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1 INTRODUZIONE L'Irlanda, piccolo paese del nord Europa in quanto estensione geografica ed
ancora più piccolo per densità demografica, nel corso degli ultimi vent'anni di storia
economica è più volte emerso agli onori della cronaca per aver percorso, in maniera
spesso eclatante, tutto il ciclo economico e per aver scandito contemporaneamente i
passaggi più critici della moneta unica.
Dall'inizio degli anni novanta infatti, quando si cominciarono ad intravedere
chiaramente i segnali di una forte ripresa al seguito di anni passati tra emigrazioni,
crisi economiche e dipendenza, non più politica, ma pur sempre economica, con
l'Inghilterra, si arrivò all'ingresso nella moneta unica già nel 1998 quando l'Irlanda
si impose all'opinione pubblica, per il ritmo di crescita evidenziato dal Pil, come
uno dei paesi più interessanti e promettenti del panorama europeo nonché esempio
di come una piccola economia aperta possa creare efficacemente lavoro e benessere
senza intaccare il debito pubblico, ma anzi abbattendolo.
Con l'avvento del nuovo millennio e le crisi delle economie occidentali che
lo caratterizzarono nel suo primo decennio vennero messe a nudo tuttavia le
trasformazioni avvenute nell'economia irlandese, infatti essa passò da uno sviluppo
promosso e sviluppato attraverso gli investimenti delle multinazionali nell'economia
reale ad uno incentivato dalla produzione immobiliare finanziata e costruita sui
debiti, sia delle imprese che delle banche.
La parabola dell'isola di smeraldo, o perlomeno della Celtic Tiger , come si
chiamò l'Irlanda del boom in richiamo delle non certo fortunate esperienze asiatiche,
si conclude dunque negli ultimi anni dando un primo segnale piuttosto forte con il
crollo della borsa il 29 settembre 2008, ma soprattutto con l'intervento d'emergenza
della BCE e del FMI nel novembre 2010 a seguito dell'esplosione del debito
pubblico sviluppatosi dietro degli enormi debiti bancari contratti.
Di fronte dunque alla rapidità di tale parabola e alla fragorosità del crollo
dell'economia irlandese sorge spontaneo chiedersi come tutto ciò sia potuto
5
accadere e quali elementi abbiano concorso allo sviluppo della bolla immobiliare.
Risulta quindi, in tale ottica, quanto mai interessante analizzare, in un
contesto particolare come appunto quello dell'ultimo decennio, quali fenomeni
abbiano condotto un'economia fino ad allora considerata vincente e calata in un
tessuto come quello della moneta unica, al crollo, ma anche se, ed in che modo, le
condizioni internazionali, principalmente americane, abbiano avuto un ruolo o meno
di contagio in tale crollo.
Lo scopo di questa tesi, alla luce di quanto detto, è dunque quello di
esaminare le cause che hanno portato alla crescita e all'esplosione della bolla
immobiliare, anche attraverso il contributo della debt-deflation school ed in
particolare dei lavori di Fischer, Minsky e Kindleberger, analizzandone le varie
dimensioni e proponendo un'interpretazione quanto più possibile obbiettiva dei
fenomeni accorsi. Nell'ultimo capitolo inoltre verranno analizzate le soluzioni
proposte inizialmente dal governo irlandese ed in seguito dagli organismi
internazionali al fronte di una situazione in rapido deterioramento.
Il lavoro sarà così composto, nel primo capitolo verrà proposta una breve
analisi della storia economica irlandese con particolare riferimento agli anni dal
1987 al 1998 testimoni del rapidissimo sviluppo dell'economia, nel secondo
capitolo analizzerò approfonditamente il decennio 1998 – 2008 e tutti i fenomeni e
le dimensioni in esso contenuti, furono infatti quei dieci anni il periodo effettivo di
sviluppo della bolla immobiliare, nel terzo capitolo proporrò un'interpretazione
teorica dei fenomeni riportati nel capitolo precedente attraverso il contributo della
debt-deflation school ed infine nell'ultimo capitolo analizzerò gli interventi che si
sono susseguiti per salvare l'economia irlandese.
6
2 INTRODUZIONE STORICA, DALLA NASCITA DELLA
REPUBBLICA ALL'INGRESSO NELLA MONETA UNICA 2.1 Brevi cenni sulla storia economica della Repubblica d'Irlanda Prima di incominciare a studiare il fenomeno dell'economia irlandese, la
quale è passata dall'essere definita “ the poorest country in the rich north-west
Eurpee ”nel gennaio del 1988 dall'Economist, a quando le è stato coniato il nome
Celtic Tiger dalla Morgan Stanley, conviene riportare, anche solo brevemente, i
quasi cento anni di storia dalla nascita della Repubblica avvenuto nel 1922.
I primi dieci anni di vita della Repubblica d'Irlanda furono caratterizzati da
una stretta connessione tra l'economia statale e quella inglese, infatti, nonostante la
fresca separazione ed il reciproco odio durato secoli, fu deciso un regime di cambio
fisso con la Sterlina e fu stipulata tra le due nazioni una politica di libero scambio di
merci e capitali. Nel 1932 però due eventi interruppero tale connessione economica,
ovvero la nomina di Eàmon De Valera a primo ministro e soprattutto la crisi del
1929. Dopo questi due eventi l'Irlanda intraprese una guerra economica ( Anglo-
Irish Trade War ) contro il Regno Unito
1
cercando così di attuare una politica sia a a
favore della nascita di nuove imprese sul territorio, sia di protezione degli
agricoltori irlandesi dal crollo della domanda internazionale. Va infatti ricordato
come fino alla metà degli anni novanta l'economia irlandese fosse sostanzialmente
un'economia agricola.
Nel 1938 venne stipulato l' Anglo-Irish Trade Agreement 2
con il quale si
giunse ad un accordo che, tuttavia, non soppresse del tutto i dazi doganali imposti
verso i prodotti inglesi. Sempre in quel periodo inoltre, precisamente nel 1934, fu
promulgato il Control of Manufactures Act , che rimase in vigore fino al 1957 e
tramite il quale si volle proibire ad investitori stranieri di controllare più del 49% di
1 http://historical-debates.oireachtas.ie/D/0046/D.0046.193303160008.html 2 http://historical-debates.oireachtas.ie/D/0071/D.0071.193804270044.html
7
imprese irlandesi, senza però limitare in alcun modo alle banche di Dublino di
investire i propri capitali all'estero.
Ovviamente l'impossibilità da parte di investitori stranieri di entrare
incisivamente nell'economia reale irlandese, incoraggiandone così la crescita, unita
allo scarso accesso al credito da parte di imprese locali, dovuto ai forti investimenti
esteri delle banche, produsse venti anni di ridottissima crescita la quale si ripercosse
sulla popolazione dando il via ad un'imponente migrazione la quale, tra il 1941 e
1961, vide oltre due milioni di individui lasciare la propria nazione
3
.
Fu con l'abolizione del Control of Manufactures Act nel 1957 , ma soprattutto
con il piano intitolato First Programme for Economic Expansion promulgato nel
1958 dal ministro delle finanze Whittaker, che venne sviluppato un nuovo approccio
il cui obbiettivo principale fu dichiaratamente quello di consentire ai capitali
stranieri di entrare in Irlanda.
Le linee guida della riforma economica attuata dal ministro Whittaker furono
fondamentalmente incentrate su una sostanziale riduzione, se non in alcuni casi
abolizione, delle principali misure protezionistiche in vigore fino a quel momento,
ma anche sulla concessione di incentivi di varia natura e riduzioni sulla pressione
fiscale a chi, dall'estero, investisse sul territorio irlandese incentivando l'economia
reale. Ovviamente queste misure sollevarono molte critiche dalle nuove imprese
nate sul territorio, ma permisero una crescita, stimata inizialmente al 2% e poi
effettivamente concretizzatasi al 4% , ridussero l'emigrazione e consentirono infine
un aumento della domanda interna ed un maggior accesso all'educazione da parte
della popolazione
4
.
Nel 1973, il processo di sviluppo e cambiamento iniziato da Whittaker, visse
una nuova ed importante tappa tramite l'ingresso dell'Irlanda nella CEE che portò ad
un processo di progressivo allontanamento dall'economia inglese, ulteriormente
maturato attraverso l'adesione al Sistema Monetario Europeo nel 1978 e conclusosi
infine con l'abbandono, nell'anno seguente, del regime di cambio fisso con la
3 http://census.cso.ie/Census/TableViewer/tableView.aspx?ReportId=104656
4 http://www.britannica.com/EBchecked/topic/293754/Ireland/23000/Developments-since-1959#ref316095
8
Sterlina in favore del Meccanismo Europeo di Cambio.
Va ricordato tuttavia, a tale proposito, che la maggior parte degli scambi
commerciali irlandesi dell'epoca erano ancora con la Gran Bretagna, quindi una
situazione di cambi flessibili con la Sterlina inglese, che entrò nel MCE solo nel
1990, poteva essere difficilmente sostenibile. Mossa quindi da una simile
preoccupazione nello stesso anno, ovvero il 1979, la Central Bank introdusse una
serie di regole per il controllo del cambio il cui obbiettivo fondamentale fu di
limitare i trasferimenti di capitali al di fuori dell'area della Sterlina. Solo nel 1992, a
seguito dell'abolizione di tali regole e con l'ingresso nel Mercato Unico Europeo,
l'Irlanda divenne un'economia aperta anche per i capitali.
La fine degli anni settanta tuttavia non fu ricordata solamente per l'ingresso
nella comunità europea, ma anche per un tentativo, sotto il primo ministro Jack
Lynch, di raggiungere una condizione di pieno impiego attraverso l'uso, poi
dimostratosi eccessivo e controproducente, della leva fiscale tramite un forte
aumento della spesa pubblica
5
finanziato da un generale aumento delle tasse.
Sebbene in un primo periodo sembrò di viaggiare nella giusta direzione, tra il
1977 e il 1979 infatti il Pil crebbe oltre il 17%
6
, negli anni seguenti però tale
impressione venne smorzata ed invertita dal peso crescente dei debiti contratti. Una
simile politica di spesa pubblica produsse infatti un forte squilibrio nella bilancia
dei pagamenti e spinse il debito pubblico, alla metà degli anni ottanta, fino ad oltre
il 120% del prodotto interno e la disoccupazione oltre il 16% (Barry, 2003,
Honohan, 2002).
Fu infine nel 1987, al seguito dell'elezione di Charles Haughey a primo
ministro, che si decise di introdurre delle misure fiscali restrittive che permettessero
di rientrare da una gravissima situazione economica così riassunta da Patrick
Honohan: “ the real fear was of a financial meldown with foreign and domestic
financial market refusal to rollover debt ” 7
.
5 Nel 1985 tale spesa arrivò a superare il 55% del Pil. (Fonte: CSO)
6 http://databank.worldbank.org 7 Cit. in A.E.Murphy (2000)
9
2.2 Lo sviluppo economico dal 1987 al 1998
Come accennato alla fine del precedente paragrafo dal 1987 si incominciò a
vedere in Irlanda una forte ripresa economica a seguito dell'introduzione di alcune
misure fiscali di spesa restrittive volte a correggere i conti. Tali misure si
concretizzarono soprattutto in tagli della spesa pubblica e nel blocco delle
assunzioni nel settore pubblico.
Chiaramente esse da sole non potevano bastare a risolvere la recessione in
atto da alcuni anni, ma combinate al generale momento di crescita economica in
Europa, particolarmente in Inghilterra, ancora il principale partner commerciale
dell'Irlanda, consentirono una rapida ripresa guidata da una caduta nei tassi di
interesse e nel rapporto tra debito e Pil oltre le aspettative iniziali.
Per comprendere però ulteriormente le motivazioni che spinsero l'economia
irlandese verso il boom negli anni novanta non basta citare l'austera politica di
spesa attuata inizialmente sotto il governo Haughey, ma bisogna considerare anche
altri fattori tra cui principalmente (cfr. O' Rian, 2000): la competitività dei salari e, a
fronte dell'incremento nei ricavi fiscali derivanti dalla ripresa economica, la politica
fiscale verso le aziende e l'apertura verso l'esterno.
Quanto al primo punto va detto che la competitività dei salari irlandesi fino al
1987 fu piuttosto bassa, infatti la forte presenza dei sindacati nelle trattative con lo
stato riguardanti la retribuzione oraria minima resero il mercato del lavoro poco
flessibile e soggetto a numerosi scioperi volti ad ottenere aumenti. Questa tendenza
fu particolarmente evidente dal 1979 al 1982 (cfr. Honohan, 2002) attraverso forti
aumenti salariali, fuori mercato, concessi centralmente dallo stato e seguiti nei
cinque anni successivi da contrattazioni ulteriori eseguite tra le parti sociali e le
imprese, volti ad agganciare gli aumenti all'inflazione, che portarono, chiaramente
in concomitanza con altri eventi, ad una profonda disoccupazione.
Nel 1987 dunque vennero ripresi in mano gli accordi tra stato e sindacati per
10
cercare di dare un nuovo impulso alle imprese e all'occupazione, si ottenne in quella
circostanza una riduzione della retribuzione oraria in cambio di alcune riduzioni
fiscali. Sempre a riguardo della movimentazione del mercato del lavoro (Honohan,
2002) il governo decise inoltre di ridurre i benefici per coloro che rimanevano senza
lavoro portandoli al 14% del guadagno medio di un operaio e legando altri
sostentamenti, come aiuti per i mutui o gli affitti, alla partecipazione a programmi di
formazione.
Un'ulteriore politica per il lavoro, unita ad un più ampio bisogno di
infrastrutture, venne dagli aiuti comunitari. Tra il 1988 e la metà degli anni
novanta , il picco fu precisamente nel 1993 con aiuti pari al 3% del Pil, grazie ai
fondi comunitari per lo sviluppo si riuscirono ad ammodernare infrastrutture come
le ferrovie e i porti, si crearono autostrade, nuovi collegamenti ferroviari ed
aeroporti.
Per comprendere bene il motivo della crescita economica sperimentata
dall'Irlanda bisogna comunque collegare quanto detto sopra con la politica fiscale
volta ad incentivare gli investimenti nell'economia reale e l'imprenditorialità.
Innanzitutto vennero, sempre per incentivare il mercato del lavoro, ridotte le
tasse sul lavoro, ciò permise di mantenere gli stipendi inalterati nonostante la
riduzione della retribuzione oraria. In seguito, verso la fine degli anni ottanta,
assieme al miglioramento dei conti pubblici e alla ripresa economica
8
, si cominciò
ad applicare una graduale politica di riduzione delle imposte verso le aziende e le
famiglie volte a stimolare ulteriormente la ripresa senza tuttavia intaccare il
rapporto ricavi fiscali/Pil 9
. Uno degli interventi, a tal proposito, considerati da più
parti fondamentale per il fenomeno irlandese degli anni novanta fu la Corporation
tax , ovvero l'imposta sulle società. Tale imposta infatti fu fortemente ridotta nel
corso degli anni ottanta (cfr. Blue, 2000) in vari settori, al fine di sviluppare le varie
8 Il Pil nel 1988, nel 1989 e nel 1990 crebbe rispettivamente del 5,2% , del 5,8% e del'8,5% (Fonte: Ocse)
9 Si veda Honohan (2002, pag.18): “Comparing 2001 with 1985, the top rate of income tax has come down
from 65 percent to 42 percent; (…); of capital gains tax from 60 percent to 20 percent; and of capital
acquisitions tax from 55 percent to 20 percent ”
11
industrie, a partire dal Finance Act del 1980 che istituì la corporation tax al 10%
per le aziende che lavoravano nel settore manifatturiero. Ad esso seguirono nel 1981
il settore della pesca e della navigazione, nel 1984 il settore informatico e nel 1986
le imprese operanti nella ricerca e sviluppo. Tra il 1987 ed il 1993 infine tali
benefici vennero estesi a molti altri tipi di industria tra cui quella alimentare, quella
agricola e a tutte quelle aziende, piccole o grandi, dedite alla manutenzione e alla
riparazione di aerei, computer ecc. Considerando che nello stesso periodo in
Germania ed in Francia lo stesso tipo di imposta pesava rispettivamente al 45% ed
al 33,33% si comprende come l'Irlanda dall'inizio degli anni novanta in poi fosse
divenuta un'importante meta di investimenti.
A rendere ancora più appetibile per le aziende straniere investire in Irlanda
furono due ulteriori elementi fiscali (cfr. Honohan, 2002), ovvero la possibilità di
rimpatriare senza problemi i profitti conseguiti e l'opportunità di effettuare manovre
di transfer pricing 10
senza particolari controlli .
Tenendo dunque conto della rapida decrescita del debito pubblico, del forte
controllo sull'inflazione, degli investimenti in infrastrutture, della lingua anglofona,
del vantaggioso regime fiscale, del costo del lavoro limitato e della presenza
all'interno del Mercato Unico Europeo si comprende come l'Irlanda cominciasse a
diventare una nazione in grado di attirare gli investimenti dall'estero, soprattutto
dagli Stati Uniti, verso l'economia reale. Inoltre va aggiunto anche che dalla fine
degli anni settanta cominciarono a svilupparsi forme di incentivazione all'istruzione
e all'imprenditorialità legata all'informatica (O' Rìan, 2000) in grado di fornire un
know how diffuso ed un terreno fertile per le aziende che desiderassero investire in
quel settore.
A riguardo dell'insieme degli investimenti esteri inoltre Murphy (2000) fa
10 “Con il termine transfer pricing ci si riferisce a una pratica di elusione fiscale basata su tecniche e
procedimenti utilizzati dalle imprese multinazionali, che avvalendosi del fatto che nei Paesi in cui
operano sono in vigore diversi sistema impositivi, determinano il valore degli scambi e delle cessioni di
beni e servizi che avvengono internamente al Gruppo in maniera tale da ridurre il carico fiscale totale.
In altre parole sovrastimando o sottostimando i prezzi di trasferimento infragruppo viene dirottata parte
del reddito verso Paesi a fiscalità ridotta” (Fonte: Unicredit.it)
12
notare come in particolare, quelli statunitensi in Irlanda, triplicarono tra il 1991 ed il
1993 e che furono, pro capite, il 50% superiori che in Inghilterra e sei volte
superiori rispetto a Francia e Germania giungendo nel 1997 ad essere il quinto polo
esterno per indirizzamento dei finanziamenti.
Le multinazionali che delocalizzarono in Irlanda dunque furono
principalmente incentrate nel settore dell'informatica, delle bevande, della chimica
e della farmaceutica ed in particolar modo essi:
“ In 1993 […] produced net manufacturing output of £5 billion which constituted
43% of total net manufacturing output with only 11% of manufacturing employment.
By 1994 they were producing 46% of total net output with only 12% of manufacturing
employment. In 1995 this had jumped to 52% of total net output with only 13%
of manufacturing employment. In 1996 the selected five high tech MNC sectors
were producing £9.6 billion of net output. This amounted to 53% of net output
with a labour force of only 32,044 workers which constituted only 14% of the
total labour force engaged in manufacturing activity.
[…]
In three years, and these were the three years (1994,1995 and 1996) in which the
‘tiger’ really appeared to manifest itself, the high tech MNCs increased their
net output by £4.5 billion, an increase of 88%. The other foreign companies increased their net output by £1.2 billion, an increase of 37%.
However, over the same period, Irish owned manufacturing companies increased
their net output by only £741 million, an increase of 22%. ” (Murphy, 2000, pag. 15 -16)
Le multinazionali maggiormente coinvolte in questo processo furono (cfr.
Murphy, 2000, Honohan, 2002) nel settore tecnologico: Boston Scientific, Dell,
IBM, Intel, Hewlett Packard, Macintosh, Microsoft, nelle telecomunicazioni: 3
Com, Gateway, Motorola, Northern Telecom, nella farmaceutica: Pfizer, Schering
Plough ed infine nelle bevande: Coca Cola e Pepsi. L'insieme di tutte le
multinazionali arrivò inoltre a detenere, nel 1996, il 77% di tutte le esportazioni
13
irlandesi 11
, ad occupare il 50% della forza lavoro attiva nel settore manifatturiero e
ad incidere per il 7% sull'intero ricavato fiscale.
Da quanto sopra citato emerge quindi chiaramente la crescente importanza
delle multinazionali, che dati i successi si attirarono a vicenda, nell'economia
irlandese, ma soprattutto la sua progressiva dipendenza dagli investimenti
provenienti dagli Stati Uniti nella creazione di lavoro, benessere e crescita.
Prima di passare alla trattazione effettiva del periodo 1998 – 2008 e
all'analisi delle cause della crisi finanziaria propongo due tabelle riguardanti la
crescita del Pil e dell'occupazione negli anni fin qui trattati, ovvero 1987-1998.
Fonte: Ocse
11Fonte: Central Bank of Ireland
Prodotto interno lordo Disoccupazione 1987 4,70% 1987 16,60%
1988 5,20% 1988 16,20%
1989 5,80% 1989 14,70%
1990 8,50% 1990 13,40%
1991 1,90% 1991 14,70%
1992 3,30% 1992 15,40%
1993 2,70% 1993 15,60%
1994 5,80% 1994 14,40%
1995 9,60% 1995 12,30%
1996 7,60% 1996 11,70%
1997 10,90% 1997 9,90%
1998 7,80% 1998 7,60%