «residuale»
dal punto di vista della diffusione a livello sociale – e dunque anche dal lato
commerciale – ciò è dovuto all‘avanzare di altri tre apparati, due dei quali possono
essere definiti «emergenti», e uno che è già diventato «dominante». Quest‘ultimo
costituisce l‘attuale mainstream, il quale:
Piuttosto che invocare un qualsiasi purismo rock, esso celebra
l‘ibridità del rock al suo estremo, così come il proprio
eclettismo. A un certo livello rifiuta di tracciare o considerare
significative le distinzioni dei generi
24
.
Per quanto riguarda l‘apparato ―dance‖, Grossberg da una valutazione del tipo di
autenticità articolato in esso che è abbastanza vicina a quella data da Thornton. In questo
caso la performance live, tipica dell‘apparato del ―rock classico‖ e della sua pretesa di
autenticità – quella che Thornton definiva «ideologia della musica ―dal vivo‖»
25
- slitta
in secondo piano «nella misura in cui a effettuare la performance è l‘audience»
26
. In tal
senso, dunque, il concetto di ―originale‖ perde di valore, mentre invece ne acquista la
mediazione, sia del deejay che mette i dischi sia attraverso i dischi stessi. La cosa
bizzarra, nota Grossberg, è che anche questo apparato a una sua «logica di autenticità»:
essa è «chiaramente importata dal rap ma non più limitata ad esso»
27
ed è basata sulla
celebrazione della marginalità sociale dei suoi appartenenti, i quali si costituiscono così
come gruppo di ―resistenza‖ nei confronti del dominio del mainstream
28
.
22
Ivi p. 114.
23
«Tale pretesa è a sua volta favorita dal fatto che uno dei modi in cui sia il rap sia le musiche alternative
vengono sperimentate, condivide l‘esplicita ideologia dell‘autenticità» (ibid.).
24
Ivi p. 115.
25
S. Thornton, Dai club ai rave. Musica, media e capitale sotto culturale, Feltrinelli, Milano 1998.
26
L. Grossberg, Saggi sui Cultural Studies, Liguori Editore, Napoli 2002, p. 119.
27
Ibid.
28
Quest‘ultimo caso è senz‘altro uno dei più significativi. La particolarità della cultura hip-hop è
costituita, infatti, dalla sua miscela di elementi ―artificiali‖, come l‘utilizzo di basi musicali campionate, e