Profili soggettivi della responsabilità delle persone giuridiche
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INTRODUZIONE
Dal societas delinquere non potest al societas delinquere potest et puniri
debet,ragioni di una scelta.
Societas delinquere non potest,costituisce un brocardo appartenente alla tradizione
romanistica,attraverso il quale il diritto penale risponde ad un classico principio sulla
responsabilità penale delle persone giuridiche.
Tale noto principio tende ad escludere una responsabilità penale in capo alla persona giuridica,in
quanto in essa, l assenza dell’ elemento soggettivo del reato,inteso come dolo o colpa, rende
impossibile la realizzazione della fattispecie incriminatrice prevista dal legislatore.
Con l introduzione del d.lgs 8 giugno 2001,n.231, tale brocardo cede il passo al societas delinquere
potest et puniri debet,cioè al sorgere di una responsabilità(chiariremo piu avanti se
amministrativa, penale o altro)in capo agli enti,persone giuridiche e non,per illeciti amministrativi
dipendenti da reato.
Date tali premesse è utile cercare la ratio di tale “sgretolamento” del brocardo societas delinquere
non potest.
In ogni testo giuridico che si rispetti si legge che solo l uomo è capace di progettare,di agire,di
realizzare.Quando l uomo intende perseguire fini che “uti singuli”non riuscirebbe a
compiere,costituisce con altri uomini dei gruppi variamente organizzati.Si dice appunto che nasca
una “persona ficta”,ovvero una “finzione”definita persona giuridica,la quale viene riconosciuta
dall’ordinamento titolare degli stessi diritti e doveri spettanti alle “semplici” persone fisiche.
Ciò pone la riflessione che in realtà si tratti di una “strana finzione”(1).E’ strana, perché la persona
giuridica è capace di perseguire fini produttivi e sociali impossibili per il singolo uomo,perché
capace di divenire un centro economico-sociale di notevole importanza,perché,per ciò che in
questa sede interessa, capace di compiere condotte illecite di altissimo disvalore
sociale,impossibili da realizzare da un solo uomo!
Quindi a questo punto, potremmo azzardare un terzo brocardo”societas saepe
delinquit”,interrogandoci quindi su quale senso abbia ancora oggi il brocardo”societas delinquere
non potest”.
Alla base del superamento di tale brocardo si pongono inevitabilmente obiettivi di politica
criminale,che rispondono ad esigenze di natura prettamente sociologica.
Studi recenti infatti hanno evidenziato che il comportamento di un individuo, inserito in una
organizzazione complessa come un impresa,subisce dei condizionamenti,derivanti dall”alto” o dai
modelli comportamentali adottati dai colleghi aventi eguali mansioni.
In questo contesto,assurge a significato unico e fondamentale il termine “agire per l impresa”o
comunque a “beneficio di essa”e i soggetti apicali,ai fini di aumentare la produttività dell
impresa,tendono a trasmettere ai loro dipendenti principi del tipo:”migliore è la posizione
economica dell impresa nel mercato,migliore sarà il beneficio economico che voi ne trarrete”.
Tutti questi meccanismi enormemente incentivanti,creano il c.d.”Spirito di gruppo”il quale,nel
peggiore dei casi,può portare appunto anche all’utilizzo di strumenti illeciti,al fine di raggiungere
gli obiettivi imposti dalla stessa impresa(persona giuridica),giungendo al paradosso che persone
fisiche,che non avrebbero mai commesso reati, li compiono in nome e ad esclusivo vantaggio
dell’ente per cui lavorano.
(1) HART, Teoria della finzione,definizione e teoria,in « The Cambridge Law journal»:si osserva che l’affermazione di una volontà fittizia
dell’ente”evoca tutto un quadro allegorico”,in cui il Diritto inserisce nella società una volontà,fittizia ma orientata verso il bene.
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Vedremo che nel d.lgs 231/2001 l agire nell’interesse o a vantaggio dell’ente ,e cioè se dalla
commissione di quel reato è scaturito un vantaggio patrimoniale all’ente di cui l agente è
dipendente,costituisce il criterio di imputazione oggettiva di responsabilità verso
l’ente,congiuntamente al criterio soggettivo della c.d. colpa organizzativa(infra).Tale accenno
serve a inquadrare le ragioni di politica criminale poste a fondamento del superamento
del”societas delinquere non potest”
Oltre a ragioni squisitamente di politica criminale,a fondamento di questa scelta del nostro
legislatore del superamento del noto brocardo,si pongono principalmente due ordini di motivi:
-contrastare la crescita dell’ allarmante fenomeno della criminalità d impresa(2)
-la necessità di armonizzazione con la normativa internazionale.
Sotto il primo profilo si ravvisò come la inadeguatezza del sistema punitivo classico,incentrato su
una sola responsabilità individuale della persona fisica all’interno dell’ente,dipendeva dal
frequente scollamento all’interno delle organizzazioni societarie tra titolarità dei poteri decisionali
da una parte,e le mansioni esecutive dall’altra realizzata tramite il noto istituto della “delega delle
funzioni”:spesso succede che chi decide possiede l’elemento soggettivo del reato ma,se ha
previamente trasferito i suoi poteri di decisione,non realizzi la materialità del fatto tipico e che chi
invece realizza il fatto tipico,non possieda quegli elementi di conoscenza che costituiscono
l’elemento soggettivo del reato(3).
Tale prassi aziendale, per molto tempo, non ha costituito assunzione di responsabilità da parte del
nuovo preposto determinando, così, un gran numero di sentenze di condanna di innocenti
imprenditori (deleganti): di veri e propri “capri espiatori”. La cassazione, per porre un freno e una
regolamentazione dell’istituto, dato il gran numero di deleghe e l’informalità, per ragioni di
economicità e speditezza della produzione, con cui esse vengono conferite, ammette che la delega
esoneri da responsabilità penale il delegante solo quando possiede ben otto requisiti(4). Non solo
sono poche le deleghe rispettose dei requisiti richiesti, ma spesso, poi, il delegante è ritenuto
comunque responsabile per la violazione del generale dovere di vigilanza. Ecco che appare un
quesito: meglio condannare un innocente o assolvere un colpevole?
Sotto il secondo profilo,la necessità di armonizzazione era dettata dall’introduzione, a livello
internazionale,di una previsione di responsabilità degli enti a seguito della commissione di
determinati reati.
Occorreva infatti dare esecuzione alla Convenzione OCSE(Convenzione sulla lotta contro la
corruzione dei funzionari pubblici stranieri nelle transazioni commerciali internazionali)del 17
Dicembre del 1997 e al secondo protocollo del 19 Giugno 1997,sulla tutela degli interessi finanziari
delle Comunità europee.
Convenzione e protocollo,costituiscono due atti che prevedono la responsabilità delle persone
giuridiche,come d'altronde essa è ormai prevista da tutti gli atti relativi a reati elaborati in sede
internazionale,in particolare nell’ambito dell’Unione Europea,del Consiglio d’Europa e delle
Nazioni Unite.
(2)BRICOLA,Il costo del principio”societas delinquere non potest”nell’attuale dimensione del fenomeno societario(1970) e MARINUCCI,Il reato come
azione.Critica di un dogma e ancora “societas punir ipotest”uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee(2003),tale ultimo autore
dimostra come la formulazione del brocardo risalga al XVIII secolo in MARINUCCI,La responsabilità penale delle persone giuridiche.Uno schizzo
storico-dogmatico(2007);sul punto anche DE SIMONE,I profili sostanziali della responsabilità c.d.amministrativa degle enti,Cedam(2002),in cui
evidenzia che alla fine del XVIII secolo,”con il consolidamento dello stato centralizzato,Comuni e corporazioni persero la posizione di privilegio di cui
godevano,venendo meno la necessità di”tenerli a bada”minacciando sanzioni repressive”
(3)PEDRAZZI,Profili problematici del diritto penale d’impresa(1988).Da ultimo sul punto DE SIMONE,Societas delinquere et puniri potest.La questione
della responsabilità penale degli enti tra dogmatica e politica(2000).La letteratura in materia di delega di funzioni è ampia,si ci limita ad indicare la
teoria"oggettivistica”(per tutti,FIANDACA,Il reato commissivo mediante omissione,Giuffrè,1979)e quella soggettiva(per tutti PADOVANI,Diritto
penale del lavoro.Profili generali,Giuffrè,1976;
(4) Cass. 28 gennaio 1986, in giur. It., 1986, II, 417; Cass., 18 ottobre 1984, in Riv. Pen., 1986, 338. Ma anche con altri interventi recenti (vd Cass. N°
15570/96) la Suprema Corte ha indicato le condizioni essenziali perché la delega di poteri possa comportare anche la delega della responsabilità: 1)
La forma scritta della delega; 2) la sua natura strutturale e non occasionale; 3) la sua specificità; la sua pubblicità; 4) la sua effettività; 5) le
dimensioni dell’impresa; 6) la capacità e l’idoneità tecnica del soggetto delegato;
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Ma se da una parte le ragioni fin qui illustrate propendono per un superamento del
brocardo,ragioni prettamente dogmatiche ostarono notevolmente all introduzione nel nostro
sistema giuridico del brocardo”societas delinquere potest et puniri debet”.
L’inerzia legislativa venne sostenuta ed avallata dall’esistenza di determinate obiezioni:oltre a
quelle che escludevano la presenza nell’ente della capacità di “soffrire la pena” nel suo valore
strettamente afflittivo,la principale obiezione faceva leva sulla presunta violazione dell’art 27 della
Costituzione,il quale al suo primo comma afferma che”la responsabilità penale è
personale”,violazione ritenuta sussistente in entrambe le sue accezioni di divieto di”responsabilità
per fatto altrui”e”responsabilità personale e colpevole”.
Come già affermato all’inizio di questa introduzione, Si dice che, perché un fatto sia punibile, deve
essere non solo tipico e antigiuridico ma anche colpevole. La colpevolezza diviene argomento
fondamentale per poter configurare o meno, nel nostro ordinamento giuridico, una responsabilità
penale delle persone giuridiche.
Le obiezioni fondate sul divieto di”responsabilità per fatto altrui”si fondavano sulle teorie
giusnaturalistiche di von Savigny(5),per il quale soltanto la persona fisica sarebbe capace di
diritti,mentre la persona giuridica,necessitando sempre di rappresentanti per espletare le sue
attività,verrebbe a costituire,come già prima accennato,una”fictio iuris” incapace quindi di
commettere reati(6).
In senso contrario si poneva chi ammoniva che il vero problema era stabilire le condizioni in base
alle quali,gli enunciati di Savigny erano veri(7),e che quando parole riferite normalmente agli
individui vengono adoperate per gli enti,vi è una radicale differenza consistente addirittura in uno
spostamento di significato.
Quest’ultima posizione dottrinale è di grande attualità,perché si discosta dalla posizione classica
savignana,riconoscendo la peculiarità del fenomeno societario,senza però spingersi agli
“eccessi”della c.d.”teoria organicistica”.
I sostenitori di quest’ultima,si contrappongono alla “finzione di Savigny”;per loro la societas
costituisce un vero e proprio soggetto di diritti,al pari della persona fisica,cioè i rappresentanti di
un ente,non si porrebbero né in una condizione di alterità rispetto allo stesso,né sarebbero meri
organi,attraverso i quali si esprime la volontà dell’ente(8).
Va detto che la teoria organicistica presenta due aspetti,uno positivo e l'altro negativo.
L’aspetto negativo consiste che intendendo alla lettera tale teoria,essa risulterebbe
irragionevolmente riduttiva rispetto alla persona fisica.E’ chiaro che,laddove del reato dovesse
rispondere il solo ente,ciò si tradurrebbe in una impunità per la persona fisica,che da
ciò,anzi,trarrebbe un incentivo a delinquere.
Essa presenta anche e soprattutto un aspetto positivo.Alla teoria organicistica va riconosciuto il
merito storico di aver consentito,con la sua introduzione nel campo del diritto penale,non solo di
superare tutti i dubbi di compatibilità di questa “nuova responsabilità”con i principi
costituzionali,ma anche di fornire una copertura teorica alla soluzione della responsabilità
sanzionatoria degli enti(9).
Infatti a fondamento della ragioni di inserire questa forma di responsabilità a carico degli enti nel
nostro ordinamento,si pone un semplice ragionamento:se gli effetti civili degli atti compiuti da un
rappresentante dell’ente si imputano direttamente all’ente medesimo,altrettanto dovrebbe valere
per le conseguenze del reato(10)
(5)GROSSO,Responsabilità penale(1968);PALIERO,Problemi e prospettive delle responsabilità dell’ente nell’ordinamento
italiano(1996,);LATTANZI,Reati e responsabilità degli enti cap 1.1(2010),i quali richiamano la trattazione di ORESTANO,Il problema delle persone
giuridiche in diritto romano,Giappichelli(1968)(6)V.SAVIGNY,Sistema del diritto romano attuale(1900);(7)HART,Definizione e teoria in
giurisprudenza.(8)DE MAGLIE,L’etica.(9)e(10)LATTANZI,Reati e responsabilità degli enti C 1,1(2010)
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Rimane però, anche alla luce della teoria organicistica, il problema della compatibilità della
responsabilità penale delle persone giuridiche con il principio di colpevolezza inteso
come”responsabilità personale colpevole”.
Infatti in dottrina,si è sempre lamentata l’impossibilità strutturale di colpevolezza da parte
dell’ente,la cui struttura normativa non avrebbe retto un concetto ad elevato contenuto
psicologico come la colpevolezza(11).
La riconducibilità di una colpevolezza in capo all’ente avrebbe”sfigurato il volto costituzionale del
reato e della pena”(12)in quanto si voleva scongiurare il rischio che, la creazione di una volontà
colpevole della persona giuridica, potesse inserire nel nostro sistema giuridico una sorta di
“responsabilità collettiva”,snaturando quindi l’illecito penale in quanto riconducibile a qualcosa di
diverso rispetto all’originaria personalità della responsabilità(13).
La soluzione venne vista ricorrendo all’illecito amministrativo puro,sempre modellato sul principio
di colpevolezza,dal quale però,a differenza dell’illecito penale,risulterebbe più facilmente
emancipabile,grazie alla mancanza di copertura costituzionale.(14)
In conclusione di questa introduzione,guardando al dato positivo ricavabile dal d.lgs 231/2001,si
può pacificamente affermare che il legislatore ha imboccato una strada “sui generis”come quella,
definita dalla relazione al decreto legislativo 231/01, “illecito amministrativo a natura complessa”.
Non si tratta di un illecito penale vero e proprio, né di un illecito amministrativo tradizionale. Si
tratta di un sistema punitivo che “coniuga (o tende!) i tratti essenziali del sistema penale e di
quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle,
non eludibili, della massima garanzia”(15)
Gran parte degli autori ritengono,autorevolmente,che con il d.lgs 231/2001 ci si trovi davanti ad
una vera e propria”truffa delle etichette”,realizzata dal legislatore per eludere l ostacolo imposto
dalla personalità dell’illecito penale sancita dall’art.27 della Costituzione,strutturalmente
inadattabile ad una persona giuridica,definendo all’art 1 del decreto la responsabilità sorgente in
capo all’ente, come amministrativa,ma prevedendo poi,come nel corso di questo lavoro
vedremo,l’applicazione di sanzioni formalmente amministrative,ma sostanzialmente penali,in
quanto fortemente riduttive e limitatrici di beni individuali dell’individuo,persona giuridica in
questo caso.(16).Cercheremo così,nel corso di questo lavoro,di rispondere alla domanda
riguardante la natura di questa nuova forma di responsabilità,risposta che passa necessariamente
attraverso l’analisi del”profilo soggettivo”fonte di imputazione dell’ente,individuato nella
c.d.”colpa di organizzazione”.
(11)BATTAGLINI,Responsabilità penale delle persone giuridiche?(1930)Più recente;MARINI,Lineamenti del sistema penale(1993);LATTANZI,Reati e
responsabilità degli enti C 1.2(2010).Perplessità anche in CASTELLANA,Diritto penale dell’Unione Europea e principio”societas delinquere non
potest,in Riv.trim.dir.pen.econ.(1996)e PADOVANI,Il nome del principio e il principio dei nomi:la responsabilità”amministrativa”delle persone
giuridiche,in DE FRANCESCO,La responsabilità degli enti:un “nuovo”modello di giustizia”punitiva”(2004)
(12)ALESSANDRI,Art.27 riv.giu it.,in cui l’autore prosegue affermando che riconoscere una responsabilità in capo alle persone giuridiche,condurrebbe
ad inquinare la norma in commento,con schemi sanzionatori che irrigidirebbero le possibilità espansive del principio di personalità.
(13)M.ROMANO,La responsabilità amministrativa degli enti,in cui afferma che”Lasciare nell’ordinamento norme relative a condotte negative
riservate solo alle persone fisiche,ha il pregio di esaltare lo specifico della persona umana e quella libertà del singolo alla base della sua
responsabilità".Con accenti diversi,CASTELLANA,Diritto penale dell’unione europea,cit.
(14)LATTANZI,Reati e responsabilità degli enti C 1.2 (2010)
(15)Progetto GROSSO sulla riforma del codice penale.(16)Propendono in tal senso tra gli altri,PULITANO’,La responsabilità”da reato”degli
enti;ALESSANDRI,Note penalistiche;FLORA,Le sanzioni punitive nei confronti delle persone giuridiche:un esempio di”metamorfosi”della sanzione
penale?,in Dir,proc.pen(2003) e STORTONI-TASSINARI,La responsabilità degli enti:quale natura?quali soggetti?,in Ind.pen(2006)
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CAPITOLO I
Il decreto legislativo n.231 del 2001
1.Lavori preparatori;2.I principi costituzionali:gli artt.27 e 25 della Costituzione;3.I soggetti
destinatari;4.I reati presupposto:il trattamento dei reati societari;5.La natura della responsabilità:il
carattere autonomo della responsabilità dell’ente;6.I criteri di imputazione oggettivi e
soggettivi;6.1 I criteri oggettivi;7.I modelli organizzativi e l’Organismo di vigilanza;7.1 I modelli
organizzativi;7.2 L’Organismo di vigilanza;7.3 E’ configurabile una responsabilità penale?;7.4 Le
modifiche introdotte dal D.Lgs 231/2007;8.L’apparato sanzionatorio:le sanzioni pecuniarie,le
sanzioni interdittive,la confisca e la pubblicazione della sentenza;8.1 Le sanzioni pecuniarie;8.2 Le
sanzioni interdittive;8.3 La confisca e la pubblicazione della sentenza;9 Le misure cautelari nel
procedimento per illeciti amministrativi dipendenti da reato;9.1 Presupposti di applicazione delle
misure cautelari interdittive: i gravi indizi di responsabilità ed il pericolo di reiterazione del
reato;9.2 I criteri di applicazione delle misure
1.I lavori preparatori
Il riconoscimento di una responsabilità in capo all’ente per illeciti amministrativi dipendenti da
reato,ovvero il sorgere di una responsabilità autonoma ed indipendente per l’ente a seguito di
violazioni di norme amministrative di gestione e controllo da parte dello stesso, che abbiano
permesso la realizzazione di un reato da parte di un suo soggetto apicale o dipendente,è un
qualcosa che prima del 2001 costituiva una vera e propria lacuna del nostro ordinamento.
La necessità di introdurre nel nostro ordinamento,già tanto complicato,un sistema punitivo
specificamente congegnato per gli enti,sorge a seguito di due ordini di motivi.
Innanzitutto per ragioni di politica criminale.
Era presente ormai da tempo un forte consenso in ordine all’opportunità di prevedere forme di
responsabilizzazione degli enti che delinquono,nel contesto di una più moderna strategia di
contrasto all’allarmante fenomeno della”criminalità d’impresa”,nell’ambito della quale erano
distinguibili due categorie:la criminalità volta all’ottenimento di ingiusti profitti violando i
meccanismi di legalità o violando le regole della concorrenza e l’altra,che metteva capo a
reati,riferibili a una “colpa di organizzazione”,che riguardavano l’inquinamento,l’ambiente e la
prevenzione degli infortuni.(1)
Più in generale, vi era a volontà di porre fine alla prassi per cui, a seguito di reati commessi da
persone fisiche appartenenti all’ente,quest’ultimo,il quale magari aveva tratto un vantaggio o
profitto dalla commissione dello stesso,rimanesse”indenne”dalle conseguenze derivanti
dall’esercizio della funzione repressiva dello Stato.
Il secondo motivo che rese necessario l’introduzione di questa innovazione nel nostro
ordinamento,è da ravvisare nel necessario adeguamento e coordinamento del nostro paese, con
le innovazioni legislative introdotte a livello comunitario,anzi fu proprio questa esigenza di
“omogenizzazione normativa”ad avere un ruolo trainante nel processo motivazionale del nostro
legislatore,accellerando in quest’ultimo una presa di coscienza normativa in materia,che altrimenti
sarebbe stata molto più lenta.(2)
(1)e(2)LATTANZI”,Reati e responsabilità degli enti”,C.1.1(2010)eALESSANDRI,”Commento all’art.27 comma 1”,in G.BRANCA,”Commentario alla
Costituzione”,Zanichelli(1991).
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Già nel 1988,la Raccomandazione n.18 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa,sollecitava
gli Stati membri a prevedere sistemi di responsabilità delle persone giuridiche,prevedendo già al
tempo un’ampia gamma di sanzioni.(3)
Il nostro legislatore ha lungamente titubato sulla base del rigoroso rispetto del brocardo Societas
delinquere non potest;ma nel tempo ha ceduto alle pressioni di adempimento degli obblighi
internazionali,trovandosi poi davanti alla scelta tra una forma di responsabilità penale in senso
stretto o di una responsabilità penale-amministrativa.
Va detto che per determinati reati,l’introduzione di una previsione di responsabilità per gli enti era
dovuta.
Bisognava infatti dare attuazione alla Convenzione OCSE del 17 dicembre 1997 e al secondo
protocollo del 19 giugno 1997 sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee.
La Convenzione OCSE aveva ad oggetto la”lotta contro la corruzione dei funzionari pubblici
stranieri nelle transazioni commerciali internazionali”(4).
Essa al suo art.2,obbligava gli Stati aderenti ad assumere”le misure necessarie,conformemente ai
proprio principi giuridici,a stabilire le responsabilità delle persone morali”per i reati che la
Convenzione stessa disciplinava,ovvero nel caso di corruzione di pubblico funzionario.
Come sopra accennato,in realtà la Convenzione non rappresentava l’unico strumento
internazionale che ispirò il nostro legislatore.
Sempre nel 1997 infatti,venne emanato in sede comunitaria il secondo protocollo della
Convenzione PIF sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee.
Anzi,il nostro legislatore,più che alla scarne indicazioni contenute nella Convenzione OCSE,ha
ritenuto di dover dare attuazione proprio al PIF,sebbene non fornisse indicazioni specifiche,per
esempio,in merito alla natura della responsabilità degli enti.
L’art.3 del secondo protocollo distingueva due ipotesi,a seconda che il reato fosse stato commesso
da soggetti in una posizione dominante,ovvero basato su un potere di rappresentanza o di poter
prendere decisioni,per il quale prevedeva una responsabilità diretta ed immediata in capo all’ente
a cui essi appartenevano,ovvero da soggetti in posizione subordinata.
Qui lo stesso art.3 stabiliva che”ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinchè le
persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili quando la carenza di sorveglianza o
controllo da parte di uno dei soggetti apicali abbia reso possibile la perpetrazione di un reato a
beneficio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità”(5)
Anche qui però,come nella Convenzione OCSE,i reati per cui ciò si rendeva realizzabile erano
limitati a quelli previsti nel protocollo stesso.
Cosi,delineato l oggetto rispetto al quale il nostro ordinamento dovette allinearsi vediamo come
ciò avvenne nella pratica.
Divenuta urgente la presentazione del disegno di legge per la ratifica della Convenzione OCSE e del
protocollo PIF,il Ministro della giustizia mise allo studio il tema della responsabilità degli enti
costituendo un apposito gruppo di lavoro,il quale aveva individuato e approfondito varie
questioni,specie quelle riguardanti la natura penale o amministrativa della responsabilità,su quali
fossero gli enti destinatari di questa nuova disciplina,se solo quelli aventi personalità giuridica o
anche altri,sui criteri di imputazione alla persona giuridica dei reati commessi dai soggetti”di
vertice” e dai dipendenti ed infine sul tipo di sanzioni applicabili.
(3)Riv.it.dir.pen.econ.1991,653 s; azioni comuni n.733/98/Gai e 724/98/Gai,in G.U.C.E(1998)
(4)LATTANZI,”Introduzione,Responsabilità degli enti” (2010),sull’iter che ha condotto alla formulazione del testo anche,LATTANZI,”Intervento”,in
AA.VV.(a cura di PALAZZO),Societas punir ipotest,V.anche MANZIONE,La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche:una soluzione
opportuna o solo di”comodo”?,in AA.VV.(a cura di G.DE FRANCESCO),La responsabilità degli enti:un nuovo modello di
giustizia”punitiva”,Giappichelli(2004).Ampia ricognizione sui lavori preparatori anche in,PASCULLI,La responsabilità da”reato”degli enti collettivi
nell’ordinamento italiano.Profili dogmatici e applicativi,Cacucci(2005)
(5)LATTANZI,Reati e responsabilità degli enti,C.1.1(2010)
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Il Governo,all’esito dei lavori di tale gruppo,giunse alla conclusione che per il nostro ordinamento
ancora non fossero maturi i tempi per una tale innovazione,contemperando l’esigenza di ratifica
della due Convenzioni,con la presentazione di un disegno di legge”sempliciotto”in quanto si
limitava ad affermare:”La legge stabilisce i casi in cui le persone giuridiche sono autonomamente
responsabili dei reati di corruzione attiva ed istigazione alla corruzione ex art.321-322 e 322bis del
codice penale”,soluzione all’avviso di molti poco responsabile.
Fu il Parlamento che in maniera responsabile,ha ritenuto di non poter più rinviare l’introduzione
della normativa sulla responsabilità degli enti.
Con l’art 11 della l.29 settembre 2000,n.300 di ratifica della Convenzione OCSEe PIF,esso delegò al
Governo,di redarre una normativa in materia,operando però attraverso numerosi e articolati
principi e criteri direttivi della delega,quelle non facili scelte che la materia imponeva,quali ad
esempio,la scelta tra una responsabilità amministrativa o penale, l’indicazione degli enti
destinatari della stessa,i criteri di imputazione e l’applicazione delle sanzioni relative.
Il Governo esercitando la delega nei limiti degli obblighi nascenti dalle convenzioni e dalla
dettagliata disposizione legislativa di delega dell’attuazione, redasse il famoso D.lgs 231/2001 il
quale fu titolato come”Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche,delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica,a norma
dell’art.11 della legge 29 settembre 2000,n.300”,introducendo cosi tale nuova forma di
responsabilità nel nostro ordinamento,la quale come qualsiasi novità,comportò studi e contrasti
dottrinali,volti ad accertare la vera essenza di tale innovazione legislativa.(6)
(6)LATTANZI,Reati e responsabilità degli enti,Introduzione(2010) In dottrina ritengono che si tratti di un tertium genus di responsabilità O.
DI GIOVINE, La responsabilità degli enti: lineamenti di un nuovo modello di illecito punitivo, cit., p. 435; G. FLORA, Le sanzioni punitive nei confronti
delle persone giuridiche: un esempio di «metamorfosi» della sanzione penale?, in Dir. pen. proc., 2003, p. 1398 e ss.; L. STORTONI, D. TASSINARI, La
responsabilità degli enti: quale natura? Quali soggetti?, cit., p. 9 e ss.; G. FORTI, Sulla definizione della colpa, cit., p
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2.I principi costituzionali:gli artt. 27 e 25 della Costituzione
Occorre stabilire quali principi di livello costituzionale in materia penale debbano trovare
applicazione in tema di responsabilità degli enti.
Primo su tutti emerge l art 27 della Costituzione il quale affermando al primo comma che “la
responsabilità penale è personale”si pose per anni come ostacolo al riconoscimento di una
colpevolezza in capo all’ente e conseguentemente,alla previsione di una responsabilità penale nei
suoi confronti,poiché non configurabile in esso l’ elemento soggettivo del reato.
Per capire le ragioni di tale impedimento,e di come si sia arrivati al D.lgs 231/2001 senza
contrastare col suddetto articolo,è a questo punto necessaria un esegesi sulla storia e le varie
interpretazioni di esso e del correlato concetto di colpevolezza.
Non è sfuggito alla dottrina italiana il valore fondamentale dell'articolo 27 della Costituzione
repubblicana per il nostro sistema di diritto penale; esso racchiude tutti i problemi relativi alle
ragioni e ai limiti della criminalizzazione, nonché alle conseguenze - e reciproche influenze - di essi
rispetto alle funzioni della pena .
Non risulta, quantomeno sulla carta, costituzionalizzato il principio "nulla poena sine culpa", oggi
individuato, nelle più recenti ed attente interpretazioni dell'art. 27, come la chiave di lettura del
principio di personalità.
Perchè si giunga a questa conclusione, però, è necessario e interessante seguire il percorso
argomentativo della Corte Costituzionale, universalmente conosciuta come più autorevole
interprete e custode, nel nostro ordinamento, dello spirito della Costituzione.
Nell'interpretare il principio di personalità della responsabilità penale, ci si scontra con una
tematica ancor oggi fertile: si tratta del delicato equilibrio di rapporti tra la Norma Fondamentale
e lo smisurato patrimonio legislativo del nostro Paese.
Si arrivò inizialmente ad una prima “lettura minima” dell’art 27 Cost,interpretando in pratica il
concetto di “responsabilità penale personale”come mero “divieto di responsabilità per fatto
altrui”(7),in cui l'attribuibilità del fatto al soggetto era basata sul semplice nesso di causalità, cioè
sull'attribuzione materiale del fatto all'agente: rimaneva esclusa ogni indagine di natura
soggettiva.
Ma la lettura restrittiva del comma 1 dell'art. 27 Cost. ha avuto immediate ripercussioni anche sul
dibattito relativo alla responsabilità penale degli enti. Infatti, è agevole concludere che,
ipotizzando l'attribuibilità del reato alla persona giuridica, si finirebbe proprio col violare il divieto
di responsabilità per fatto altrui, in quanto si occulterebbe la responsabilità dei veri agenti.
Dopo un ulteriore periodo, isolato dalla dottrina, di "transizione", in cui dalle sentenze emergeva
la tendenza (per qualche autore "tensione") a richiedere un quid pluris di natura psichica rispetto
al mero nesso di causalità materiale, si è giunti ad una radicale svolta
Il riferimento è alla sentenza n.364 del 1988 , relativa all'art. 5 del c.p.; nello specifico, con essa si
dichiarava la parziale illegittimità della norma nella parte in cui quella non escludeva l'ignoranza
inevitabile dalla generale inescusabilità dell'ignorantia iuris.
Questa fu, però, soprattutto l'occasione per chiarire che: "il fatto imputato, perchè sia
legittimamente punibile, deve necessariamente includere almeno la colpa dell' agente in relazione
agli elementi più significativi della fattispecie tipica".(8)
(7)M.SILANO,I presupposti costituzionali della responsabilità degli enti collettivi,C 1.2 (2005),sul punto anche GROSSO,voce Responsabilità penale,in
Nss.dig.it,Utet,vol XV,1968
(8)Corte Costituzionale sentenza n.364/1988, precisando che il principio di colpevolezza è indispensabile per "garantire al privato la certezza di libere
scelte d'azione: per garantirgli, cioé, che sarà chiamato a rispondere penalmente solo per azioni da lui controllabili e mai per comportamenti che solo
fortuitamente producano conseguenze penalmente vietate".
La Consulta, alla luce di tali presupposti, rilegge il principio di personalità del reato, sancito all'art. 27 comma 1 Cost., tanto da sostenere
che "comunque s’intenda la funzione rieducativa, essa postula almeno la colpa dell'agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie
tipica. Non avrebbe senso la 'rieducazione' di chi, non essendo almeno 'in colpa' (rispetto al fatto) non ha, certo, 'bisogno' di essere 'rieducato'".
Profili soggettivi della responsabilità delle persone giuridiche
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Tale impostazione dell’”almeno la colpa” mise in crisi tutti i casi di responsabilità oggettiva previsti
dal c.p.nonchè si pose a fondamento dell’ostacolo al riconoscimento di una responsabilità penale
in capo agli enti,essendo incompatibile il concetto di colpa con la struttura di una persona
giuridica.
Il principio” nulla poena sine culpa”, per le ragioni già accennate non espressamente
costituzionalizzato dagli autori storici della nostra Carta Costituzionale, ha acquisito dunque
dignità grazie al costante sforzo interpretativo della Consulta. Ciò non vuol dire, però, che il
concetto di "colpevolezza" sia rimasto fissato una volta per tutte; il problema, pertanto, si sposta
sul suo contenuto e, ciò che più ci riguarda, sulle conseguenze che esso può avere in relazione a
una responsabilità delle persone giuridiche.
Due sono le concezioni della colpevolezza che si sono distinte per originalità e autorevolezza:
quella psicologica e quella normativa .
In breve secondo la concezione psicologica, la colpevolezza si concretizzava nel nesso psicologico
tra il singolo evento criminoso e il suo autore. Ma sul piano dogmatico la teoria in esame non tardò a
mostrare le sue insufficienze, soprattutto in due direzioni.
Da una parte, infatti, non era riuscita ad elaborare un concetto unitario, di genere, che potesse
racchiudere il dolo e la colpa, perchè, come si è visto, la concezione psicologica non si era mai
staccata dal "mero dato" psicologico relativo ad ogni singolo fatto di reato, negandosi una visione
più ampia e sistematica.
In secondo luogo, il giudizio di colpevolezza veniva appiattito a "nesso psichico astratto, fisso ed
eguale in tutti i casi, perciò non graduabile"(9), cioè insensibile rispetto ai numerosi fattori che
nella realtà, invece, vengono a diversificarla: il riferimento è alle motivazioni dell'agire, al contesto
e alle circostanze dell'azione stessa, alle condizioni personali e latu sensu sociali del reo.
Le lacune della concezione psicologica della colpevolezza aprirono la strada alla dottrina tedesca
della concezione normativa,per la quale il comportamento antigiuridico va a violare non solo la
specifica norma positiva, ma altresì una più generale norma d'obbligo che impone al soggetto di
comportarsi in modo conforme all'ordinamento.(10)
Ciò porta a ritenere che per la costruzione della colpevolezza non sono sufficienti, come
antecedentemente si riteneva, le due specie di essa (cioè il dolo e la colpa), ma necessitano
ulteriori elementi, tra i quali una posizione primaria - di presupposto - è occupata sicuramente
dall'imputabilità.
Essa, intesa come adeguata maturità psico-fisica dell'agente, risulta indefettibile, in quanto la
valutazione di rimproverabilità, insita nella dichiarazione di colpevolezza, è possibile solo se il
soggetto è consapevole del dettato ordinamentale e del possibile disvalore della sua condotta in
riferimento ad esso.
Così:” Intanto si agisce dolosamente in quanto si conosce la realtà e ci si rende conto della azione che si
compie e dei risultati cui essa tende o conduce.
Intanto si agisce con colpa in quanto ci si comporti con imprudenza o negligenza, pur essendo
capaci di agire diligentemente o prudentemente".(11)Nella concezione normativistica cioè,il
giudizio viene individualizzato,tenendo conto delle circostanze esterne e dei processi interni di
motivazione che hanno indotto il soggetto agente alla commissione del reato.
Occorre ora analizzare le conseguenze dell'accoglimento dell'una o l'altra concezione sulla
configurabilità della responsabilità di persone giuridiche, tenendo in debito conto che le
conclusioni sono destinate a variare laddove si parta dall'ente inteso come”persona ficta”
piuttosto che come realtà naturale.
(9)PALIERO,Problemi e prospettive della responsabilità dell’ente nell’ordinamento italiano(1996);(10)e(11)FIANDACA-MUSCO,Diritto penale parte
generale,in argomento si veda anche,SANTAMARIA,voce Colpevolezza,in Enc.dir.VII,Milano(1960).Si vedano anche,GALLO,Il concetto unitario di
colpevolezza,Milano(1951);Sulla concezione normativa,per tutti,PADOVANI,Appunti sull’evoluzione della colpevolezza,in riv.dir.pen.(1973)
Profili soggettivi della responsabilità delle persone giuridiche
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Prendendo le mosse dalla prima concezione (c.d. teoria della finzione), come del resto già
anticipato, ipotizzare la perseguibilità della persona giuridica cozzerebbe già con la lettura
"minima" dell' art.27 c. 1 Cost., comportando la violazione del divieto di responsabilità per fatto
altrui, e portando come conseguenza l'irrilevanza penale della condotta del soggetto agente.
In alternativa a quanto finora detto, è possibile prendere le mosse dalla visione che predica la
reale esistenza dell'ente (teoria organica); ma anche in questo caso le soluzioni sono fortemente
problematiche.
Questo soprattutto quando, aderendo alla concezione psicologica, sorgono chiare difficoltà nell'
attribuire il dolo o la colpa alla persona giuridica; l'impasse però sembra essere superato proprio
attraverso il ricorso allo strumento del rapporto organico.
Difatti, in virtù di esso, è sempre un individuo che agisce, pur se in veste di organo e con
imputazione diretta dell'azione all'ente.
Mantovani chiarisce in tal modo l'assunto: "Alla asserita incapacità delle persone giuridiche a
porre in essere azioni penalmente illecite, sia materialmente che dolosamente o colposamente, è
stato replicato che esse...sono capaci di azioni penalmente illecite attraverso i fatti dell'organo,
che in forza del rapporto di immedesimazione tra organo e ente sono direttamente riferibili
all'ente e alla sua volontà".(12)
Volendo dare per scontata - come non è - la validità assoluta di siffatta soluzione, rimane irrisolto il
problema in qualche modo inverso, ma altrettanto delicato, della perseguibilità del soggetto che
ha agito in qualità d'organo. Ricostruendo invece tutto il discorso a partire dalla concezione
normativa, viene fuori che l'ente sarebbe responsabile quando volontariamente si pone in
contrasto con il dettato normativo.
E’ interessante approfondire la natura della "norma d'obbligo" che la condotta illecita andrebbe in
questi casi a violare.
Scartata l'ipotesi, incompatibile con i nostri principi costituzionali, di un contenuto etico della
stessa, e quindi di una antidoverosità vista come violazione di un dovere morale, ne consegue che
illecito può qualificarsi solo quel comportamento contrario a dati assetti economici e sociali che in
un determinato contesto siano ritenuti degni di protezione giuridica.(13)
E così il cerchio si richiude sul valore relativo del tema della persona giuridica: esso ancora una
volta si presenta come "un problema, più che ontologico o dogmatico, di sistemi politico
economici e di pratica utilità ed efficacia"(14).
Per concludere,l intento del d.lgs 231/2001 consisteva proprio nel ridurre le probabilità di
contrasto con l’art.27 Cost,elaborando dei criteri di imputazione sul piano soggettivo
abbastanza”pregnanti” da fugare residui dubbi di legittimità costituzionale con l’articolo in
questione.Un’operazione questa assecondata dalla completa adesione da parte del nostro
ordinamento alla concezione normativista della colpevolezza,la quale appunto consente di
muovere un giudizio di rimproverabilità nei confronti dell’ente al pari di quanto avviene per la
persona fisica,anche se costruendola in termini diversi,ovvero concependo una responsabilità
dell’ente derivante dalla commissione di un illecito amministrativo, il quale abbia permesso la
realizzazione del reato da parte della persona fisica all’ente stesso appartenente
Operazione questa riuscita tramite la c.d”truffa delle etichette”realizzata dal legislatore delegato
nel 2001 parlando di responsabilità e sanzioni amministrative e attribuendo all’ente la
commissione di un illecito amministrativo puro,sempre modellato sul principio di colpevolezza,dal
quale però,a differenza dell’illecito penale risulta più facilmente emancipabile,mancando di
copertura costituzionale.
(12)MANTOVANI,Diritto penale parte generale(2010) (13)LATTANZI,Reati e responsabilità degli enti,C.1.4(2010)(14)BATTAGLINI,Responsabilità
penale delle persone giuridiche,sul punto anche,GIUNTA,La punizione degli enti collettivi,una novità attesa e PALIERO,La responsabilità
dell’impresa:profili di diritto sostanziale,in AA.VV.,Impresa e giustizia penale:tra passato e futuro,Giuffrè,2008,anche Corte cost,14 aprile 1980,in
Riv.it.dir.proc.pen.(1981),con nota di PALIERO,Pene fisse e Costituzione:argomenti vecchi e nuovi.