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CAPITOLO 1
I VALORI IN PSICOLOGIA
1.1 Il concetto di cultura e il ruolo dei valori al suo interno
L’interesse per lo studio della cultura ha da sempre avuto un posto molto importante per il
pensiero occidentale, nell’ambito delle scienze umane e sociali, in particolare nelle aree
strettamente connesse tra loro dell’antropologia e dell’etnologia. Si possono comunque individuare
dei legami più o meno stretti anche con altre discipline come il diritto, la linguistica, la storia,
l’economia, la sociologia, la psicologia, la filosofia e le scienze politiche.
Il termine “cultura” deriva dal latino cultura, che viene da colere (anticamente quolere), ovvero
girare in tondo, lavorare regolarmente, assiduamente, coltivare, curare, abitare. Il significato che
accomuna il lavoro agricolo-commerciale a quello vero e proprio di culto, è di accettare in modo
vissuto la durata del lavoro.
Il dizionario Rizzoli-Larousse (1972) riporta le seguenti definizioni di cultura:
- “L’insieme delle conoscenze che, una volta assimilate dallo spirito, contribuiscono al
suo arricchimento”;
- “L’insieme delle conoscenze pratiche e intellettuali di una civiltà”;
- “L’insieme dei manufatti tipici di una popolazione”;
Gli antropologi e gli altri studiosi delle scienze sociali definiscono la cultura come il
comportamento appreso dagli individui in quanto membri di un gruppo sociale. Il concetto di
cultura viene definito esplicitamente per la prima volta dall’antropologo inglese Edward B. Tylor
(1861), per indicare “quell’insieme complesso che comprende la conoscenza, le credenze, l’arte, la
morale, la legge, le usanze e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro
della società”. La cultura umana in senso ampio comprende tanto i tratti comportamentali della vita
quotidiana, come le abitudini legate all’alimentazione, quanto le arti raffinate di una società.
Analogamente a Tylor, Sherry (1986) definisce la cultura come “il complesso delle
conoscenze, convinzioni, espressioni artistiche, principi giuridici e morali, costumi e di qualunque
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altra capacità e abitudine acquisite dagli individui in quanto membri di una determinata società”.
Nelle varie definizioni si ritrova l’idea di cultura come qualcosa che emerge da un lasso di tempo
indeterminato e che va ad influenzare tanto le idee astratte, i valori, l’etica, quanto gli aspetti pratici
della vita degli individui: il modo di vestirsi, di nutrirsi, di occupare il tempo libero (Solomon,
2002). Nella definizione di cultura si può quindi rintracciare la presenza di aspetti materiali e
immateriali.
Gli aspetti materiali sono propriamente gli oggetti fisici e gli artefatti. Si possono includere in
questa categoria anche forme meno tangibili e tuttavia non classificabili come immateriali: la
letteratura e la musica.
Gli aspetti immateriali che costituiscono la cultura sono i concetti mentali, il linguaggio e i sistemi
di credenze. Questi possono essere usati per trasmettere la cultura e possono essere utilizzati per
costruire e ricostruire il passato.
La riflessione sulla cultura chiama in causa un altro aspetto molto importante: il concetto di
eredità culturale.
La cultura si forma e si tramanda attraverso strumenti materiali e immateriali, i quali hanno lo scopo
di preservare il passato, di fornire significati concreti e astratti per trasmettere e comprendere ciò
che è stato, di interpretare la realtà, di orientare e giustificare le proprie azioni.
La nozione di eredità culturale (Kluckhohn, 1951a; 1951b) può essere interpretata sia come un
prodotto che come un processo (Hobsbawn & Ranger, 1983). Si possono infatti esplorare che cosa
sono le eredità culturali così come ciò che esse contribuiscono a creare.
La cultura dunque è qualcosa che proviene dal tempo ma che non è rimasta incastonata nel
tempo. Essa dà senso alla realtà che circonda l’uomo, assegnandole dei significati che possono
essere spiegati tramite le categorie e i principi culturali (McCracken, 1986). Le categorie culturali
rappresentano le distinzioni fondamentali che una cultura utilizza per classificare la realtà. Alcuni
esempi di categorie culturali possono essere il tempo, lo spazio, le persone (quindi: il genere, l’età,
l’etnia). Accanto ad esse si devono considerare i principi culturali, ossia le idee, i valori, le
convinzioni che contribuiscono notevolmente a definire l’organizzazione della realtà in categorie e
relazioni tra di esse.
Uno dei principali sistemi attraverso cui le categorie e i principi culturali si sono affermati nel
tempo, divenendo concreti e reali in ogni cultura, è stato l’uso degli oggetti. In qualsiasi periodo
storico l’uomo abbia vissuto, ha creato degli oggetti in accordo con la proposta culturale dominante.
In una ricerca Levy (1981) dimostra che genere e classe sociale possono anche essere manifestati
attraverso l’uso di certi prodotti alimentari piuttosto che altri. L’uso degli alimenti (in questo caso
specifico) può condurre ad una riflessione più generale relativa alla cultura: mentre gli oggetti
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possono rendere chiare le categorie e i principi culturali, a sua volta il significato sociale degli
oggetti non dipende dal loro contenuto, quanto piuttosto dalla collocazione di questi in un sistema
di credenze e opinioni più o meno consensualizzate.
All’interno della letteratura si possono rintracciare molte definizioni di cultura. Kroeber e
Kluckhohn (1952) ne hanno rintracciate 164. Generalmente la cultura può essere intesa come
l’insieme dei modi di pensare, di sentire e di agire (Harris, 1987), di reagire (Kluckhohn, 1951a);
l’insieme dei valori, delle idee e degli altri sistemi simbolici di attribuzione di significato (Kroeber,
Parsons, 1958). Kroeber e Kluckhohn (ibidem) sostengono che “la cultura consiste di patterns
espliciti e impliciti per l’acquisizione di comportamenti e per la trasmissione dei simboli, i quali,
insieme agli artefatti, costituiscono il senso di appartenenza distintiva di ogni gruppo di persone e
il loro fine ultimo. L’essenza di ogni cultura consiste di idee e pensieri tradizionali e soprattutto dei
valori che ad esse sono associati. Il sistema culturale può essere considerato da un lato il prodotto
di una serie di azioni, mentre dall’altro può essere visto come un elemento che condizionerà le
azioni future”.
Hofstede (1994) definisce la cultura come “un programma mentale collettivo capace di identificare
e distinguere un gruppo di persone da un altro”.
Queste definizioni di cultura danno molta importanza all’agire collettivo dei gruppi, i quali si
organizzano nel tempo attorno a una propria identità culturale. Tale concetto implica non solo i
modi di agire e di pensare collettivi, ma anche e soprattutto una serie di valori condivisi che
sottostanno al modus operandi di ciascun gruppo. Parlare di cultura e di appartenenze culturali è
necessario per intavolare un discorso sui valori, poiché (a) i valori sono la struttura portante delle
culture e svolgono per esse un ruolo analogo a quello della memoria per gli individui, (b) i valori
nascono e si evolvono nelle culture. Essi possono venire considerati un autentico prodotto culturale.
Hofstede (ibidem) sostiene che i valori siano l’elemento architrave su cui si poggia l’edificazione di
ogni cultura. Ogni individuo avverte, fin dall’infanzia e per tutto il corso della propria esistenza, la
necessità di valutare il proprio e l’altrui operato, di giudicare le proprie azioni e di dare loro un
senso davanti a sé stessi e agli altri attori sociali.
La parola valore, come la parola cultura, ha diversi significati. A livello generale se ne
possono distinguere due: il significato di bene e quello di giusto. La nozione di bene deriva
direttamente dal pensiero antico: essa indica le cose che si considerano buone e valide da un punto
di vista oggettivo. Il concetto di giusto è invece connesso a quello di “dovere soggettivo” che è
proprio del pensiero moderno e che è stato introdotto da Kant, anche se affonda le proprie radici
nella tradizione giudaico-cristiana. Esso indica ciò che è appropriato, ovvero le azioni corrette per
mantenere una condotta consona alla tradizione e alla cultura di appartenenza.
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Il termine con cui gli antichi greci esprimevano il concetto di valore è àxios, ovvero buono,
pregevole, meritevole, apprezzabile. Da esso deriva anche il termine axioma indicante onore, merito
e rispetto. Nella lingua latina la parola “valore” deriva dal verbo valere indicante lo star bene sia in
senso morale che fisico. Con esso ci si riferiva all’essere in buona salute e godere di buona forma
fisica (da valere deriva anche il saluto vale, ovvero stai bene). L’indistinzione tra aspetti morali e
aspetti economici, di cui restano tuttavia tracce anche nelle lingue moderne (si veda la comune
radice di parole come “apprezzamento” e “prezzo”), era propria di un’età arcaica, in cui il sistema
dei valori era considerato come sostanzialmente unitario. In passato le società erano meno
complesse di quanto non lo siano oggi e si poteva ritenere che ciò che veniva valutato come un
bene, fosse evidente di per sé e fosse tale per tutti. Dal momento che si sono sviluppati nel tempo
gli scambi commerciali e la moneta è divenuta il principale regolatore dei rapporti sociali, è
divenuto sempre più chiaro che la concezione del “bene” varia di società in società e da gruppo
sociale a gruppo sociale. Questo aiuta a comprendere come sia da sempre stato difficile stabilire in
modo incontrovertibile quale sia il fondamento dei valori.
Tuttavia questo breve excursus storico-economico può aiutare a meglio comprendere la
natura pluralista e relativa dei valori. Essi infatti non possono essere considerati nella loro
assolutezza, quanto piuttosto nella loro relatività, nel senso di “essere relativi” ad ogni cultura, ad
un periodo di tempo specifico, ad una particolare epoca.
Riassumendo, il concetto di valore viene introdotto in senso economico, con specifico riferimento al
valore d’uso (utilità intrinseca del bene) e al valore di scambio (attitudine di un bene ad essere
scambiato con un altro). Successivamente il termine viene arricchito di connotazioni e significati
filosofici.
Da un punto di vista scientifico i valori hanno originato un dibattito di non poco conto: il
concetto di valore costituisce una “problematica” di studio complessa, in quanto si possono
attribuire ad esso un numero differente di significati e definizioni, che dipendono dal contesto e
dalla prospettiva di studio assunta. La nozione di valore è portatrice di una complessità intrinseca,
che non è di semplice e immediata comprensione. Di fatto il suo continuo accostamento alla
accezione di “bene” ne ha ritardato l’affioramento in ambito scientifico e sperimentale.
E’ utile e doveroso sottolineare che i valori sono qualcosa di diverso dagli atteggiamenti, dai sistemi
di credenze, dalle ideologie, dalle opinioni, dalla fede e dagli stereotipi. Questi concetti possono
essere associati ai valori, ma non possono costituirne un sinonimo.
Verranno di seguito presentati i primi autori che si sono interessati allo studio dei valori.
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2. I PRIMI AUTORI CHE SI SONO INTERESSATI ALLO STUDIO DEI VALORI
2.1. Il contributo di Kluckhohn
Prima di considerare i valori come gli elementi chiave per comprendere perché le persone fanno
quello che fanno, gli studi scientifici erano sostanzialmente orientati alla misurazione degli
atteggiamenti, quali concetti eminentemente predittivi del comportamento umano.
Sarà grazie allo studio di Allport e Vernon risalente al 1931 (rivisitato successivamente nel 1951
insieme a Lindsey), che la ricerca scientifica conoscerà un periodo di progressivo arricchimento e
sistematizzazione.
Nel corso degli anni Sessanta diversi autori hanno dato una definizione di valore. Williams
(1968) li definisce “idee usate come criteri per l’azione”, McGuire (1969) intende la nozione di
valore come “l’equivalente di atteggiamenti più generali”.
Tuttavia il concetto di valore non gode, fin dall’inizio, di una definizione chiara e univoca. Su di
esso grava una frammentarietà estesa, che può essere considerata una concausa determinante per
spiegare l’accumulo di ritardi e di difficoltà metodologiche.
Il contributo di Clyde Kluckhohn è considerato uno tra i più autorevoli e condivisi che le
scienze sociali possano annoverare. L’autore definisce i valori come ”una concezione implicita o
esplicita, propria di un individuo o caratteristica di un gruppo, di ciò che è desiderabile e che
influenza la selezione di modi, mezzi e mete disponibili” (Kluckhohn, 1951b). Analizzando nello
specifico la definizione si ritrovano degli elementi di fondamentale importanza su cui soffermarsi:
(a) convinzione, (b) implicita o esplicita, (c) desiderabile, (d) influenza la selezione.
Quando l’autore parla di (a) concezione, si riferisce al valore come a un costrutto logico non
direttamente osservabile, quanto piuttosto inferibile da ciò che le persone dicono o fanno e capace
di spiegarne il comportamento. Una valore è altresì una concezione (b) implicita o esplicita, perché
è difficilmente o solo parzialmente verbalizzabile. Tuttavia può essere dedotto e inferito da un
osservatore esterno. La nozione di (c) desiderabilità, indica che i valori hanno al loro interno una
componente affettiva e una cognitiva. Kluckhohn (ibidem) sostiene che questa duplice componente
debba essere inclusa in ogni definizione di valore. Da ultimo, quando l’autore si riferisce a un
valore come una concezione che (d) influenza la selezione, intende dire che esso ha la capacità di
orientare la scelta di certi mezzi per raggiungere certi fini, in accordo con quanto suggerito dal
contesto sociale di riferimento.
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2.2 La teoria di Rokeach
Milton Rokeach è il primo autore che ha creato un quadro di riferimento teorico per lo studio
sistematico dei valori.
Rokeach (1973) ha innanzitutto ben distinto i valori da altri concetti: i sistemi di credenze
rappresentano l’universo totale delle opinioni di una persona sul mondo fisico, sociale e su di sé; un
atteggiamento è l’organizzazione di diverse opinioni riguardanti specifici oggetti (fisici, sociali,
concreti o astratti) e situazioni, che hanno la funzione di predisporre i soggetti a rispondere secondo
certe modalità piuttosto che altre; un’ideologia è un’organizzazione di credenze e atteggiamenti
(religiosi, politici) più o meno istituzionalizzata o condivisa con gli altri attori sociali e derivante da
un’autorità esterna; un’opinione è definita come un’espressione verbale di qualcosa in cui si crede;
la fede si riferisce a ciò che una o più persone accettano come vero, buono, desiderabile; uno
stereotipo è una opinione socialmente condivisa che descrive un atteggiamento in modo
ipersemplificato o indifferenziato.
L’autore sostiene che, sebbene il numero di credenze e di convinzioni che un uomo possiede sia
enorme, si possa ragionevolmente sostenere che esse siano organizzate “come gli elettroni e i
protoni, […] come i pianeti del sistema solare” (Rokeach, 1968), in un sistema dalle proprietà
descrivibili e misurabili, capace di spiegare accuratamente il comportamento degli individui.
Dal momento che i valori sono dei concetti che trascendono le situazioni specifiche, Rokeach
puntualizza che essi “come gli elettroni” (ibidem) non sono direttamente osservabili, quanto
piuttosto deducibili da ciò che una persona dice o fa.
Rokeach definisce i valori come “una convinzione stabile per la quale uno stile particolare di vita
(specific conduct) o un fine ultimo dell’esistenza (fundamental life choice) è personalmente o
socialmente preferibile rispetto ad uno stile di vita opposto o ad un diverso fine ultimo
dell’esistenza”. Nella definizione si possono rintracciare due concetti di fondamentale importanza:
la nozione di (a) preferenza e quella di (b) desiderabilità. Attraverso l’uso dei due termini l’autore
fa rientrare i valori rispettivamente nell’ambito (a) della psicologia cognitiva e (b) della psicologia
sociale. I valori vengono appresi attraverso la socializzazione e divengono uno schema di
conoscenza rispetto a ciò che si ritiene desiderabile. Una volta che un valore viene interiorizzato,
diventa un criterio standard per orientare le proprie azioni, per sviluppare e preservare i propri
atteggiamenti verso gli oggetti e le diverse situazioni.
Un sistema di valori viene definito come “un’organizzazione durevole di modi di
comportarsi e di fini esistenziali, ordinati in un continuum secondo la loro importanza” (ibidem).
In linea generale l’autore sottolinea che:
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a) i soggetti possiedono un numero ragionevolmente limitato di valori, mentre possono
sviluppare centinaia di migliaia di atteggiamenti verso gli oggetti o le situazioni;
b) i valori non sono direttamente osservabili ma possono essere dedotti da ciò che i soggetti
dicono e fanno;
c) ogni azione ha al suo interno un orientamento valoriale, sia esso consapevole o
inconsapevole;
d) i valori sono organizzati in una struttura gerarchica e,
e) sono disposti all’interno di questa secondo un ordine di importanza;
Un’importante distinzione fatta da Rokeach riguarda il concetto di valore rispetto a quello di
atteggiamento. In “Value Survey” (1967) e in “Biliefs, attitudes, and values” (1968) l’autore
antepone il concetto di valore a quello di atteggiamento. Egli spiega che i valori sono concetti molto
più dinamici degli atteggiamenti, dal momento che possiedono componenti cognitive, affettive e
comportamentali. Inoltre l’autore afferma che i valori siano in grado di originare gli atteggiamenti,
contravvenendo a coloro che sostengono che gli atteggiamenti e i valori fondino congiuntamente i
comportamenti sociali. Rokeach sostiene che il valore sia un concetto analitico più “economico” per
descrivere e spiegare le somiglianze e le differenze tra le persone, tra i gruppi, tra le nazionalità e le
culture. Infine l’autore afferma che i valori godono di una più lunga “tradizione” in termini di
interesse teorico da parte di svariate discipline, rispetto agli atteggiamenti.
Ad esempio, la distinzione tra i modi di condurre la propria esistenza e le finalità ultime da voler
raggiungere attraverso il vivere in un certo modo (“end-goals of existence”), affonda le proprie
radici nella letteratura filosofica sui valori. In essa si ritrova una distinzione tra i valori strumentali
e valori terminali (Lovejoy, 1950; Hilliard, 1950).
I valori strumentali si riferiscono a specifiche modalità comportamentali. Essi sono finalizzati al
raggiungimento di altri valori e fini esistenziali, che prendono il nome di valori terminali. Tra questi
valori c’è dunque una relazione funzionale in quanto tutti i valori che si riferiscono a
comportamenti sono funzionali al raggiungimento di altri fini. L’autore distingue tra i valori
strumentali i seguenti:
- valori morali, che riguardano la sfera dei rapporti interpersonali. Questo tipo di valori è
caratterizzato da un forte senso del dovere, necessario per garantire il vivere sociale. La loro
violazione determina nei soggetti sensi di colpa;
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- valori di competenza, che si riferiscono a comportamenti centrati sulla persona e relativi
alla sfera della prestazione. La violazione di questi valori determina nel soggetto sentimenti
di inadeguatezza.
Mentre tra i valori terminali distingue i seguenti:
- valori personalistici, che sono centrati sulla persona. Questi valori attengono alla sfera del
Sé (sicurezza, maturità affettiva, armonia interiore, ecc.);
- valori particolaristici, anch’essi centrati sulla persona, ma relativi a valori della sfera
individuale e privata (cura della famiglia, amicizia, ecc.);
- valori universalistici, centrati sulla società e di portata più ampia (pace, libertà,
uguaglianza, ecc.).
Rokeach sottolinea la forte componente motivazionale insita nei valori. I valori strumentali sono
motivanti perché si riferiscono a comportamenti funzionali al raggiungimento di fini. I valori
terminali sono motivanti in quanto si riferiscono a obiettivi che vanno oltre i bisogni immediati.
L’autore afferma che “ciò che viene ancora omesso nelle discussioni sui valori […] è la
nozione di sistema di valori o di gerarchia di valori” (ibidem). Secondo l’autore i valori sono
ordinati in una gerarchia stabile, in funzione della loro importanza e priorità. Una volta compresa la
disposizione delle priorità valoriali nella gerarchia, si può dedurre anche quale peso i soggetti
conferiscono ai valori e ci si può anche rendere conto dell’elevato numero di combinazioni che
possono venire a crearsi da soggetto a soggetto. Ogni persona crea una propria gerarchia stabile di
valori, con l’obiettivo di giustificare le proprie e le altrui azioni, i propri e gli altrui atteggiamenti;
per giudicare moralmente sé stessi e gli altri con il loro operato e per rapportarsi agli altri. Il sistema
di valori che ogni individuo possiede ha la funzione di guida del comportamento, perché implica
l’assunzione di determinate posizioni rispetto a diverse tematiche rilevanti nella vita: questioni
sociali, questioni personali e interpersonali, comprensione e razionalizzazione delle proprie ed altrui
opinioni, classificazione degli atteggiamenti degli altri. In altri termini il grado di stabilità interna
che ciascun sistema di valori possiede, influenza e viene influenzato dal grado di stabilità del Sé. Il
Sé si avvale del proprio sistema di valori come supporto nelle decisioni quotidiane e future.
Da un punto di vista metodologico, Rokeach sostiene che i valori possano essere desunti più
efficacemente dal modo in cui i soggetti li ordinano rispetto alle loro priorità, piuttosto che dalle
valutazioni o punteggi di merito che gli attribuiscono. Infatti l’autore ritiene che “le metodologie
che privilegiano le valutazioni dei soggetti sui valori, sono troppo esposte ad errori derivanti da
effetti di desiderabilità sociale, e non sono superiori […], in termini di validità predittiva, ai dati
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ottenuti grazie a metodologie che privilegino l’ordinamento dei valori rispetto alle priorità di
ciascuno” (ibidem).
L’autore ha selezionato una lista di valori, cercando di rappresentare da un lato l’intera gamma dei
bisogni individuali, e dall’altro di comprendere l’intero spettro delle richieste provenienti
dall’ambiente sociale.
Lo strumento messo a punto da Rokeach per la misurazione dei valori è la Rokeach Value Survey
(1967; 1968; 1973). La scala è composta da 36 item: 18 relativi a valori terminali e 18 relativi a
valori strumentali. Ai rispondenti viene chiesto di ordinare per importanza i valori strumentali e
terminali, considerati in relazione alla loro funzione di principi guida nella vita quotidiana.
La lista dei 18 valori strumentali è la seguente:
1. Ambizione
2. Apertura mentale
3. Capacità
4. Dolcezza
5. Pulizia (limpidezza)
6. Coraggio
7. Comprensione (perdono)
8. Solidarietà
9. Onestà
10. Immaginazione
11. Indipendenza
12. Intelligenza
13. Logica
14. Tenerezza
15. Obbedienza
16. Buona educazione
17. Responsabilità
18. Autocontrollo
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La lista dei 18 valori terminali è la seguente:
1. Una vita comoda
2. Una vita eccitante
3. Un senso di compiutezza
4. Un mondo di pace
5. Un mondo di bellezza
6. Uguaglianza
7. Sicurezza familiare
8. Libertà
9. Felicità
10. Armonia interna (personale)
11. Amore (intesa sessuale e spirituale)
12. Sicurezza nazionale
13. Piacere
14. Salvezza (in senso religioso)
15. Rispetto per sé stesso
16. Ammirazione sociale
17. Vera amicizia
18. Saggezza
Il tempo medio calcolato per la compilazione della RVS è di circa 15-20 minuti.
La RVS è stata oggetto di diverse critiche nel corso degli anni. Ad oggi viene considerata
uno strumento piuttosto inadeguato, in quanto le liste dei valori sono frutto di una selezione fatta in
base a criteri prettamente intuitivi e soggettivi. Le due liste sono l’esito di un’analisi della
letteratura, compiuta secondo criteri non empiricamente validi. Ogni singolo item è intrinsecamente
debole dal punto di vista della misurazione psicometrica, perché è soggetto ad errori di valutazione
dovuti all’influenza degli item adiacenti.
Già nel 1978 Clawson e Vinson hanno sostenuto che il tipo di valori proposti nelle liste, può
causare la perdita di informazioni utili ai fini di una più dettagliata esplorazione degli orientamenti
valoriali dei soggetti. Gli autori sono del parere che la rilevanza dei valori proposti nelle liste fosse
discutibile o non completamente rappresentativa degli orientamenti valoriali nella vita quotidiana
delle persone. Kelly e Strupp (1992) hanno riscontrato che le sub-scale dei valori terminali e
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strumentali sono state definite con eccessiva generalizzazione, andando ad impattare in modo
negativo sulla produzione dei dati.
Braithwaite e Law (1985) sottolineano la necessità di utilizzare un maggior numero di item
per interpretare i singoli valori, per due motivi: (a) per evitare di imbattersi in fallace metodologiche
derivanti da meri fraintendimenti linguistici o interpretazioni improprie da parte dei soggetti; (b) per
incrementare la validità di costrutto.
3. UN AUTOREVOLE SVILUPPO SCIENTIFICO: LA TEORIA DI SCHWARTZ
3.1. Sviluppo della teoria di Schwartz
Gli anni ’80 segnano l’inizio di una svolta epocale per quel che concerne l’indagine
scientifica del concetto di valore.
Nel 1987 Shalom Schwartz e Wolfgang Bilsky pubblicano un articolo destinato a segnare
indelebilmente il modo di concepire e di studiare i valori da un punto di vista empirico.
I due autori giungono a delineare i contorni di quella che viene oggigiorno considerata la più
completa e approfondita teoria sui valori.
Sebbene la sistematizzazione di Rokeach (1967; 1968; 1973) avesse orientato la ricerca verso nuove
prospettive, essa mancava di rispondere a certe questioni ancora irrisolte. Il quadro di riferimento
creato fino alla seconda metà degli anni Ottanta, si presenta infatti come un accumulo piuttosto
frammentato di informazioni e questo ne impedisce la traduzione in un solido quadro teorico di
riferimento. A questo contesto si aggiunge la mancanza di una definizione univoca di valori e
l’inesistenza di una teoria universale per il loro studio. Infatti nelle ricerche passate è stato sempre
trascurato un tema fondamentale per la creazione di una teoria universale sui valori: il tema cross-
culturale.
Per poter iniziare a colmare i gap sopraelencati, si giunge a individuare una serie di concetti
necessari, cui il metodo di ricerca deve obbligatoriamente uniformarsi. Essi sono: (a) una
definizione stabile e risolutiva del concetto di valore, (b) una lista completa di valori che permetta
di condurre accurate indagini sperimentali, senza imbattersi in fallace metodologiche derivanti da
un uso improprio di liste incomplete, (c) l’esigenza di estendere gli studi in ambito internazionale,
per raggiungere la validità cross-culturale, necessaria per l’edificazione di una teoria generale, (d) la
necessità di definire una rappresentazione significativa delle relazioni di compatibilità e di conflitto
tra i valori. Quest’ultima necessità nasce dal fatto che gli atteggiamenti e i comportamenti non sono
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semplicemente stabiliti dal grado di priorità conferita a ciascun valore, bensì dai bilanciamenti tra
valori opposti che vengono simultaneamente implicati da un atteggiamento o da un comportamento.
L’interesse di Schwartz e Bilsky è focalizzato su degli assunti ben precisi: gli autori
intendono studiare i valori intesi come criteri, piuttosto che qualità desiderabili inerenti gli oggetti.
Pur imbattendosi in molte definizioni del concetto di valore i due autori individuano cinque
caratteristiche formali ricorrenti. I valori sono (Schwartz, Bilsky, 1987):
a) concetti o convinzioni
b) riferiti a finalità o comportamenti desiderabili
c) che trascendono le situazioni specifiche
d) che guidano la selezione o la valutazione dei comportamenti e degli eventi
e) che vengono ordinati gerarchicamente secondo un importanza relativa
Individuate le caratteristiche formali di ogni definizione sui valori, Schwartz e Bilsky (1987)
propongono la loro definizione (fig. 1)
Figura 1.1. Mapping sentence creata da Schwartz e Bilsky (1987) per definire formalmente i valori.
Gli elementi fondamentali della definizione di Schwartz sono: (a) ogni valore possiede un contenuto
psicologico a carattere motivazionale, che vuole essere raggiunto e gratificato; (b) i valori sono
rappresentazioni cognitive di tre bisogni fondamentali: sopravvivenza biologica dell’organismo,
bisogni di interazione sociale per la “coordinazione” interpersonale, bisogni di istituzionalizzazione
sociale per il benessere e la sopravvivenza dei gruppi.
Sulla base di queste premesse teoriche l’autore propone la distinzione tra dieci obiettivi specifici (o
domini) motivazionali (specifics motivational domains of values) riassumibili come segue: